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Ray 26-12-2006 18.52.03

Comunicazione di massa o manipolazione?
 
3 Allegato/i
L'attuale periodo storico, da un punto di vista comunicativo, si differenzia dai precedenti per la presenza di mezzi di comunicazione "di massa". La tecnologia e l'economia permettono, oggi come non mai, ai pochi di "comunicare" coi molti.

Ma la comunicazione di massa è veramente comunicazione ?

L'etimo della parola "comunicazione" ci rimanda a quell'ecclesiastico "communicare altari" che è partecipare alla mensa, la quale mensa, proprio perchè "partecipata", acquisisce un senso che altrimenti non avrebbe. Ecco che la comunicazione è il mezzo che permette al singolo l'identificazione col gruppo, l'appartenenza, laica o religiosa che sia, a qualcosa di più grande che può esistere solo "insieme". Concetti come famiglia, gruppo sociale, etnia ecc., sono categorie di appartenenza il cui senso viene costruito da chi vi partecipa. Se nessuno partecipa, se nessuno comunica, non esistono. La "comunicazione di massa", per conseguenza, dovrebbe essere il meccanismo per il quale tutti coloro che si sentono appartenere alla categoria "massa" vi partecipano, comunicando con tutti gli altri. Appare evidente che la situazione è diametralmente opposta.

Ciò che oggi viene comunemente inteso come "comunicazione di massa" è invece l'utilizzo, da parte di pochi, di un insieme di apparati (i mass-media) dei quali i molti usufruiscono. Ovvero c'è azione ma non inter-azione. Inoltre, quei pochi che si dicono "comunicare" con la massa, non appartengono a detta categoria, di cui invece fanno parte coloro che la "comunicazione" subiscono. Ne segue che la categoria "massa" non è insieme creato per accordo comunicativo dei partecipanti, ma definizione imposta dal meccanismo. Infatti la "massa" non è gruppo precostituito che, per caratteristiche interne, richiede un particolare apparato che faciliti la comunicazione, è invece contenitore concettuale costruito dopo la comparsa, e l'utilizzo, dell'apparato. Il concetto di massa fornisce senso all'apparato, non ai partecipanti alla "massa". Questo perchè i "partecipanti alla massa" in realtà non ci sono. Chi, per definizione, appartiene alla massa, lo fa per forza, non per scelta, non si sente appartenente, non comunica con gli altri in quanto appartenenti alla stessa categoria di massa, non si appresta, insieme agli altri, alla costruzione del senso di "massa". La massa non esiste.

Se l'operazione apportata da chi utilizza l'apparato massmediologico non è partecipativa ad una categoria di appartenenza, non è vera comunicazione. Se la categoria di pochi (i comunicatori) si pone al di fuori e sopra la categoria di molti (gli utenti) e utilizza questa posizione per fornire messaggi ai quali non si può ribadire, non di comunicazione si tratta ma di in-dottrinamento o, nel migliore dei casi, di in-segnamento (nel senso di segnare dentro). Infatti la tendenza è proprio quella di insegnare cosa pensare, cosa dire, come vivere, cosa essere. Il punto è che "insegnare" può essere connotato positivamente unicamente nel caso in cui chi viene in-segnato desideri esserlo. Ci si sottopone all'in-segnamento quando si vuole imparare, si vuole crescere, e ci si sottrae quando si perde l'interesse o quando si percepisce un pericolo dall'essere in-segnati. Ma quanti vogliono veramente imparare dai mass-media cosa pensare, come vivere ecc.? A questa domanda, chi utilizza il mass-media, non vuole risposta. Teme che essa sia "troppo pochi". Teme che consapevolezza da parte della massa di essere massa e di essere in-segnata innesti quel meccanismo di sottrazione dalla stessa per pericolo percepito. E se la massa si svuota, il mass-media non ha ragion d'essere. Quindi l'illusione diffusa di appartenere alla massa, perchè essa possa continuare ad usufruire del mass-media, deve essere nutrita. Ne consegue che la modalità con cui l'in-segnamento si perpetua si deve adattare all'esigenza di nutrimento. Esso sarà dunque velato, discontinuo e negato. Ma se il messaggio, per essere dato, viene nascosto, non più di in-segnamento si tratta, ma di manipolazione. Un messaggio assume o meno i caratteri della manipolazione a seconda dell'intenzione di chi lo fornisce.


Ogni messaggio è composto da due forme di significato facilmente distinguibili: la prima si estrinseca nel contenuto espresso (messaggio esplicito). l'altra nel contenuto sotteso, che può essere molteplice (messaggio implicito). Entrambe queste forme concorrono a formare il vissuto interiore (reazione emotiva) di chi riceve il messaggio, con la differenza che la prima, in quanto espressa, è compresa dall'intelletto e da esso filtrata, la seconda invece agisce tanto più liberamente quanto meno viene, dalla coscienza, percepita e compresa. Il reale significato di un messaggio è dato dall'insieme delle due forme. La reale intenzione di chi costruisce ed esprime il messaggio, ovvero il tipo di vissuto interiore che vuole scatenare in chi lo riceve, si palesa del messaggio implicito.
Se l'amante dice all'amata "sei la luce dei miei occhi" esprime esplicitamente un significato simbolico che rimanda direttamente all'intenzione implicita di aprire strade alla costruzione di nuovi sensi per il loro insieme. Il messaggio implicito conferma ed espande quello implicito.
Se l'insegnante porta alle estreme conseguenze, utilizzando nessi logici, l'asserzione errata dell'allievo, permettendogli di accorgersi da solo del suo errore e di correggersi, egli, nel suo messaggio implicito, palesa l'intenzione di negare quello esplicito, confermando invece il suo ruolo ed aprendo a nuovi sensi ed a nuove possibilità il rapporto con l'allievo (messaggio funzionale).

Se il pubblicitario, nel decantare le qualità di un biscotto, lo mostra come elemento fondamentale ed indispensabile della quotidianità di una famiglia tanto perfetta quanto inesistente, nel suo messaggio implicito, invece di palesare, nasconde l'intenzione di agire sul senso di inadeguatezza, reale o generato ad hoc, di chi, non ravvisando l'inesistenza della famigliola in questione, ma ravvisandone solo l'apparente perfezione, inevitabilmente si confronterà con essa e, ottenutone un senso di disagio di fondo, si ricorderà per questo più facilmente il nome del biscotto. Quest'ultimo genere di messaggio è manipolatorio in quanto la sua forma esplicita ha come unica ragione d'essere quella di nascondere quella implicita. Inoltre esso ottiene il suo scopo "comunicativo" solamente nel caso in cui chi lo riceve non si avvede dell'intenzione contenuta nella sua forma implicita, ovvero solo quando riesce ad essere lesivo.

Quando l'intenzione diventa argomento di trattazione, detta trattazione si sposta su un piano etico. Personalmente ritengo eticamente esecrabile la manipolazione. L'etica ( dal greco "êthos", modo di fare le cose e di essere, riferito ad quell'ordine naturale "cosmos" opposto a "caos" ) della comunicazione dovrebbe imporre ai comunicanti l'intenzione della partecipazione per costruzione di senso. L'utilizzo di meccanismi manipolatori ed il loro travestimento in "comunicazione" risulta, per definizione, profondamente anti-etico.


Come ci si difende dai meccanismi manipolativi? In vari modi e a vari livelli.
La difesa per eccellenza è "stare svegli", ovvero il raggiungimento, tramite lavoro su se stessi, di una condizione tale per cui detti meccanismi non hanno modo di funzionare. Come dire che, qualunque possa essere la spinta effettuata dall'esterno sul mio senso di inadeguatezza (per fare un esempio), se questo senso non sussiste, il tentativo non potrà sortire l'effetto desiderato.

Purtroppo la stragrande maggioranza delle persone, comprese quelle che già intraprendono un Lavoro su Se, non si trovano in questa condizione. Servono dunque strumenti atti alla bisogna, qualcosa che ci permetta di difenderci intanto che lavoriamo... anzi, il top sarebbe qualcosa che ci permetta di usare questi meccanismi proprio per lavorare.
D'altra parte, dato che in ogni male c'è un bene (e viceversa) ogni avversità che incontriamo, ogni tentativo del "mondo" per addormentaci sempre più, può essere ribaltato ed essere usato per svegliarsi invece.
Nel Lavoro su Se, nei primi passi, subito dopo essersi resi conto della necessità del lavoro si scopre che il punto su cui si può inizialmente far leva sta al livello del pensiero, in ciò di cui siamo consapevoli... da qui l'Osservazione per aumentare il livello di consapevolezza.
Ciò ha una valenza soprattutto interna ma, dato che si è comunque ancora soggetti agli influssi esterni, proprio loro possono essere lo spunto per una migliore osservazione interna.
Trasponendo il discorso nel nostro tema, possiamo dire che nel momento in cui ci rendiamo conto di un certo meccanismo manipolatorio, di come funziona e soprattutto, di come funziona su di noi, ecco che abbiamo uno spunto per lavorare su noi stessi... una coordinata che indica un punto da sistemare, qualcosa che in noi ci muove e che dobbiamo imparare a muovere noi. Insomma una preziosa indicazione.

A seguito quindi propongo di aprire in forum, nella sezione "gogna" ma non solo, una serie di tread correlati. In modo da segnalare i vari meccanismi (e lasciarli a disposizione di tutti) che troviamo, per esempio nelle pubblicità che è abbastanza semplice, di ragionarci su, di sviscerarli... di svelarli insomma. In modo da renderli meno efficaci da una parte e dall'altra per cogliere ognuno dei buoni indizi su come funziona/funzioniamo e su come mettervi le mani.

I pubblicitari e i massmediologi in genere studiano a fondo questi meccanismi per meglio manipolare (non solo con l'intenzione di vendere)... ebbene, studiamoli anche noi no?


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