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Le dimissioni che si rassegnano non sono negative in se, ma l'attestazione di qualcosa che finisce. Interessante invece la cosa dei passi indietro. In effetti quando mi accorgo che le testate non mi permettono di passare oltre e smetto, facendo due passi indietro e vedendo quindi il muro, riesco a rendermi conto del perchè non passavo oltre. C'è però un altro punto che vorrei sottoporre per espandere il discorso, anche se lo temo pericoloso per qualcuno icon_mrgr: . La rassegnazione deve essere per forza definitiva? O meglio, dato che la rassegnazione implica una rinuncia, questa rinuncia deve essere definitiva? |
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A mio avviso non è detto. Può essere una rinuncia momentanea, poi una volta fatti i passi indietro, elaborata la cosa, magari vista in modo diverso da prima, potremmo trovare nuove strade e nuova forza per tornare alla carica, questa volta con più successo, oppure potremmo scoprire che quella cosa non ci interressava poi così tanto o che ne esistono altre ancora più belle o comunque migliori per noi cui prima non facevamo caso. |
Io vedo il rassegnarsi come un arrendersi, e anche questo porta a renderci disponibili, darsi al nemico, mettersi nelle sue mani, e lo collego al rassegnarsi perchè anche se la situazione a cui mi rassegno non l'avrei accettata se avessi potuto scegliere, cedo qualcosa, non faccio più resistenza, quindi mi rassegno.
Nel gergo militare, si passa in rassegna di solito i soldati, che in questo caso si dicono rassegnati, essendo a disposizione di chi li passa in rassegna. Quindi se i rassegnati si mettono a disposizione, rassegnarsi vuol dire sottostare a una certa situazione, però io posso scegliere se rassegnarmi o no, se decido di rassegnarmi non padroneggio più la situazione ma semplicemente non mi oppongo più. |
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La rinuncia, per essere tale, è definitiva per forza. Penso. |
La rassegnazione può essere un fase verso l'accettazione, ma a volte posso accettare qualcosa senza dovermi rassegnare, a volte perfino con entusiasmo (ad esempio se qualcuno decidesse di regalarmi qualche milione icon_mrgr: )
Penso che il succo stia in quello che ha detto Ray, scoprire l'utile nella cosa accettata, dato che il bicchiere è sempre mezzo pieno e mezzo vuoto, anche se al momento non riusciamo che a vederne i lati negativi. Per scoprire l'utile devo osservare il problema, esaminarlo, magari immaginando che non sia il nostro ma di qualcun altro per poter esserne maggiormente distaccati ed obiettivi. La rassegnazione comunque non è una resa perchè in cuor nostro continuiamo a combattere, ad opporci. Non sbatteremo più la testa ma il cuore continua a soffrire, a sperare che le cose cambino. Ma attenzione, ci sono due tipi di speranza. C'è quella che sa dare forza all'animo, e quella che consuma. La prima è l'unica vera Speranza, quella cristiana, la seconda assomiglia di più ad un pretendere... |
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Ma è la natura di novità che innesca il meccanismo perchè comunque ti ci devi adattare, ossia devi cambiare. |
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Se qualcuno decide di regalarmi un milione non mi ci vedo costretto a rassegnarmi, certo potrei rifiutare (avrei i miei motivi) ma è proprio il fatto di poter scegliere (avendone piena libertà e potere) che fa decadere la rassegnazione, la quale compare solo di fronte a una nostra impotenza o mancanza. |
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Io continuo a pensare che passiamo attraverso unn momento di rassegnazione, che è la restituzione dell'opposizione. Neghi, ti opponi, ti rassegni (smetti di opporti) e accetti. |
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Concordo sulla non necessità della rassegnazione di fronte ad una cosa che coincide con la tua volontà, ma l'esempio non era esattamente così. Il quid è l'elemento novità, che implica necessità di cambiamento. Se io voglio un milione e te lo vengo a chiedere sono già pronto al cambiamento e quando me lo dai salto a piè pari anche l'opposizione, oltre alla rassegnazione. Se invece io non sono pronto e tu me lo offri, mi poni di fronte ad una richiesta di cambiamento. Non c'è una mia volontà pregressa, ma solo la possibilità di accordare la mia alla tua. Quindi passo per un millesimo di secondo per l'opposizione, che risolvo decidendo di volere anch'io quella cosa, mi rassegno al cambimento, magari con entusiasmo, e accetto il tutto. Ok, ripeto, al lato pratico chissenefrega di questi particolarismi, ben venga il milione. Ma mi interessa stabilire se nel processo di accettazione di una novità/cambiamento si debba per forza passare per la rassegnazione, magari senza accenderla o se si possa invece percorrere altre strade (se ho centrato il problema in discussione). |
:U scusate, mi spiegate la differenza, allora, tra rassegnazione e rinuncia?
Se mi offrono un mlione ho un'iniziale euforia (icon_mrgr: ) ma se poi mi rendo conto che non li voglio da quella persona rinuncio a prenderli. :@@ E mi rassegno a non prenderli? Questo intendete? |
Io continuo a vedere il sergente che passa in rassegna, controlla i soldati nei minimi particolari posizione, divisa, capelli, portamento, nome etc
In pratica è un controllo nei minimi particolari di ciò di cui si deve prendere cura e di cui deve rispondere ai suoi superiori. A me fa pensare alla ricapitolazione (sarà perchè ancora non sono capace ahahah) I pratica controlli che tutto ciò che imparato e insegnato venga messo in pratica, nella ressegna, quando diventa rassegnarsi devi fare questa cosa su te stesso. Da li poi può derivarne la accettazione se ti sei in modo completo rassegnato. |
Beh, fanno anche le rassegne di film, le rassegne d'arte eccetera...
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Ha solo qualcosina in comune con la ricapitolazione, ma sono profondamente diverse soprattutto per quanto riguarda il moto, la rassegnazione parte dal profondo e va in superficie, la ricapitolazione al contrario. |
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Ora non capisco se il discorso sul sergente abbia a che vedere con l’osservato e l’osservatore, due parole che mi sono venute in mente ma che non colloco nel discorso, non riesco io. Quindi nella ricapitolazione devo scoprire come ho fatto ad accettare i fatti? Le ragioni che ho trovato? Non mi sono ancora rassegnata al fatto che faccio fatica a capire |
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Definirei insomma la rassegnazione come una forza che spinge in un senso diverso rispetto alla nostra volontà. Se invece le due cose coincidono? Nel caso in cui sono costretto a fare una cosa, ma al tempo stesso sono io il primo a volerla (ad esempio vedo una macchina in panne per strada e mi fermo a soccorrerla come vuole il codice della strada) non ci vedo rassegnazione, semmai il desiderio di aiutare qualcuno in difficoltà. Vedo invece la rassegnazione come una presa di coscienza importante e come un moto iniziale verso la Volontà. Chi non si è mai rassegnato non credo sappia volere veramente. Una volontà che per essere tale non deve mirare a soddisfare i nostri desideri egoistici ma deve rispondere ad una volontà più grande. All'inizio è la nostra impotenza ad imporcelo, poi può diventare un atto volontario. |
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Saper volere implica anche saper dirigere la volontà, mentre l'ostinazione spesso è la schiavitù della volontà a desideri imposti da bisogni. |
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Rassegnarmi può farmi fermare il volere che ho per una cosa, ma la volontà rimane intatta, ovviamente poi abbiamo vari gradi di volontà, quasi come se il volere si riassorbisse, si rimettesse in riga all'interno della volontà, in attesa di essere ridiretto in modo più efficace. |
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E trovo veritiera questa frase di Ray, in effetti guardandomi dentro non riesco a rassegnarmi nella mia vita ad una vicenda perchè dietro esiste proprio un bisogno. Smettere di volere mangiare e di procurarselo quindi rassegnarsi a non mangiare è come volere la propria morte, dietro c'è il bisogno naturale di alimentarsi per sostentamento, non posso rassegnarmi a non mangiare a meno che abbia accettato di soffrire e di morire. Eh ragazzi mi spiace io ho la mia mentinaicon_mrgr: e con questa ragiono quando sono sola non ho altro.icon_mrgr: |
Io vedo nella rinuncia un atteggiamento di chiusura... forse per paura... il che non significa che si è smesso di sperare, ma che non ci si vuole più mettere in gioco.
Penso invece che la rassegnazione possa portare all'accettazione. E l'accettazione non è sicuramente chiusura. |
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La rassegnazione si rende necessaria, anche per quel millesimo di secondo, qualora non si possa vivere con distacco gli eventi che accadono. Anche in questo senso si può intendere dirigere la volontà, cioè nel non oppormi. Se la rassegnazione, da ciò che vien fuori dalla discussione e che condivido, è un modo per mollare e mettersi dalla parte dell'osservatore imparziale di modo da poter comprendere ed accettare (l'accettazione comporta comprensione che comporta sofferenza, perchè bisogna rassegnare le idee preconcette, spesso), chi vive "schivando gli eventi" o "cavalcando l'onda" non ha bisogno di mettersi nella condizione di .. ma è in una condizione di favore sempre, non è il soldato che sono i rassegnati ma semmai rassegna, è il generale. In un certo senso se quello che dici tu è che il rassegnato è costantemente in una situazione di rassegn-azione vuol dire che è sempre in attenzione e non ha bisogno di un'evento esterno. Allora, per rimettere insieme ciò che sto dicendo che temo sia esposto poco chiaramente, trovo vero ciò che dici se lo vedi come una situazione di costante osservazione, non lo trovo più vero se lo vedi come un passaggi necessario all'accettazione. |
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Una sorpresa vera, qualcosa a cui non sono preparato, mi mette magari per un attimo in opposizione. Questo a meno di riuscire a mentenermi sempre fluido e quindi in grado di accogliere la realtà nel mentre che mi si propone e non in differita, come facciamo sempre (cosa collegata al discorso di Luke nel tread sul dormire). Insomma dovrei stare sempre nell'attimo. Invece andiamo in opposizione, poi stabiliamo che ci va bene quella cosa, e ci rassegnamo a cambiare la mappa di realtà che stiamo usando per poter far entrare la novità e accettarla. Per accettare deve entrare, rassegnarmi e mettermi nella condizione di far entrare, ossia smettere di opporsi. |
Messa così, quel che capisco io è che il tuo "opporsi" appare un'elaborazione dei dati in entrata e l'uscita decodificata degli stessi. Insomma la scelta.
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