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Segna la Roma (romanisti felici, laziali infelici) Passano 10 minuti, pareggio. (romanisti meno felici, laziali meno infelici) Passano altri 10 minuti, segna la Lazio. (romanisti infelici, laziali felici) Finisce la partita. Un romanista o un laziale che però seguono la partita senza alcuna aspettativa non permetteranno ad un evento esterno di modificare il loro stato interno. Ci può stare come esempio? |
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Però finchè la nostra mente continuerà a lavorare in termini duali come: felice/infelice, essere/non essere, fare/non fare, bene/male, allora non ci sarà possibilità di arrivare a tale risultato. Andare oltre tali concetti ci permette di arrivare all'essenza delle cose e quindi dell'essere. (sempre secondo me è icon_mrgr:) |
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La felicità è uno stato di tensione che sta appena sotto la soglia di sopportazione e deriva direttamente dal livello di armonia con l'ambiente... potremmo dire con l'universo. Ne segue che tanto più diventiamo capaci di reggere tensioni, tanto più diventiamo "forti", tanto più a lungo reggiamo stati di felicità o quasi felicità. Inoltre, tanto più ne abbiamo coscienza tanto più sappiamo restare giusto sotto soglia, impedendo alla tensione di salire quel pelo oltre che provoca l'automatico scarico (che a volte è pure godimento, ma porta ad un successivo down). Insomma la felicità è simile alla meditazione. Questo essere in armonia con l'ambiente, come molti di voi hanno detto, ha a che fare con lo stare nell' "attimo", cioè con la capacità di vivere quello che c'è e non quello che forse sarà o che forse è stato o che forse potrebbe essere... insomma nello stare dove si è. Insomma il continuo lavorio della mente, che per altro è effetto di continue compensazioni di roba sotto, emozioni, pulsioni eccetera, quel lavorio dicevo è controproducente allo stato di felicità. Che non è certamente indifferenza... quella è data dalla separazione dall'ambiente, cioè l'opposto, ma anzi partecipazione a tutto, senza però perdersi in alcunchè. Il guaio è che continuiamo a catalogare le cose che viviamo come bene e male a seconda se ci portano piacere o meno. Quindi un'emozione negativa non può essere connessa alla felicità perchè non ci piace, e ci viene da pensare che, per inseguire la felicità, dobbiamo fuggire da quell'emozione. Invece è il non rifiutare nulla che ci incammina sulla strada della felicità (ho detto incammina, non ci proietta immediatamente)... cercando di trarre da tutto qualcosa di buono per noi. Quando questo diverrà atteggiamento automatico avremo costantemente molto bene, perchè lo trarremo da molte cose e di conseguenza il nostro modo di valutarle cambierà. E saremo un passetto più vicini... Poi, quando finalmente smetteremo di cercarla.... gatto vecchio docet 8-) |
Sia per quello che dice il Folle sia per quello che dice Ray, si ritorna a dei vecchi modi di dire..
Per confermare che tutto è già stato detto e fatto e il cerchio continua a girare su se stesso... Ciò che non ci uccide ci rende più forti.. Vivi l'attimo.. se al problema c'è soluzione, perché preoccuparsi? Se al problema non c'è soluzione, perché preoccuparsi? a rigurado di quando il Folle dice "Godersi l'istante, coglierlo, assaporarlo, toccarlo ma senza alcuna aspettativa (né positiva, né negativa), se possiamo Fare ci adopereremo in tal senso, al contrario se non possiamo Fare allora dobbiamo adoperarci in tal senso senza perdere la Fede, riuscire a capire quando Fare o non fare è il risultato di questo dualismo." Ma allora come mai questo non si è imtegrato in noi stessi con il tempo? Edit: noi stessi inteso come essere umano, collettivita - fine edit |
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Per adesso concepisco il fatto di assaporare più possibile la felicità derivante da eventi esterni se e quando capita, non lasciarsene sfuggire neanche una goccia, concepisco il "tenere botta" quando le cose vanno male, ed in tal senso credo di aver raggiunto livelli di resistenza quasi olimpionici, se paragonati a quelli medi delle persone che vedo. Oltre a questo posso provare a trarre insegnamenti dalle varie esperienze, accanto allo stato di piacere /non piacere, aspetto che resta comunque quello predominante Per quanto riguarda la felicità. ad esempio, il fatto di saperla/poterla reggere te la da l'esperienza ripetuta e periodica, come un allenmento, se ti alleni spesso aumenti la resistenza, se vai a correre una volta all'anno no, quindi determinate situazioni ti permettono di gustare e di aumentare la "familiarità" alla felicità, altre meno, poi per carità, come si dice a Roma "a chi tocca non se ngrugna". |
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Credo che il discorso su questo binario rischi di andare OT, o perlomeno certamente porta in direzioni sicuramente interessanti ma forse esplorabili in uno spazio specifico. |
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L'esempio della partita era legato ad uno stato d'animo di felicità e infelicità, mi sembra ovvio che non si può cambiare il risultato della partita (a meno che non sei Moggi diavolo.g:), però posso cambiare io e non permettere ad un evento esterno che accade di modicare il mio stato interno. Direi che il pensiero molto spesso ci porta ad allungare questi stati di felicità/infelicità, anche se questi ormai appartengono al passato, questo prolungare tali stati ci porta a vivere meglio o peggio. Io personalmente sono della pagnotta, ma ho diversi amici ultras e se la Roma perde una partita sicuramente il Lunedì sarannno "abbacchiati" mentre se vince il Lunedì saranno belli sorridenti, per il derby vale lo stesso discorso solo che a non pensare più alla sconfitta/vittoria impiegano una settimana :D |
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