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Ray 27-05-2010 01.07.14

il Nero
 
E' passato un po' di tempo, il tread si è raffreddato... è un buon momento per prendere una nuova direzione e toccare qualche altro concetto.

Come vedete dal titoletto del post voglio parlare del Nero. Sto usando un termine alchemico, ma in qualsiasi tradizione questa fase del cammino è chiamata in modi simili. Non mi metterò qui a ripetere ciò che è stato abbondantemente detto altrove in tantissimi tread, non solo quelli sull'alchimia, darò per scontato che ogni Ricercatore abbia un'idea più o meno vaga di quello di cui sto parlando. Il non Ricercatore questa idea non ce l'avrà e purtroppo non esistono parole che io possa usare per fornirgliela.

In una fase che io ritengo piuttosto avanzata del nero, il vissuto del Ricercatore si può riassumere grossmodo così: mi conosco, so di quelle parti di me che mi frenano nel cammino e so anche cosa dovrei fare e come dovrei essere per riuscire ad andare oltre ma so anche con assoluta certezza che è del tutto impossibile. Come si può facilmente immaginare non è la situazione più piacevole del mondo.
Il precedente lavoro ha fatto emergere tutte quelle caratteristiche che di fatto impediscono il cammino e tutta una serie di passaggi: ego, importanza personale, appetiti che dominano, tendenze proprie o ereditate che prendono il sopravvento, sonno e la lista può essere lunghissima. Di questa lista fanno parte delle cose assai pericolose, come il desiderio di fermarsi, la paura di abbandonare ciò che ci frena ma ci piace e simili... complessi che entrano in conflitto con quella parte che invece vorrebbe avanzare ma che finisce spesso in ombra, che è debole. Che non basta. Che in certi momenti non percepiamo neanche.
Ebbeh... che Nero sarebbe sennò?

Arrivati a quel punto si sa ormai benissimo come si dovrebbe essere e cosa si dovrebbe fare: in sintesi, diversi da come si è e molto, molto di più. Ma non ci si riesce. Si fa un po', c'è un barlume, ma poi si ricasca. Ci si rialza, sempre con maggior fatica e si fa un altro sforzetto, poi si ricasca. E aumenta la difficoltà a fare sforzi, aumenta il desiderio di non farli. E si fa sempre meno, meno di quel che si potrebbe, con però la lucidità che resta: la consapevolezza che si sta facendo meno, poco, troppo poco e che non siamo capaci di fare di più e meglio.

Come si esce da sta cosa? Beh, è una specie di segreto che sono convinto di conoscere solo in parte e che mi rendo conto che è molto meglio non dire. Meglio per chi legge intendo... ma anche per chi scrive, a pensarci bene.

Però posso dirne un altro di "segreto", che apparentemente non c'entra nulla e che ha invece a che fare con la Divina Commedia. Di questa posso paralre quanto mi pare, anzi anticipo che prossimamente, su questi schermi, compariranno tread di "studio" di questa magnifica Opera (non ho messo la maiuscola a caso).

Bene, anche chi non conosce granchè di quest'opera dantesca saprà che narra di un viaggio che Dante stesso fa nei tre mondi, inferno, purgatorio e paradiso, fino a vedere Dio. Per poi tornar fuori. Se dico che si tratta di un viaggio iniziatico non svelo nulla di che.
Forse molti sapranno anche che, quando Dante entra nell'inferno, sulla porta di questo, legge un iscirzione. L'iscrizione è famosissima e l'ultimo verso di questa recita: "lasciate ogni speranza voi ch'entrate". Anche chi non sa nulla di Dante questa frase l'avrà sentita...

Ebbene, una considerazione viene spontanea, o perlomeno viene a me. Infatti pare che non sia venuta a nessuno dei commentatori ufficiali, i quali leggono nella frase semplicemente la dichiarazione che l'anima che entra mai più uscirà quindi tanto vale che si rassegni.
Ma allora, perchè scriverla? Vien da pensare che chi entra potrebbe anche non farlo, potrebbe anche mantenere la speranza. E in effetti, molte anime che Dante incontra sembrano conservane... per non dire che Dante, che pur entra, poi anche esce e come lui forse qualcun altro...
Ma allora? Che senso ha la frase?
Si potrebbe leggerla come un consiglio....

stefano 27-05-2010 01.16.12

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 86391)
E' passato un po' di tempo, il tread si è raffreddato... è un buon momento per prendere una nuova direzione e toccare qualche altro concetto.

Come vedete dal titoletto del post voglio parlare del Nero. Sto usando un termine alchemico, ma in qualsiasi tradizione questa fase del cammino è chiamata in modi simili. Non mi metterò qui a ripetere ciò che è stato abbondantemente detto altrove in tantissimi tread, non solo quelli sull'alchimia, darò per scontato che ogni Ricercatore abbia un'idea più o meno vaga di quello di cui sto parlando. Il non Ricercatore questa idea non ce l'avrà e purtroppo non esistono parole che io possa usare per fornirgliela.

In una fase che io ritengo piuttosto avanzata del nero, il vissuto del Ricercatore si può riassumere grossmodo così: mi conosco, so di quelle parti di me che mi frenano nel cammino e so anche cosa dovrei fare e come dovrei essere per riuscire ad andare oltre ma so anche con assoluta certezza che è del tutto impossibile. Come si può facilmente immaginare non è la situazione più piacevole del mondo.
Il precedente lavoro ha fatto emergere tutte quelle caratteristiche che di fatto impediscono il cammino e tutta una serie di passaggi: ego, importanza personale, appetiti che dominano, tendenze proprie o ereditate che prendono il sopravvento, sonno e la lista può essere lunghissima. Di questa lista fanno parte delle cose assai pericolose, come il desiderio di fermarsi, la paura di abbandonare ciò che ci frena ma ci piace e simili... complessi che entrano in conflitto con quella parte che invece vorrebbe avanzare ma che finisce spesso in ombra, che è debole. Che non basta. Che in certi momenti non percepiamo neanche.
Ebbeh... che Nero sarebbe sennò?

Arrivati a quel punto si sa ormai benissimo come si dovrebbe essere e cosa si dovrebbe fare: in sintesi, diversi da come si è e molto, molto di più. Ma non ci si riesce. Si fa un po', c'è un barlume, ma poi si ricasca. Ci si rialza, sempre con maggior fatica e si fa un altro sforzetto, poi si ricasca. E aumenta la difficoltà a fare sforzi, aumenta il desiderio di non farli. E si fa sempre meno, meno di quel che si potrebbe, con però la lucidità che resta: la consapevolezza che si sta facendo meno, poco, troppo poco e che non siamo capaci di fare di più e meglio.

Come si esce da sta cosa? Beh, è una specie di segreto che sono convinto di conoscere solo in parte e che mi rendo conto che è molto meglio non dire. Meglio per chi legge intendo... ma anche per chi scrive, a pensarci bene.

Però posso dirne un altro di "segreto", che apparentemente non c'entra nulla e che ha invece a che fare con la Divina Commedia. Di questa posso paralre quanto mi pare, anzi anticipo che prossimamente, su questi schermi, compariranno tread di "studio" di questa magnifica Opera (non ho messo la maiuscola a caso).

Bene, anche chi non conosce granchè di quest'opera dantesca saprà che narra di un viaggio che Dante stesso fa nei tre mondi, inferno, purgatorio e paradiso, fino a vedere Dio. Per poi tornar fuori. Se dico che si tratta di un viaggio iniziatico non svelo nulla di che.
Forse molti sapranno anche che, quando Dante entra nell'inferno, sulla porta di questo, legge un iscirzione. L'iscrizione è famosissima e l'ultimo verso di questa recita: "lasciate ogni speranza voi ch'entrate". Anche chi non sa nulla di Dante questa frase l'avrà sentita...

Ebbene, una considerazione viene spontanea, o perlomeno viene a me. Infatti pare che non sia venuta a nessuno dei commentatori ufficiali, i quali leggono nella frase semplicemente la dichiarazione che l'anima che entra mai più uscirà quindi tanto vale che si rassegni.
Ma allora, perchè scriverla? Vien da pensare che chi entra potrebbe anche non farlo, potrebbe anche mantenere la speranza. E in effetti, molte anime che Dante incontra sembrano conservane... per non dire che Dante, che pur entra, poi anche esce e come lui forse qualcun altro...
Ma allora? Che senso ha la frase?
Si potrebbe leggerla come un consiglio....


molto simile a "mollare la presa" o è solo una mia erronea impressione?

Ombra 27-05-2010 04.22.35

Insomma, credo di essermi perso tra i meandri del nero diavolo.g:

luke 27-05-2010 13.20.56

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 86391)

In una fase che io ritengo piuttosto avanzata del nero, il vissuto del Ricercatore si può riassumere grossmodo così: mi conosco, so di quelle parti di me che mi frenano nel cammino e so anche cosa dovrei fare e come dovrei essere per riuscire ad andare oltre ma so anche con assoluta certezza che è del tutto impossibile. Come si può facilmente immaginare non è la situazione più piacevole del mondo.
Il precedente lavoro ha fatto emergere tutte quelle caratteristiche che di fatto impediscono il cammino e tutta una serie di passaggi: ego, importanza personale, appetiti che dominano, tendenze proprie o ereditate che prendono il sopravvento, sonno e la lista può essere lunghissima. Di questa lista fanno parte delle cose assai pericolose, come il desiderio di fermarsi, la paura di abbandonare ciò che ci frena ma ci piace e simili... complessi che entrano in conflitto con quella parte che invece vorrebbe avanzare ma che finisce spesso in ombra, che è debole. Che non basta. Che in certi momenti non percepiamo neanche.
Ebbeh... che Nero sarebbe sennò?

Arrivati a quel punto si sa ormai benissimo come si dovrebbe essere e cosa si dovrebbe fare: in sintesi, diversi da come si è e molto, molto di più. Ma non ci si riesce. Si fa un po', c'è un barlume, ma poi si ricasca. Ci si rialza, sempre con maggior fatica e si fa un altro sforzetto, poi si ricasca. E aumenta la difficoltà a fare sforzi, aumenta il desiderio di non farli. E si fa sempre meno, meno di quel che si potrebbe, con però la lucidità che resta: la consapevolezza che si sta facendo meno, poco, troppo poco e che non siamo capaci di fare di più e meglio.

Come si esce da sta cosa? Beh, è una specie di segreto che sono convinto di conoscere solo in parte e che mi rendo conto che è molto meglio non dire. Meglio per chi legge intendo... ma anche per chi scrive, a pensarci bene.

E' una fase quella descritta che mi interessa perchè a breve penso mi ci ritroverò, non credo potrò andare molto avanti o fare più di quello che ho fatto sino ad ora.
E' come se stesse comletandosi una fase solo che non vedo molti elementi per percepire quella successiva.

luke 27-05-2010 13.45.13

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 86391)

Però posso dirne un altro di "segreto", che apparentemente non c'entra nulla e che ha invece a che fare con la Divina Commedia. Di questa posso paralre quanto mi pare, anzi anticipo che prossimamente, su questi schermi, compariranno tread di "studio" di questa magnifica Opera (non ho messo la maiuscola a caso).

Bene, anche chi non conosce granchè di quest'opera dantesca saprà che narra di un viaggio che Dante stesso fa nei tre mondi, inferno, purgatorio e paradiso, fino a vedere Dio. Per poi tornar fuori. Se dico che si tratta di un viaggio iniziatico non svelo nulla di che.
Forse molti sapranno anche che, quando Dante entra nell'inferno, sulla porta di questo, legge un iscirzione. L'iscrizione è famosissima e l'ultimo verso di questa recita: "lasciate ogni speranza voi ch'entrate". Anche chi non sa nulla di Dante questa frase l'avrà sentita...

Ebbene, una considerazione viene spontanea, o perlomeno viene a me. Infatti pare che non sia venuta a nessuno dei commentatori ufficiali, i quali leggono nella frase semplicemente la dichiarazione che l'anima che entra mai più uscirà quindi tanto vale che si rassegni.
Ma allora, perchè scriverla? Vien da pensare che chi entra potrebbe anche non farlo, potrebbe anche mantenere la speranza. E in effetti, molte anime che Dante incontra sembrano conservane... per non dire che Dante, che pur entra, poi anche esce e come lui forse qualcun altro...
Ma allora? Che senso ha la frase?
Si potrebbe leggerla come un consiglio....

In previsione dei tread sulla Divina Commedia, ho iniziato a documentarmi ed ho acquistato un libro sull'argomento, in modo da conoscerlo più a fondo e poter eventualmente essere utile in qualche modo se servirà.

Sul consiglio di Dante, se lasciamo la Speranza, a cosa ci affidiamo intanto, alla Fede?

stefano 27-05-2010 13.49.43

Citazione:

Originalmente inviato da luke (Messaggio 86418)
In previsione dei tread sulla Divina Commedia, ho iniziato a documentarmi ed ho acquistato un libro sull'argomento, in modo da conoscerlo più a fondo e poter eventualmente essere utile in qualche modo se servirà.

Sul consiglio di Dante, se lasciamo la Speranza, a cosa ci affidiamo intanto, alla Fede?

magari alla Verità. al momento presente.
quando si entra nell'inferno si tratta di osservare per capire quindi vivere il momento andando comunque avanti "mollando la presa" rispetto alla mente che vorrebbe farci desistere (fase al nero no?)

non so a me viene questo

diamantea 27-05-2010 14.54.03

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 86391)
"lasciate ogni speranza voi ch'entrate".

"Voi che entrate nella consapevolezza accettate ciò che è e non sperate in quello che non è e non sarà."

La speranza appartiene a quella parte di noi che non conosce o non accetta la realtà nel momento, non rassegnandosi alla fatalità anela ad un futuro in cui accade qualcosa che modifichi quella realtà o la realizzi assecondando il proprio desiderio.
E' una proiezione nel futuro come condizione di non accettazione di una realtà che non è conforme al nostro ideale.

Il viaggio iniziatico ci riporta sempre nel presente, al punto di partenza/conclusione, quindi la speranza di modificare il presente nel futuro è vana.

Sole 28-05-2010 13.08.05

Citazione:

Originalmente inviato da luke (Messaggio 86418)

Sul consiglio di Dante, se lasciamo la Speranza, a cosa ci affidiamo intanto, alla Fede?

Anche io ho pensato immediatamente alla Fede. La speranza è una luce che porta verso l'uscita, la ricerca dell'uscita, ma in questo modo forse non ci si immerge completamente nel nero e nella morte.
Servirà la Fede e non la speranza in essa..

luke 28-05-2010 13.54.02

Citazione:

Originalmente inviato da Sole (Messaggio 86446)
Anche io ho pensato immediatamente alla Fede. La speranza è una luce che porta verso l'uscita, la ricerca dell'uscita, ma in questo modo forse non ci si immerge completamente nel nero e nella morte.
Servirà la Fede e non la speranza in essa..


In effetti penso che durante il nero, la solutio, dovrebbe essere necessario concentrarsi solo su quello, evitando voli pindarici su quello che potrà essere dopo: una volta purificati o una volta ricevuta qualche tipologia di Grazia, allora potrà avere forse più senso la speranza.
Solo che:

a) la voglia o il bisogno di pensare al dopo, la paura ed il dubbio che dopo non accadrà niente, c'è comunque, ancora non risco a toglierla.

b) sto cercando di comprendere la differenza, tra Fede e Speranza (la Carità la lascio in sospeso per adesso icon_mrgr:)

stefano 28-05-2010 14.45.41

la Fede è solo nel "momento presente" in un certo senso.

diamantea 28-05-2010 23.24.44

"La fede è convincimento delle cose che si sperano e di quelle che furono in atto, rivelazione di quelle che non si vedono."

La Fede è la certezza del futuro nel presente, la speranza è l'incertezza del futuro nel presente.

RedWitch 23-07-2010 17.58.28

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 86391)
........

Come si esce da sta cosa? Beh, è una specie di segreto che sono convinto di conoscere solo in parte e che mi rendo conto che è molto meglio non dire. Meglio per chi legge intendo... ma anche per chi scrive, a pensarci bene.

Possiamo in qualche modo estorcerti il segreto? icon_mrgr:
Scherzi a parte... sarà che è un periodo di defaillance per me, ma più che mai mi rendo conto che per due passi avanti, poi ne faccio 4 indietro.. non è una gran bella sensazione in effetti.


Citazione:

....
Ebbene, una considerazione viene spontanea, o perlomeno viene a me. Infatti pare che non sia venuta a nessuno dei commentatori ufficiali, i quali leggono nella frase semplicemente la dichiarazione che l'anima che entra mai più uscirà quindi tanto vale che si rassegni.
Ma allora, perchè scriverla? Vien da pensare che chi entra potrebbe anche non farlo, potrebbe anche mantenere la speranza. E in effetti, molte anime che Dante incontra sembrano conservane... per non dire che Dante, che pur entra, poi anche esce e come lui forse qualcun altro...
Ma allora? Che senso ha la frase?
Si potrebbe leggerla come un consiglio....
Dalla mia esperienza personale, ho visto che, quel che andavo cercando era il fatto che prima o poi gli sforzi, la fatica dovessero finire. Come dire, facciamo sto giro all'Inferno ma prima o poi se ne uscirà... invece no. Gli sforzi e la fatica, credo che siano proporzionali a quanto si riesce a camminare... e quel che speravo che finisse prima o poi, ho capito che voglio che diventi uno stile di vita... dunque l'impegno, e la voglia di fare, e di cercare. Non è facile. Smettere di sperare che finisca... potrebbe essere questo il consiglio?

:C:

luke 23-07-2010 18.17.19

Ho riflettuto anche io sull'interpretazione di Ray sulla frase della speranza.
Pensavo che la speranza ch esi ha prima di entrare all'inferno, è una speranza forse artificiosa, o appena abbozzata, ( forse perchè siamo artificiosi ed abbozzati noi per primi) consistente nella ricerca di appigli per soddisfare pulsioni ed istanze ancora da purificare.

Una volta fuori dall'inferno, ritroveremo lì la speranza ad aspettarci però stavolta sarà una speranza diversa, forte, vera, così come saremo diversi noi, anche se l'impegno ed il percorso comunque continuano.

Ray 23-07-2010 18.40.50

Spes ultima Dea, dicevano i latini...


Volevo fare una considerazione sulla discesa di Dante all'Inferno. Come si saprà, ed eventualmente parliamo più diffusamente altrove, l'Inferno è descritto da Dante come un buco conico che scende fino al centro della Terra. Lucifero si trova proprio al centro e da lì si risale dall'altra parte, nell'emisfero opposto, fino alla superficie.

Al di là dei valori simbolici di questa struttura, sui quali si può disquisire pressochè illimitatamente, e che hanno con ogni probabilità un valore centrale alla scelta di Dante di descrivere così il suo viaggio, mi limito ad una piccola considerazione di ordine fisico. Se facessimo davvero, col corpo, il viaggio di Dante, man mano che scenderemmo nell'inferno, il nostro peso aumenterebbe. Sarebbe sempre più difficile avazare... camminando ovvio, a meno di cadere. Se infatti cadessimo la nostra velocità aumenterebbe costantemente, proprio come il nostro peso appunto. Tra l'altro, il peso (o meglio la forza con cui verremmo attratti verso il centro) aumenterebbe secondo una proporzione esponenziale, essendo la forza di gravità inversamente proprozionale al quadrato della distanza. Quando arrivassimo al centro, ovviamente ipotetico, un punto astratto, di lì non potremmo più muoverci. E infatti Dante, aiutato da Virgilio, ci fa una specie di giro attorno, immaginando il centro all'interno di Lucifero.

Questo, fuor di metafora, spiegherebbe l'aumentare costante delle difficoltà a muoversi e del "peso dell'anima".

Mi si potrebbe far notare che Dante non conosceva la gravitazione... io però non ci credo. Forse non la conosceva nei termini espressi dagli scienziati, ma conosceva a fondo le Leggi della Natura, molto più a fondo degli stessi scienziati moderni. La maggior parte perlomeno.

Edera 23-07-2010 19.48.27

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 88086)
Spes ultima Dea, dicevano i latini...




Questo, fuor di metafora, spiegherebbe l'aumentare costante delle difficoltà a muoversi e del "peso dell'anima".

.


Piombo come pesantezza, inerzia, sensazione di non-essere che chiude come un coperchio e soffoca. Come se l'energia precipitasse, si concentrasse in un punto e bisognasse trovare un modo per andare a recuperarla. Questi momenti aumentano di intensità. Il mio terrore è che senza una guida (Dante ce l'aveva) il rischio sia quello di rimanere sigillati o che il contenuto celato scoppi in tale maniera da portare alla follia. Sui testi dicono che bisogna scendere e poi scendere ancora per andare a liberare il fuoco che è precipitato... Ma come? In che modo? Il desiderio di arrendersi diventa grande, la paura aumenta e l'unica via di fuga sembra: rimettersi a dormire. Ma anche questa ipotesi mi sembra illusoria. E' veramente possibile rimettersi a dormire? Dimenticarsi?
Forse la speranza da lasciare è proprio questa.
Non credo di riuscire a ripararmi sotto una romantica idea religiosa.

Ray 14-11-2010 23.28.39

Tiro su questo vecchio tread perchè in qualche modo era diventato un contenitore di una serie di mie riflessioni sparse, non necessariamente connesse tra di loro in modo sistematico. Quindi non mi preoccupo di saltare di palo in frasca. Se poi una singola riflessione dovesse diventare oggetto di approfondita discussione nulla vieta di aprire un tread specifico.

Ragionavo sui passaggi... Daf ha ritirato su, qualche giorno fa, il tread in cui parliamo del passaggio da in piedi a seduti e, ragionando, connettevo la cosa ad alter questioni.

Mi chiedevo se sia possibile, nella Via, che alcuni passaggi avvengano senza che ce ne accorgiamo al momento, ossia senza che la coscienza ne sia testimone. In questo caso potrebbe darsi che ce ne accorgiamo solo in seguito, magari quando la coscienza si sviluppa adeguatamente da sostenere ciò che in realtà abbiamo già vissuto, anche se - e va sottolineato - ad altri livelli.

Mi sono risposto che non solo è possibile, anzi è inevitabile. E non solo perchè viviamo e percepiamo in differita... ma se su questo mi sbaglio gradirei venire corretto o, perlomeno, sentire opinioni divergenti, possibilmente argomentate.

Se, come credo, esistano dei passaggi che compiamo senza rendercene immediatamente conto, ne segue che detti passaggi sono in realtà (almeno) due passaggi e non uno. Ossia quando compio il passaggio e quando mi rendo conto di averlo compiuto. Mi chiedevo quale dei due conta in realtà... per me ray ovviamente conta il secondo, ma per Ray, probabilmente no. Verrebbe da dire che determinate possibilità acquisite al passaggio non diventano effettive che al secondo passaggio, quello della coscienza. Nel senso che se non so di avere un'automobile, non la posso guidare. Il fatto è che non è sempre così... anzi, a volte ci si rende conto di avere un'automobile proprio perchè ci si scopre a guidare.

Ritengo quindi che esistano entrambi i tipi di possibilità: quelle che posso usare solo dopo aver preso coscienza del passaggio e quella che uso comunque e che, magari, mi aiutano a prendere coscienza del passaggio stesso.


Mi rendo conto che questo discorso è a rischio imbambolamento, quindi chiarisco subito una questione, anche se non è il centro del discorso che mi interessa.
Portando all'estremo quanto ho detto si potrebbe trarre la conclusione, come molti affermano, che siamo già tutti illuminati solo che non ne abbiamo coscienza.
Di per se questa affermazione è difficilmente smontabile, a meno che non si pretenda, come appunto fanno molti, che per conseguenza di ciò non occorre fare nulla. Invece, dato il mio discorso dei due passaggi, lo sforzo per prendere coscienza di ciò che sarebbe anche se non so, si trasmuterebbe nel lavoro per produrlo. Quindi ci potrebbe anche stare. Tuttavia io personalmente non lo credo. Ritengo che sia invece una conquista di pochissimi. Credo però anche che, nella Via, tutti i passaggi presentino un lasco tra il loro verificarsi e la presa di coscienza del fatto che si sono verificati e forse, questo lasco è indirettamente proporzionale al percorso fatto (ossia maggiore più siamo indietro) ma di questo non sono per nulla sicuro. Potrebbe darsi che, a seconda dei passaggi, si presenti un fattore soggettivo che ampli, anche molto, o riduca il lasco.

Sole 15-11-2010 00.56.30

Una cosa del discorso non mi convince appieno.
Certamente vivamo passaggi di cui non abbiamo consapevolezza ma di cui ne prendiamo successivamente ma non è lo stesso passaggio. La prima volta è il passaggio, il secondo è la presa di coscienza o la consapevolizzazione del primo. Vedrei meglio dire che nel primo accade un cambiamento di stato nel secondo siamo in quel cambiamento pienamente. C'è un inizo e una pienezza dello stato. Le vedo due cose diverse.
Ma ho pensato che forse potevi intendere quel lasso di tempo in cui viviamo nel passato.

Ray 15-11-2010 09.38.00

Citazione:

Originalmente inviato da Sole (Messaggio 92407)
Una cosa del discorso non mi convince appieno.
Certamente vivamo passaggi di cui non abbiamo consapevolezza ma di cui ne prendiamo successivamente ma non è lo stesso passaggio. La prima volta è il passaggio, il secondo è la presa di coscienza o la consapevolizzazione del primo. Vedrei meglio dire che nel primo accade un cambiamento di stato nel secondo siamo in quel cambiamento pienamente. C'è un inizo e una pienezza dello stato. Le vedo due cose diverse.
Ma ho pensato che forse potevi intendere quel lasso di tempo in cui viviamo nel passato.

No, come ho detto non intendevo solo il nostro vivere nel passato.
Ho capito quello che dici ma io resto convinto che invece sia lo stesso passaggio. Solo che per noi (io) avviene in due fasi e, percependo solo la seconda parte, ci paiono diversi. Ma dal punto di vista diciamo spirituale è tutt'uno, forse il secondo non sarebbe neanche necessario.

Uno 16-11-2010 22.06.16

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 92397)
Mi chiedevo se sia possibile, nella Via, che alcuni passaggi avvengano senza che ce ne accorgiamo al momento, ossia senza che la coscienza ne sia testimone. In questo caso potrebbe darsi che ce ne accorgiamo solo in seguito, magari quando la coscienza si sviluppa adeguatamente da sostenere ciò che in realtà abbiamo già vissuto, anche se - e va sottolineato - ad altri livelli.

Mi sono risposto che non solo è possibile, anzi è inevitabile. E non solo perchè viviamo e percepiamo in differita... ma se su questo mi sbaglio gradirei venire corretto o, perlomeno, sentire opinioni divergenti, possibilmente argomentate.

Se stiamo attenti nel discorso a non dimenticare "alcuni passaggi" si, è possibile ed anche inevitabile, come è inevitabile che per altri passaggi dobbiamo accorgerne, prenderne pienamente coscienza, pena il non reale passaggio ma solo un suo simulacro, a volte utile, ma più spesso dannoso.
Citazione:


Se, come credo, esistano dei passaggi che compiamo senza rendercene immediatamente conto, ne segue che detti passaggi sono in realtà (almeno) due passaggi e non uno. Ossia quando compio il passaggio e quando mi rendo conto di averlo compiuto. Mi chiedevo quale dei due conta in realtà... per me ray ovviamente conta il secondo, ma per Ray, probabilmente no. Verrebbe da dire che determinate possibilità acquisite al passaggio non diventano effettive che al secondo passaggio, quello della coscienza. Nel senso che se non so di avere un'automobile, non la posso guidare. Il fatto è che non è sempre così... anzi, a volte ci si rende conto di avere un'automobile proprio perchè ci si scopre a guidare.
Ma tu puoi avere anche una automobile che non è tua, puoi guidare un'automobile che non è tua etc... tutto questo non ti rende proprietario di una automobile, viceversa quando sei proprietario di una automobile puoi averla e puoi guidarla indipendentemente che tu la faccia tenere e/o guidare ad altri.
Citazione:


Invece, dato il mio discorso dei due passaggi, lo sforzo per prendere coscienza di ciò che sarebbe anche se non so, si trasmuterebbe nel lavoro per produrlo. Quindi ci potrebbe anche stare. Tuttavia io personalmente non lo credo. Ritengo che sia invece una conquista di pochissimi. Credo però anche che, nella Via, tutti i passaggi presentino un lasco tra il loro verificarsi e la presa di coscienza del fatto che si sono verificati e forse, questo lasco è indirettamente proporzionale al percorso fatto (ossia maggiore più siamo indietro) ma di questo non sono per nulla sicuro. Potrebbe darsi che, a seconda dei passaggi, si presenti un fattore soggettivo che ampli, anche molto, o riduca il lasco.
E' il continuo sforzo per passare, ed il passaggio stesso, da uno all'altro stato che ci rendono qualcosa, ci fanno essere qualcosa. Quel qualcosa che nel discorso è una tappa/passaggio della Via.

Metti che metaforicamente sto seguendo una via per essere un atleta di pentathlon. Una tappa/passaggio potrebbe essere imparare a lanciare il giavellotto. Faccio degli sforzi etc... tutto il discorso visto.
Quando sono un lanciatore di giavellotto, cioè ho fatto un passaggio nella via da me scelta passo al lancio del disco etc...
Però non posso non lanciare più il giavellotto solo perchè ho imparato a farlo. Altrimenti diventerei un ex lanciatore di giavellotto. Si l'esperienza l'avrei sempre, ma se non continuo a lanciare giavellotti.... non dinventerò/sarò mai un atleta di pentathlon.

Questo è un errore che molti fanno nella Via, si passa un punto e lo si archivia perdendolo per quanto lo si fosse afferrato saldamente.

Non so se è abbastanza chiaro, quasi sicuramente non il continuo passaggio da non coscienza a non coscienza che nella Via potrebbe sembrare un controsenso se non lo si visualizza nell'eterno presente.

Ray 17-11-2010 01.40.15

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 92504)
Se stiamo attenti nel discorso a non dimenticare "alcuni passaggi" si, è possibile ed anche inevitabile, come è inevitabile che per altri passaggi dobbiamo accorgerne, prenderne pienamente coscienza, pena il non reale passaggio ma solo un suo simulacro, a volte utile, ma più spesso dannoso. .

Si, questo mi è chiaro.

Citazione:

Ma tu puoi avere anche una automobile che non è tua, puoi guidare un'automobile che non è tua etc... tutto questo non ti rende proprietario di una automobile, viceversa quando sei proprietario di una automobile puoi averla e puoi guidarla indipendentemente che tu la faccia tenere e/o guidare ad altri.
Ah. Eggià. Questo mi chiarifica moltissime cose. Grazie.


Citazione:

Questo è un errore che molti fanno nella Via, si passa un punto e lo si archivia perdendolo per quanto lo si fosse afferrato saldamente.
Questa me la scrivo sullo specchio.

Citazione:

Non so se è abbastanza chiaro, quasi sicuramente non il continuo passaggio da non coscienza a non coscienza che nella Via potrebbe sembrare un controsenso se non lo si visualizza nell'eterno presente
Qui o c'è un "non" di troppo o non ci ho capito un taralluccio.

Uno 17-11-2010 03.44.53

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 92529)
Qui o c'è un "non" di troppo o non ci ho capito un taralluccio.

Qual'è il "non" che non ti torna?

Ray 17-11-2010 11.04.51

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 92531)
Qual'è il "non" che non ti torna?

Beh, questo significa che non hai sbagliato a scrivere, bon.

Da non coscienza a non coscienza... ci ragiono, anche se un po' mi par di intuire. Sono due diverse non coscienze, no?

Uno 17-11-2010 11.17.27

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 92543)
Beh, questo significa che non hai sbagliato a scrivere, bon.

Da non coscienza a non coscienza... ci ragiono, anche se un po' mi par di intuire. Sono due diverse non coscienze, no?

No, c'è un "non" di troppo. Stanotte mi è sfuggito.
Era da non coscienza a coscienza e viceversa.

Ray 17-11-2010 12.43.37

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 92545)
No, c'è un "non" di troppo. Stanotte mi è sfuggito.
Era da non coscienza a coscienza e viceversa.

Ok, adesso mi torna, grazie.

Sole 04-02-2011 00.39.52

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 86391)
In una fase che io ritengo piuttosto avanzata del nero, il vissuto del Ricercatore si può riassumere grossmodo così: mi conosco, so di quelle parti di me che mi frenano nel cammino e so anche cosa dovrei fare e come dovrei essere per riuscire ad andare oltre ma so anche con assoluta certezza che è del tutto impossibile. Come si può facilmente immaginare non è la situazione più piacevole del mondo.
Il precedente lavoro ha fatto emergere tutte quelle caratteristiche che di fatto impediscono il cammino e tutta una serie di passaggi: ego, importanza personale, appetiti che dominano, tendenze proprie o ereditate che prendono il sopravvento, sonno e la lista può essere lunghissima. Di questa lista fanno parte delle cose assai pericolose, come il desiderio di fermarsi, la paura di abbandonare ciò che ci frena ma ci piace e simili... complessi che entrano in conflitto con quella parte che invece vorrebbe avanzare ma che finisce spesso in ombra, che è debole. Che non basta. Che in certi momenti non percepiamo neanche.
Ebbeh... che Nero sarebbe sennò?

Arrivati a quel punto si sa ormai benissimo come si dovrebbe essere e cosa si dovrebbe fare: in sintesi, diversi da come si è e molto, molto di più. Ma non ci si riesce. Si fa un po', c'è un barlume, ma poi si ricasca. Ci si rialza, sempre con maggior fatica e si fa un altro sforzetto, poi si ricasca. E aumenta la difficoltà a fare sforzi, aumenta il desiderio di non farli. E si fa sempre meno, meno di quel che si potrebbe, con però la lucidità che resta: la consapevolezza che si sta facendo meno, poco, troppo poco e che non siamo capaci di fare di più e meglio.

E' una condizione terribile, un limbo infernale in cui nasce la depressione. Depressione non in senso emotivo, o almeno non solo, ma la sensazione fisica di essere in una depressione.
Se qui dove siamo subiamo maggiormente le influenze della materia o del male o del demonio, chiamiamolo come meglio ci piace, allora avvicinandoci sempre di più al Nero è chiaro che ci si appesantisce come accennava Ray più su, e più si è vicini alla materia grezza, più leggi si subiscono e meno possibilità di movimento abbiamo. Tutto si potrebbe fermare, si potrebbe rimanere invischiati li, incapaci di uscirne, di muoversi, di respirare e tornare a galla ogni volta.
Si sa cosa e come si deve fare, ma prorpio nonsi riesce a fare. Ci vuole un grande sforzo e una buona volontà.


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