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webetina 29-12-2010 15.26.18

Il paradiso perduto
 
Lo avevo scritto per me, come un guardare dentro ad una telecamera puntata nel tempo, poi ho scelto di condividere perchè come mi ha scritto Grey c'è un interesse a che gli altri mi conoscano, ammetto che è vero e lo pubblico quì. Lo dedico a chi ha pazienza e tolleranza innanzitutto con se stesso.


:er::er::er::er:

La insostenibile sovrapposizione di interessi dentro di me, tra ciò che desidero e ciò che devo, potrei pensare abbia origine nel modo in cui ho giocato da piccola e nella adolescenza, in tempi in cui Mamy non si occupava di noi ma lo facevano le nonne; con una stavo di sera, con l’altra, in famiglia, di giorno. Avevo molto tempo, cortili e strade libere erano a disposizione, e i bimbi non mancavano, soprattutto le mie due sorelle, e anche un fratello più grande e spericolato che allevava di nascosto animali non proprio domestici come topi, lucertole, vermi. La nonna di casa mi lasciava fare, impiantavo con ogni mezzo ogni tipo di situazione: sartorie, teatri, botteghe, capanne, piscine, laboratori con la creta del vicino vetraio, festival di canzoni con premiazioni e un oggetto per microfono. C’era il turno delle culle per neobambole , ma potevo riuscire a farci stare anche un gattino, se c’era. I miei ruoli preferiti erano la mamma, la comare, la moglie abbandonata, Biancaneve, la ballerina, la fata, la principessa, l’insegnante, il dottore. Gli altri o le altre, specialmente le due più piccole, rivestivano ruoli minori, di figli, di operai, di sudditi, di principesse se ero la regina, di dame quando mi andava di fare la principessa; in palcoscenico però eravamo alla pari, tutte vestite come a ognuno faceva stare meglio io le sistemassi. Le calze fine della mamma fungevano da trecce, le sue camicie del corredo erano ottimi abiti da scena, poi giù tutto nelle cassepanche alla rinfusa. Non lasciavo nulla di inutilizzato se era colorato e incustodito. Spaziavo con la fantasia che rigorosamente traducevo in messa in opera. La nonna mi era alleata, mi procurava di tutto, non vi erano mai commenti negativi, ed era la migliore delle spettatrici. Il difficile era mettere a posto tutto ciò che mettevo in giro, solo a volte sentivo mia madre urlare contro di me, ma niente mi scoraggiava.
Le mie sorelle erano obbligate a giocare, per modo di dire, ero semplicemente convincente; grande passione la mia, senza limiti, ne di spazio ne di tempo, ma potevo giocare anche in un metro quadrato, trovavo Il modo anche solo con le parole o con gesti delle mani. Un imprinting forte che è poi diventato strumento di lavoro ma senza volere anche causa di disagio da adulta, soprattutto perché la spinta creativa e il movimento incessanti, che erano in me, persero spazio a mano a mano limitati dal poco tempo a disposizione che veniva sottratto anche dai doveri appiccicatimi all’età di dodici anni quando la mamma andò a lavorare in un’altra città e la nonna decise che io ero grande e poteva istruirmi. Mia madre tornò, ma un altro taglio drastico del tempo da dedicare alla mia passione preferita, il gioco, fu nel passaggio a casa nuova, senza più la nonna, senza guida, con incombenze ancora più grandi, in periferia da soli con mamy e papy… Volevo intitolare “dal paradiso all’inferno” , ma forse un sentimento poetico è pur vivo ancora in me.

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webetina 31-12-2010 20.54.35

Il paradiso è il paradiso, non desideri di più, nè vuoi essere in un altro posto, se lo hai conosciuto come l’ho conosciuto io te lo porti dentro ovunque vai, e cercherai sempre di riprodurlo. Ma cosa è mai questo luogo di cui tutti abbiamo sentito parlare fin dalla nascita? Dico che è il posto più adatto alla nostra natura, non bisogna procurarsi nulla, nè aspettare nessuno, c’è già tutto, si può usufruire di ciò che si ha intorno a piacimento.

Poco controllo nella mia vita di piccola era la ciliegina sulla torta. Perlomeno, la nonna vegliava su di noi, se c’era un pericolo ci proponeva una alternativa subito accettabile, la sua pazienza con noi era senza limite, infinita e di me nessuno mai disse che ero monella, anzi, passavo per una ragazzina tranquilla. In effetti il nostro non era baccano , ma impegnare e vivere il tempo, in concentrazione, e poi sicuramente prendevamo i segnali di si o oi no che ci venivano dati, ma senza motivo che a noi non apparisse giusto, non arrivava mai un no. Con mamy la cosa fu diversa, era tutto uno scoraggiare, e per principio; non sapeva educare e quindi vietava. Comunque non fummo costretti ad ucciderci, lei mancava otto ore al giorno, e anche papy, finchè non ci furono fidanzati tutto sommato in quelle ore eravamo libere di gestire il tempo; certo si studiava ormai, alle elementari avevo vissuto invece di rendita, ero troppo in gamba per non farcela solo con la presenza a scuola, ero molto attenta alla maestra, l’imprinding dell’apprendimento ci era stato assicurato, sempre solo da lei, quella grande anziana donna . Il suoi metodi di insegnamento erano spontanei, giocosi ,mi è venuto in mente che quando ero piccola facevo un sogno ricorrente, sognavo di essere nella casa della nonna ,mi sdraiavo sulla soglia di casa che era in pietra lavica , la sollevavo, ed era piena di pezzi da dieci lire. Un pozzo inesauribile di monete,tutte gratis,tutte per me .Rimanevo stupita per ore e ne tiravo fuori un pò. La nonna era per noi come una buona fata tutto l’anno, e spendeva tutta la pensione per i nostri piccoli capricci. Ma di notte quel pozzo pieno di soldi diventava un dono senza limiti. Ci raccontava spesso la favola di mastro Giuseppe, un calzolaio povero che sfidò gli spiriti e divenne ricco. Un giorno lui passo davanti ad un palazzo ,la porta era aperta, ne usciva un buon odore di pranzo,chiese permesso ,nessuno rispondeva e allora avanzando si ritrovò dentro casa, e apparse ai suoi occhi una tavola imbandita piena di ogni ben di dio. Provò a chiamare ancora, ma niente… allora si mise a sedere e cominciò un pò incerto dai caldi maccheroni. Io e le mie sorelle adoravamo i maccheroni. Poi passò al pollo al forno, e ancora alle frittelle con lo zucchero, crocchette di patate; dolci al cioccolato e ciliegie. Dimèntico che non era a casa sua, si addormentò su una panca. La mattina dopo un rumore di piatti e stoviglie lo fanno risvegliare, di la era tutto ripulito ma non c’era traccia di servitù o altra persona. Così si trattenne un altro giorno e un’altra notte.
Questa volta la mattina si svegliò sopra il comò , capi così, che c’erano delle strane presenze: si trattava degli spiriti. Provò a fare la voce grossa e a buttarli fuori facendo finta di essere il padrone. Poi un giorno,dopo che si era convinto di avere ormai conquistato il palazzo, potè pensare alla sua famiglia. Tornò a casa,di notte, vegliò sua moglie,ormai disperata e con la pancia vuota, lei e i bambini. Lo rimproverarono ma poi erano troppo felici di vederlo. Lui porto molte cose buone e molti regali, disse che un tale gli aveva affidato la casa dovendo andare lontano. Li porto con se in quello strano posto. Appena sotto il balcone del palazzo, le misteriose signorine vi erano affacciate e sembrava che fossero li da sempre. Fermò il calesse e disse ai suoi di aspettarlo. Salì di corsa per le scale, fece un baccano terribile ,minacciò quelle figure di fare cose brutte se non sparivano e poi fece entrare i bimbi e la incredula moglie. Noi avevamo veramente paura mentre ascoltavamo il racconto, conoscendo già che nella notte gli spiriti sarebbero ritornati e avrebbero spostato i bambini sui mobili e dentro i cassetti. Mastro Giuseppe allora uscì tutta la sua voce e la sua forza attraverso altre minacce , li spinse col rumore di un bastone sino al dirupo lontano da casa e lì ,essi precipitarono in un altro posto da dove decisero di non risalire. E tutti vissero felici e contenti.
Questa storia ci rese incantati e impietriti infinite volte; sedute attorno ad un braciere in mezzo ai mobili della nonna, che creavano senso di sicurezza e di calore. Che nonna stupenda,non si stancava mai, e noi approfittavamo tanto, come è giusto che dei bambini possano fare per farsi un’dea generosa ed eterna della vita. Questo mia nonna, e come spesso solo i nonni possono,perché non hanno fretta, ce lo diede per tanto tempo, anche se poi strada facendo lo abbiamo perso; ma almeno abbiamo avuto esperienza di quel totale senso di appagamento e inesauribile disponibilità .

Segue...Auguri brindiamo:

webetina 02-01-2011 03.02.46

La favola era una delle tante, e considerando il contesto di minore benessere tra la gente quando ero bambina, vi erano messaggi importanti. Quel temerario padre che sfida le fate era solo un ciabattino che guadagnava troppo poco e nella premessa era sempre descritta la miseria, la mancanza di caldo e di cibo, fin anche di un cappottino per i bimbi, perché ci fosse il contrasto con i doni poi acquisiti. Quella moglie spettinata e con abiti laceri, che non puliva la casa perché non aveva nemmeno il sapone per pulire, ignorante e credulona ,passa a nuova vita perché sa perdonare mastro Giuseppe, che ritorna dopo averli abbandonati in quella disperazione e in quella fame. Ogni volta i particolari erano inediti. Lui che fa la sorpresa nel cuore della notte, con involti in mano pieni di cose buone da mangiare, un’altra volta c’èra anche un anello, o una sciarpa per i figli.
Man mano aggiungeva pure i tesori trovati nel palazzo: monete, gioielli, statue, un'altra volta aggiungeva abiti nuovi e giocattoli di ogni genere. Eravamo insaziabili, chiedevamo " nonna ancora" , e lei inventava e quando si stancava ci proponeva una merenda.
La nonna coltivava le amicizie, e una fitta corrispondenza manteneva vivo il rapporto con la figlia lontana, la zia di Milano, che immancabilmente a Natale faceva arrivare il pacco delle delizie, un pacco grande, pieno di tutta la cioccolata acquistata in Galleria alla Motta.
C’erano barrette di vari gusti, monete, figurine di cioccolato che appendevamo al presepe e man mano mangiavamo. Durava un mese intero la festività e anche le amichette del vicinato ne godevano, la nonna era generosa, ma non sprecava, ci faceva gustare le cose senza farcele troppo desiderare. Si cantava ai pastori, le luci dentro le casette mi facevano immaginare altrettanti focolari domestici, buoni e sicuri. Io ci vivevo in quel presepe, immaginavo la vita quando vi scorreva un tempo e pensavo a quanto avrei voluto esservi anche io, con quel ruscello, le pecore, la paparella con la testa che si muoveva, e mi piacevano le scene dei mestieri: il fabbro, il panettiere, la filatrice, la lavandaia e altri.

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webetina 02-01-2011 03.07.14

Non erano ricchezze, ma molto meglio. Era un fiume di piacere e di suspance; di risate quando erano scherzi, di stupore quando erano indovinelli, insegnamenti quando era il turno della storia della sua vita, aveva vissuto a Torino, a Milano, e poi la guerra.
Molti anni dopo, da studente, adulta e fidanzata , la guardavo piena di rughe e quasi del tutto sorda e non riuscivo ad immaginare la mia vita senza la sua presenza, adesso era lei nella nostra casa , e noi restituivamo l’amore che ci aveva dato . La nonna era stata magica, e anche lei molto fortunata ad averci in casa nell’età in cui avevamo bisogno di lei. E non mi lasciò per tanti anni nemmeno dopo la sua morte, mi appariva nei sogni, e ancora oggi, a volte ritorna; sogno la sua casa, come se fosse ancora lì intoccata, ed io controllo se per caso qualcuno l’ha visitata e ha rubato qualcosa o ha lasciato lettere per lei. Penso che se mai mia madre avesse a leggere tutto questo si stupirebbe, perché non ha mai saputo cosa trovavamo di così interessante nella suocera. Si detestavano quasi sempre. La loro convivenza iniziò che mia madre era poco più di una bambina, presa dal gioco e molto poco educata a fare la padrona di casa,infondo non lo era. Così per tanti anni, quando mia madre capì che l’altra sarebbe vissuta per sempre, io la dovevo rassicurare e le promettevo che era sicuro che sarebbe morta…. Mi sentivo a posto, che male c’era nel dirle infondo la verità , e poi lei ci aveva sempre fatto sapere che dovevamo rispettare e accudire la nonna,voleva dire allora che aveva riconosciuto il valore che pur la suocera meritava. Noi figli dovevamo rispettare la nonna, così lei almeno nuora, la poteva odiare meglio. Quando mia madre, matura, coi frutti del suo lavoro contribuiva a un maggior benessere per la famiglia, le cose andarono meglio tra di loro e a volte mia madre aveva gesti di vera gentilezza, e la nonna si compiaceva per le cose belle in più che ci potevamo permettere, ma molto alla fine…prima erano scene di veleno, e noi a soffrire e il paradiso già mezzo crollato a volte scompariva. Alla fine dicevo, erano cambiate un tantino, cambiati i bisogni e i bollori della giovinezza…

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webetina 04-01-2011 02.38.56

Dedicato alla nonna P, per tanti anni dal mio cuore dimenticata. abbraccio:

I confini del mio paradiso erano assai vasti, vi erano anche le zone d’ombra però. Ero nata in casa dell’altra nonna, madre di mia madre, che chiamerò nonna P, era vedova fin da ragazza e mi aveva voluto tenere con lei visto che si abitava nella stessa corte di case. Poi ci trasferimmo, di soli cento metri, potevo stare in una casa, o nell’altra con le mie sorelle. La musica era un’altra, anche altre compagne, case disabitate da vivere furtivamente, altre capanne, altri giochi. C’erano dei piccoli doveri però: lucidare le posate in rame, togliere la polvere ai mobili, e imparare a ricamare; cose che facevano molta ombra! La nonna lo faceva per mestiere il ricamo. A me costruiva i telai da mettere su due sedie, manco dovessi fare un lenzuolo…era per imparare. Il primo giorno ero entusiasta, poi man mano lo stare ferma e china con una manina sotto e una sopra che infilava l’ago sopra la tela per venire tirato giù dall’altra mano, cominciava ad annoiarmi, così scappavo fuori a chiamare gioco. Lei borbottava, dovevo farlo, ero piccola, sua madre aveva fatto lo stesso con lei.
Non potevo chiudere la porta se andavo in bagno, niente latte, ne i suoi derivati, le faceva disgusto sentirne l’odore. Si mangiava cose con troppo gusto o punitive, la pastina, il the, e alle undici la sera, alle tre il pomeriggio. La cioccolata solo fondente. A scuola andavo col vestito rigido e i pantaloni sotto, e per completare l’opera , i capelli sempre a maschietto perché crescessero forti. Sacrificio inutile ovviamente, mai avuto una capigliatura da vichinga. Mortificava molto la mia femminilità, ero la prima della classe, ma invidiavo le compagne con le gonnelline e le trecce, mi rifacevo poi con le calze della mamma in testa a mò di capelli lunghi.
Nelle due case vivevo due vite parallele, una coi doveri, il controllo non comprensibile e il cibo non adatto, l’altra con l’indugiare a oltranza nel divertimento, nel gioco a sazietà, nell’abbondanza e col cibo civettuolo allora nuovo. La nonna P mi amava anche, ero la sua preferita, quando la sera mi veniva a prendere se ero stata con le mia sorelle, non resistevo al richiamo del suo desiderarmi con lei. Ma ricordo che spesso mi riempivo il mento fin sotto il collo di herpes, il mio cuore voleva dire di si alla nonna sola, ma una parte di me desiderava stare in compagnia delle due più piccole. La sera si guardava la tv, lei lavorava e malgrado fosse avara, ma lo era anche con se stessa, l’aveva potuta comprare quando nessuno ancora poteva. La sera si riunivano da noi quando c’era il film, il lunedì e il martedì. Erano film d’amore con Cary Grant, Audrey Hepburn, Gregory Peck, Liz Taylor ect…Ero molto piccola, non erano proprio adatte a me quelle storie, mi turbavano, anche la tensione tra i presenti poi… per non parlare dei film sulla guerra, molto sentiti, era finita solo venti anni prima. Quei contenuti non mi lasciavano serena, ci pensavo sempre quando ero sola, di sera, prima di dormire.
Sia le situazioni sentimentali che le scene aberranti di morti e feriti di sicuro accelerarono in me potentemente una eccessiva sensibilità, erano stimoli troppo forti da elaborare. Gli adulti erano inconsapevoli… Forse ero già alle elementari, comunque l’altra nonna, nonna A, di contro mi comprò presto il primo libro di favole, e poi altri e altri ancora, fino ai romanzi da grandicella, la lettura fu la mia fonte ispiratrice non poco in quegli anni, e mescolavo il tutto. Ma credo che le favole siano state un rifugio ancora piu pericoloso, fuggivo da un mondo che avevo intravisto fosse anche brutale, e rifiutavo il mondo degli adulti. Troppo pesanti le loro manifestazioni emotive, certi gusti.
Quando la nonna P morì avevo venti anni, trovai i frutti del suo lavoro in buoni fruttiferi alla posta intestati a noi due, molto svalutati peccato, ma li utilizzai bene. Era la mia seconda madre, la seguii molto nella sua brutta malattia, lasciai gli studi e dopo li ripresi, lei mi amò molto sempre, come meglio sapeva, lavorando sempre, con parole sempre dolci per me, era semplice, qualcuno direbbe ignorante, ingenua, ma non ho raccontato cosa di lei mi affascinava, come mi faceva sentire il suo amore esclusivo, non con regali e giocattoli, ma a modo suo voleva darmi una educazione al lavoro, alla precisione. Mi manifestava il suo affetto baciandomi sempre, e il mio nome era sostituito dai vezzeggiativi, si confidava quando pioveva ed io restavo pomeriggi interi seduta vicino al suo ricamo , lavorava e mi raccontava della sua vita, degli odori della campagna che adorava perché a dorava il suo papà. La mamma che non la fece mai giocare. Quante volte mi raccontò che aveva quattro anni, e doveva andare a ricamo dalla “mastra” ogni mattina; un giorno giocava con una bimba con delle pietruzze colorate, ma la madre la fece smettere e le disse che era ora di andare, le diede la merenda, doveva rientrare a ora di pranzo. Lei aveva così tanta rabbia e delusione, che si mise dietro la casa, si sedette su un gradino e aspettò tutto il tempo li da sola senza far nulla.
L’unica bambola che ebbe da bambina le arrivò dall’America , in porcellana, le affiorava il ricordo di come per la gioia incontenibile la prese per i piedi e la sbattè contro un balcone di ferro fino farla in mille pezzi, e non ci pensò più. Mi prendevano i suoi racconti di vita vissuta fin nei minimi particolari, e man mano che crescevo vi aggiungeva quelli inediti che io ormai potevo ascoltare. Non l’ho mai sognata nonna P fino a poco più di un mese fà, mano con mano passeggiavamo dentro l'acqua, spero non senta che le abbia fatto un torto se ho detto certe cose, potrà perdonarmi di sicuro, le ho fatto da amorevole mamma, dimenticandomi di me, fino alla morte quando è stato il momento.

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webetina 04-01-2011 16.55.12

Le guide spirituali.

Ormai avevo dodici anni, ero una ragazzina interessante, e lei, mia madre, vedeva già l'indole di buona ascoltatrice e allieva, così pensò bene di farne il suo gioiello, e di affidare la cura della mia anima all'arciprete della Chiesa Madre, bellissima chiesa per inciso. Credo che lei amasse quest'uomo, come tante altre fedeli, non posso dire che tipo di amore fosse, ma lui indusse in lei il forte desiderio di elevarsi, di riscattare le sue modeste origini, di dare senso alla sua insoddisfazione di donna che non avrebbe preso ciò che meritava il suo spirito di sognatrice e la sua magnetica bellezza. Immagino che la inducesse ad una fede più intensa per dar meno peso alla poca felicità col marito e la suocera. Mi fece vestire con cura, mi pettinò, non avevo più i capelli a maschio, mi portò in chiesa, e mi presentò alla responsabile dell'azione cattolica, con la quale passai molti anni in attivismo, lei mi portò nell'appartamento del prete, e mi lasciò sola. Ero timorosa, aspettai, era una stanza studio, ordinata, con tanti libri alle pareti. Lui si presentò e si sedette dall'altro lato della scrivania dove ero già in attesa. Che sguardo che aveva, gli occhiali sottili con il nero solo sopra, rimarcavano lo spessore delle sopracciglia, io trattenevo il respiro, mi feci piccola e buonissima. Un prete che lasciò il segno nei cittadini che frequentarono la sua parrocchia, anche uomo di un certo valore, insegnava lettere al liceo classico. Le sue prediche erano taglienti, forti, senza sconti per gente che pensava molto alle apparenze; invitato dalle migliori famiglie. Mi faceva solo paura, aveva puntato il suo sguardo direttamente dentro di me. Vi lessi tutte le sue aspettative, sicuramente infinitamente sproporzionate. Mi sorrise, rilassato, mi chiese se aiutavo la mamma, se la mattina rifacevo il letto prima di andare a scuola, io candidamente risposi si, ma candido di sicuro ci fu solo l'instinto alla difesa, perchè stavo mentendo spudoratamente, io era la leader dei perditempo, che poi non era tempo perso, anzi lo impiegavo molto bene a giocare. Ma ero sicura che la risposta giusta da dare fosse quella.Lui mi credette e fu la cosa peggiore che potesse accadermi, uscendo da lì, sollevata dalla sua presenza che suscitava turbamenti forti in me, io mi ritrovai divisa in due, già peccatrice per via della menzogna nonostante ciò che intravvedevo nel suo ideale per me, che era anche l'ambizione di mia madre, potevo riconoscerlo in qualche modo interessante. Ma non avrei mai dato i miei pensieri, mia madre era lontana dal capire la mia vera essenza, desideravo restare un essere naturale, creativo e spontaneo. Mi serviva una guida, ma che mi chiedesse innanzitutto cosa è che volevo per me. Fu tutto il contrario, riuscirono a condizionarmi, un fuoco spirituale religioso si accese, fu una porta verso il divino e allo stesso tempo la mia croce per alcuni anni. Riuscii a parlare con Dio, ma mi aveva mandato dei vicari superbi, e non potevo che dissociarmi più in là. Ma se è quello che ho creduto Egli fosse, sicuramente continuerà a guardarmi con simpatia, fui una ottima servitrice.
La mia guida spirituale non visse a lungo, aveva cinquantacinque anni quando morì, vidi piangere sommessamente le sue predilette, per mia madre fu un lutto, e per anni citava con me, credo solo con me, ciò che lui aveva detto e lasciato scritto per le mamme. I suoi insegnamenti furono impressi a noi che frequentavamo attraverso le giovani donne che aveva formato, una in particolare, la signorina R, alla quale piaceva molto il paradiso che io andavo cercando e creando, quello terreno e ne godeva, ma più in là, divenute, amiche non accettò la separazione da mio marito, mi condannò, non si dava pace per il futuro della mia anima e mi costrinse ad allontanarla. E' morta un anno fa e fino alla fine ha parlato al marito di me, si era poi sposata, non andai a trovarla, nè lei lo chiese, del resto dovevamo goderci in vita e in buona salute, che senso avrebbe avuto per lei e per me se non c'era stato nessun perdono...
Avevo molte risorse, passò ancora un pò di tempo prima che tutte le colonne dell'eden venissero erose, nella canonica della chiesa madre, specie nel periodo natalizio, per settimane gustai ogni tipo di sensazione. Avevo una traccia nuova, amici nuovi, ci sentivamo nel giusto e protetti, le attività erano un modo per avere maggiore libertà da casa, e non era da trascurare il nuovo amico Gesù.
Non eravamo ancora a casa nuova, mi muovevo ora da una nonna all'altra, poi in chiesa, poi le gite con la signorina R, mollavo un pò di più le mie sorelle, ma poi mi rifacevo, a loro dedicavo le mie invenzioni migliori.


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Faltea 05-01-2011 14.53.30

(questo è solo per sottoscrivere la discussione... non voglio perdermi la continuazione... )
abbraccio:

webetina 05-01-2011 15.40.45

Sei gentile Faltea, se hai pazienza...aspetto, ogni volta, che arrivi il contenuto.:)

webetina 05-01-2011 17.52.24

Mia madre si faceva più matura mentre io avevo dieci anni e lei trenta, questo prima che mi affidasse ai cattolici, in pieno paradiso, e da lì prendo il primo ricordo di lei che mi parla da madre a figlia maggiore.
Prendeva in gestione il negozio della sorella che aveva avuto un bambino, in un'altra cittadina, non sarebbe stata via tanto. Ci lasciava soli con nonna e papà, tranne il fine settimana. Si portò mio fratello che cambiò istituto. Fu una comunicazione, mi rendeva pertecipe del suo interesse verso la cosa, della possibilità di maggiore benessere, si era in pieno sviluppo economico e anche se mettevi due mele fuori la porta, si vendeva. Un bel settore il corredo da sposa, e lei aveva molto gusto e competenza, la nonna P glieli aveva trasmessi. Mi chiese cosa ne pensassi, avrò detto va bene, che era bello avere un negozio, non ricordo, ma ho ancora l'immagine di lei sdraiata nel letto che mi parlava guardandomi negli occhi mentre attenta all'impiedi le stavo davanti, era molto seria...Eppoi non c'era motivo di sentire la sua mancanza. Capivo che non stava bene in casa, perchè a dire il vero il primo primo ricordo che ho di lei è quando sbattè contro il muro la nonna per dirle che non doveva metterla contro il figlio, mio padre. Erano due donne molto diverse, di estrazione sociale diversa, la nonna era superba, mia madre poco incline a subire inferiorità, era orfana di padre prima di nascere, ma era stata molto viziata e coccolata dalle sorelle maggiori. Da madre, fino a quel momento, accusava un dolore psicosomatico al fianco, e dormiva con panni freddi sulla parte tutta la notte. Il fastidio sparì come aveva visto bene la sorella non appena si allontanò da casa. lavorare e guadagnare per lei significò averla vinta su tutti, suocera proveniente da buona famiglia compresa. Purtroppo in questa presa di valore oltre al sourpluse di benesse ci fu anche la premessa a quella competizione con mio padre, uomo di coccio, col seme del padre padrone, scontro che irruppe, come dicevo, una volta soli a casa nuova, con una violenza inaudita, come una colata lavica dentro il nostro paradiso, e si portava via l'infanzia, l'innocenza, la sicurezza tutto sommato di una buona tranquillità. Tutto si svolgeva a tavola quando mia madre parlava dei suoi successi, era ritornata ed aveva preso un negozio vicino casa, tutto suo, e lui sentiva sminuire la propria importanza, il mito di chi è indispensabile e porta da mangiare in casa. Attacchi imprevedibili in una guerra senza fine, che distrusse non poco le nostre menti e la nostra capacità di fiducia nella vita. Presi a parte, singolarmente, erano accettabili con noi figli purchè non prendessimo la difesa di nessuno, avolte però mio padre ci voleva alleati, specialmente me, una volta sola mi disse anche " vattene, tu e tua madre" . Lui spesso aveva più torto, e lei non sapeva trattenere il mostro della esibizione. Avrebbero meritato legnate a non finire, invece, credo io da sola, mi caricavo dell'ansia tremenda della mediazione, del preverire, del controllo a che le piccole non facessero qualcosa o non dicessero la tal parola che poteva scatenare ira tempestosa con volo di piatti e parole irripetibili. I primi anni facevano anche pace con ritorno di fiamma, e la nostra felicità ritornava, poi la loro distanza di fece cronica e si abituarono solo ad un linguaggio ostile.
Chiedo scusa per essere andata in tali scene, e anche ai miei genitori; per me non esiste la colpa, e chi può dire che ne avessero se si pensa che c'è sempre un valido motivo per cui si cresce storti, c'è sempre un bambino poco amato o scioccato, o se vogliamo educato male, dietro chi sbaglia, pure con chi non ti ha fatto nulla. Anche io ho fatto del male, all'essere che amo di più, che non aveva chiesto di nascere in una famiglia per vedere separati i genitori. Eppure ho imposto a mia volta, ovviamente a mio figlio.
Amen come dice mia sorella, come dire con pazienza reset. Questo paradiso man mano sta svanendo,la prossima volta vedo di farvi una sosta magari senza divagare. Infondo ci sarà pure un motivo che mi porta a volere prendere contatto coi momenti migliori dell'infanzia, forse mi aspetto un reflusso, ma benefico, non so come dirlo meglio...

Grazie a coloro che leggendomi in qualche modo mi aiutano nel frattempo ad alleggerire il fardello che ne viene fuori. Fortunato chi non ne ha.

webetina 06-01-2011 02.24.13

Stasera pensavo ancora di scrivere ma non sono ispirata, ho bisogno ancora di passarvi un pò di lenitivo su quelle ferite che il divagare nell'inferno mi ha procurato, sento male e invece volevo sentire refrigerio. Ci vuole pazienza nelle cose, non so cosa mi brucia di più adesso, forse mi chiedo che differenza passa tra lo scrivere in un diario e scrivere sapendo che altri leggeranno, altri che non vedo e non conosco. L'unica risposta che mi posso dare è che così sono costretta a dare una forma comprensibile e magari nel tentativo di dargliela io stessa per prima comprenderò meglio.
Avevo iniziato con in mente le parole che un amico mi ha scritto citando qualcun'altro : "rielaborare implica il ricordare, il rimanere sui ricordi, il visionarli senza che ciò desti sgomento o fuga, bensì il piacere di un viaggio in cui non serve altro che curiosità viva e interesse".

Ma poi le cose riescono sempre in modo diverso da come è descritto sia più giusto farle. Quindi umilmente mi fermo e aspetto che il sonno porti via uno stato d'animo e mi restituisca domani nuova freschezza e nuovo entusiasmo per continuare sia il viaggio che la condivisione. Notte

webetina 06-01-2011 08.26.39

Poche ore di sonno ma è passata. le mie dita mi hanno riportato alla tastiera. Felice giorno.


Continuando, detto fatto la mamma cominciò le sue settimane via a lavorare, non ho ricordi di questo periodo, nessuno in particolare, credo tutto si svolgesse come prima. Stavamo a piano terra, si usciva subito in strada che per circa un anno fu chiusa al traffico per via della ripavimentazione, toglievano le basole in pietra lavica e mettevano dei mattoni piccoli , grigi. Un paradiso provvisorio fu così istallato a disposizione di tutti i ragazzini del quartiere, mi bastò seguire mio fratello, più grande di me, per farne presto luogo di allenamento per tutta la lunga estate. Finito il lavoro gli operai andavano via e c'erano ore a sufficienza per fare di tutto e di più. Feci la monella spericolata, ci eravamo dati tutti alla pazza gioia. Ci si rotolava sui monti di sabbia, si saliva e si scendeva, ci si spingeva a vicenda giù, si scavano fosse, si facevano i salti a chi arrivava più lontano. Tutti con le ginocchia sbucciate di fresco, i gomiti pure, e i glutei ammaccati, eravamo sempre lì. Passando le settimane i lavori si spostavano più giù rispetto alla porta di casa, ma lentamente, e per un pò io potei seguirli, poi, solo mio fratello che chiaramente aveva più libertà di stare incustodito. Mio padre guidava gli autobus di linea, tornava a sera, e la nonna , sua madre, era molto permissiva pur non lasciandoci mai sole. Le mie sorelle non mi ricordo che cosa facessero, ma credo che ne godettero anche loro un pò, ma non sto a chiedere adesso, vado di fretta, i pensieri premono, scorrono numerosi e si accavallano le sensazioni che mi suscitano nel petto, hanno il timore di essere ignorati prima che ne spuntino altre. La cosa più interessante però erano i mattoni, compatti e manegevoli, molto meglio delle costruzioni giocattolo, erano pane per i miei denti, non solo la fantasia era all'opera, ma potevo cimentarmi in vere piccole abitazioni, vi stavamo poi infilate come i cani nelle cucce, con non so cosa mettevo a mò di tetto, qualche tovaglia di sicuro, e la mia indole di nidificatrice mi portava a completare con ciotole e viveri che prendevo da casa. Si mangiava, sistemavo le sorelle, davo loro il pasto e queste poverine mi assecondavano come fosse normale tutto ciò, non le dovevo pregare molto, per altre cose si, tipo infilarsi in uno scatolo per fare le neonate quando si doveva stare in casa, e ciucciare da vecchi biberon acqua e zucchero. Comunque quei mesi furono importanti, un bambino potrebbe non essere più lo stesso dopo, una situazione impagabile in un momento storico di crescita a vista d'occhio, i palazzi appena dietro il centro storico crescevano come i funghi all'inizio negli anni settanta, e benedico la nonna A che come una guardiana missionaria vegliava, così come ci richiamava, mentre riusciva pure a non stare con le mani in mano; se non cucinava , lavava e cuciva per noi, le favole attorno al braciere erano per l'inverno, nei lunghi pomeriggi in casa. Paradisi unici, nessuno era più bello dell'altro, perchè il paradiso è totale, completo e bastevole.
Quando la strada fu finita, ma ancora le macchine non transitavano qualche volta potei provare una ebbrezza speciale sistemata dietro mio fratello sulla tavola con ruote piccole e molto dure, il " carriolo". Era un pò pericoloso, lui ad un certo punto per frenare in discesa era abile a girare a sinistra, la strada era larga e riusciva, a volte venivamo rovesciati a terra, ma non era male , anzi era più divertente, questo però lo facevo di nascosto. Ora che ci penso erano tante cadute temerarie...

Amen, è stata tutta una scarica di emozione pura senza invasioni, devo resettare anche questo, non so dove sistemerò tutto il calore che sento tra il petto e lo stomaco. Posso ancora dormire, è festa, spero si diffonda beneficamente, tutto in un posto non si può tenere. Buona Befana, che porti buoni doni, anche ai grandi piacciono, a me sarebbe piaciuto ricevere oggi una macchina fotografica nuova.

stella 06-01-2011 17.15.11

Mi stai dando molte emozioni a leggerti, grazie per condividere con noi le tue esperienze !!!
Buona Befana anche a te, spero che ciò che desideri ti arrivi...

abbraccio:

webetina 06-01-2011 20.43.47

Cara Stella è un lavoro che sto facendo per me, sapere che piace aggiunge ulteriore motivazione.
Auguro bei doni anche per te affection:

William 06-01-2011 21.22.43

stosvegli:

webetina 06-01-2011 22.31.05

:strega:

diamantea 08-01-2011 18.20.21

Sei andata in letargo ma c'è stato l'armistizio, puoi alzarti...bigcake.g::23:


Lo so che ti sei fermata per darmi un pò di respiro, e di questo ti ringrazio ne avevo bisogno, ma desidero che tu continui e giusto per integrare i tuoi ricordi vorrei menzionare l'episodio delle ranocchiette Ile che il nostro spericolato bizarro fratello portò un bel giorno in giardino.
C'era la vasca con i pesci rossi costruita dal papy con la statua a forma di pesce e lo zampillo d'acqua, fra il grande albero di alloro e i prugni bianchi. Così lui pensò bene di portare compagnia ai pesci e farci saltare un pò alla vista di quegli animaletti innoqui ma viscidi.
Le rane felici prima in acqua poi uscirono tutte dirigendosi in ogni parte del giardino. C'erano molti alberi da frutto e i viottoli di asparagi selvatici delimitavano in zone il giardino, era difficile vedere dove si nascondevano ma saltavano tra i piedi da tutte le parti.
Era estate e noi stavamo quasi sempre in girdino a giocare alle comari, gli alberi diventavano le nostre case, così noi gridavamo atterrite e lui rideva e rideva, con quel suo guizzo negli occhi che lo rendeva felice.
Ma poi arrivò mamy più atterrita di noi che in giornata gli fece immediatamente raccogliere tutte le rane e portarle via.
Poverino mi fece quasi pena, era deluso che il gioco fosse durato meno di un giorno.
A lasciarlo fare ci avrebbe portato sicuramente le bisce dry.gif

webetina 08-01-2011 20.30.08

Citazione:

Originalmente inviato da diamantea (Messaggio 95216)
Sei andata in letargo ma c'è stato l'armistizio, puoi alzarti...bigcake.g::23:

Mi prendi per la gola...vediamo se riparte l'ispirazione.
Citazione:

A lasciarlo fare ci avrebbe portato sicuramente le bisce dry.gif
Ma che poverino! ti ricordi quando la mamma andò ad aprirgli la porta d'entrata e lui da dietro la schiena come fosse un mazzo di fiori uscì la serpe e gliela porse in mano? ci fu la mad scene:
" strabuzza:ahhhhhhhhhhhhhh disgraziatu amaru" *...."u cori mi lassau, staiu murennu" .

E poi lui, così mortificato..." ma...io..non pensavo..."



*(cattivo come il veleno)

diamantea 08-01-2011 21.12.23

r:Si me lo ricordo bene, se ne parlò a lungo di questo evento icon_mrgr:

Ma lui non perse il vizio, superò presto la mortificazione e ridimensionò la serpe sostituendola con lucertole e gechi strabuzza:

Sempre scene mad e strilli d'aquila icon_mrgr:

webetina 09-01-2011 14.23.55

Cerco di riprendere malgrado l'inerzia che mi assale quando incontro un ostacolo. Il bello del gioco è invece che quando non ti riesce lo lasci e ne cominci un altro, e ciò ti è perdonato solo se sei bimba.

Nel periodo del "carriolo" i paradisi erano diversi e in diverse vie.
Il paradiso di via Niccolò si chiamava zio Isidoro, fratello più piccolo della nonna A, sessant' enne a occhio e croce, e credo fosse autistico. Scapolo ed esile di corporatura sembrava un ragazzo vecchio. Aveva forza fisica, specie se si arrabbiava, ma accadeva di rado e solo perchè gli davano molte commissioni da fare, commissioni semplici, vai di quà vai di là, o perchè fumava ( senza filtro). Abitava dietro l'angolo, morta la bisnonna e rimasto solo, la sua casa divenne un laboratorio di invenzioni. Nella loro famiglia erano da generazioni scultori ebanisti catanesi, suo padre, il bisnonno, era morto però cieco quasi in povertà, e alla fine ai lavoranti, i "giuvini" , raccontava la nonna, non potendo più vedere indicava dove scontornare meglio una fogliolina toccandone la superficie di continuo coi polpastrelli. Scappato dalla città con la famiglia pensando che la Spagnola(1918) non arrivasse in provincia, aprì un laboratorio nella cittadina dove abitò e vi rimase, attraversando i periodi delle due guerre, nell'arco delle quali ,soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la committenza del mobile intagliato e scolpito andò scomparendo, e mentre nella città i fratelli che non si erano spostati continuarono comunque a fare opere per le tantissime chiese: arredi, troni, statue e tutto ciò che era legno scolpito, da noi , paese allora meno importante, dicevo si andò trasformando il loro tenore di vita. Non fecero la fame, alla nonna misero su anche un negozio di giocattoli intagliati tutti a mano: salottini con velluto vero, cullette, camere da letto con materassi e corredini ricamati a mano che rifiniva lei stessa. Cavallucci a dondolo, il tavolo con le sedie imbottite in miniatura e tante altre cose che la nonna quando non erano favole ci descriveva accendendo, parlo per me, la voglia, di nuovo come per il presepe, di abitare io stessa quell'atmosfera. Le avrei volute io tutte quelle cose meravigliose e soprattutto funzionali, non avendo mai preferito ciò che non avesse una qualche utilità come le cose degli adulti.
Dicevo a differenza dei parenti di Catania non lasciarono ricchezza, solo quella casa non molto grande che poi mio padre potè riscattare con una cifra modesta. Lo zio quando era poco più di un ragazzino era tornato dal fronte quasi morto, si diceva di paura, magari per la dissenteria penso, e gli avevano accordato una pensione. Col padre nel lavoro era stato piu che altro un garzone e si divertiva ora che era anziano a creare giocattoli meccanici. Mi ricordo di una specie di lente montata in una scatola di legno, con la lampadina, che proiettava delle figure nel muro. Montava piccoli binari dappertutto, ruote, o cuscinetti che appunto avvitati sotto tavole di legno completavano il "carriolo" ; poi lui vi aggiunse vari manubri in quello di mio fratello.Una altra cosa ,che piaceva molto alle mie sorelle era una giostra che facevamo girare azionando una manovella, era fantastica, e tutti e tre comunque andavamo pazze per stare con lo zio.
Non teneva molti soldi in tasca, tutrice era la nonna, però lui li chiedeva per le sigarette e il gelato per noi, o "muciularie"* varie asseconda se era inverno o estate. Anche lui aveva molta pazienza e noi eravamo, insieme al tabacco, credo le uniche cose piacevoli della sua semplice vita.
Ricordo che era più tenero con le mie sorelle, le vedeva di più, anche se non faceva particolarità nel dedicarci il suo tempo facendoci partecipi delle sue invenzioni. La più bella in assoluto fu l'automobile. Prima si sedevano le piccole che di fronte a un giocattolo del genere non sentivano ragione, poi salivo anche io. Ma poi ne fece una a quattro posti, la mettemmo pure in strada, senza freni, con una corda dietro tenuta dallo zio, non andavamo nelle discese in ogni caso. Il bello erano i pedali, c'era la trombetta esterna, quella col palloncino che andava compresso. Il manubrio era preso da qualche ferrari di plastica vecchia, infatti alle due più piccole con mancarono mai le automobili. Io non ne ebbi devo dire, quando furono alla portata di tutti io fui definita ormai grande. Nemmeno la bici ebbi tutta per me, ma questo invece mi pesò abbastanza, mi procurò una vera sofferenza quando la mattina dei morti che da noi sostituiscono la befana il due novembre le bici coperte da una carta regalo erano due e non tre. Sentii per la prima volta il dolore che mi portava l'essere più grande e cresciuta, avrò avuto dodici anni . Chissà quale altra cosa lei mi fece trovare, sapevo già che erano i vivi e non i morti a scegliere, mi sentii non capita, dovetti trattenere il pianto e fingere che si, ero grande; non ero abituata a chiede le cose perchè fino ad allora erano arrivate spontaneamente, non sapevo protestare ma un' acuta frustrazione e invidia verso le mie sorelle mi ricordarono che non ero la preferita della nonna giusta, l'altra di sicuro aveva preso del lino da ricamare per il mio corredo al posto di "inutili"giocattoli, ma avrebbe dovuto comprarmela lei la bici...Paradossalmente ero la maggiore, ma nell' età che avrebbe proprio segnato il passaggio dai giocattoli ad un mezzo che mi avrebbe dato nuovi slanci, mi sarò chiesta come fosse possibile che di colpo si fosse decretato il mio essere adulta! L'anno dopo accadde con le bambole, questa volta piansi a dirotto, e la nonna che di certo non aveva voluto farmi un torto mi portò nelle bancarelle ricche di ogni ben di Dio per l'occasione nelle vie principali e mi comprò un bambolotto che amai molto più degli altri, come una madre quando ha avuto il figlio in tarda età; sapevo che sarebbe stato l'ultimo. Si sicuro una sorta di regressione direi oggi. Presto ebbi modo comunque di abbandonare le bambole classiche, inventai altri modi per fare la piccola mamma. Mi stavo trasformando fisicamente, ma non volevo mollare quel paradiso fatto di diritti e pochi doveri. Lo zio Isidoro sicuramente fu turbato dalle mie sembianze non più di bambina, un pomeriggio che fummo soli rubò un piccolo bacio dalle mie labbra, un tradimento anche questo, si aggiungeva agli svantaggi di quell'addio all'aspetto di fanciulla che porta in se ad essere protetta dagli sguardi impuri. Non andai più volentieri da lui, mi proteggeva la presenza delle mie sorelle, ma non ebbi troppo rancore, lui era ritardato, la nonna lo diceva sempre, lo perdonai senza dimenticare . Sono storie del paradiso terreno, degli uomini, dove è normale che il male faccia le sue retate improvvise e poi si ritiri perché di un paradiso stiamo parlando, e il bene è maggiore. Il bene era ancora grande, perfetto sapevo era quello degli angeli nel cielo, sognavo pure di raggiungerlo di lì a moltissimi anni però.
.........

* muciularie( brioche, cioccolata, caramelle ect..)

diamantea 09-01-2011 19.00.05

Citazione:

Originalmente inviato da webetina (Messaggio 95245)
Mi ricordo di una specie di lente montata in una scatola di legno, con la lampadina, che proiettava delle figure nel muro.

Forse non ricorderai che lo zio Isidoro aveva fatto un vero e proprio cinema. Ritagliava le figure dai giornaletti di Topolino, le incollava in sequenza e poi le proiettava per fare il cartone animato.
Era ingegnoso lo zio, con i tappi delle gazzose faceva i fanali degli autobus o camion fatti di legno, poi laccati. Era minuzioso, gli sportelli tutti funzionanti, i sedili, lo sterzo, persino lo specchietto retrovisore.
Poi intagliava i salotti, le camere da letto complete di armadi e poltroncine, e poi le camere da pranzo. Quanti giocattoli.
Non mi dimentico della grande culla bianca dondolante per la mia bambola, con l'asta per il velo. La nonna poi l'ha rivestita interamente con il corredo completo. Un'emozione immensa trovarla il giorno dei morti .
E poi le figurine per gli album che lo zio ci comprava sempre, io ero una piccola tiranna con lo zio che mi accontentava in tutto.
Certo mi è dispiaciuto molto del finale, quando me lo hai raccontato molti anni dopo mi è crollato un pò il mito dello zio.
Si fidavano tutti di lui, a detta della nonna non ebbe mai donne, ma poi chissà.

webetina 10-01-2011 09.17.03

In quel periodo la mamma stava per finire il suo lavoro nel negozio della zia, presto sarebbe ritornata. Un giorno di fine settimana tornò a casa dicendo che aveva affittato un casa tutta per noi, non era la casa dell’inferno, passarono ancora tre anni prima che fosse confezionata.
La notizia fu diretta, semplice , un grosso regalo da godere subito, un nuovo pianeta tutto da scoprire, il vecchio ormai era stato vissuto in lungo e largo.
Stavolta prometto sarà solo paradiso…

Di sera ancora dormivo con la nonna P, non sarebbe stato sempre così, quasi subito dopo il trasferimento nella nuova abitazione mio padre mi volle in famiglia. La casa era quasi attaccata a quella di zio Isidoro, prendeva l’angolo, un primo piano, e i balconi erano in fila su due strade. Che meraviglia, ma questo era un palazzo! Una casa antica, anzi vecchia, appartenuta ad un anziano giudice che ora l’aveva lasciata. Questo particolare è interessante , dirò più in là perché. L’acceso era da un portone non proprio importante nella stradina laterale, la scala era per metà coperta e portava su al primo terrazzino, subito all’uscio di casa. Salendo non sapevo dove mettere gli occhi... oltre il muretto della scala, giù, c’era un giardino, ma non sapevo nulla, ne se era il nostro, per intanto volevo vedere la casa. Appena si entrava un ingresso quadrato lasciava a sinistra la cucina e il bagno, dritto invece si accedeva alla stanza da pranzo-studio, poi seguiva la camera da letto, alla quale seguiva un disimpegno che invitava alla nostra stanza la più grande, ad angolo con balconi sulle due strade, e quella di nostro fratello, lo sgabuzzino.
La casa era fredda d’inverno e calda d’estate malgrado i muri spessi, con tutte quelle aperture, però aveva una gran bella luce in tutte le stanze.
Non ricordo i particolari del trasloco, mio padre pensò a tutto, era un uomo pratico, forte, organizzato, mia madre invece si attaccava ai particolari: niente cestino delle carte in sala, non era elegante, niente appendi abiti, cominciava a uscire fuori i suoi gusti sofisticati, la sua mania di grandezza, insomma il mostro dell'ambizione che si stava impossessando di lei. Io fui impegnata nella esplorazione di tutti gli angoli dell'abitazione compreso il giardino che mi sarà apparso come un eden vergine incontaminato da colonizzare. Il giardino quindi era nostro, vi si accedeva dall’entrata giù, subito a destra prima dell'invito alle scale e guarda caso attraversando un tunnel in pietra; che cosa pazzesca per una mente come la mia che tutto questo la riportava ai meandri misteriosi dei castelli con le principesse. Una grande palma subito dopo il passaggio, si girava a sinistra e si contavano alberi per ogni frutto che nel clima temperato non lontano dal mare trovasse giusto habitat e resistenza, un frutteto veramente ben fatto. Vi erano il mandarino, l’arancio, il pero, l’albicocco, due grandi pruni neri e quello bianco, due alberi di fico, incedibile il melograno che mi ricordava la poesia , dai bei vermigli fiori, un frutto per me buono raro e originale, mi sembrava una sorta di gioiello, e poi l'alloro. C'erano felci, calle, rose e i vialetti erano disegnati dai cespugli di asparagi; quelle sarebbero state le strade nel futuro villaggio che non solo immaginai....Le case di Peter Pan sugli alberi furono al primo caldo le nostre residenze estive, o forse meglio dire alla Tarzan. Non sto a dare i nomi alle cose dalle quali prendevo ispirazione, era un immaginario misto, che mi spingeva a montare e smontare e cambiare le situazioni come meglio mi andava.
E qui vorrei aprire un parentesi sul potersi concedere una attività, sia essa un gioco, un lavoro o altro che ti piaccia e ti realizzi. Potere avere cioè una situazione appagante per tutto il tempo che si vuole con ostacoli possibili da superare.
Nella vita di tutti i giorni è difficile potere godere di questa condizione, come credo che in genere invece un pò tutti i bambini lo possono sperimentare. E quì credo stia tutto il nocciolo del disagio enorme che mi sono portata e in parte mi porto ancora nel vivere successivamente la mia vita da adulta fatta di molti doveri e costrizioni. Se fossi nata uomo avrei avuto maggiore vantaggio, infatti l'unico che si è realizzato bene nella professione è stato il figlio maschio. Anche lui come me ebbe stimoli straordinari e libertà lungamente perpetrata, perchè certo riuscì solo fregandosene dell'ansia e delle botte che si prendeva quando spariva giornate intere a esplorare i numerosi cantieri edili in mezzo ad una tenuta anch'essa non meno interessante, oggi tutta cementificata, attaccata al cuore del paese, che aveva confine nella distante strada ferrata, tutta leggermente in discesa verso il mare la cui vista non si perdeva mai. Condizioni uniche , che oggi i nostri figli nemmeno si sognano. Poche macchine, niente pericolo droga, un maggiore contatto con la natura che di per se già solo col verde in abbondanza che ha, colore indispensabile all'uomo più di ogni altro, rende l'essere più in armonia con se stesso. Il correre, niente cibo spazzatura, le emozioni fisiche più abbondanti di quelle mentali, sono convinta che restituirono personalità più complete e ricche di cui oggi non vedo esempio altrettanto forte ne in mio figlio ne nei miei nipoti. Poi col tempo non so. Non vorrei risultasse il solito discorso "ah una volta era meglio" . Sto solo considerando com'è che nella mia generazione ho visto persone che hanno avuto anche grande capacità di esprimere se stessi a diversi livelli, malgrado l'epidemia abbattutasi tra noi delle separazioni tra le coppie. Se fossi stata uomo, e ammesso che sulla strada che non ho percorso non fosse caduto un fulmine, di sicuro mi sarei realizzata meglio, non avrei penato così tanto per un maggiore equilibrio. Anche mio fratello è passato come noi sorelle per lo stesso clima violento da un certo punto in poi nella nostra famiglia, ma non dovette lottare per studiare, non si occupò mai di lavare e stirare, e poi cucinare tutti i giorni come noi donne. E la storia è stata questa, la donna della mia generazione e del sud non ha mai smesso di fare il doppio, il triplo lavoro, perché metto in conto anche la maternità. Al nord la donna ha lavorato prima di noi al sud, molto prima, ma per quello che ho visto, gli uomini vivono le incombenze di casa in modo normale. I mariti da tempo fanno la loro parte in casa. Ora per fortuna è diverso anche da noi, le nuove coppie, magari si sposano meno, ma sentono parità di diritti e di doveri anche nei doveri domestici e con i figli piccoli, e ciò cambia molto la condizione della donna, che di fatto sta assolutamente meglio con se stessa se non allargo il discorso ad ambiti come il lavoro, ma le cose non sono rose e fiori nemmeno per l'uomo lì.
Doveva essere solo paradiso stavolta, scusate, la parentesi voleva essere solo una considerazione, ma si è imposta mentre mi ero immersa in quel meritevole giardino. Riprenderò le vicende di quel paradiso che fu questa casa .

webetina 12-01-2011 02.28.09

Nella casa più su presentata, trovai la mia dimensione per intero, stavo in un solo posto, e poi la convivenza con la nonna P mi aveva segnato negli ultimi mesi. La malattia che l'avrebbe fatta morire dieci anni dopo, aveva messo in ginocchio il suo corpo e il suo spirito, e anche la mia resistenza a starle vicina e ad accudirla ,sebbene fossero piccole cose, in quel mare di sofferenza che la vita le aveva destinato.Alla fine avevo solo undici anni...
Scoprii che poteva capitare a tutti, anche ai bambini, ne vidi nelle corsie, e ne parlavano di continuo i grandi, che allora non avevano molta sensibilità. Fu mio padre, dicevo, che mi tolse alla nonna, ed era meglio l'avessero fatto in tempo però, le basi su cui atterravano i paradisi furono irrimediabilmente compromessi, ma il danno fu coperto in qualche modo, a quell'età si cerca di dimenticare presto.

La nuova casa era tutta un teatro, dove non era giardino era terrazzo, e quando era freddo la tranquillità della stanza in fondo, la nostra, era indisturbata. Non so nemmeno da dove cominciare, innanzitutto fu mia la scelta di come disporre i letti, due in una parete con le pediere in mezzo alla stanza e uno di lato a ridosso della parete opposta. Coricate potevamo vederci e parlare, un balcone vicino al mio letto e uno nell'altra parete, su due strade. Le tende che non avevamo avuto davano un senso di importanza, e di sera a luce spenta, le intravvedevo e mi sembravano bellissime. Quei tetti alti a volta erano eleganti. Poi mi stancavo e univo i due letti, magari dormivamo in tre e la nonna ospite nel lettino di fronte. Ogni sera aspettavo il sonno ripassando ancora e pensando a cose che domani avrei fatto, oppure immaginavo animati i personaggi delle favole che leggevo.
Di giorno dirigevo la baracca gioco e studio, poco studio, di continuo. I giochi senza frontiere li guardavamo con la faccia a terra nel balcone , giù nella tv della vicina; allora si tenevano le porte aperte d'estate anche se era piano terra, e i vicini si sedevano davanti l'uscio e ogni tanto si scambiavano delle parole. Noi avevamo la tv ma era in cucina. Libri di favole rendevano interessante gli intervalli, anche corde per saltare, cerchi, sottane e veli per ballare ogni santo giorno. I ruoli indossati erano i piu svariati, ma i più gettonati erano moglie e marito, mamma e comari, mamma e figlio in braccio. Questo ruolo in particolare era il preferito, dicevamo tutte le cose che sentivamo dai grandi: “devo dare il latte al bambino”, “ uh, ora torna mio marito!” , “comare mi presta il sale? “.Tra un ruolo e l'altro c'era sempre il ballo, a volte anche il canto.
La mia curiosità era incessante, occupandomi anche di rassettare la casa conoscevo ogni cosa, una volta notai che i salsicciotti che coprivano le fessure delle porte a terra erano stranamente imbottiti, ne aprii uno e tirai la punta di un indumento: era un vestitino da neonato, poi un altro, un altro ancora, poi delle calze, cappottini, camicine, di tutto insomma, lì vi erano cresciuti due maschietti, ed io potevo impazzire...chiamai le mie sorelle: “guardate, possiamo vestire i nostri figli”, e potreste pensare che fossero le bambole, e ci provai, ma erano troppo larghi, non so quando concepii l'idea della borsa dell'acqua calda, vestita coi panni veri di un bambino lo sarebbe sembrato di certo! Più morbida, seguiva meglio i movimenti per aderire al nostro grembo. Che sensazione di pienezza, mi sentivo una vera madre...Le bambole anche , era una la borsa, forse facevamo a turno.
Da lì passai a mettere i vestiti dentro la gonna, ecco tutte col pancione! Appena la mamma arrivava...giù il malloppo, di colpo secche di nuovo! il bello è che incinte in quel modo stavamo con le mani sulla schiena, cioè io, loro mi imitavano, perchè si vede che osservavo molto le donne adulte, le mamme. Madre mi appassionava tantissimo, ero maestra in maternità.
…...

webetina 14-01-2011 13.26.44

Stavo sempre in cerca di nuove emozioni. Non è che non facessi cose che fanno tutti, certo studiavo anche, andavo a messa, guardavo la tv, potevo anche io dover lavare a mano la biancheria prima della lavatrice che arrivò presto per fortuna. Ma paradiso era altro, erano emozioni, lo scoprire nuove cose, nuovi oggetti, nuovi movimenti. La casa si prestava a una varietà di cose nell'intervallo che la abitammo, dai miei dodici ai quindici anni; noi figli ce la godemmo come meglio non si può, e ogni tanto avevo nuove idee per darvi look nuovo.
Mia madre non mi ricordo in che modo era presente nelle faccende di casa, noi si faceva ciò era nelle nostre possibilità, e la nonna mi dava un occhio. Le mie sorelle più che altro eseguivano ordini : "prendi questo, prendi quello, portalo di là...
Spesso trovavo dei modi più simpatici per pulire casa, specialmente quando le stanze cominciavano a esigere tutte una riordinata. Amavo fare i grandi lavori, la soddisfazione era maggiore. Dopo che convincevo e motivavo per bene le ragazzine, si cominciava nel primo pomeriggio una volta sole, e si finiva a sera prima del rientro di mamy. Una di queste volte calcolai male i tempi e la quantità di sapone. Dopo avere fatto il letti, avere scopato le stanze e lavato piatti e bagno, mi venne la felice idea di sbiancare il pavimento; era in marmo tipo scaglia. Alzammo sedie e coperte , buttai a terra una bella quantità di sapone, forse Ava della biancheria(ava come lava... di Calimero) e cominciammo a strofinare con le scope, con gli stracci, a lungo. Fu un divertimento, il premio in soddisfazione sarebbe stato troppo bello, perchè è vero che disordinavamo ma la casa in ordine era il mio ideale. Anzi la casa perfetta lo era.
Lava che ti lava, al momento di sciacquare riempimmo i secchi di acqua che cominciammo a buttare per terra, con cautela si, per non bagnare tutto. Non ne uscii più, un lavoro immane! Si fecero le otto e mia madre tornando dal negozio cominciò da lontano a vedere l'acqua con la saponata nella strada, e poi che usciva dal nostro portone ovviamente, e nella scala un mare di acqua e schiuma ancora. Non fu di certo benevola, non alzava le mani, ma colpiva con gli apprezzamenti ...cioè con gli epiteti: " capuriuna ranni" ovvero capobanda maggiore(la grande delle sorelle), e l'immancabile "disgraziatuna amara" ; " comu putisti(come hai potuto)" , "cu tu dissi? (chi ti ha detto di farlo!)", ma le maschere che indossava il suo viso erano quelle che erano peggio delle condanne a morte, mi sentivo condannata al disprezzo e alla disapprovazione totali, peggio di una merdaccia insomma!...Lei non amava il mio osare, il mio sperimentare, ci voleva mummie, tutta colpa della nonna che ci lasciava fare... Non faceva casino sempre, ora capisco che fondamentalmente era ansiosa e preferiva stessimo immobili senza fare niente per evitarle fastidio. Non faceva casino sempre, anzi, era molto presa dal suo successo nel lavoro. La cosa più importante per me era quindi non farle vedere nulla per quanto mi era possibile.
Quante volte si usciva dalla nostra stanza e il fumo di pollo più pentola bruciati ci investiva come un proiettile. Mi, investiva, e la mente piu che i sensi; subito pensare a come rimediare, ero io che dovevo badare al pranzo quel tale giorno. Porca miseria quante cose ho lasciato bruciassero, quante pentole buttate, quante volte ricorsi alla nonna perchè ricomprasse i piselli, la carne...oppure quante altre volte mi dovetti sentire un mer....ccia. Tanto era inutile, rendere me una mummia era impossibile, avevo la memoria corta e la passione lunga.
Quella volta dormimmo con tutta con la casa bagnata, ma l'indomani il pavimento mi sembrava così bello...
Un'altra volta decisi che la nostra stanza doveva essere al massimo della perfezione. Volevo invitare le compagne di scuola, ero già al primo liceo. Mettemmo ordine, staccai le tende, le lavai e poi comprai la cera Liù. La vedevo in televisione, immaginavo quello specchio a terra e i pattini di panno. Coinvolsi le piccole, che mi aiutarono. Passammo il liquido, lo lucidammo con i maglioni vecchi e le ginocchia sul pavimento; erano belle queste imprese, iniziative nascoste ovviamente. Era un piacere una volta finito, guardammo soddisfatte, le facevo entusiasmare, mancavano solo le tende per completare l'opera. Era domenica e chiesi a mio padre il favorino di appenderle lui . Prese la scala, che non era a forbice, ma una fila di pioli , tutta di legno, alta. Il tetto era alto pure. La poggiò al muro al di sopra della porta e vi sali sopra, non appena alzò le braccia con la tenda, la scala comincio a scivolare e in un attimo mio padre fece un tonfo a terra. Mannaggia, non ci voleva, una calamità, questo non lo avevo previsto. Mentre si alzava da terra un pò ammaccato mi guardò e disse : " hai messo la cera tu?" . Io dissi no , come potevo dire si... Tea invece si ricorda che guardò anche lei me, timorosa, pensando a che fine avrei fatto io piu che al male che si era fatto mio padre. Lui si alzò e arrabbiato andò a cercare la latta, era un po nascosta fuori, la buttò dicendo che era stato stupido fargli mettere la scala dopo avere cerato all'insaputa. Beh, questo in sintesi... Aveva tanta ragione, il sangue mi si era fermato, e a seguire si era anche raggelato all'urlo di mia madre. "ahhhhhhhhh... chi fu? chi successi? ..." la cera"...Non dico altro che nemmeno ricordo, non furono botte, ma poi, la sera, nel letto, in un deserto sperduto privo di fantasia, l'idea e lo stato d'animo che affioravano erano di cambiamento radicale, nel buio, e mentre gli altri dormivano, mi dicevo che ora basta, dovevo essere migliore, niente più gioco, ne scherzi, ne fare disperare i miei, basta per sempre giocare, dovevo comportarmi da adulta, e quanto mi dispiaceva quella volta che mio padre ignaro fosse caduto. Ma quanto mi sentivo triste e infelice, le mie sorelline mi sostenevano sempre, mi amavano tanto, ma in quel momento io non lo sapevo che quel male che sentivo così radicale e pervasivo, insieme ai buoni propositi, poi passava.



....

griselda 14-01-2011 13.52.34

Che bella la tua nonna :)

webetina 14-01-2011 16.31.58

Si Gry, hai ragione, la nonna fu meravigliosa, forse scrivo perchè lei desidera essere ricordata ancora un pò, chi lo sa...:)

webetina 14-01-2011 16.42.16

Non so cosa mi rimanesse di quelle scivolate nel piano basso dell’inferno dove nemmeno il fuoco arrivava e la base era solo buio e cenere, ma insomma anche i picchi del paradiso lasciavano impronte di castelli colorati e abitati nel cuore della mia mente, e davano ritmo scorrevole alla mia tanta energia. Di mezzo ci stavano le cose normali, alla fine non credo qualcuno possa dire che nella propria gioventù tutto sia filato liscio. Il bilancio era più che positivo.
Tutta l’abitazione era vivibile, a est la nostra stanza coi primi raggi di sole. A sud le finestre davano nel cortile esterno, che collegava la nostra stanza alla prima, l’entrata, particolare prezioso perché ci dava libertà di andare anche in giardino, sotto, senza passare dalla camera da letto, giardino che era quindi a ovest. A nord a parte i balconi sulla via, proprio la strada sui quali si affacciavano, era un’ altra meta di divertimento; lì incontravamo anche i compagni del circondario con i quali condividevamo uno dei paradisi in estate durante le vacanze. Mia madre amava riposare nel primo pomeriggio, e guai a chi fiatava, le sue minacce sembrava che fosse sempre la volta buona che li mettesse in atto, tipo : “se mi alzo vi stacco un pezzo di gamba”, quindi scendevamo giù, ma non per fare baccano, quello dopo le sedici sempre per via di mamy che aveva l’imposta aperta per il caldo. Leggevamo i giornaletti.
Le sedie sotto i balconi guardavano il muro, vi prendevamo posto attaccati alla stretta banchina, mettendo i piedi sul muro, così sopra le gambe poggiavamo ogni genere di fumetto. Mio fratello ne era appassionato e non so come facesse ad averne sempre tanti e freschi. Facevano scambio, e mia nonna sicuramente gli dava delle monete. Ci sentivamo bene, molto bene, lo posso ancora ricordare, ognuno con la testa chinata per ore immersa in quelle avventure. Io amavo Diabolik, era il mio tipo in quella fase, Eva l’esempio di donna che desideravo essere. Stranamente non amai mai Topolino, sebbene penso che mi sia persa qualcosa. Tantissimo nemmeno il Papero con nipoti, li vedevo più volentieri in tv come cartone animato, eppure tutti li leggevano, compresa nientedimeno la mia stranissima mamy . Per le mie sorelle erano come il pane e latte la mattina, la nonna a loro li comprava a parte. Nemmeno le storie del Koyote mi piacevano in tv, mi esasperava quella assurda , ostinata, accanita, reiterata violenza, anche se non annientava mai. Oggi mi stupisco che mi piaccia da morire “L’era glaciale”...
Quando la mamma scendeva per andare in negozio, le femmine istallavamo qualche situazione di gioco o passeggiavamo su e giù spensierate, e mio fratello si dileguava con gli altri maschi, forse era già il periodo del bigliardino, gioco che lo vide campione per anni, così come per il biliardo. Di questo i miei non sapevano nulla, quando portava delle bottiglie di Martini come premio, a parte la prima volta, loro avevano da ridire: che perdeva tempo, che non si faceva vedere, etc etc...Mia madre avrebbe vietato anche il respiro, ci odiava con tutti questi interessi che avevamo, fu sempre di più una lotta con lei, mano mano che emergeva purtroppo dalla sua assenza di madre quando ancora decisamente immatura. Aveva l'ambizione però che andassimo a scuola e ci comprava tutto, purchè non dessimo problemi. Una sola volta fece bene il suo ruolo di genitrice forte. Nostro fratello per indole pacifico, e riservato per necessità, appena reinserito al liceo nostro, dopo i due anni fuori, subiva le angherie di un figlio di papà, in classe. Mia madre essendo innamorata solo di questo figlio che aveva avuto a quindici anni, si accorse che qualcosa non andava , andò dal professore, uscì il linguaggio della domenica a messa, ma con furente calma, e come dice lei, mise le lenzuola nuove al letto di quel cattivo compagno. Cioè informò il professore nelle cui ora accadeva la cosa, e minacciò senza nulla di personale, di denunciare il fatto. La cosa andò per il verso giusto, fine delle ingiustizie, lei lo ha raccontato sempre.
…..

diamantea 14-01-2011 17.46.11

Dovevo avere doti da veggente fin da piccola, e un grosso odorato perchè a un certo punto potevo sentire forte odore di guai, soprattutto per Tina che molte delle sue iniziative finivano sempre in tragedia.
Quando vidi che mio padre non si era fatto nulla di grave pensai che forse la vita di mia sorella era salva. Il suo morale no invece, soprattutto perchè le fu buttata subito nella spazzatura la rimanente cera e le fu proibito a vita di usarla ancora.
Mio padre era una furia mentre cercava l'oggetto incriminato.
Io era la più piccola ma intuivo benissimo quello che sarebbe accaduto da li a pochissimo, e durava per giorni.

Dell'episodio della casa insaponata forse Tina non ricorda che questa tragedia accadde a pochi giorni di distanza di una precedente, in cui mi conficcai un grosso chiodo arrugginito nel piede destro. Avevo la l'infradito di gomma, il chiodo fuoriusciva da una tavola e noi ci passavamo vicini senza togliere il pericolo, finchè non ci misi il piede sopra conficcandomelo bello profondo.
Anche in quel momento funesto lei mi disse supplichevole di non piangere che loro si sarebbero arrabbiati tanto e non avremmo potuto mangiare la pasta che stava cuocendo nelle vere pentole in un fuoco acceso sulle pietre in giardino sempre da lei, la caporiona. Anche io pensavo al gioco e volevo trattenermi ma il dolore era lancinante e il mio piede gonfiò a dismisura sotto i miei occhi in breve tempo.
I nostri genitori accorsero preoccupati dalla mia sirena spiegata ai 4 venti, e quando seppero del chiodo arruggito e videro quello spavento di piede insanguinato e gonfio andarono su tutte le furie, mio padre spense il fuoco subito e proibì a mia sorella per sempre di accendere fuochi in giardino, poi mi portò in braccio in casa, poi dal dottore e tutto l'iter del caso.
Per molti giorni non potei poggiare il piede a terra tanto era gonfio e dolente, così tenevo il ginocchio su una sedia a o di gamba finta e mi trascinavo per casa.
Fu proprio la domenica successiva che Tina ebbe questa felice idea di lavare casa. Poi il sapone era troppo e le secchiate d'acqua non bastavano, la saponata diventava sempre più copiosa, così andò a prendere la tubo di gomma dal giardino per sciacquare bene. Io a essere sincera morivo di invidia che loro due si divertivano con le scope e i piedi in mezzo all'acqua, ma poi iniziai a rendermi conto che si faceva tardi, l'acqua scolava da tutte le aperture, dai balconi, sulla scala verso la strada, era tutto un fiume d'acqua corrente, pregai che si sbrigassero, temevo l'arrivo dei genitori che sarebbero montati su una furia tremenda anche in virtù dell'incidente da poco capitato a me.
E fu così infatti che tornando a casa, vedendo tutta quell'acqua temettero il peggio, ma il peggio fu sempre il solito rituale di urla, rimproveri spietati e minacciosi, e lei la caporiona sempre a capo chino apparentemente pentita, ma già pensava alla prossima.

webetina 14-01-2011 22.26.25

Hai anticipato il tuo ferimento al piede, non me lo ero scordato, fu uno dei giorni più brutti della mia vita, ma non ricordavo assolutamente fosse stato così vicino alla lavata del pavimento. Mi stupisco di come ero.
E non fu senza conseguenza, non lo ricorderai , ma la mamma quella volta buttò nella spazzatura la mia vecchia bambola, l'ultima della mia lunga carriera, le dissi piangendo, che quella bambola vecchia valeva più di lei, era la prima volta che le parlavo così e segnò la prima distanza tra di noi, non mi ero mai permessa, non sentivo giusto l'addossarmi ogni volta le responsabilità sulle mie sorelle, infondo giocavo e le facevo giocare. Mi bruciava maledettamente che fosse così odiosa con me in quei momenti.
A pensarci fu orrendo quel chiodo nel piede, una cosa seria, non mi rendevo nemmeno conto. Ma poi quella tavola perchè si doveva trovare lì, non era possibile che la colpa si spostasse in chi non doveva lasciarla in fondo al giardino. Forse nessuno l'aveva vista.
Mi dispiace di averti chiesto di non piangere, avevo tredici anni, tanti e neanche troppi. Non so perchè la natura mi avesse fatto in quel modo, spinta sempre a inventare luoghi, situazioni, capanne, come una nomade raminga che non ha dimora fissa ne famiglia, la mia famiglia eravate voi.

diamantea 15-01-2011 00.44.23

Quel pomeriggio d'estate stavi realizzando il tuo sogno di cucinare davvero come fossimo ai tempi delle caverne.
Ogni giorno cucinavamo la pasta per le bambole mettendo le pentoline sul finto fuoco piene di acqua e poi ci lasciavamo rammollire la pasta fino a sembrare cotta.
Poi ti venne l'idea di accendere il fuoco. La prima volta lo facesti sotto il muro limitante con i vicini, ma la cosa non riuscì bene perchè il fuoco divampò pericolosamente e fu solo grazie all'acqua della vasca dei pesci lì vicino che spegnemmo subito.
Quel pomeriggio, faceva caldo e i genitori erano a letto per il solito riposino prima di andare al lavoro.
Tu pensasti di cucinare la pasta per davvero, avevamo già mangiato, ma l'idea di un vero fuoco, con vere pentole e vera pasta solleticava parecchio.
Stavolta il fuoco lo accendesti nella parete più alta senza vicini a curiosare, vicino il grande albero di alloro dove il papy aveva costruito un piccolo capanno per gli attrezzi. Era una zona in cui non giocavamo spesso, era territorio suo quello, ma era riparato oltre che dal lauro anche dai pruni e dalla vasca dei pesci.
Fu emozionantissimo raccogliere un pò di legna e carbonella, sistemare il focolare su cui hai messo un pentolino d'alluminio, nel frattempo preparavamo la tavola con delle cassette di frutta.
Io quella tavola con il chiodo l'avevo vista, non doveva stare lì ma intanto ci stava, e noi ci giravamo intorno schivandola. Ricordo che pensai pure di stare attenta a non metterci il piede sopra, sapevo che l'infradito di gomma non mi avrebbe protetto, pensai pure che avremmo fatto meglio a levarla, ma sai la pigrizia, il gioco, l'incoscienza... avevo 7 anni nemmeno compiuti.
Ho un ricordo nitido, c'era un silenzio particolare fra noi che sapevamo di fare qualcosa che non sarebbe stato approvato dai genitori. Ci scambiavamo poche ed efficaci parole.
Insomma la pasta era quasi pronta, la tavola sistemata, la salsa l'avevi conservata dal pranzo. Il tuo e nostro sogno di un vero pasto cucinato all'aperto si stava realizzando.
E' stato terribile vedere tutto il gioco rovinato da uno stupido chiodo arrugginito che nessuno ha tolto di mezzo e si è conficcato nel mio piede.
Non posso dimenticare come papy fece volare via il nostro pranzo. E la mamy poi... mi sentii in colpa per te, per noi, per il gioco e poi il tormento di quel piede. Che io ricordi non accadde più di ripetere l'esperienza.

In qualche post prima hai detto di aver sviluppato l'ansia della mediazione fra i due galli, io invece ho sviluppato l'ansia di quel che poteva capitare a te caporiona di guai, a cui ero infinitamente legata, a nostro fratello che amavo tanto che tornava sempre tardi a pranzo e da più grande la notte, alla nostra sorella che non voleva mangiare, con lei litigavamo sempre ci tiravamo i capelli fino alla radice, però non facevo mai la spia, la reazione esagerat.....ma della mamy superava ogni ostilità fraterna. Mia madre trasformava ogni episodio in tragedia.
Noi fratelli non ci siamo mai traditi, ci siamo sempre coperti, difesi l'uno con l'altro, e lo facciamo ancora oggi che siamo grandi. E' questo è molto bello.

webetina 15-01-2011 14.29.17

Avviso chi legge che questo paragrafo è una necessaria parentesi del genere tagliavene. :er: :er:

Devo fare fatica per continuare. Ricordare quei sentimenti provati allora così contrastanti, mi ostacola il proseguimento, e faccio uno sforzo nel tentativo di passare oltre, ma devo soffermarmi ancora un momento.
La sorella piccola aveva il visetto tondo e gli occhi a stella, faceva più tenerezza degli altri, e quindi è logico che suscitasse nei genitori un maggiore accanimento un torto fatto a lei(torto tra virgolette, perché io non me la accollai mai la causa di quel chiodo nel suo piede) però era pur successo e lei si era fatta molto male.
La nonna per prima la chiamò Cicitta, e ne aveva anche altri di sopranomi e vezzeggiativi, ma questo rimase il preferito da tutti, e completa bene l’idea dei sentimenti che suscitava, e non era solo bene però, perché si traduceva anche in troppe attenzione corporali, nel senso che tutti la baciavano e la abbracciavano infastidendola più che altro; eccetto la nonna. A casa nostra era tutto passionale. Parlo dei grandi, perché la passione dei minori non può mai essere troppo pesante. Si amavano tra parenti, poi si odiavano, poi facevano la pace, e di nuovo…. Più che altro mia madre. Anche con sua madre faceva lo stesso, unilateralmente però, che quando ci lasciò procurò nella mia genitrice un dolore così forte da spezzarle il cuore, forse i rimorsi anche, chissà. Le sue urla facevano impressione, nessuno ce lo aspettavamo, io pensavo che lei non volesse molto bene a sua madre, ma capii che non esagerava quando dopo abbandonò per sempre un piccolo roseto con alberelli rari che insieme curavano e a cui lei teneva tantissimo. Si vantava di una rosa glicine tenue , innesto, pare, creato da Papa Giovanni Ventitreesimo, e cambiò per sempre anche la sua fiducia, non so dire bene in che, forse negli altri. Io non ho mai capito mia madre, ne desidero provarci adesso, sarà il più grande enigma finchè vivrò. Spero solo non mi accada ciò che è successo a lei se dovesse morire; se vado prima io, che ne so, va beh…la vita è imprevedibile, in ogni caso abbiamo già goduto abbastanza entrambe. Amen dice Tea.
Quindi l’episodio che investì Cicitta ebbe risonanza nel tempo, ma fu solo la scusa, tra me e mia madre di definì una distanza che mi fù più chiara, e la delineavo io stessa in quel momento e a lei serviva, vi avrebbe appoggiato meglio i suoi insegnamenti.
Non solo le accuse esagerate, ma anche la bambola, cioè la mia figlioletta preferita finita nella spazzatura mi procurava il dolore della perdita, accompagnato da un risentimento che fu il primo probabilmente. Era un addio alla mia parte bambina, lei mi aveva fatto pesare finalmente in modo efficace che dovevo ormai vergognarmi di giocare ancora stupidamente col fantoccio pieno di buchi: quello per il biberon e quello per la pipì che avevo praticato perché sembrasse più viva. Credo fosse esasperata, preoccupata di dovermi dare delle dritta per farmi passare a maggiore maturità. Entrambe avevamo le nostre ragioni. Eppure tutto ciò con la nonna non accadde mai, tutto era naturale e spontaneo, sarà che io conoscevo già questa differenza…

Nello stesso periodo, e preciso che non ne ho memoria ancora oggi, si raconta che misi a repentaglio la vita stessa di Cicitta, a mare ; eravamo con mio padre e i nostri ospiti preferiti, gli zii. Ci avevano regalato i salvagenti, solo lei non nuotava e lo aveva attorno alla vita. Stando vicino alla battigia dove però bastava allontanarsi di un metro per non toccare, io dicevo a lei che era l'unica a non sapere nuotare. Lei rispondeva che non toccava, io dicevo si, che toccavo invece, ed era vero. Lei si sfilò il salvagente, e cominciò ad andare giù, toccava e risaliva a fior d'acqua, e poi ancora. Pare io non mi resi conto, probbilmente pensavo già ad altro, sempre tredicenne, mio padre non capiva che lei lo chiamava, anzi la salutava dalla spiaggia mentre continuava a chiaccherare a due passi da noi. Poi mio fratello, che aveva pure un braccio ferito, si buttò e la tirò per i capelli salvandola. Certo lei subiva in quel caso da me, che non ero abbastanza responsabile, direi oggi che di certo non volevo annegasse. Mio padre del resto come faceva a lasciarla in mano mia, non nuotava ed io non ero la sua balia.
Tea ricorda dal suo lato la fiducia un attimo prima accordatami, e la paura di affogare un attimo dopo che si toglie il salvagente, ed io che le sarà sembrato non rispondessi alla sua difficoltà. Due mondi, i piccoli e i più grandi, assai separati. Anche quello della vittima e del carnefice. Ma Dio mio come è difficile mettere insieme le ragioni di tutti, ed è stato da sempre da come la vedo io. Mi accusavano, anzi era mia madre che lo faceva, ed io cascavo sempre dalle nuvole, sinceramente non mi ricordo mai che desiderassi di fare del male a qualcuno....

Spero mi basti questa divagazione .

......

diamantea 15-01-2011 19.07.17

E' vero, è una questione di fiducia, ed io ne avevo incondizionata su di Tina, era la mia sorella maggiore che mi faceva divertire, ma anche in tante situazioni proteggeva soprattutto dalla furia di mia madre.
Quel giorno rischiai di annegare seriamente, sapevo che lì non toccavo, ma se Tina insisteva a dire che avrei toccato una volta tolto il salvagente doveva essere così.
Invece così non fu, e mio padre non si accorse subito della cosa perchè io come tutti i bambini del mondo lo chiamavo continuamente per fargli vedere i miei tuffi "papà guarda" e lui sempre paziente "brava".
Anche in quel tragico momento io gridavo "papà" con le mani fuori dall'acqua, e lui "brava" e rideva orgoglioso poi riprendeva il chiacchierio con lo zio e mio fratello che poverino quella mattina gli avevano dato 8 punti sul braccio e non poteva fare il bagno, eppure fu il primo a capire che non risalivo più da sott'acqua da "troppo tempo" perchè stavo annegando e si buttò subito e senza esitazione a salvarmi. Avevo bevuto una grande quantità d'acqua annaspavo senza più riuscire a risalire. Fu la prima volta che credetti di morire.
Dall'indomani fui di nuovo in acqua ed imparai presto a nuotare, non volevo più rischiare la vita e volevo pure essere come i grandi, andare a largo con gli altri, crescere e fidarmi di me.
Non portai mai rancore a mia sorella per questo episodio che mancava poco mi costava la vita, non lo aveva certo fatto per farmi morire, era un gioco, un momento di leggera incoscienza ma non certo di cattiveria.
Perdonabile, mi aveva salvato la vita altre volte, dall'ira funesta di mia madre.
Ricordo una mattina al risveglio sognai di fare la pipì, ma subito mi accorsi che la stavo facendo nel letto, balzai fuori con uno scatto felino sperando che non avessi bagnato le lenzuola.
Invece aimè c'era un grande alone bagnato come prova della mia colpa e vergogna, l'età era sempre quella dei 6 o 7 anni.
Mia madre mi avrebbe spellata viva per una cosa del genere.
Io non dissi una parola, ero pietrificata dalla paura, ma Tina accanto a me non so come capì la situazione e mi disse soltanto: "vestiti e va a scuola, non dire nulla ci penso io al letto". Io eseguì come un automa, quando tornai il letto era a posto. Non ne parlai mai per scaramanzia, meglio dimenticare subito l'episodio. Ancora mi chiedo come abbia fatto a capire al volo e come abbia fatto per rimediare, forse ha girato il materasso chissà.
Siamo pari Tina, una volta me l'hai salvata e una volta me l'hai fatta rischiare, siamo ancora qui a raccontarcela abbraccio:

webetina 15-01-2011 21.56.27

La mamma di certo non ti avrebbe ucciso, mentre l'altra cosa è più seria, non c'entra il compensare.
Quella volta al mare ci si potrebbe chiedere cosa facessi io mentre annaspavi e chiamavi con le braccia alzate. Io per prima me lo chiedo non potendo immaginare di me che stessi a guardare e basta. Posso credere che come era nella mia natura mi distrassi irresponsabilmente da te pur inducendoti a nuotare da sola. Era facile col vocio assordante che ci doveva essere in pochi metri di acqua nel mese di Agosto,che associato all'essere presa di me stessa e da ogni stimolo nuovo che mi capitava di momento in momento, si stesse arrivando ad una tragedia. Devo darmi una spiegazione perchè così dovrei pensare ad una mente seriamente malata , la mia a tredici anni. Perdona la precisazione, è difficile questo lavoro partito con l'intendo di ritrovare contatto con quelle isole felici della mia lunga e non proprio lineare infanzia. E' come una passeggiata lungo un fiume, vedere in rassegna i ricordi così come affiorano e senza sequenza precisamente ordinata. Si dà il caso che vicino vi scorrono le acque del tuo fiume, a volte ci sono dei ponticelli, altre volta l'acqua dell'una si mescola con quella dell'altra. Altre volte dalla mia parte i massi sono in luce, ma dalla tua in cupa ombra e viceversa. A tratti sta emergendo il nero della nostra interazione e dei nostri conflitti taciuti o inconosciuti. Ci si sforza di farlo scorrere entro gli argini, ai primi segni di straripamento mi sono fermata. Se dovesse essere necessario mi fermerò più a lungo per guardare nel modo più giusto dentro me stessa. So che dall'altra parte è pure così.
Buona serata a tutti

diamantea 15-01-2011 23.11.46

Sarà sicuramente come dici tu, c'era gente in acqua, poi se non l'ha capito il genitore adulto a maggior ragione potevi non averlo capito tu che tutto sommato i 13 anni di allora non sono come quelli di ora, si era più ingenui su tutto. I ragazzi si distraggono facilmente, e poi eri veramente convinta che pure io toccassi quindi non ti sarai posta il problema magari nuotando più in là, non eri la mia balia, c'erano gli adulti a vegliare su di me.

E' vero che i nostri fiumi si intersecano ma non c'è motivo di entrare in conflitto, sono sempre io a straripare, mi dispiace. Vedrò di far pascolare i miei ricordi in altre praterie. fiori.gif

webetina 16-01-2011 00.41.37

Citazione:

Originalmente inviato da diamantea (Messaggio 95574)
E' vero che i nostri fiumi si intersecano ma non c'è motivo di entrare in conflitto, sono sempre io a straripare, mi dispiace. Vedrò di far pascolare i miei ricordi in altre praterie. fiori.gif

Il conflitto è inevitabile e riguarda la importanza che si dà ai ricordi, forse chiedo troppo a te, ci sono rimasta assai male dell'episodio, turbata con me stessa, e nemmeno mi ricordavo. E' chiaro che scrivendo i miei ricordi affiorino anche i tuoi, ma non ho detto che devi pascolare in altri prati, significherebbe che non leggeresti ciò che scrivo, non vorrei che fosse così. Oppure che tu dovresti reprimere. Finora è stato scorrevole, ora una piegatina alle mie ginocchia. Vorrà dire che mi fermerò di nuovo per raddrizzarmi e capire cose cos'è che me le ha piegate.

webetina 17-01-2011 10.53.32

Le gambe si piegano perchè è duro accettare il male che sta dentro di noi, sia il male che abbiamo scampato sia quello quello a causa del quale potevamo far morire qualcuno. Nel momento in cui si riflette su questo, l'acqua del fiume diventa torbida, offusca tutto il resto, l'entusiasmo di raccontare di se va tutto a rotoli, e ci vuole uno sforzo per pensare che il male alla fine non ha vinto, specialmente quello che ci appartiene, tra pericoli e gioie si è vissuta la vita, e siamo ancora quì a raccontarcene altra davvero. Meno male che Tea sia ancora quì abbraccio: nel tempo divenuta così dolce e timidaicon_mrgr:.

:er::er:Quando si andava in macchina per un breve viaggio o una gita in montagna, noi figli, seduti dietro, accadeva che ci si imbalsamava, in modo spontaneo. Non so cosa fosse, magari il movimento sulle ruote, oppure il vedere le cose che scorrevano. Non so le mie vicine di sedile cosa facessero, a me accadeva che mi perdevo nell'osservare le case vecchie non più abitate che scorrevano veloci.
Premetto che oggi come allora, girando per le città della Sicilia, i paesi, i litorali, se ci si allontana appena un pò dai loro centri, cominciano ad esserci porte chiuse, cortili con ciuffi di erba incolta. Ma può succedere anche nel centro storico coi palazzi di fine ottocento più antichi, che qualcuno di questi sia chiuso da tempo, spesso il restauro costa troppo al privato che lo ha ereditato. A Troina , un paese in provincia di Enna , proprio nell'entroterra, il comune regala le case delle vie del centro storico architettonicamente interessante, a patto che le si restauri. Isola paradisiaca per la pace e la maggiore semplicità che vi regna. Paesi vivibilissimi se si ha un lavoro, a misura d'uomo, che vanno scomparendo anche al sud. Non esiste lì nemmeno mala gente, la economia però è ferma e quelle case pur belle sono ancora chiuse da tanto tempo, nessuno ha voglia di investire lì. Un mio caro amico che vi è nato, compagno di liceo, oggi fa l'architetto, i suoi per molti anni all'estero, e lui stesso da studente per anni a Firenze, eppure lavora per metà settimana nella mia cittadina e poi nell'altra metà completa i lavori passandola con la famiglia proprio in questo paesino, sempre con l'idea di far trasferire moglie e figli nella nostra costa più ricca e più vivace per la sua professione, mi dice che preferisce farsi tutta quella strada il sabato, ma non ha il coraggio di togliere ancora i due figli ragazzi da quella tranquillità e serenità, senza droga, senza molti altri pericoli, delinquenza compresa, con un paesaggio pressochè incontaminato. Il loro futuro economico purtroppo è probabile che non venga assicurato lì.
Dicevo delle case di campagna abbandonate non appena ci si allontana pochi chiilometri dalla costa. Si alternano a nuove case, o a villette che la gente ha preferito costruire a mano a mano che è sparito quasi del tutto il contadino che ovunque abitava appena fuori dalle città e nei tanti paesini sotto l'Etna, e in condizione molto modeste anche quando stavano discretamente bene.
Senza che me ne accorga i miei occhi anticipano di pochi istanti il loro scorrere, e allungano lo sguardo fino a vederle scomparire tra il verde anch'esso incolto che le separa. A volte sono una attaccata all'altra, ma in periferia è piu difficile, da noi subito è campagna.
Facendo strada rapidamente in macchina, sono pochi secondi, rapide sequenze che nella mia mente formano una sola scena, la vita che fu delle persone nel cuore di quelle case.
Costruzioni modeste, una sola porta sulla strada o sul cortile antistante, a volte due, con gli stipiti in pietra lavica scura, sempre dignitosa e lucente, con gli archi scolpiti a mano nelle dure cave da personaggi che li ho sempre visti come fare un tuttuno con la loro pietra, forti e resistenti, un lavoro meditativo si dice, che ti assorda, eppure oggi chi lo ha, non lo lascia questo lavoro. Quasi sempre sono anche proprietari delle piccole cave, la lava ne ha regalate tante nei secoli, quando arrivava fino amare, non è necessario scavare troppo in altro per averle. E poi quella sorta di sogno finisce sempre nello stesso modo, risistemo con la mia immaginazione ogni locale, ogni stanza, ridipingo l'esterno. Farle rivivere appaga un ideale di focolare, dove ci sia sempre calore, il profumo casalingo e ogni cosa rinnovata se non nuova. Questo oggi ancora, ma con una differenza rispetto a quelle escursioni in macchina con papà, ragazzina immaginavo di viverle così come erano,le avrei spazzate e pulite; immaginavo un giaciglio, le cose essenziali per una cucina, la legna e basta. La vita povera della campagna mi attirava tantissimo, tanto non l'avevo vissuta. L'essenziale, era il mio ideale, quasi significasse la sopravvivenza. Come era possibile, a casa avevo molte più cose, le comodità, il pavimento levigato. Perchè quel rifugio povero, e antico mi attraeva cosi tanto e sento che non riesco nemmeno a descriverlo quanto? e ci lasciavo gli occhi e il cuore passandovi davanti. E quanto doveva invece essere stato duro viverci veramente per chi ormai magari non era più. Non sopportavo di vedere una casa inutilizzata, mi sembrava un peccato vedere quelle mura svuotate da ogni forma di vita, gli usci spalancati e i tetti spesso crollati, in pochi secondi aggiustavo quei tetti. Per me la casa era la cosa più importante, per questo ne costruivo di ogni tipo, con ogni cosa che era adatta allo scopo. La casa dentro la casa, sopra l'albero, in terrazzo, con le tende al mare, e ovunque si potesse fare quadrato sopra le noste teste. Era nei miei pensieri sempre, come nido, rifugio, protezione; e il calore del fuoco acceso non doveva mai mancare. Nel mio immaginario la casa era col camino e con la cucina a legna innanzitutto. La casa era sempre presente nei miei disegni, fin dai primi, e sempre uguale; la staccionata, l'albero che fa ombra sul tetto, il canile col cane dentro, i monti dietro e il sole in alto. Il fiume anche , più in là dalla casa, che scorreva nel prato.

Pensare al contenuto di questo scritto è stato l'unico modo per fare reset, non è da me scrivere senza passione, non sempre vi si può attingere, forse è giusto così...Buona settimana.

webetina 18-01-2011 03.41.02

Ho avuto tanto tempo per imparare e anche tante opportunità, ma non sempre le ho sapute cogliere, anzi ne ho colte pochissime. La mia mente è stata troppo occupata a sognare. Infondo lo stupido è felice, ed io ho voluto esserlo ad ogni costo. C'è un prezzo da pagare, ho vissuto il paradiso della terra, ora vorrei anche quello del cielo, ma non trovo l'intelligenza per riconquistarlo.


:er::er:Un capitolo a parte meritano le nuvole. Centra ancora il paesaggio in cui sono stata sempre immersa. Ci sono giorni in cui per via delle nuvole , dopo che il temporale è andato via, il cielo è uno spettacolo: il sole, le varie sfumature dell'azzurro, e la nitidezza. In questi giorni dell'anno che sono soprattutto nelle mezze stagioni, un tempo, fino a quando ebbi fede, immancabilmente mi accadeva una cosa, immaginavo al di sopra di quelle nuvole bianchissime, anzi poggiata su di esse, la sede del paradiso dei santi. In particolare una immagine mi stordiva, la Madonna seduta come in un trono, che parla con gli Arcangeli, come in una scena di Leonardo nell'Annunciazione. Non credo che prima del liceo io avessi consapevolezza delle figure religiose così come l'hanno dipinta i grandi maestri, sarà accaduto che invece le immagini delle cupole affrescate, i dipinti delle chiese, avevano già creato dentro la mia mente quegli scenari, e poi io li riconobbi meglio vedendoli nei libri.
La Madonna era enorme, serena, maestosa, seduta con gli ampi panneggi dai quali spuntava il piede. Il manto celeste, e lo sguardo chino sulla terra, oppure rivolto agli angeli con i quali parlava. Come se abitassero semplicemente al piano di sopra. Io immaginavo che fossero sempre li, maxi figure celestiali che ci proteggevano, che svolgevano la loro paradisiaca vita senza sforzi, ne dolori, sempre sereni. Immaginavo che ridessero, anzi che sorridessero. Non mi chiedevo cosa ci fosse nelle nuvole degli altri cieli, in quello di Parigi o altri, il mio era un piccolo mondo. Abitavano proprio sopra di me. A volte parlavo con loro, mi sdraiavo sull 'erba della casa nuova, negli intervalli tra una battaglia a l'altra dei mie cari mamy e papy, quando c'era un pò di serenità, e mi godevo questi spettacoli sognando ad occhi aperti,e come sempre non ero mai sola, ma era come se lo fossi in quei momenti. Sembra quasi stupido, ma era un rifugio miracoloso, nessuno poteva sentirsi più forte di me, sapevo esattamente dove era il Paradiso, quello vero, che non veniva mai turbato dal male, e se morivo, sapevo dove sarei andata. La mia fiducia nell'aldilà era forte, la mia forza, pur messa in ginocchio dalle offese che una ragazza come me poteva già aver subito, era veramente grande. Il paradiso è per me il premio anticipato di ha la fede, non quello finale, ed io ne avevo molta di fede, posso dirlo con certezza. La certezza che lo avrai è di per se qualcosa che ti fa vivere tutte le cose e le difficoltà con un altro significato. Lo capisci quando lo perdi, e nel titolo già l'ho detto che io l'ho perso. Ho già scritto da qualche parte: una perdita senza rimpiazzo. E' stupido, è banale, ma non lo ritengo irrispettoso, è solo un esempio, è come quando si smette di fumare, potrai ricorrere ai sostitutivi, alle caramelle, alle passeggiate, ma nessuna cosa potrà mai dare lo stesso piacere.
Non dico che il paradiso era una droga per me, a differenza del fumo che ti mantiene sedato, la fiducia nell'aldilà mi manteneva sveglia e carica.

.........

webetina 18-01-2011 10.56.55

Non è che io l'abbia perso in un colpo il Paradiso Celeste, e questa calamità non accadde per traumi o incidenti che ad ogni persona possono capitare, quello a volte può magari rafforzare la fede. Fu una perdita lenta e inesorabile che cercai di combattere con tutte le forze alle quali mi era possibile attingere. Un crisi religiosa che durò dieci anni, in cui ebbe un ruolo decisivo prima la morte della guida assegnatami, l'arciprete che conobbi poco ma che sicuramente avrebbe forgiato meglio la mia fede, secondo il succedere a lui per farne le veci sulla mia persona, la sigorina R. Ho solo descritto il primo incontro, quando mentii, ma non è detto che egli non avrebbe col tempo scoperto il mio lato fifone, la bugia, il volere estraniarmi col sogno. Molte ragazze che lui seguì oggi solo delle donne serene e realizzate. Purtroppo la sua pupilla, la ragazza più grande che lo seguiva e lo amava di più ,aveva in se il mostro della passione per la redenzione altrui, e quando fu senza guida la perpetrò senza la bellezza del vero amore, che accetta le differenze, rispetta quanto meno le idee degli altri, e non sottopone l'accettazione prettamente umana a quella spirituale dell'altro. Un mussulmano se stava morendo, andava salvato ma senza tregua poi inseguito perchè si convertisse. Era un esempio, io fui inseguita per tanti anni da lei, mi aveva preso di mira, mia madre gliene aveva dato a sua tempo il compito. La sua guardia si alzò nei miei confronti quando mi fidanzai, il sesso era peccato, e la nostra frequentazione finì quando ruppi il mio matrimonio, non riusciva ad amarmi, anche solo a chiedermi come stavo, se non a patto che ritornassi sui miei passi. Per me questo fu follia e tradimento.
Infondo ero riuscita in quegli anni della adolescenza a trarre beneficio dalla religione, dall'ambiente cattolico attivista. Mi ero sentita appartenere ad una famiglia forte, mai litigiosa, c'erano i momenti magici della messa sentita col cuore, delle escursioni nella campagna della signorina R che amava moltissimo divertirsi, l'arciprete aveva detto che era lecito farlo, ma non so in che modo le avesse trasmesso che l'importante era tenere a mente lo scopo dello stare insieme, il servizio nella fede. Non era una specie di suora, poi di sposò. Si diceva che nella quaresima gli sposi non si toccavano, si parlava della bellezza della rinuncia, della unione ai fini della procreazione, e tutto questo mi andò bene finchè ero lontana dal vivere tutto ciò, non erano problemi miei dopo tutto, però la sera , a volte ci pensavo a come facevano a stare separati marito e moglie per cosi tanto tempo prima della Pascqua. Questa cosa mi turbava solo quando fui più grande però, una volta conosciuta la natura delle pulsioni. Un pò mi angosciava e forse il gigante della repressione mi appariva in tutta la sua gravità. Ma sicuramente era il modo in cui venivano dette le cose che mi rendeva nemico magari ciò che molti cristiani osservanti avranno felicemente accettato, vedendoci la bontà del sapere rinunciare. Con l'immane perdita c'entra la repressione, centra la rigidità ideologica quando sconfinò nella lotta all'umano, centra lo studio delle scienze...


Adesso non ho più tempo, ne troverò ancora.

webetina 19-01-2011 10.17.19

Credo di essere andata troppo avanti, ciò rende discontinuo questo scritto, e per una volta non voglio fare le cose con fretta come ormai sono abituata a fare, ciò non è caratteristica dei paradisi riflettevo. C'è un disegno dentro questo lavoro, che è quello di ritrovare i tempi e i luoghi che mi videro un essere più naturale di oggi, e man mano che lo faccio devo dire che il risultato non è quello che mi aspettavo, capire come sono cambiata, sembra ne stia ricevendo a sorpresa che in effetti potrei accontentarmi di quel pozzo di monete d'oro su cui ho affondato le mani così a lungo. E prendendone piena consapevolezza potrei anche abbandonare questa nostalgia così pervasiva che vi scorgo da un certo punto in poi del racconto.
Sento la necessità un attimo di precisare che se da ragazzina pensavo davvero che l'aldilà fosse sopra le nuvole, poi crescendo sapevo comunque che lassù non c' èra nessuno. Solo che a volte contattare quelle immagini mi era necessario, mi faceva stare bene. Non vorrei si pensasse che la mia mente abbia solo del grottesco. E precisata la cosa confesso che quando la prima volta su un aereo mi trovai ad alta quota, ci feci caso sorridendo tra me e me che era disabitato, e malgrado lo sapessi ormai da tanto, mi sembrò vuoto lo stesso, era la conferma che tutta la materia è come le cipolle, lamina su lamina se le separiamo non resta niente.
Sintonizzarmi su immagini o scene evidentemente avrà avuto uno scopo importante, e se si volesse dire che ciò fosse un non stare coi piedi per terra, paradossalmente per me vivere senza immagini da sogno ha significato stare nel vuoto invece; la materia così com'è mi appare abbastanza priva di significato! E quì credo stia l'inghippo del mio perenne turbamento. Ma ritorno a dire che vorrei potermi rilassare accettando che non posso più tornare indietro, e convincermi sinceramente che le cose che ho anche adesso sono bastevoli se solo li vedessi da altre angolazioni.


La famosa casa in cui vissi dai dodici ai quindici anni fu un isola felice che mi vide anche diventare donnina di casa anche se con inevitabili incidenti di percorso...

Per rendere una idea meno frammentata dopo essere saltata di palo in frasca, potrei un attimo riassumere.

In piena adolescenza, in pieno boom economico, in una cittadina che si stava svegliando culturalmente col fiorire di scuole e istituti superiori, appena uscita dagli anni dell'infanzia intensamente vissuta tra due case, e con due nonne che nella stessa giornata mi davano stimoli ed educazione diversa, quella casa rappresentò la "mia" prima vera casa . A due passi da tutto, dal Duomo, potei continuare a godere del gioco con le mie sorelle, ma anche dei tanti contatti con i compagni di scuola e coi ragazzi che aderivano al lavoro e alla formazione parrocchiale. Avevo un fratello più grande che portava novità dal mondo maschile che diventava meno balordo di quanto non lo fosse stato quello della generazione di mio padre, quando se passava una donna gli dovevano dire necessariamente qualcosa dietro, cosa che odiavo tanto negli adulti, o, dovevano considerare, sempre la donna, tre gradini più in basso, e questa a sua volta li cresceva con l'idea della superiorità rispetto alle figlie. Una parità dei sessi io già la sentivo, anche se bla bla nel lavoro ancora oggi...
C'era tutto nella mia giovane esistenza, riprendevo i giochi da bambini, le comari, guardavamo la tv, scendevamo in cortile, andavamo giù in strada coi compagni e le vicine, lasciavo a casa custodite dalla nonna le mie sorelle quando andavo in parrocchia, c'erano piccole commissioni per la nonna, studiavo, sperimentavo nuovo modi per possedere quella casa, cucinavo cose per noi tre, cucivo già molte cose per diletto. Avevo molti doveri ma mi facevo anche molto i fatti miei, e su questo ero assai brava.

webetina 21-01-2011 16.02.50

Sicuramente il tempo amavo di più passarlo creando situazioni emozionanti, entrando e uscendo dai ruoli, recitando nelle vesti dei grandi, dove vi era movimento del corpo, ed emozioni date dalle vicende simulate con i ruoli stessi. Ebbi però anche modo di sviluppare l'attitudine alla manualità, dove più che altro è la mente creativa che lavora, aiutata dallo strumento. Fin da piccola, come accennavo, era stato doveroso imparare a ricamare, anche se bene non lo
feci mai, era un lavoro seccante per me, ci voleva troppo tempo per ottenere qualcosa di finito, io avevo fretta di vedere i risultati. Mi venne invece più simpatico da subito il cucito. Lo facevo per le bambole e ciò dava uno scopo ed una soddisfazione più immediati. Amavo tagliare e cucire i modelli sul letto della nonna, mentre lei ricamava nella stessa stanza. Le prime camicie furono un pezzetto di stoffa con due buchi per le braccia, e la gonnellina era anch'essa un pezzo di stoffa rotondo col buco in mezzo. Avrò avuto quattro anni, e non tenevo l'ago in mano. La nonna non voleva lasciassi le forbici sul letto, portava male, ma non mi riusciva di ricordarmelo sempre, e lei mi sgridava severamente, era una ossessione quel suo divieto perchè poggiare tutto sul letto significava per me che ero poco alta avere tutto sottomano, una buona visione d'insieme, e mi veniva meglio a prendere le cose.
La passione per il vestire le bambole fu coltivata fino
all'inverosimile. Il primo ricordo che ho di mia madre fu di lei che cambiava proprio in quel letto dove dormivo con la nonna, la piccola neonata. Ve la adagiò, le cambiò il pannolino e la sistemò con cura tirando per bene sulle gambine il vestito al fine di coprirla, una scena che ancora ho negli occhi, in tutta la sua dolcezza, e chissà cosa provai in quel momento...E poi era un continuum quella fila di panni vari, bianchi e colorati, che stavano appesi in ogni cortile, nei balconi e, dentro casa d'inverno, nel cerchio di legno sopra il braciere.
I panni erano una cosa onnipresente, in tutte le case, e forse ciò mi spingeva a crearne di continuo, come se fossero nel piano della sopravvivenza stessa. Ma quella scena di mia madre china sul quel fagottino delicato con la sciarpa rosa e le scarpette di lana in tinta coi fiocchetti, fu una visione che probabilmente accese molte cose in me.
Continuo... Fu una conquista bellissima, quando mi venne insegnato come dare la forma delle spalle al vestitino della mia bambola. Per fortuna che la nonna era anche sarta, perchè furono davvero una grande risorsa tutti vari ritagli colorati. Se per caso le si liberava un rocchetto di legno, lasciavo tutto e in un attimo lo mettevo a mò di tacco sotto la
mia ciabattina, col chiodo; avrò avuto otto anni per questo, e giravo per un giorno intero in quell'esercizio di equilibrio, e poi avanti con altra materia! Tenevo tutto sott'occhio per creare, per inscenare, in modo incessante, senza mai stancarmi, e mi scocciava che si dovesse mangiare, tanto che un giorno mia madre scoprì che mentivo dicendo che avevo preso qualcosa dalla nonna, mentre alla nonna dicevo che avevo mangiato con le mie sorelle. Mi pescò sola dentro il cortile, aspettavo che le compagnette scendessero a giocare subito dopo il loro pranzo, mi prese come una pupattola e mi sbattè con rabbia contro il cancello facendomi uscire anche sangue da dietro i capelli, un piccolo rivolo, mi urlò " se lo fai ancora ti ammazzo". Un unico episodio, ma convincente devo dire, avevo torto marcio e lo sapevo. Se devo dire cosa provo mentre lo scrivo posso affermare di avere contattato un grande sentimento di passione, le mie idee e la mia spinta a realizzarle erano una fonte inesauribile di piacere, il paradiso stava dentro di me.
Ho appena descritto le ore che passavo quando non andavo dall'altra nonna dalle mie sorelle, ore passate con me stessa, in silenzio a giocare da sola, e visto che sono tornata indietro in quella infanzia, vorrei descrivere qualcosa di magico che ancora oggi a pensarla non so perchè mi fa venire le lacrime.
Ho già detto che dalla nonna P c'erano dei doveri fastidiosi, le piccole faccende di casa, ma ce n'era uno di compito che mi impegnava particolarmente in estate quasi ogni giorno, quello di annaffiare i fiori. Centinaia di vasi, alla quale era attaccatissima, anche a quelli insignificanti, e l'unica bastonata che assaggiai fu perchè nel correre ne feci rovesciare una giù dal muretto all'ennesima volta che la nonna mia avvertiva di stare attenta.
Quindi erano due le cose o mi tagliavo le vene, oppure facevo di necessità virtù, mi riuscii la seconda. Prima di essere libera di andare in strada, col tubo dell'acqua dovevo bagnare, ma fino all'orlo, ogni vaso, a girare per tutta la terrazza, e la pressione era modesta. Al fine mi ritrovavo a terra all'altezza delle piante come i gerani, la gardenia, la campanella, la pittura, le tuberose, le begonie, una infiorescenza detta "ceci con la pasta", ect ect...e a volte proprio distesa vicino a un gruppi di fiori, persa a guardare ciò che accadeva man mano che l'acqua inondava la superficie di terra dentro il vaso,ed era interessante la vita che prendeva movimento davanti ai miei occhi. Tanti fili d'era che ondeggiavano, foglioline secche che galleggiavano,
il tronco della pianta che vedevo come un albero, pietruzze che rendevano mossa la terra.
Il tremolio più interessante era quello delle piantine erbacee con il piccolo fiore, che vedevo sparire sotto l'acqua e poi riemergevano, ecco lì io mi incantavo... entravo in quel pezzo di vita e cominciavo a dialogare con tutte queste figurine che per me erano persone. Signore e signorine per lo più, con i quali allungavo lunghi monologhi, io facevo le domande ed essi mi rispondevano, sempre io, e cambiavo tono, e
ammiravo la loro linea sinuosa, i loro indimenticabili delicati colori, i singoli petali in miniatura. Un miracolo che io potessi godermi così quella ora, e a volte anche se mi seccavo ad ogni inizio, poi mi rassegnavo e mi perdevo in quei sentimenti così pregnanti verso quella materia naturale che mi offriva quello che infondo doveva essere un obbligo. Io amavo tutte quelle esili piantine di ogni tonalità del verde, erano tutte amiche mie!
Per molti anni anche dopo le piante hanno avuto il potere di stregarmi, e ancora oggi un albero è molto di più di quello che sembra, per me. Chiudo quì per ora, mi sono persa abbastanza, tutti i sensi venivano invasi, era buono l'odore di erba, di terra bagnata, anche quello del tubo di plastica riscaldato dal sole mentre vi arriva l'acqua, un autentico paradiso che scusate non potevo tralasciare..

webetina 25-01-2011 20.56.18

Ricordare mi fa vedere meglio come e perchè ero capace di vivere intensamente: perchè mi era stato concesso il tempo di farlo, perchè ero bimba, perchè le nonne sono più adatte ad allevare rispetto alle mamme, alle quali i figli dovrebbero essere riconsegnate non prima della maggiore età o mai. Mio figlio fu felice quando viveva suo nonno, dopo non gli fu concesso nessuno che avesse più la stessa dedizione e complicità. Una madre come potrebbe essere se stessa in questo mondo occidentale in cui deve fare anche molto altro?
La mia voleva fare altro, io stessa ho voluto fare altro e tanto altro avrei voluto realizzare. Potrei comprendere mio padre infondo se diceva che la donna doveva stare a casa, e il marito a lavorare. Ma a casa proprio sempre, aggiungo io, perchè se facciamo loro aprire la mente è chiaro che si sentiranno punite solo nel ruolo di moglie o di madre. E' la mia esperienza questa.
Sarei passata gradualmente dal gioco ad un comportamento e ai pensieri di un' adulta, ne sono convinta. Avevo bisogno del mio tempo, avevo molto da trasformare, certi passaggi poi furono forzati, ormai è passato e ringrazio comunque la vita che oggi mi sta restituendo un pò il sonno e la sensazione che almeno di notte ci sia tregua. Ho penato molti anni con la mente rimasta chissà dove, un pezzo là, un pezzo quì, ma il ricordare adesso tutte le occasioni intense nelle quali ero me stessa ho idea che mi aiuterà a distaccarmi dalle molte pretese rimaste senza risposta dentro di me. Vorrei potermi finalmente accontentare di ciò che mi rimane, chiedo solo di dormire la notte, per non impazzire, sto cercando la strada per dare riposo al mio essere, e stasera mi dico che l'essere potrebbe riposare se molla la lotta, se si decide a lasciare andare tutto ciò che si vuol trattenere.
Eppure qualcosa accade, così potrò pensare che un giorno sarà gusto che io muoia, come tutti.

:er::er:Il mio primo giorno di scuola media coincise con l'inaugurazione dell'stituto stesso, finalmente un immobile nato per lo scopo, a forma di U con le aiuole al centro , una bella ampia hall e la palestra con tutte le attrezzature. Non fu un vero e proprio paradiso, ma cose belle ne passai molte.
La pecca del mio imprinting a scuola si vide subito, non ero abituata a studiare il tempo che ci voleva, a casa. Alle Elementari la maestra mi aveva molto viziata, forse le facevo simpatia, è vero spiccavo come intelligenza e vivacità, apprendevo velocemente e la seguivo nelle ore che stavamo in classe, ma poi difficilmente prendevo i libri a casa, i compiti li facevo nei ritagli in classe. Anzi in effetti la storia la studiavo di pomeriggio, ma avevo tutte le fortune, infatti due sorelle già signorine facevano il lavoro per me, leggevano, mi raccontavano, mi facevano ripetere; il tutto mentre giocavo coi loro capelli lunghi, o mentre mi dondolavano e mi spupazzavano. Ho già detto che non mi erano concessi i capelli lunghi, loro li avevano lisci e fin sotto la schiena, ed io li raccoglievo, mi mettevo allo specchio, li sistemavo attorno al mio viso e guardavo come sarei stata.
Era comunque una piccola cosa in quel momento, avevo molti altri motivi per essere felice.
Con loro passai tanti pomeriggi a chiacchierare, mi insegnavano molte cose, le guardavo strapparsi i peli dalle gambe con la pinzetta dopo essersi tirate quelle delle sopracciglia, cosa questa che mi sconvolgeva; stavamo ore sui gradini della scala ed io accovacciata guardavo i loro visi per alleggerire quasi quell'autotortura... Era un piccolo chiodo però, l'idea che un giorno avrei dovuto farlo anche io che non amavo per nulla il dolore! Contavo gli anni che mi separavano dal dovere a mia volta imitarle e mi preoccupavo al pensiero che passassero in fretta; per questo e per tante altre cose.
Dicevo la scuola media, tutto un altro mondo, le compagne più mature, più alte, era l'età dello sviluppo, io mi formai molto presto, non divenni alta. All'esterno era formata, ma dentro ero molto bambina. L'impatto non fu dei più rosei, una classe mista e i maschi ripetenti aumentavano le difficoltà. Irriverenti e maliziosi, mi prendevano in giro per le mie battute ingenue, per la mia reattività nei loro confronti. Nella classe c'erano ragazze già con esperienze da adulte, io non lo capivo., e non è che non avessi certi pensieri verso il genere maschile, ma era al di là da venire un istinto che si potesse concretizzare in flirt, a parte che c'era anche un divieto molto forte dentro di me, che provenia dalla Chiesa, dalla signina R, da mio padre, da mia madre, eccetto che dalla nonna delle favole.
Mi divertivo lo stesso con le compagne, ci si riuniva a casa di qualcuno a turno, dovetti imparare a studiare sui libri. Da che ero asso della classe per la maestra da che mi ritrovai non dico in difficoltà , ma la frustrazione dei voti appena sufficienti me la presi al primo compito in classe. Rimasi sorpresa, contrariata, cosa era successo? perchè adesso non ero più nessuno? perchè molti altri mi superavano? Non mi sentivo felice di questo, mi crollava un pò il mondo addosso. Non mi sentii mai bene adattata in quella scuola, ci stavo male, il paradiso cominciava a restringere i suoi confini. Mi entusiasmavano solo le ore di musica e quelle in palestra dove davo il meglio di me stessa.
Un grande ricordo, uno solo che vale tutti quei tre anni: il saggio di danza in seconda media. Mia madre ebbe un gesto di generosità per me. Ero stata selezionata proprio dalle mie insegnanti preferite, ma allora che non era come oggi, il problema era se le mamme erano disposte a comprarci un tutù e completo di scarpette! Tornai a casa col cuore in gola, la mia disse di sì , e mi fece felice come non posso descrivere. Nero con un giro di rafia gialla in vita e qualcosa in testa mi sembrò stupendo. Tra la danza e la ginnastica ci muovevamo sulle note di qualcosa che seguì l'inno Alla Gioia, di cui purtroppo non ricordo più il nome. Per tanto tempo, fino a che non fu logoro usai quel tutù insieme alle mie sorelle, nella casa del paradiso, ogni volta che mi veniva l'esigenza di rivivere quei dieci minuti tra i più belli in assoluto della mia vita, e ricordo che negli istanti prima di uscire in pubblico io fui consapevole di quella felicità e del fatto che me lo sarei ricordato per sempre.
Mi è adesso venuta in mente una scena del film "Lezioni di piano" , la bambina che saltella incurante degli altri , sotto la pioggia, con grandi ali piumate. Ero veramente persa in un mondo irreale che ritrovavo intatto tornando dalla scuola a casa con nonna e le mie sorelle...


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