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Sole 05-05-2010 18.54.49

L'inizio del processo potrebbe essere l'elaborazione di ogni pensiero e sensazione che emerge dalla perdita o mancanza, senza lasciare che la paura o pigrizia o la dolce sensazione del dolore ci fermi nell'osservare.
Ogni pensiero potrebbe essere prezioso per trovare la parte di noi che non vuole morire insieme all'altro. Che sia un rapporto o che sia una un lutto in senso stretto.

Vado un pò a ruota libera... anche entrando nel personale non essendo cose che ho elaborato.

Io ad esempio salto ogni volta che leggo sullo schermo del cellulare "mamma" e rispondo sempre come se aspettassi la notizia più terribile .. eppure non c'è niente che emerge, sono anni che mi preparo alla morte.. è come se fossi da sempre in attesa di questa notizia e so che appena morirà uno l'altra gli andrà dietro perchè nel loro caso davvero è questione di sopravvivenza e di scopo.

Mi ricordo ormai tanti anni fa che quando morì una persona a me vicina il figlio per una settimana prima della morte annunciata, in solitudine viveva il momento della perdita della madre nella fantasia. Questo lo aiutò al momento reale. Ma poi tracolò. Forse perchè aveva vissuto solo il momento della morte ma non lo stato emotivo della mancanza.

Sicuramente la sandbox molto spesso mi illude. Ho vissuto diverse volte la morte dei mie genitori ma se c'è l'attesa, l'ansia del momento allora non ho trasferito... oppure non ho trovato cosa deve morire in me, di me insieme a loro.

Quindi il primo passo penso sia proprio elaborare i pensieri che emergono insieme alla perdita e cosa evocano e creano in noi.

griselda 05-05-2010 19.26.00

Citazione:

Originalmente inviato da Sole (Messaggio 85271)

e so che appena morirà uno l'altra gli andrà dietro perchè nel loro caso davvero è questione di sopravvivenza e di scopo.

Mi spiacerebbe andare OT in caso chiedo scusa e se si può spostare ma mi interessa molto chiarire questa cosa non a scopo polemico, ma di comprensione, perchè presa superficialmente parrebbe una affermazione di superiorità invece penso che dietro ci siano delle motivazioni che se ti fa piacere mi interesserebbe molto conoscere.

Mia mamma ad esempio quando è morto mio padre è andata caduta in uno stato di apatia e di struggimento era avvolta dalla paura etc ed è scappata via...
Quando il suo rapporto con il secondo "marito" ha iniziato a disfarsi le è venuto un'infarto e per il dispiacere di non riuscire a rimettere in ordine è morta.

Se ti va ascolto volentieri :)

luke 05-05-2010 19.46.18

Citazione:

Originalmente inviato da Sole (Messaggio 85271)
L'inizio del processo potrebbe essere l'elaborazione di ogni pensiero e sensazione che emerge dalla perdita o mancanza, senza lasciare che la paura o pigrizia o la dolce sensazione del dolore ci fermi nell'osservare.
Ogni pensiero potrebbe essere prezioso per trovare la parte di noi che non vuole morire insieme all'altro. Che sia un rapporto o che sia una un lutto in senso stretto.

Vado un pò a ruota libera... anche entrando nel personale non essendo cose che ho elaborato.

Io ad esempio salto ogni volta che leggo sullo schermo del cellulare "mamma" e rispondo sempre come se aspettassi la notizia più terribile .. eppure non c'è niente che emerge, sono anni che mi preparo alla morte.. è come se fossi da sempre in attesa di questa notizia e so che appena morirà uno l'altra gli andrà dietro perchè nel loro caso davvero è questione di sopravvivenza e di scopo.

Mi ricordo ormai tanti anni fa che quando morì una persona a me vicina il figlio per una settimana prima della morte annunciata, in solitudine viveva il momento della perdita della madre nella fantasia. Questo lo aiutò al momento reale. Ma poi tracolò. Forse perchè aveva vissuto solo il momento della morte ma non lo stato emotivo della mancanza.

Sicuramente la sandbox molto spesso mi illude. Ho vissuto diverse volte la morte dei mie genitori ma se c'è l'attesa, l'ansia del momento allora non ho trasferito... oppure non ho trovato cosa deve morire in me, di me insieme a loro.

Quindi il primo passo penso sia proprio elaborare i pensieri che emergono insieme alla perdita e cosa evocano e creano in noi.


Mi interessa questo discorso, perchè come ho detto prima non avendo avuto lutti importanti, ne dovrò affrontare diversi in futuro (sempre se non "parto" prima io diavolo.g:), e questo potrà avvenire sia all'improvviso che gradatamente.

Prepararsi prima credo sia difficile, specie se mancano momenti simili nel proprio bagaglio di esperienze; anche io ho provato ad immaginare la morte dei miei genitori, ma alla fine credo sia qualcosa di non raffigurabile, troppe cose andrebbero considerate e come sta giustamente emergendo ci sono anche riflessi su parti di noi che magari conosciamo ancora poco e che vengono a galla proprio nel momento del lutto, quando forse cristallizzazioni, maschere e quant'altro abbiamo costruito perdono per un momento di importanza e dovremmo approfittarne prima che ritorni tutto come prima o quasi.

E', a mio avviso, utile anche quanto accennava Ray sull'aumentare la capacità di reggere la tensione, perchè se questa capacità è bassa rimane molto di "non digerito", e non com-preso(non senso vero del termine) non solo in caso di lutti ma parlo in generale, ed i margini di manovra che abbiamo per intervenire, per trovare una soluzione, anche in termini "alchemici", efficace sono ridotti.

Sole 05-05-2010 21.30.46

Citazione:

Originalmente inviato da griselda (Messaggio 85273)
Mi spiacerebbe andare OT

Si, si va fuori del tema, ma per evitare ogni altra incomprensione ho usato i termini per quello che sono, è solo quello che ho detto: l'uno dipende dall'altra e viceversa per motivi diversi, l'assenza dell'uno potrebbe determinare il desiderio di morte fisica dell'altra e viceversa.

Sole 05-05-2010 21.51.05

Citazione:

Originalmente inviato da Sole (Messaggio 85271)
dei mie genitori

Hemm .... Freud sempre in mezzo...

Citazione:

Originalmente inviato da luke (Messaggio 85274)

Prepararsi prima credo sia difficile, specie se mancano momenti simili nel proprio bagaglio di esperienze; anche io ho provato ad immaginare la morte dei miei genitori, ma alla fine credo sia qualcosa di non raffigurabile, troppe cose andrebbero considerate e come sta giustamente emergendo ci sono anche riflessi su parti di noi che magari conosciamo ancora poco e che vengono a galla proprio nel momento del lutto, quando forse cristallizzazioni, maschere e quant'altro abbiamo costruito perdono per un momento di importanza e dovremmo approfittarne prima che ritorni tutto come prima o quasi.

Si, è vero che è difficile, però penso che piano, piano mettendosi nella situazione, recitando il ruolo, possa emergere qualcosa e non fuggirla, potrebbe contribuire ad aumentare la tensione, l'esperienza o quantomeno far emergere cose che non ci aspettavamo.

Però vorrei aggiungere una cosa, non è vero secondo me che se non si è vissuta una cosa non sia possibile comprenderla, conviderla con l'altro. Se pensiamo questo allora non ascoltiamo mai veramente nessuno, non partecipiamo mai al dolore di nessuno non ci poniamo mai domande ecc ecc.

griselda 05-05-2010 22.14.54

Ot
 
Citazione:

Originalmente inviato da Sole (Messaggio 85276)
Si, si va fuori del tema, ma per evitare ogni altra incomprensione ho usato i termini per quello che sono, è solo quello che ho detto: l'uno dipende dall'altra e viceversa per motivi diversi, l'assenza dell'uno potrebbe determinare il desiderio di morte fisica dell'altra e viceversa.

Citazione:

Originalmente inviato da Sole (Messaggio 85277)



Però vorrei aggiungere una cosa, non è vero secondo me che se non si è vissuta una cosa non sia possibile comprenderla, conviderla con l'altro. Se pensiamo questo allora non ascoltiamo mai veramente nessuno, non partecipiamo mai al dolore di nessuno non ci poniamo mai domande ecc ecc.

Huston abbiamo sempre problemi di comunicazione qui, sarà colpa mia sicuramente.:)
Però ammetti che ci si possa lasciar morire quindi che esista anche la sopravvienza ma solo se lo definisci tu. Almeno questo è quello che a me appare.

Poi l'ultima frase mi trova pienamente concorde se ci apriamo e la facciamo entrare la comprendiamo, ma per farlo dobbiamo non partire convinti già di sapere non avendo vissuto quello che è. Non possiamo dire che non esiste a priori una cosa altrimenti non la comprendiamo anche volendolo.
Mi spiace che non ci "prendiamo" mai e lo dico sinceramente.:)
Ho seguito il mio OT e il tuo scusate.

Sole 05-05-2010 22.47.56

Citazione:

Originalmente inviato da griselda (Messaggio 85278)
Huston abbiamo sempre problemi di comunicazione qui, sarà colpa mia sicuramente.:)
Però ammetti che ci si possa lasciar morire quindi che esista anche la sopravvienza ma solo se lo definisci tu. Almeno questo è quello che a me appare.

Grii, il discorso non è nato su questioni economiche..

Non ho negato da nessuna parte che qualcuno possa sentire e avere la percezione di non sopravvivere. Ho detto tutto altro.

Non sopravvivere significa morire e io parlavo della morte di mia madre che segue mio madre, quindi non vive fisicamente oltre.

Non sopravvivere vuol dire anche far morire quelle parti di noi insieme al distacco, qualunque esso sia, ma se ci si attacca alla sopravvivenza non si morirà mai.

Ritorno a dire che il discorso non verte su questioni economiche ma su lutti interiori e sensazioni, si può anche superare il lutto della fine di un amore pur restando con la stessa persona, perchè no. Se tu dici di non poter sopravvivere, tenendo conto dell'argomento e del suo scopo, la risposta non può che essere quella che è arrivata sin dall'inizio. Si sta parlando di processi emozionali non sociali. Per quelli sociali è charo che bisogna aprire discorsi a parte.
Io almeno ho sempre parlato di quelli.

:C:

Dai torniamo in topic... cerchiamo di trovare la formula del processo... fai il funerale a sta questione... fiori.gif

griselda 05-05-2010 23.05.19

Citazione:

Originalmente inviato da Sole (Messaggio 85279)
Si sta parlando di processi emozionali non sociali.

:C:

Dai torniamo in topic... cerchiamo di trovare la formula del processo... fai il funerale a sta questione... fiori.gif

Scusa Sole io ti consiglio di rileggere i miei post, perchè non capisco a quali processi sociali ti riferisci di certo non li ho menzionati io, anzi sottolineavo proprio a Red che io non mi riferivo a quelli.

stella 06-05-2010 08.54.36

Vorrei tornare sulla questione sopravvivenza, impostata da Gri. Io la vedo esattamente come lei, e non si tratta di sopravvivenza nel sociale, che per quella comunque in un modo o nell'altro ci si riesce finchè si è vivi, ma di una sopravvivenza a livello psicologico.... Mi spiego: se si è vissuti per anni con una persona e ci si appoggiava su questa persona facendosi condurre psicologicamente da lei, per esempio sulle decisioni da prendere, o su altre aspettative soddisfatte da questa persona, non necessariamente materiali, quando questo sostegno viene a mancare, per morte di questa, oppure per abbandono, è come se fosse morta una parte su cui ci si appoggiava, come se ci fosse stata tagliata una gamba o un braccio, e finchè non si impara a camminare da soli, a diventare autonomi, quella vita che intercorre tra la dipartita della persona e il ritrovamento di un certo equilibrio, la chiamo sopravvivenza, ossia resistenza acuendo i sensi e la capacità per i bisogni immediati psicologici, come appunto si fa nei corsi di sopravvivenza.... l'alternativa in questo caso non è morire anche noi fisicamente, ma morire dentro, diventare apatici e depressi, col rischio di entrare in un circolo chiuso che porterebbe a quella mancanza di reazione e di affermazione di sè stessi che ci fa sentire vivi.
Questo avviene dopo la rabbia iniziale che è dettata dall'impotenza di trattenere quella persona, rabbia spesso rivolta più che a lei verso se stessi, con i relativi sensi di colpa come se la sua dipartita fosse colpa nostra, a volte è anche sbagliato perchè certi equilibri sono malati specie se uno è vittima e l'altro carneficie, ma tant'è ci si abitua a tutto e anche di questo si soffre la perdita, ancora di più perchè già all'inizio quella persona colmava una certa nostra lacuna....

Sole 06-05-2010 09.31.34

Infatti Stella, per quandto mi riguarda e parlo solo per me, non ho mai negato che una simile sensazione possa esistere o possa far soffrire, ma come hai sottolienato anche tu (scusa, ti uso come doppio specchio:H ) si tratta di concedere all'altro la responsabilità della nostra vita, dipendendo quindi dall'altro. Così come dicevo ormai post fa e come anche tu sottolinei (di nuovo scusa) genera rabbia all'istante nel momento in cui l'altro ci abbandona perchè la sensazione sarà più o meno questa: "no, non puoi abbandonarmi perchè io dipendo da te, sei orribile a mancare".

Quello che suggerivo più su era un lavoro di ricerca sulle cause e non una negazione o un passaggio oltre la sofferenza, ma piuttosto come risolverla. Lavorando e uccidendo la dipendenza si vive e non più sopravvive.

Purtroppo alla fine non si è più capito nulla.... ci tengo a precisare che non sto dicendo che sia facile, sto solo dicendo che stiamo parlando e cercando un processo per risolvere un lutto, proviamo a cercare le cause e gli effetti, tutto qua.

griselda 06-05-2010 10.13.00

Citazione:

Originalmente inviato da stella (Messaggio 85286)
Vorrei tornare sulla questione sopravvivenza, impostata da Gri. Io la vedo esattamente come lei, e non si tratta di sopravvivenza nel sociale, che per quella comunque in un modo o nell'altro ci si riesce finchè si è vivi, ma di una sopravvivenza a livello psicologico.... Mi spiego: se si è vissuti per anni con una persona e ci si appoggiava su questa persona facendosi condurre psicologicamente da lei, per esempio sulle decisioni da prendere, o su altre aspettative soddisfatte da questa persona, non necessariamente materiali, quando questo sostegno viene a mancare, per morte di questa, oppure per abbandono, è come se fosse morta una parte su cui ci si appoggiava, come se ci fosse stata tagliata una gamba o un braccio, e finchè non si impara a camminare da soli, a diventare autonomi, quella vita che intercorre tra la dipartita della persona e il ritrovamento di un certo equilibrio, la chiamo sopravvivenza, ossia resistenza acuendo i sensi e la capacità per i bisogni immediati psicologici, come appunto si fa nei corsi di sopravvivenza.... l'alternativa in questo caso non è morire anche noi fisicamente, ma morire dentro, diventare apatici e depressi, col rischio di entrare in un circolo chiuso che porterebbe a quella mancanza di reazione e di affermazione di sè stessi che ci fa sentire vivi.
Questo avviene dopo la rabbia iniziale che è dettata dall'impotenza di trattenere quella persona, rabbia spesso rivolta più che a lei verso se stessi, con i relativi sensi di colpa come se la sua dipartita fosse colpa nostra, a volte è anche sbagliato perchè certi equilibri sono malati specie se uno è vittima e l'altro carneficie, ma tant'è ci si abitua a tutto e anche di questo si soffre la perdita, ancora di più perchè già all'inizio quella persona colmava una certa nostra lacuna....

Già è proprio così, scusa.gif ti prendo come mia traduttrice personale :) probabilmente abbiamo vissuto qualcosa di analogo. fiori.gif

La perdita ti lascia dei vuoti, e se non li conosci non conosci il come e il perchè questo avviene dai all'altro la colpa di ciò che provi di ciò che ti accade, ti pare di morire ed è reale quello che provi. E' come se ti sentissi precipitare nel vuoto.

Poi scopri magari come è successo a me che l'altro era quello che si prendeva la responsabilità, anche della mia vita, che io non mi ero mai voluta prendere, per paura/terrore di sbagliare, e per questo avevo preferito delegare a lui, il che vuol dire non affrontare la vita e che quindi vivevo di riflesso. E quando questo accade all'improvviso è come doversi alzare in piedi essendo rimasti a letto per anni e anni i muscoli non ti reggono da qui la sensazione di non riuscire a sopravvivere senza l'altro cosa, meccanismo che se non si conosce porta anche a esiti letali che piaccia o no.
Per me scoprire questo ora è stato un po' una doccia fredda, scoprire che dobbiamo essere indipendenti prima possibile per non sentirsi senza i muscoli allenati e quindi incapace di stare in piedi da se. La rabbia come dici tu Stella è stata contro di me anche se poi la sparpagliavo in giro, ma in primis era per me e per aver permesso tutto questo.
Il detto che quando perdiamo una cosa ne comprendiamo il valore mi sa che è applicabile anche a questo.
Grazie

Ray 06-05-2010 15.05.09

Citazione:

Originalmente inviato da griselda (Messaggio 85292)
ti pare di morire ed è reale quello che provi.

...


la sensazione di non riuscire a sopravvivere senza l'altro

Ecco, questa cosa della sopravvivenza sta prendendo una proporzione più reale. Come avete visto, e alla fin fine tutti avete detto anche se con prole diverse, si tratta di sensazioni, di emozioni, che sono connesse alla dipendenza presente nel rapporto che si interrompe.
E' evidente che, nell'elaborazione del lutto, questa dipendenza, quale fattore presente nella relazione, va anch'essa elaborata. E' altrettanto chiaro che potrebbe darsi di rendersi conto di questa dipendenza solo quando ci ritroviamo senza la persona.
Ma di sopravvivenza vera e propria si tratta solo quando senza l'altro si muore.
L'esempio di Sole, comune a molti anziani purtroppo, per il quale al mancare di uno dei due l'altro tende a lasciarsi morire dopo poco è assimmilabile... nel senso che c'è dipendenza, ci potrebbe essere anche dell'altro (mancanza di altri scopi ecc.) ma chi resta potrebbe anche continuare. Se si lascia andare in qualche modo ci mette del suo, non è per forza così.
Diverso, ovviamente, il caso del neonato che resta solo al mondo... in un'ipotetica assenza di società che se ne occupa non sopravviverebbe.

Questo perchè al dipendenza è una condizione dalla quale partiamo, dipendenza fisica proprio, e dalla quale dovremmo sottrarci crescendo. Purtroppo non sempre ci riusciamo del tutto.

Vediamo l'ordine naturale delle cose... che è perdere ad esempio i genitori quando siamo adulti, e quindi non diventando, per questa perdita, "orfani" (nessuno aveva colto lo spunto su questa parola... vabbeh). Dovrebbe essere una perdita che, pur facendoci male, è non troppo difficilmente elaborabile, dato che non abbiamo più bisogno di loro.
Vediamo la cosa del compagno/a... già la parola la dice lunga, compagno. Qualcuno che condivide con noi determinate cose, ad esempio la vita familiare, l'abitazione, sentimenti, scopi come crescere i figli eccetera. Ma compagno significa che due adulti, ossia persone indipendenti o potenzialmente tali, decidono di stare assieme. Chiaro che si condividono anche i bisogni, e chiaro anche che in due è meglio che da soli, è più facile, più piacevole, più interessante. Ma restando soli, pur diminuendo giocoforza il livello generale, si dovrebbe essere in grado di cavarsela. Perlomeno per quanto riguarda quelle cose che si dovrebbero fare da soli, come la sopravvivenza personale, prendere decsioni eccetera.

C'è un ma, ed è un ma grosso, e lo so che adesso butto una bomba. La questione figli. I figli si fanno in due e si tirano su in due. Non è possibile, stando alla natura, fare figli da soli, e, anche se è possibile tirarli su da soli, la natura in qualche modo non prevede questo e la società si è conformata in modo da scimmiottare più o meno consapevolemente la natura.
L'ordine naturale delle cose infatti vorrebbe che si perda il compagno, se deve accadere, quando i figli sono adulti e non hanno più bisogno dei genitori. (sto parlando di morti, non di separazioni, che lasciano a disposizione dei figli entrambi i genitori e che comunque sono decisioni prese dagli interessati, in linea di massima). E' chiaro che la condizione di vedovo/a con fligli da allevare è molto difficile e, forse, la naturale tendenza, è quella di rimpiazzare inn qualche modo il partner perduto.

Tuttavia, la condizione reale, facile o difficile che sia, in cui ci si viene a trovare dopo la perdita è parte integrante dell'elaborazione del lutto. Andrebbe esaminata in ogni suo dettaglio e affrontata di conseguenza... e per farlo occorre accettarla come nuova ma attuale condizione in cui ci si trova, come nuova realtà.

Anche la relazione va analizzata, compresa, e dato che è finita si può cercare di trarne un senso... poi va smontata. Qualche tempo fa, parlando d'altro (forse neanche tanto diverso) con Filo, ho paragonato le relazioni a ponti che collegano isole, dove le isole sono i singoli umani. Dicevo che quando uno muore è come se l'altra isola, quella che c'è dall'altra parte del ponte, fosse affondata. E' necessario quindi smantellare quel ponte, perchè ora pesa su una sola isola e può farle dei bei danni.
Chiaro che il nuovo equilibrio comprenderà la mancanza di tutto quello che dall'altra isola, tramite quel ponte, arrivava. Dai generi alimentari, ad altri tipi di nutrimenti meno materiali. Ed è anche necessario trovare dove mettere quel che noi, attraverso il ponte, mandavamo di là.

diamantea 06-05-2010 16.52.58

Quello che noto più spesso nell'elaborazione di un lutto sia dentro di me ma anche negli altri è il senso di colpa. Sia per ciò che andava fatto e non si è fatto , oppure nel fatto di essere sopravvissuto all'altro, in seguito ad incidente ad esempio.
Ciò che mi ha colpito molto è il senso di colpa di una madre che ha perso un figlio 15 anni fa. Ha sofferto molto ma mi diceva ora dopo tutti questi anni sente svanire la sofferenza e il ricordo visivo del figlio e per questo si sente molto in colpa. Cerca disperatamente di trattenere quel dolore, quella sofferenza malgrado dentro non c'è più e il senso di colpa la sta divorando, e insieme a lei anche il resto della famiglia che si vede colpevolizzato anche di un sorriso.
Ma cos'è questo senso di colpa, solo attaccamento?
Non riesco a capirlo, a compenetrarmi perchè grazie a Dio non ho avuto questa esperienza, ma è una donna inavvicinabile e inconsolabile, non riesce a darsi il permesso di vivere senza suo figlio.

Edera 23-07-2010 10.25.26

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 85212)
Il succo dell'argomento è che una perdita, un lutto, posto che prima o poi capita a tutti, può essere un'occasione per fare un passetto avanti... o uno indietro, dato che fermi non possiamo stare.

.

Stamattina ho ricevuto una notizie triste da un'amica della mi età.
Si è spostata da poco e da un po' di mesi cercavano un bimbo. E'riuscita a rimanere incinta ma oggi mi ha scritto che è in ospedale e che il cuore del bimbo non batte più (è al secondo mese) e quindi sta aspettando per fare il raschiamento dell'utero.
In questi casi è un lutto, un lutto per un figlio sognato, che ancora non esiste ma è appena abbozzato, un gamberetto. Mi chiedo che senso ha la sua morte per la madre? E (la domanda forse è troppo complicata) per il feto che muore, dove sta l'insegnamento, sempre se c'è ne uno.. E sempre se dentro quel feto ci sia già una qualche presenza spirituale..

dafne 04-10-2010 23.36.47

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 85298)


Chiaro che il nuovo equilibrio comprenderà la mancanza di tutto quello che dall'altra isola, tramite quel ponte, arrivava. Dai generi alimentari, ad altri tipi di nutrimenti meno materiali. Ed è anche necessario trovare dove mettere quel che noi, attraverso il ponte, mandavamo di là.

Mi chiedevo una cosa rileggendo tutto il 3D.
Per diventare indipendenti i figli attraversano un lutto? Il lutto di aver perso i genitori, anche se non fisicamente?


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