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quando si entra nell'inferno si tratta di osservare per capire quindi vivere il momento andando comunque avanti "mollando la presa" rispetto alla mente che vorrebbe farci desistere (fase al nero no?) non so a me viene questo |
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La speranza appartiene a quella parte di noi che non conosce o non accetta la realtà nel momento, non rassegnandosi alla fatalità anela ad un futuro in cui accade qualcosa che modifichi quella realtà o la realizzi assecondando il proprio desiderio. E' una proiezione nel futuro come condizione di non accettazione di una realtà che non è conforme al nostro ideale. Il viaggio iniziatico ci riporta sempre nel presente, al punto di partenza/conclusione, quindi la speranza di modificare il presente nel futuro è vana. |
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Servirà la Fede e non la speranza in essa.. |
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In effetti penso che durante il nero, la solutio, dovrebbe essere necessario concentrarsi solo su quello, evitando voli pindarici su quello che potrà essere dopo: una volta purificati o una volta ricevuta qualche tipologia di Grazia, allora potrà avere forse più senso la speranza. Solo che: a) la voglia o il bisogno di pensare al dopo, la paura ed il dubbio che dopo non accadrà niente, c'è comunque, ancora non risco a toglierla. b) sto cercando di comprendere la differenza, tra Fede e Speranza (la Carità la lascio in sospeso per adesso icon_mrgr:) |
la Fede è solo nel "momento presente" in un certo senso.
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"La fede è convincimento delle cose che si sperano e di quelle che furono in atto, rivelazione di quelle che non si vedono."
La Fede è la certezza del futuro nel presente, la speranza è l'incertezza del futuro nel presente. |
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Scherzi a parte... sarà che è un periodo di defaillance per me, ma più che mai mi rendo conto che per due passi avanti, poi ne faccio 4 indietro.. non è una gran bella sensazione in effetti. Citazione:
:C: |
Ho riflettuto anche io sull'interpretazione di Ray sulla frase della speranza.
Pensavo che la speranza ch esi ha prima di entrare all'inferno, è una speranza forse artificiosa, o appena abbozzata, ( forse perchè siamo artificiosi ed abbozzati noi per primi) consistente nella ricerca di appigli per soddisfare pulsioni ed istanze ancora da purificare. Una volta fuori dall'inferno, ritroveremo lì la speranza ad aspettarci però stavolta sarà una speranza diversa, forte, vera, così come saremo diversi noi, anche se l'impegno ed il percorso comunque continuano. |
Spes ultima Dea, dicevano i latini...
Volevo fare una considerazione sulla discesa di Dante all'Inferno. Come si saprà, ed eventualmente parliamo più diffusamente altrove, l'Inferno è descritto da Dante come un buco conico che scende fino al centro della Terra. Lucifero si trova proprio al centro e da lì si risale dall'altra parte, nell'emisfero opposto, fino alla superficie. Al di là dei valori simbolici di questa struttura, sui quali si può disquisire pressochè illimitatamente, e che hanno con ogni probabilità un valore centrale alla scelta di Dante di descrivere così il suo viaggio, mi limito ad una piccola considerazione di ordine fisico. Se facessimo davvero, col corpo, il viaggio di Dante, man mano che scenderemmo nell'inferno, il nostro peso aumenterebbe. Sarebbe sempre più difficile avazare... camminando ovvio, a meno di cadere. Se infatti cadessimo la nostra velocità aumenterebbe costantemente, proprio come il nostro peso appunto. Tra l'altro, il peso (o meglio la forza con cui verremmo attratti verso il centro) aumenterebbe secondo una proporzione esponenziale, essendo la forza di gravità inversamente proprozionale al quadrato della distanza. Quando arrivassimo al centro, ovviamente ipotetico, un punto astratto, di lì non potremmo più muoverci. E infatti Dante, aiutato da Virgilio, ci fa una specie di giro attorno, immaginando il centro all'interno di Lucifero. Questo, fuor di metafora, spiegherebbe l'aumentare costante delle difficoltà a muoversi e del "peso dell'anima". Mi si potrebbe far notare che Dante non conosceva la gravitazione... io però non ci credo. Forse non la conosceva nei termini espressi dagli scienziati, ma conosceva a fondo le Leggi della Natura, molto più a fondo degli stessi scienziati moderni. La maggior parte perlomeno. |
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Piombo come pesantezza, inerzia, sensazione di non-essere che chiude come un coperchio e soffoca. Come se l'energia precipitasse, si concentrasse in un punto e bisognasse trovare un modo per andare a recuperarla. Questi momenti aumentano di intensità. Il mio terrore è che senza una guida (Dante ce l'aveva) il rischio sia quello di rimanere sigillati o che il contenuto celato scoppi in tale maniera da portare alla follia. Sui testi dicono che bisogna scendere e poi scendere ancora per andare a liberare il fuoco che è precipitato... Ma come? In che modo? Il desiderio di arrendersi diventa grande, la paura aumenta e l'unica via di fuga sembra: rimettersi a dormire. Ma anche questa ipotesi mi sembra illusoria. E' veramente possibile rimettersi a dormire? Dimenticarsi? Forse la speranza da lasciare è proprio questa. Non credo di riuscire a ripararmi sotto una romantica idea religiosa. |
Tiro su questo vecchio tread perchè in qualche modo era diventato un contenitore di una serie di mie riflessioni sparse, non necessariamente connesse tra di loro in modo sistematico. Quindi non mi preoccupo di saltare di palo in frasca. Se poi una singola riflessione dovesse diventare oggetto di approfondita discussione nulla vieta di aprire un tread specifico.
Ragionavo sui passaggi... Daf ha ritirato su, qualche giorno fa, il tread in cui parliamo del passaggio da in piedi a seduti e, ragionando, connettevo la cosa ad alter questioni. Mi chiedevo se sia possibile, nella Via, che alcuni passaggi avvengano senza che ce ne accorgiamo al momento, ossia senza che la coscienza ne sia testimone. In questo caso potrebbe darsi che ce ne accorgiamo solo in seguito, magari quando la coscienza si sviluppa adeguatamente da sostenere ciò che in realtà abbiamo già vissuto, anche se - e va sottolineato - ad altri livelli. Mi sono risposto che non solo è possibile, anzi è inevitabile. E non solo perchè viviamo e percepiamo in differita... ma se su questo mi sbaglio gradirei venire corretto o, perlomeno, sentire opinioni divergenti, possibilmente argomentate. Se, come credo, esistano dei passaggi che compiamo senza rendercene immediatamente conto, ne segue che detti passaggi sono in realtà (almeno) due passaggi e non uno. Ossia quando compio il passaggio e quando mi rendo conto di averlo compiuto. Mi chiedevo quale dei due conta in realtà... per me ray ovviamente conta il secondo, ma per Ray, probabilmente no. Verrebbe da dire che determinate possibilità acquisite al passaggio non diventano effettive che al secondo passaggio, quello della coscienza. Nel senso che se non so di avere un'automobile, non la posso guidare. Il fatto è che non è sempre così... anzi, a volte ci si rende conto di avere un'automobile proprio perchè ci si scopre a guidare. Ritengo quindi che esistano entrambi i tipi di possibilità: quelle che posso usare solo dopo aver preso coscienza del passaggio e quella che uso comunque e che, magari, mi aiutano a prendere coscienza del passaggio stesso. Mi rendo conto che questo discorso è a rischio imbambolamento, quindi chiarisco subito una questione, anche se non è il centro del discorso che mi interessa. Portando all'estremo quanto ho detto si potrebbe trarre la conclusione, come molti affermano, che siamo già tutti illuminati solo che non ne abbiamo coscienza. Di per se questa affermazione è difficilmente smontabile, a meno che non si pretenda, come appunto fanno molti, che per conseguenza di ciò non occorre fare nulla. Invece, dato il mio discorso dei due passaggi, lo sforzo per prendere coscienza di ciò che sarebbe anche se non so, si trasmuterebbe nel lavoro per produrlo. Quindi ci potrebbe anche stare. Tuttavia io personalmente non lo credo. Ritengo che sia invece una conquista di pochissimi. Credo però anche che, nella Via, tutti i passaggi presentino un lasco tra il loro verificarsi e la presa di coscienza del fatto che si sono verificati e forse, questo lasco è indirettamente proporzionale al percorso fatto (ossia maggiore più siamo indietro) ma di questo non sono per nulla sicuro. Potrebbe darsi che, a seconda dei passaggi, si presenti un fattore soggettivo che ampli, anche molto, o riduca il lasco. |
Una cosa del discorso non mi convince appieno.
Certamente vivamo passaggi di cui non abbiamo consapevolezza ma di cui ne prendiamo successivamente ma non è lo stesso passaggio. La prima volta è il passaggio, il secondo è la presa di coscienza o la consapevolizzazione del primo. Vedrei meglio dire che nel primo accade un cambiamento di stato nel secondo siamo in quel cambiamento pienamente. C'è un inizo e una pienezza dello stato. Le vedo due cose diverse. Ma ho pensato che forse potevi intendere quel lasso di tempo in cui viviamo nel passato. |
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Ho capito quello che dici ma io resto convinto che invece sia lo stesso passaggio. Solo che per noi (io) avviene in due fasi e, percependo solo la seconda parte, ci paiono diversi. Ma dal punto di vista diciamo spirituale è tutt'uno, forse il secondo non sarebbe neanche necessario. |
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Metti che metaforicamente sto seguendo una via per essere un atleta di pentathlon. Una tappa/passaggio potrebbe essere imparare a lanciare il giavellotto. Faccio degli sforzi etc... tutto il discorso visto. Quando sono un lanciatore di giavellotto, cioè ho fatto un passaggio nella via da me scelta passo al lancio del disco etc... Però non posso non lanciare più il giavellotto solo perchè ho imparato a farlo. Altrimenti diventerei un ex lanciatore di giavellotto. Si l'esperienza l'avrei sempre, ma se non continuo a lanciare giavellotti.... non dinventerò/sarò mai un atleta di pentathlon. Questo è un errore che molti fanno nella Via, si passa un punto e lo si archivia perdendolo per quanto lo si fosse afferrato saldamente. Non so se è abbastanza chiaro, quasi sicuramente non il continuo passaggio da non coscienza a non coscienza che nella Via potrebbe sembrare un controsenso se non lo si visualizza nell'eterno presente. |
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Da non coscienza a non coscienza... ci ragiono, anche se un po' mi par di intuire. Sono due diverse non coscienze, no? |
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Era da non coscienza a coscienza e viceversa. |
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Se qui dove siamo subiamo maggiormente le influenze della materia o del male o del demonio, chiamiamolo come meglio ci piace, allora avvicinandoci sempre di più al Nero è chiaro che ci si appesantisce come accennava Ray più su, e più si è vicini alla materia grezza, più leggi si subiscono e meno possibilità di movimento abbiamo. Tutto si potrebbe fermare, si potrebbe rimanere invischiati li, incapaci di uscirne, di muoversi, di respirare e tornare a galla ogni volta. Si sa cosa e come si deve fare, ma prorpio nonsi riesce a fare. Ci vuole un grande sforzo e una buona volontà. |
Torno qui per confrontarmi con voi su un pensiero.
Credo che sia normale per tutti che ad un certo punto del cammino si perda il senso di ciò che si sta facendo e di tutto ciò che ci circonda nella quotidianità. Stavo meditando su questo aspetto della ricerca cercando di trovare il perchè ciò accade e che cosa accade in quei momenti in cui niente ha un senso reale, niente è davvero importante se non trovare una via di uscita e la fine della strade, l'unica cosa che si vorrebbe fare è chiudersi in un eremo il che equivarrebbe a fuggire dalla Via o almeno da questa Via. Quel che ne ho cavato fin'ora è che l'impegno che si mette negli esercizi, nelle letture, nel proprio personale operare manca della soddisfazione del risultato. Questo fa si che si abbia l'impressione di girare intorno sempre alla stessa questione, di non fare mai un passo avanti ecc ecc. Così, ad esempio, si comincia a cercare altro che entusiasmi e ravvivi o che soddisfi in qualche modo il bisogno di vedere, di toccare un risultato. O nella peggiore delle ipotesi si iniizia a pensare che quell'esercizio non è adatto o altre scuse varie. La verità spesso è che non c'è umiltà nell'accogliere quel che si sta facendo. Per poter andare avanti oltre queste difficoltà che arrivano, io so che ci vuole un quid. Ma non so ancora decifrare cosa sia questo quid. In un certo senso questo quid potrebbe essere la "non aspettativa", il che è un assurdo. Come posso scegliere di percorrere una Via e non aspettarmi nulla? A ben pensarci la Via insegna ad avvicinarsi all'Amore e l'Amore è totale incondizionamento. Inoltre il non aspettarsi permette quella resa necessaria ad accogliere qualunque cosa. Quindi forse tanto assurdo non è e potrebbe essere uno dei punti per uscire dall'impasse di certi momenti difficili. Forse per qualcuno sono banalità e mi piacerebbe che mi raccontasse. |
Il probelma del vedere i risultati dipende dal fatto che finchè non hai un'attenzione abbastanza ampia da vedere contemporaneamente dove vai e che stai andando, o vedi dove stai andando o vedi che vai.
Cosa vuol dire questo? Vuol dire che per vedere i risultati di qualcosa, paradossalmente, devi interrompere quel qualcosa. Mentre vai sei proiettata nel futuro, e ti perdi il presente. Mentre stai vedi il presente ma non vai. Poi, quando l'attenzione inizia a diventare più ampia, se ci si lavora ovvio, pian piano vedi entrambe le cose (prima o poi, e non solo per questo motivo, una discussione sull'attenzione diffusa andrebbe fatta). La non aspettativa del risultato non è un assurdo, è l'unica posizione logica. Dato che qualunque risultato si stia cercando, finchè non ci si arriva, non lo si conosce. E' che abbiamo l'impressione che mollare le aspettative corrisponda a mollare le intenzioni... se non mi aspetto più il risultato mi sembra che non lo voglio più. Ma è, appunto, un'impressione. Per verificarlo "basta" concentrarsi sul volere e lo si percepisce separato dall'aspettativa, che semmai è attirata dal timore di non ottenere. Virgoletto basta perchè non è una cosa così semplice, anche se in realtà non è neanche così difficile, sono io che forse non so bene esprimere. |
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Sono daccordo sul fatto che inizialmente non bisogna attaccarsi al risultato, ma come in ogni attività umana, anche quella spirituale, necessita per forza di cose di progressi. L'atleta ha il soddisfacimento, di vedere il suo corpo che cambia, e le sue prestazioni fisiche sempre più efficaci. Lo studioso, patroneggerà la sua materia, diventando sempre più colto. L'artista sarà sempre più creativo. Un minimo di cambiamento c'è, sopratutto all'inizio, poi forse diventa sempre più difficile. Quando vedo dall'esterno (quindi non parlo di me) una persona che si avvicina ad un cammino spirituale, riesco ad accorgermi perchè cambia. Il suo non è un cambiamento dato dal fatto che deve fare cosi, o deve fare cola, cambia a livello che non si percepisce dall'esterno come prima. Noi come ce ne accorgiamo? Beh per citare un esempio il forum potrebbe tornare utile, basta rileggersi per esempio i discorsi vecchi che facevi per renderti conto di quanto eri diversa (in meglio o in peggio). Per cui per prima cosa ritengo che un piccolo diario, a fine giornata possa aiutare a registrare quella parte di se. Non si vedono solo i progressi, ma anche i regressi: quante volte si è tornati indietro nella via, ci si è fermati, si è preso deviazioni. Ma nel campo spirituale, bisogna anche fare attenzione all'appagamento per i progressi, perchè da li il sentirsi superiori agli altri è molto facile. Ritengo che ci sono dei segnali interiori, delle sensazioni non a livello razionale/emotivo ma più profonde, che fanno da bussola. La differenza tra il volere ed aspettarsi, la spiegata molto bene Ray.:C: |
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Seguire una Via dovrebbe funzionare alla stessa maniera. Adoperarsi, metterci impegno, come in amore, dovrebbe essere senza secondi fini. Se sto attento, se mi osservo, dovrebbe essere perchè è la mia vita e così mi piace, non perchè in questo modo posso ottenere altro (il chè sarà una conseguenza anche, ma non deve interessarmi inizialmente.. che è quello che dicevate sull'assenza di aspettativa) I bambini fanno per fare, per amore incondizionato verso quella cosa. Noi grandi purtroppo, per quanto può essere sincera una data passione, lasciamo sempre uno spiraglio al tornaconto, al profitto, che come l'acqua in pressione fanno di un piccolo buco un cratere, rischiando di rovinare così anche quel poco di puro che ci resta... Dovremmo vedere la Via come la nostra/o compagna/o. Dovremmo amarla incondizionatamente, fare le cose con lei perchè così ci piace, leggere per puro interesse verso quel libro, lavorare su noi stessi perchè è un piacere non una seccatura. Se lo si sapesse fare veramente il risultato/soddisfazione è già incluso, non deve arrivare da "fuori". Gurdjieff parla di sforzi coscienti, è vero, e anche nel vero amore non mancano sforzi, fatica e responsabilità, ma probabilmente anche quello sforzarsi dovrebbe essere fine a se stesso, senza secondi fini. |
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In effetti è vero che stanto sempree proiettati sul futuro non appreziamo al meglio i risultati che man mano conseguiamo, perdendo in tal modo utili indicazioni e direzioni che essi potrebbero fornirci. Anche la cosa delle aspettative la riscontro in me: se finisco di aspettarmi grandi cose l'impressione che ne consegue è come di aver mollato, di non crederci più, separare aspetative ed intenzioni sarebbe sicuramente un esercizio utile da fare, soprattutto nei momenti nei quali risultati non ne arrivano, o meglio non arrivano i risultati che ci aspettavamo o che crediamo di volere o che ci fa comodo volere, avendoli già "scannerizzati" in partenza per vedere se e quali problemi,rischi, impegni e responsabilità portano con sè. Teoricamente dovremmo partire da ciò che facciamo, il risultato sarà poi la logica conseguenza, più o meno percepibile, mentre spesso si parte da un risultato che abbiamo stabilito noi a priori ed in base a questo giudichiamo ciò che stiamo facendo. E' logico che uno scopo , un obiettivo iniziale si deve avere altrimenti non ci muoveremmo neanche, (il fare per fare all'inizio mi pare difficile da ottenere), forse però dovrebbe servirci come spunto e spinta iniziale, per vincere l'inerzia, poi non dovremmo più basarci su questi obiettivi, che nel frattempo potrebbero aver assunto tutta un'altra connotazione, e restare il più possibile concentrati sul presente, con una disposizione d'animo più "accogliente" nel ricevere ed eleborare ciò che arriva. |
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