Lo sforzo cosciente
Da tutte le discipline e tradizioni esoteriche emerge la centrale importanza dello sforzo cosciente nella crescita spirituale. Lo chiamo “sforzo cosciente” stile Gurdj ma, magari con altri nomi, è richiesto in qualsiasi cammino. Se ci pensiamo la cosa vale anche per le discipline non esoteriche, qualora si desideri fare qualcosa seriamente... dallo sport, allo studio all'arte. Senza uno sforzo, anzi una serie ripetuta di sforzi coscienti, si ottiene solo quel poco (termine relativo) che esce dalla prima spremitura dei propri talenti (parabola quella dei talenti che può essere letta proprio in questa chiave)... che può anche essere gustoso, ma bastevole solo per chi si accontenta.
Ma cosa vuol dire “fare sforzi coscienti”? All'inizio (e anche alla fine), a mio avviso, il parametro di riferimento può essere una formuletta tipo “ho fatto davvero tutto quello che potevo? Sto facendo realmente il massimo che posso”? Non sto dicendo che si debba sapere fin da subito quale sia il migliore investimento per i propri talenti (quello ce lo dirà l'esperienza) ma, un po' come la faccenda del leone, che si deve chiedersi se li si sta investendo tutti o se, almeno in parte, si sta tirando il c..o indietro. Bon, siccome la pratica val più della grammatica, senza qualche esempio credo che da sto discorso si possa capire qualsiasi cosa, soprattutto quel che fa più comodo. Inoltre se ci si limita a porsi la domandina si ottiene si che la coscienza morda, ma non è detto che si riesca anche a darsi soluzioni. Anzi da soli è estremamente difficile, se non quasi impossibile, rendersi conto di tutti gli aspetti del “sto facendo il massimo?”. Si può magari vederlo bene per alcune cose ma poi c'è da trasportare per analogia in tutti gli aspetti dell'esistenza. Per esempio qualcuno può rendersi conto che non sta facendo tutto quello che è in suo potere affinché i suoi rapporti personali affettivi vadano bene, ma magari non vede che si sta risparmiando ancora di più su altro, tipo il lavoro (minuscolo), perchè magari il parametro risultati lo imbroglia (qui si apre un altro discorso... il parametro risultati dello sforzo in realtà dovrebbe sparire). Viceversa qualcun altro si può trovare in situazione opposta o anche in tutt'altra situazione. Da un punto di vista diciamo fisico fare sforzi coscienti significa mantenersi sempre ad un livello di stress misurato. Misurato in quanto cosciente. Lo stress che fa male, il “grande nemico” della società occidentale moderna, fa male perchè è indotto e subito e quindi ad esso si oppone una resistenza automatica di cui non ci si rende conto (quel che chiamiamo stress è il logorio dovuto a quella resistenza). Invece una costante tensione autoprodotta e misurata è indispensabile all' “allungamento” (l'esempio dello stretching può essere forse chiarificante). Ho ridetto misurata... più che misura si tratta di un certo equilibrio con l'ambiente (vedi “equilibrio”) che può essere fonte di stress variabile. Come dire che siamo comunque immersi in un fiume e la corrente che per forza seguiamo è soggetta a variazioni e non possiamo non tenerne conto. Se mi trovo in un tratto dove la corrente è forte, magari perchè mi avvicino ad una cascata, può essere utile fare resistenza alla corrente (ma anche aiutarla... magari si salta oltre la cascata, ma è pericoloso), se invece c'è calma piatta è meglio che nuoto o la corrente non basta a trasportarmi. Da un punto di vista diciamo energetico si tratta di mantenere una certa vibrazione o un certo trend di aumento della stessa. Questo punto di vista è insieme il più e il meno importante. Il più perchè alla fin fine tutto qui sta, il meno perchè anche se non lo si capisce non fa niente, dato che quel che conta è “fare” basta capire il discorso generale... per vibrazioni e roba varia prima o poi qualcosa inizia a chiarificarsi. Mi sa che ho esagerato... un sacco di carne al fuoco e anche sparpagliata (non so quanto risulti chiaro il discorso). Bon, se vi va possiamo cercare di sviluppare i vari punti oltre a quelli che metterete voi... |
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la risposta che mi sono sempre data, è "fare e basta" ... con impegno. che non riesco a quantificare. Non importa se vedi un risultato.. se fai, prima o poi qualcosa vedi. Poi spesso, "dopo" mi sono detta che potevo fare di più, ma non so mica se sia vero.. Citazione:
Più difficile è a mio avviso quando c'è calma piatta, trovare un modo perfare uno sforzo. Lì è esclusivamente interno, non c'è nulla di esterno che agisce, ma sono io che devo procurarmi lo stress.. o shock |
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Siccome ognuno di noi ha un linguaggio (e non intendo linguistico), mi rimane più congeniale parlare in termine di repressione oppure annessione (non mi viene il termine adatto), cioè se cerco in tutti i costi di sforzarmi lo intendo come una repressione di atti a cui dovrei rinunciare.
Invece se ho risolto quelle che chiamiamo "rinuncie" conosciute anche come vizi o peccati capitali (altrimenti sono andato fuori tema) e poi le annetto o incorporo senza troppo sforzo perchè ne sono convinto e le ho metabolizzate, lo sforzo diviene realizzazione. |
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Però siamo appunto al limite, io non mi preoccuperei di questo... quando abbiamo realmente fatto il meglio che potevamo? Quasi mai... L'accenno sul parametro risultati che deve sparire introduceva un discorso nel discorso. Su mi riferivo al fatto che prendere in considerazione il risultato è probabile che falsi il giudizio sulla necessità di sforzarsi al massimo. Mettiamo che per lavoro faccio una cosa che per riuscire in modo soddisfacente (per esempio per accontentare il datore) mi basti sforzarmi un 10%... la tentazione di dire che va bene così è enorme e si cascherebbe nella logica per la quale il leone dovrebbe misurare il colpo sulla lepre. Quando invece facciamo una cosa mettendoci il massimo il risultato conta poco. Ma in genere, e soprattutto nel Lavoro a mio avviso, si dovrebbe fare per fare... se si fa per il risultato e si valuta quello invece del lavoro ci si dimentica che lo scopo è saper fare e se so fare il risultato sarà automatico a tempo debito (rileggendo non mi sembra chiaro, nel senso che non so se sono d'accordo con me stesso... bon, aspetto di sentire voi) |
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Spesso il sapere o il dare per scontato il risultato può portare all'immobilismo o ad ottenere sempre lo stesso risultato come se già ne fossimo convinti inconsciamente anche se tendiamo al suo contrario.(e quindi non diamo mai il massimo perchè qualcosa dentro di noi se la racconta)
Non so se riesco a spiegarmi se sei convinto dentro che non ce la fai non ce la farai. è questo il blocco che forse facendolo con tutto te stesso senza pensare al risultato, senza giudizio alcuno, ( anche davanti ad una sconfitta) fare e basta, riesci col tempo ad infrangere e di smetterla di accontentarti per godere? |
Ma cosa vuol dire “fare sforzi coscienti”?
finchè non diventa farina del mio sacco.... è sempre uno sforzo....e credo anche dopo... esempio: se devo fare ginnastica....e non nè ho voglia... per mille e un motivo (di solito scuse)... ne trovo una buona e non la faccio..... so comunque di non aver fatto una cosa giusta per me..... (anche le scuse mi mettono davanti a una sorta di ipocrisia...e lo so perfettamente) meglio sarebbe rinunciare senza raccontarsela.... fare...invece.....anche contro la voglia.. perchè sai che la ginnastica serve a te... e mettere al bando la pigrizia...è "sforzo cosciente"? vabbè ginnastica tanto per dire ok? fiori.gif |
Mi viene in mente un tubo con varie parti di esso che sono come strozzate (peccati capitali ?) queste strozzature vanno allargate con lo sforzo cosciente, il calore esercitato allarga ed espande il tubo in quel punto a forza di lavorarlo col calore si allarga e lascia passare un flusso maggiore. Ma sbaglio se dico che però il tubo appena rallento rimette la strozzatura al suo stato originale?
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Se facciamo qualcosa perchè abbiamo "voglia" di farlo che sforzo è? Beh, un po' sforzo può anche essere, per carità, tra l'altro posso anche aver voglia di fare sforzi... ma dura poco di solito. Inoltre c'è un'altra questione: avere voglia spesso implica l'automatismo, perchè quando ho voglia di fare qualcosa mi è più semplice farlo che non farlo. E quindi rischio di dormire pur facendolo (non è detto cmq, è un rischio). Invece lo sforzo vero sta nel fare qualcosa contro "voglia". Penso che tutti ne abbiano fatto esperienza, capita di dover fare qualcosa che non si ha voglia di fare... in questo caso ci sono due scelte: la faccio e ci metto comunque l'anima ("mi faccio venire la voglia") o la faccio e dentro di me continuo ad oppormi (magari ripetendomi che non voglio farlo e continuando a cercare scuse per smettere o se non posso lamentandomi). In questo secondo caso disperdo una quantità enorme di energie... e quindi dormo. Tornando alla cosa del volere... qui si combatte una delle battaglie che facciamo con noi stessi se vogliamo stare svegli. Cosa voglio fare? Voglio fare questa cosa? E allora com'è che non ne ho voglia? Chi è che vuole fare e chi è che non ha voglia? |
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E' chiaro che se la pressione è maggiore passa più roba. Il tubo quando si allarga però fa diminuire la pressione (perchè c'è più spazio) pur restando costante la forza che produce la pressione, quindi più allargo e più devo s-forzare se voglio mantetenre la pressione costante. C'è un'altra questione... più la pressione aumenta più acqua passa ma anche più acqua verrà "tirata" in entrata. Chi più spende più guadagna... |
Avete presente quando si diceva "l'importante è partecipare"?
Il risultato alla fine conta solo per chi non mette tutto se stesso in quella cosa... altrimenti già il fatto stesso di aver fatto il massimo è il più importante risultato ottenibile. Misurarsi con se stessi dunque e non con gli altri. E questo equivale a dare il massimo, a raggiungere il limite... e il limite è appunto una condizione di sforzo/stress, altrimenti sarebbe la normalità e non il limite. Un Carl Lewis può battere senza il minimo sforzo un ragazzetto di 10 anni nella corsa, ma se Carl Lewis decide di misurarsi con Carl Lewis, allora le cose cambiano e può solo raggiungere il suo limite e sperare di spostarlo un po' più in là per "vincere/rsi"... |
Per sfidare o vincere se stessi, bisogna saperlo.
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Lo sforzo servirebbe a rafforzare la volontà. Mettere tutto di noi stessi in qualcosa è secondo me un discorso diverso, altrimenti rischiamo di fare di tutto. Sforzarsi è allenare, educare la volontà.
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Vi richiamo l'attenzione a quella S (esse) che c'è prima di forzo... forza...
Un'altro paradosso? Forzo cioè... faccio imprimendo forza... ma anche come necessario... come un forziere per esempio... ma se ci aggiungo quella S davanti mi forzo a fare qualcosa che potrei evitare. Forzare significa anche rompere... aprire... o costringere verso un'azione... quante apparenti contraddizioni.... 8-) |
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"Un'altro paradosso? Forzo cioè... faccio imprimendo forza... ma anche come necessario... come un forziere per esempio... ma se ci aggiungo quella S davanti mi forzo a fare qualcosa che potrei evitare."
"finchè non diventa farina del mio sacco.... è sempre uno sforzo" come dicevo nel post sopra... nel senso che se ricevo l' impulso dal fuori.. qualunque esso sia...e non lo faccio mio...sarà sepre una forzatura.... rispondendo a Ray..la "voglia" descritta... come sai...è un esempio sciocco che ho fatto...e ripetendo i termini...io voglio fare!! non partecipare...come dice bene Kael...ma pretendere e dare il massimo di quello che ho.....misurandomi innanzitutto con me stessa....con i limiti e le scuse che mi pongo compresa la lentezza...si una bella sfida direi.... |
Lo sforzo è comunque una derivante della "forzatura" e dove mi devo "sforzare" a fare qualcosa non ne ricaverò nulla di buono.
Ci sono situazioni che si è quasi obbligati a portare a termine (pranzo con i parenti per qualche festività comandata, ginnastica per tonificare e far star meglio il fisico...), ma se si vivono come forzature, come già detto sopra (ed in altre discussioni) c'è uno spreco di energie inutili che vanno a debilitarci per nulla. Allenare la mente ad impedirle di viverle come forzature semplifica ed annullla quasi totalmente lo spreco. Anni fa partecipai ad un convegno sulla cristalloterapia, fu fatto un esempio molto particolare per vivere al meglio e più serenamente la vita di tutti i giorni: Appena svegli, quando si è di fronte allo specchio, dirsi con un largo sorriso "quanto sono felice" anche più volte se necessario. La trovai una cosa assai stupida e superficiale, ma amo sperimentare e così provai... Pazzesco, si riesce a far credere alla mente di essere felici quando magari non lo si è per nulla... Perché allora dovrebbe essere diverso? Se non ho voglia di fare qualcosa, posso allenare la mia mente a "volerlo fare con gioia" di modo che lo "sforzo" si trasformi in "volonta" e non vi sia spreco di energie... Pensate sia assurdo? Dimenticavo: Per quanto riguarda il concetto di base della discussione, se è la mia strada.. non vi è sforzo che tenga. La motivazione è il motore che mi spinge alla ricerca. Percui il mio 100% si fraziona maggiormente sugli stati d'animo del momento piuttosto che sul concetto di "sto dando il massimo?" Per capirmi: se sono scocciata.. non riesco a dare il massimo in quel momento (o il mio massimo, ognuno ha il suo "limite" ed il suo metro) anche se il tema trattato o la situazione in cui mi trovo per me è super-interessante/importante... |
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Partendo dal basso, " S "- forzare potrebbe essere inteso nella situazione per cui " vado contro " una determinata forza, ad esempio il caso nel quale seguo la corrente e ad un tratto mi " oppongo" , per l'appunto con lo sforzo, cercando di annullare il normale percorso di questa. Se consideriamo in sintesi lo "sforzo " come un andare contro la " voglia ", poichè come dice Ray avere voglia di fare qualcosa e farla non è sforzo, ossia dirigere un volere altro, questo potrebbe risultare un punto chiave. Si va a rompere uno "schema " che è rappresentato dalla corrente; uno schema al quale molti sono abituati. A questo punto chi "vuole fare ", ed in questo secondo me si evidenzia il saper fare, è colui che vuole rompere lo schema ossia colui il quale, o quella parte di noi, non desidera più essere soggetto a questa gabbia; colui invece che non ne ha voglia di rompere alcunchè è invece la parte che desidera lasciare invariata la situazione: in poche parole meglio lasciarsi trasportare dalla corrente piùttosto che remare contro, piùttosto che operare uno sforzo. Sforzarsi quindi potrebbe essere inteso come operare una forza uguale ed opposta al verso, della corrente, al quale siamo sottoposti o meglio di cui facciamo parte. Ed è per questo verso che si potrebbe, sempre utilizzando il condizionale, identificare lo " sforzo cosciente" sia sotto l'aspetto fisico e sia sotto quello energetico. Il fatto di " volere" andare contro la normale voglia - quale condizione che ci poniamo per fare o non fare una cosa - è gia di per se una presa di coscienza; dire per assurdo che non ce la si fa perchè non si sa fare un compito, o che so...che non si può fare una opposizione alla corrente stessa, è come ricadere nell'ambito di questo schema/corrente secondo me. |
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ci sono volte che non ho voglia di leggere con attenzione un post ad esempio. Ma invece che scorrerlo velocemente, forzo un po' e mi impongo di leggerlo attentamente. Quando non riesco a capire qualcosa, mi s-forzo di farlo, ma per quanto io sforzi, se in quel momento non riesco a comprendere, non c'è verso.. e più mi impunto , più sforzo e meno capisco, e mi stanco, mi si annebbia la mente. In quel momento ho fatto uno sforzo inutile, impiegando energie che avrei potuto impiegare in altro..Poi magari rileggo lo stesso post a distanza di tempo (forzandomi per mantenere l'attenzione, perchè nel frattempo me lo sono dimenticata) e "magicamente" lo capisco. La differenza quindi potrebbe essere che forzare va bene, sforzare è inutile perchè non porta risultati.. impegnarsi a fare qualcosa che non si ha voglia di fare a questo punto pero' non sarebbe più uno sforzo cosciente, ma un forzarsi... e rafforzarsi di conseguenza.nonso.gif |
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ma se mi chiedi se è assurdo devo risponderti di si :H Perchè dovrei accontentarmi di far credere alla mente che sono felice invece che lavorare per esserlo sul serio?? (o almeno tendere alla felicità, che è più sensato) E non mi dire che facendo così poi la mente cambia, si adegua ad un nuovo modello mentale e stupidaggini (non riferito a te... ma a che mette in giro queste cose senza studiare realmente come funziona la mente, intendo chi fa sti corsetti) perchè se hai la forza di costringerti per un periodo abbastanza lungo (ma con una certa forza e costanza.. sul serio insomma) a questo espediente di mascheramento una mattina ti "alzerai" con una tale depressione che neanche con la gru ti tireranno giù dal letto boccaccia: Ad altri in altri termini ho detto che tutto si paga in un modo o in un altro.. il senso è lo stesso Il discorso allenare la mente invece è diverso e sono d'accordo... si dovrebbe fare... si dovrebbe voler fare le cose con gioia e leggerezza... ma non è una cosa che si impara senza una profonda trasformazione di se stessi... (e non solo la mente-ragione) |
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Il tuo esempio è chiarificatore, ma non credo che ci siano sforzi inutili... solo sforzi che non danno il risultato immediatamente (il discorso del parametro che deve sparire...) Se ti sforzi di leggere con attenzione pur senza averne voglia il risultato lo ottieni subito, leggi con attenzione. Se invece ti sforzi di capire lo sforzo va su un meccanismo complesso di cui non controlli tutti gli ingranaggi (è come forzare una ruota che inizia a muovere tutto un sistema) quindi magari solo inneschi qualcosa che ti darà un risultato a suo tempo. Infatti potresti dire che se non avessi fatto lo sforzo di capire la pirma volta (pur senza riuscirvi allora) ti sarebbe stato lo stesso chiaro in un lampo la seconda? Questa faccenda dello sforzo cosciente con risultato a venire, questo in-vestimento forse un po' al buio, credo sia una delle basi del Lavoro... |
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Appena ri-apri gli occhi.... ed il velo-mente scompare altro che gru!!! Ma... la testolina, specialmente quella delle donne, ha sbalzi ormonali non indifferenti. L'ultilizzo della mente-cosciente, allenandola a vedere ciò che è reale e non ciò che è dato da uno stato d'animo puramente fisico.. bè aiuta molto. In psicologia c'è un metodo definito "autosuggestione razionale emotiva" nata in america, qui ha preso poco piede... Si tratta di "abituare" la mente all'eliminazione completa delle doverizzazioni. Esempio: Devo andare al lavoro domani è il classico pensiero che ti abbatte, modificandolo in domani vado al lavoro perde tutto il peso della doverizzazione e diventa più leggero, più piacevole. E qui ci si ricollega al concetto espresso nel thread. Domani devo andare al lavoro sforzo domani vado al lavoro non vi è sforzo - forzatura Devo leggere, devo studiare, devo, devo, devo... Il devo implica uno sforzo, vanno a braccetto. Togli il devo, togli lo sforzo. EDIT chiedo venia se è un po' ingarbugliato ma ho postato di fretta (cosa che odio fare!!!!) |
Qui ha preso poco piede? Ma se siamo tutti autosuggestionati emotivamente?
L'america ha creato un vero e proprio business con le varianti dell'autosuggestione, iniziando dal pensiero positivo degli anni 60 arrivando fino alle ultime tecniche pubblicitarie, un bella fetta del terziario statunitense campa con lo spacciare per tecniche ciò che in realtà avviene e da cui invece bisognerebbe liberarsi, si va dai multilevel più o meno apertamente commerciali (spesso nascondono i veri scopi, ma a volte sono palesi) ad una buona fetta (non dico tutti) dei professionisti della salute mentale arrivando a sette e pseudoconfessioni religiose al cui apice come potenza metterei Scientology. Scusami... ma dirsi "Devo andare al lavoro domani" al posto di "domani vado al lavoro" è comunque cercare di condizionarsi ulteriormente, tieni presente che se la mente non percepisce globalmente (intendo anche corpo etc) un cambiamento il tutto si ferma a livello razionale (per quanto inconscio) e anche l'effetto di "aggiustamento" ormonale che potresti avere per dei limitati periodi poi lo pagheresti. Ti dico una cosa che apparentemente contraddice tutto quello che sto scrivendo da alcuni post... se tu fossi capace di "pensare" (non è proprio pensare, ma per adesso usiamo questo termine) una cosa con forza per un tempo sufficiente al cambiamento in maniera costante senza nessun cedimento e distrazione... ebbene il cambiamento avverrebbe realmente e stabilmente (a meno di un successivo ri-solvimento e coagulazione in altro modo), ma sta di fatto che raramente l'uomo comune è capace di tale cosa, o ci arriva per quello che potremmo definire ultima goccia che fa trabboccare il vaso e limitatamente ad una situazione o ci arriva attraverso un particolare addestramento, via, percorso o come preferisci.. e in quel caso è in grado di applicarlo dove e come vuole. Quindi in realtà non contraddico quello che ho scritto... queste tecniche a livello documentale risalgono ad almeno 4000 anni (India) ma sono sempre esistite, ma estrapolarle dal contesto oggi non è più vantaggioso, cosa che invece è stata necessaria qualche millenio fa per smuovere alcune cose. P.s. tu vedi lo sforzo come qualcosa di negativo... il che poi è la visione occidentale moderna.... e comunque ripeto che quella S da un senso diverso da forzatura.... anche se oggi forzo e sforzo sono messi sullo stesso piano... E comunque che tu dica "devo" o no... se non vivi di rendita devi lavorare.... inoltre devi respirare, devi mangiare, devi muoverti (se stai al letto tutto il giorno fai le piaghe al...) puoi anche togliere mentalmente il "devi" ma attenta a quando scoppierà in qualche altra forma..... In fondo in fondo c'è sempre una mancanza di autoconoscenza... |
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Quindi se si arriva all'autoconoscenza non ci sarà più il vedere per dire il lavoro ogni tanto come un peso, ma come una gioia? Ogni cosa che si fa, di qualunque tipo, parte dalla mia volontà, e quindi viene fatta con serenità? Se tolgo il devo mi sto semplicemente nascondendo? Avevo sentito che un aiuto sarebbe quello di cambiare la parola dovrei con potrei, in modo da alleviare la preoccupazione, ma probabilmente anche questa è una specie di trappola per la mente. |
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D'altra parte il sostituire parole (che poi sono concetti) con altre più piacevoli ma meno centrate non è un passo verso la verità ma nella direzione opposta, quindi certamente non mi avvicino all'autoconoscenza. E' una sostituzione che avviene per preferenza personale, quindi alla fin fine va ad accontentare un'istanza della mente (che mente) che vuole trarre continuamente godimento indebito dal corpo... e può dormire. L'esempio del respirare è estremo ma chiarificatore. Io devo respirare... posso anche raccontarmi che invece posso e che morire di asfissia autoindotta è una mia possibile libera scelta, ma se non è dormire questo... Il pensiero "devo respirare" o "devo lavorare" è la conseguenza di una percezione del reale, una diciamo "logica" conclusione della mia percezione, in prima istanza, del mondo e di me stesso. E' quindi un pensare conseguente al corporeo, che poi è quello che noi chiamiamo pensiero e che siamo in grado, a vari livelli di utilizzare. Diverso è l'utilizzo di quel "pensare" che non è un pensare a cui accennava Uno e che è, diciamo, il ritrovamento, la ri-unificazione di una corrente spirituale che nel piano corporeo si scinde in tre, si ripartisce in circa quel che chiamiamo pensare, sentire e percepire (testa, cuore, corpo)... è quindi una corrente sovrarazionale che va raggiunta tramite autoconoscenza (e non solo) ovvero partendo dal "devo respirare e lavorare" e non dal negarlo che non fa niente altro che alimentare questa divisione. Non so quanto io sia capace di far capire ciò che intendo in questo ultimo pezzo, in ogni caso si tratta di favole o di aria fritta finchè non se ne ha un seppur minimo sentore... Meglio a mio avviso partire dall'ammissione che devo respirare e lavorare, ammissione che, almeno in questo singolo campo, toglie la superbia e mi pone nella condizione mettermi a fare dato che devo (l'inizio di una decisionalità) che sia con gioia o meno. Gioia che a questo punto diviene un aspetto secondario della questione. Se c'è bene, se non c'è che faccio? non respiro? |
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Grazie Ray... caspita... si... quello che scrivi e' quello che condivido in pieno... partire dall'ammissione che devo respirare e lavorare, che sia con gioia o meno e non dal negarlo.
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Però la gioia la cercherei.... gioia intesa anche come giocosità e soprattutto come cosa preziosa. In effetti la preziosità di una cosa è determinata da alcune variabili tra cui le più importanti sono il gusto e la necessità umana. Se amo una cosa, questa per me (e per chi l'ama) è preziosa, diversamente dal costo che è determinato da domanda/offerta. Necessità invece perchè uno che fa la fame per quando ami Picasso, avrà nel sua scala di preziosità prima una bella pagnotta.
Quindi finchè una cosa per me non è preziosa sarà sempre un peso... riprendiamo il lavoro... a livello razionale (l'unico spiegabile forse abbastanza semplicemente) se mi fermo a pensare un secondo che potrei non averlo, che c'è gente che non lo ha, gente che corre, corre per trovarlo... almeno a livello razionale mi diventa prezioso, che è diverso dall'attaccarcisi, quella è bramosia... idem il denaro... mi può essere prezioso perchè lo posso usare per fare cose che mi piacciono o interessano... se lo accumulo o mi ci attacco solo per averlo finisce la preziosità. Insomma si potrebbe dire con altre parole che la giosità e quindi la preziosità sono il nostro tendere verso qualcosa con tutto il nostro essere... non dimenticandoci però chi siamo, quando questo accade diventa cupidigia, l'oggetto della nostra bramosia ci infilza e ci possiede. Negli esempi sopra mi sono limitato a soggettive situazioni, ma esiste anche una preziosità oggettiva, per esempio la vita che è preziosa anche per chi crede di non amarla. |
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Io non devo ricordarmi ogni momento di dover respirare, o di dover digerire.... Sono cose che avvengono anche quando dormiamo.... se no dovremmo essere sempre svegli.... il corpo sa che per sopravvivere deve fare queste cose... e le fa senza che io mi forzo a farle... Al contrario, qualche volta che ho provato a trattenere il respiro per cronometrare quanto tempo posso stare senza respirare, ho dovuto sforzarmi di non respirare, cioè andare contro a quanto il mio corpo fa spontanamente .... Invece il "devo lavorare" è una cosa che mi piaccia o no devo fare per sopravvivere... a prescindere che ne abbia voglia o no... Lavorare è uno sforzo cosciente per ottenere qualcosa che altrimenti non avrei. Se poi amo il mio lavoro questo sforzo oltre che passare dal cervello passa anche dal cuore, il "devo lavorare" rimane ma in questo modo unisco l'utile al dilettevole... non mi sforzo più che tanto perchè anche se non fosse strettamente necessario lo farei lo stesso.... |
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Hai scritto bene "senza che io mi sforzo" Eppur se analizzi bene la dinamica della respirazione, abbiamo bisogno di muscoli che dilatano torace e polmoni per far entrare aria... che forzano la pressione esterna che tenderebbe a farci stare con i polmoni vuoti. Mi fermo... ma questa cosa si può sviluppare per bene |
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Voglio dire, fino a che una persona non arriva all'autoconoscenza, deve per forza di cose "appigliarsi" a qualcosa: ad un lavoro, ad una passione, anche ad una/o compagna/o, altrimenti rimane fermo e non si muove. Ma appunto la domanda è: "come so che non sto cadendo nella cupidigia??" |
Eh no.... se ti riempi la casa di quadri di Picasso mica è detto che li ami... mentre magari puoi amarlo andando in un museo... pagando un biglietto, facendo la fila, perdendo 10 minuti davanti all'opera per cercare di comprenderla.
Ecco la comprensione può essere un'altra chiave con la compassione.... se ami una persona la comprendi... e non solo nel senso di capirla... senti ciò che sente etc etc... ma rimani te stesso, idem un'oggetto lo senti... in un modo globale ma non ti perderai in esso, il possesso materiale fine a se stesso è la perdita di te, "trasferisci" il tuo essere in quella cosa, invece un'altra sorte di possesso, che non è materiale, dello stesso oggetto, ti consente di comprenderlo. So che forse non è chiaro... ma in qualche modo ci torneremo |
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Quando la nostra coscienza sarà sveglia come il corpo, quando l'io funzionerà bene tanto quanto l'istinto, allora si che saremo svegli. E' proprio dal corpo, a mio avviso, che abbiamo un sacco di cose da imparare... |
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Riprendo questo e poi leggo il resto delle risposte con calma.. Ho postato erroneamnete, la tecnica è definita autoterapia razionale emotiva RET per la precisione. Quel mio errore ha creato delle inutili incomprensioni, la fretta, cattiva consigliera. La tecnica è basata sul concetto: pensare in modo psicologiacamente efficace. Il libro è di Albert Ellis (nato a Pittsburg, negli Stati Uniti, il 13 Settembre 1913 è definito uno dei più autorevoli e più influenti psicoterapeuti del nostro secolo. Verso la metà degli anni Cinquanta fondò la Terapia Razionale-Emotiva e gettò le basi della prospettiva cognitivo comportamentale) questa tecnica è diretta a chi vive tensioni emotive, disagi psicologici o stress lavorativo. Punto. Non è questo il luogo per dilungarsi oltre... :) Citazione:
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Se ho capito bene il pensiero è energia? L'energia è dunque materia e di conseguenza il pensiero può diventare materia? Ma dai? :o fiori.gif Citazione:
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Ho preso come esempio questa tecnica perché la ritenevo collegata al tema in quanto le doverizzazioni hanno un forte ascendente sullo sforzo inteso come "forzatura-dovere". E' ovvio che devo alzarmi la mattina altrimenti le piaghe da decubito mi ucciderebbero.... idem: devi respirare, devi mangiare, devi muoverti Spero di essere riuscita a spiegarmi sul concetto che volevo esprimere, che il mio precedente post ora risulti più chiaro. :) :) :) scusa.gif |
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Come dice un altro proverbio, che non sono sicura se centra ma mi viene in mente adesso, prima il dovere e poi il piacere... |
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Altra bella trappolina è quel togliere il verbo dovere che mi dà tanta noia...leggendo tutti gli interventi credo di poter dire che arrivare a dire voglio fare questo o quello invece di di dover fare è un traguardo, non da poco,ma che non è facilmente raggiungibile. Anche se la giocosità citata da Uno mi ha risollevata parecchio perchè si avvicina a quello che cercavo di fare togliendomi il dovere di dosso, alleggerire i doveri cercando di convincermi che come una medicina amara sono necessari. Per restare in tema di lavoro, "devo lavorare" mi generava ansia, ho dovuto (ahahah ma guarda come mi autobeccoincastagna, ebbrava Daf) pensare che volevo lavorare anche se non mi piaceva l'idea (elloso martello.:) perchè il poter lavorare mi permette di fare tante altre cose.... In altra discussione abbiamo visto lo sforzo come una ricerca di energia dall'ambiente esterno invece che interno, e allo stesso tempo mi viene in mente l'ansia che considero una produzione del corpo di un surplus energetico per sopperire a un problema in corso...ho la sensazione che le cose siano legate in qualche modo. Fare sforzi coscienti ci permette di aumentare la tensione interna e di conseguenza la pressione e la portata dei canali energetici. L'ansia nasce da una mancanza di energia necessaria ad affrontare un ostacolo, da come l'ho capita di fronte al pericolo il corpo (penso) s-forza andando a recuperare energia altrove, quindi energia grezza, energia che scalda molto di più di quella a cui siamo abituati e che, in genere, per paura (e non abitudine) cerchiamo di bloccare...infatti la risultante all'insorgere dell'ansia è il blocco del sistema.... Possiamo dire quindi che metterci in situazioni di costanti sforzi coscienti (cioè cercati) ci serve per aumentare la tensione e quindi ad utilizzare l'ansia invece di caderne si piedi? leggo.gif |
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Riprendo questo post ma tutta la discussione è molto interessante e credo in linea con le domande di Tina. Non sò ancora dove ho pescato quel concetto che ho scritto ieri ma mi ricordo un esempio fatto sui muscoli del braccio mi pare, che normalmente forzano ma quando devono fare un lavoro diciamo extra sforzano recuperando energia dal resto del corpo...lo troverò...spero :@@ Intanto penso sarebbe bello proseguire il discorso con Tina mettendo insieme le varie informazioni. |
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