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Kael 17-08-2008 00.38.12

Recitazione, costume e morale
 
3 Allegato/i
Da quanto emerso in una delle ultime discussioni del nostro forum mi sono reso conto che l’argomento merita essere approfondito un po’. C’è infatti la diffusa opinione che recitare nella vita corrisponda ad essere falsi, a prendere in giro gli altri, ed in generale a perseguire i propri comodi a discapito degli altri. Certo, questo è uno dei possibili utilizzi della recitazione, se sono un bravo attore potrò soggiogare gli altri, truffarli, frodarli, etc..
Ma c’è anche un altro impiego della recitazione che al contrario è generalmente considerato come positivo. Il termine “scostumato” ad esempio indica una persona immorale, indecente, una persona cioè che si è tolta quel costume (di scena) che la società impone a tutti per vivere in maniera decorosa e rispettabile. La stessa moralità è dunque un recitare, un seguire direttive prestabilite e socialmente riconosciute come doverose. Però, parlando di una persona morale, non scatta automaticamente quel sentimento di indignazione che invece scatta quando pensiamo a qualcuno che recita una parte piuttosto che essere se stesso…

Fin dalla più tenera infanzia ognuno di noi ha subito tutta una serie di impressioni, di condizionamenti esterni, diversi per ognuno e che piano piano hanno contribuito a formare le nostre personalità attuali. Ma alcune di queste impressioni sono avvenute che eravamo talmente piccoli che ne siamo totalmente incoscienti, ed erroneamente le attribuiamo al nostro essere “se stessi” invece che alla nostra personalità.
Un bambino che ad esempio durante l’infanzia è stato costretto a subire i continui rimproveri e percosse da parte di genitori poco pazienti, avrà sviluppato dei meccanismi protettivi che oggi lo porteranno ad essere piuttosto riservato e introverso con gli altri, per evitare così altri rimproveri e botte. Avrà insomma imparato una parte. Ma quel bambino, da grande, penserà che effettivamente lui sia introverso e riservato, che sia il suo “vero essere” così.
Si può invece vedere come quel bambino, se fosse nato e cresciuto in tutt’altro ambiente, oggi il suo essere se stesso sarebbe di gran lunga differente. Avrebbe cioè imparato un’ altra parte.



A questo punto occorre però fare una breve distinzione fra l’essere e la personalità di un individuo. Sinteticamente potremmo dire che fa parte dell’essere tutto quello che abbiamo in dotazione fin dalla nascita, le caratteristiche principali, i talenti, le inclinazioni, etc… Fa invece parte della personalità tutto quello che impariamo durante la vita, che apprendiamo, che acquisiamo.
Questo è stato fin dagli albori della moderna psicologia un grosso dilemma riguardo l’educazione dei bambini. Alcuni infatti sostenevano che il nascituro fosse come una tabula rasa, completamente bianca, e che solo la vita e l’esperienza avrebbe iniziato a segnarla, ad inciderla. Dall’altra parte invece c’era chi sosteneva che il bambino fosse già segnato definitivamente, che a prescindere del tipo di ambiente nel quale fosse nato e del tipo di educazione ricevuta, la sua struttura sarebbe rimasta tale.
Entrambe le teorie erano errate, perché nel primo caso non si spiegherebbero talenti come Mozart, mentre nel secondo non ci sarebbe crescita, non ci sarebbe possibilità di evoluzione. Un criminale o un malato mentale sarebbero lasciati a marcire in una cella senza ricevere la benché minima cura o assistenza,perché tanto “irrimediabili”.
In realtà le due cose coesistono. C’è una parte che effettivamente è segnata in partenza (il nostro essere) mentre un’altra che cresce e apprende in base al tipo di insegnamenti ricevuti, all’ambiente, il tipo di tradizioni popolari etc.. (la personalità). La stessa moralità varia a seconda del palco teatrale in cui si svolge, ad esempio in un tipo di cultura mediorientale una donna di casa, per essere una “donna morale”, quando riceve ospiti non deve assolutamente dare confidenza a nessuno, non deve permettersi di intrattenere rapporti con altri uomini, mentre in una cultura occidentale come la nostra una donna del genere sarebbe considerata una maleducata e una screanzata, una pessima donna di casa…
Potremmo quindi aprire una parentesi per vedere come la moralità sia una qualità relativa alla personalità, mentre l’etica all’essere. La moralità varia a seconda del palco teatrale in cui si svolge, mentre l’etica è al di sopra di tale palco e si rifà direttamente all’essere di una persona.

Giunti a questo punto possiamo iniziare a intravedere come la vita quale noi la conosciamo è una grande commedia dove noi abbiamo pian pianino imparato a recitare una parte, i nostri “registi” sono stati i nostri genitori, i nostri maestri di scuola, i nostri amici e conoscenti, tutto l’ambiente circostante. Ognuno ci ha insegnato qualcosa, sia consciamente che incosciamente, i nostri amici magari che da piccoli ci prendevano in giro ci hanno insegnato a chiuderci in noi stessi come difesa funzionale ai loro scherni, così magari i nostri nonni che ridevano sempre alle nostre battute ci hanno insegnato ad essere brillanti e metterci sempre al centro dell’attenzione.
Questi meccanismi, col passare del tempo, diventano talmente automatici che si finisce per considerarli parti del proprio essere. Chi dalla vita ha imparato la parte del remissivo, del chiuso in se stesso, penserà che effettivamente lui sia chiuso e remissivo, così come chi ha imparato la parte del brillante penserà che il suo vero essere sia così.
In realtà sono solo degli attori inconsapevoli. La loro è una recita, una commedia, che si basa su impressioni ricevute durante tutta la vita (ma principalmente durante l’infanzia) e che cerca di rispondere nel modo più idoneo a tali impressioni. In altre parole, se nasco e cresco sul set di un film di guerra, crederò di essere Rambo anche se poi mi dovessi venire a trovare sul set di un film romantico o di fantascienza, o semplicemente dirò che tale film non fa per me e mi impedirò così di imparare cose nuove.
Non per niente, “persona” (da cui personalità) è un termine etrusco che significa maschera, e gli antichi egizi per definire l’essere usavano un geroglifico che tradotto suonerebbe più o meno così: “l’invisibile vento caldo che spira da sud” (vado a memoria, non ricordo la citazione esatta).
L’essere di una persona sarebbe quindi un qualcosa di invisibile, di impalpabile, se non per mezzo di un’interfaccia fisica come una maschera. Pressappoco come un fantasma può manifestarsi ai nostri occhi solo attraverso un lenzuolo bianco che ne riveli le forme.



A questo punto spero di aver fatto un po’ di chiarezza, e se dico che noi tutti recitiamo continuamente spero di non suscitare l’indignazione dei lettori, perchè non mi rifaccio all'accezione negativa che siamo soliti dare a questa parola. Siamo costretti a indossare una maschera per esperire la vita in questa realtà, realtà che essa stessa è mascherata a sua volta, sempre per ubbidire alle medesime leggi di questo piano di manifestazione. Sono sicuro che quasi tutti hanno sentito nominare Maya, il velo di Maya, la “grande illusione” che maschera la vera essenza delle cose sotto la loro forma.
Non è dunque sbagliato pensare a noi come attori, ma anzi, è fondamentale se si vuole iniziare a prendere il comando e a scucirsi di dosso la nostra personalità dominante. Dominante nel senso che ci domina, che ci tiene prigionieri, che ci impedisce di sollevare il velo di Maya, di conoscere quel “vento caldo e invisibile” che si cela sotto, e di potersi interfacciare così sempre al meglio in ogni situazione o circostanza della vita.
Essere se stessi dunque non è affatto facile come può sembrare a chi non ha interesse a conoscersi sul serio. Essere se stessi comporta una gran fatica, comporta un certo sforzo per tenere a bada le proprie personalità e non permetterle di prendere il sopravvento. Significa insomma imparare a conoscere il vero attore che si cela sotto la maschera, ed a indossare a piacimento sempre gli abiti più adeguati per il bene nostro e degli altri a seconda del momento. Significa allargare il ventaglio delle nostre possibilità, significa ampliare la nostra rosa d'azione. Significa poter essere forti e teneri al tempo stesso.

Significa continuare a recitare come facciamo ora, ma con Coscienza.


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