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RedWitch 22-03-2008 18.53.19

Volere e volere
 
Qualche anno fa , feci una chiacchierata con un amico, e parlando venne fuori questa cosa.. mi disse che "volere" e "Volere" sono due cose diverse. A quel tempo, non capii questa distinzione, e ancora adesso non ho ben chiaro se questa differenza esiste davvero, o se per comodità possiamo dividere ma in realtà la Volontà è una sola.
Quando si fa qualsiasi cosa, per riuscire a portarla avanti, occorre volontà, occorre volerlo davvero, con ogni fibra del nostro Essere, altrimenti, dopo un po' il sonno, il bisogno di energie che mancano, si lascia perdere o, nelle migliori delle ipotesi si finisce ma non ci si ricorda per quale motivo si era iniziata.. Quando si muovono i primi passi in un percorso di conoscenza di sè, senza la volontà, non si va da nessuna parte, ma questa volontà che ci permette di muoverci, da dove viene? Dal piccolo io di turno, quello un po' meno pigro, o da quello che poi diventerà il centro magnetico? La domanda è sciocca mi rendo conto, ma se ordinariamente siamo divisi, e se questi piccoli io devono convergere poi in un Nucleo (?) che è l'Io, inizialmente ne esiste già un embrione? è da li che tiriamo fuori la Volontà per fare o è più "superficiale" ? (e allora in questo caso ha senso parlare di volontà e Volontà, ma ho come il sospetto che alla fin fine sia una sola..)
Secondo voi?

Ray 22-03-2008 21.01.56

Per come la vedo io Volontà è appannaggio dell'Uomo Vero che, avendo il completo dominio di se stesso, è veramente in grado di mettere tutto se stesso in quello che fa. Anzi, per dirla meglio, quando un Uomo mette tutto se stesso in qualche modo mette davvero "tutto". Solo egli infatti può essere considerato realmente "a immagine divina" in quanto realizza in se la "mediazione" tra cielo e terra... quindi la sua volontà corrisponde alla volontà dello Spirito... la Sua Volontà che deve essere fatta.

Per l'uomo comune invece vedo la volontà come niente altro che la risultante dei desideri (ne abbiamo parlato in "vettori") e questo ne spiega la continua mutevolezza.

Se questi sono in qualche modo due estremi (relativamente all'ambito che consideriamo e non in assoluto) chi ha una parvenza di coscienza grazie al lavoro su se (che non deve essere necessariamente della forma che cerchiamo di mettere in atto qui) ha anche una parvenza di volontà non dipendente dal mutare del vento. Insomma la cosa va per gradi.

D'altra parte, raccogliendo un po' un'altra domanda che fai implicitamente, se uno inizia un lavoro su se coscientemente, con lo scopo di ottenere qualcosa di specifico indipendentemente da come lo chiama (conoscenza di se, risveglio o che altro) vuol dire che ha già fatto un prelavoro, che si è già coagulato in lui un prodromo di quel che poi sarà forse il centro di gravità... insomma c'è una parte di lui che vuole lavorare, per quanto debole questa sia.
Il che significa che in lui hanno lavorato in un certo modo quelle che Gurdy chiama influenze B, ovvero una serie di dati ed esperienze risuonanti con la parte più "interna" che condivide occultamente gli scopi del Se, quello la cui Volontà deve essere fatta. Il fatto che ad un certo punto noi decidiamo di lavorare o capiamo che lo vogliamo è solo un passaggio... di un processo fluido che inizia, forse, dalla nascita.


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