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La perdita ti lascia dei vuoti, e se non li conosci non conosci il come e il perchè questo avviene dai all'altro la colpa di ciò che provi di ciò che ti accade, ti pare di morire ed è reale quello che provi. E' come se ti sentissi precipitare nel vuoto. Poi scopri magari come è successo a me che l'altro era quello che si prendeva la responsabilità, anche della mia vita, che io non mi ero mai voluta prendere, per paura/terrore di sbagliare, e per questo avevo preferito delegare a lui, il che vuol dire non affrontare la vita e che quindi vivevo di riflesso. E quando questo accade all'improvviso è come doversi alzare in piedi essendo rimasti a letto per anni e anni i muscoli non ti reggono da qui la sensazione di non riuscire a sopravvivere senza l'altro cosa, meccanismo che se non si conosce porta anche a esiti letali che piaccia o no. Per me scoprire questo ora è stato un po' una doccia fredda, scoprire che dobbiamo essere indipendenti prima possibile per non sentirsi senza i muscoli allenati e quindi incapace di stare in piedi da se. La rabbia come dici tu Stella è stata contro di me anche se poi la sparpagliavo in giro, ma in primis era per me e per aver permesso tutto questo. Il detto che quando perdiamo una cosa ne comprendiamo il valore mi sa che è applicabile anche a questo. Grazie |
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E' evidente che, nell'elaborazione del lutto, questa dipendenza, quale fattore presente nella relazione, va anch'essa elaborata. E' altrettanto chiaro che potrebbe darsi di rendersi conto di questa dipendenza solo quando ci ritroviamo senza la persona. Ma di sopravvivenza vera e propria si tratta solo quando senza l'altro si muore. L'esempio di Sole, comune a molti anziani purtroppo, per il quale al mancare di uno dei due l'altro tende a lasciarsi morire dopo poco è assimmilabile... nel senso che c'è dipendenza, ci potrebbe essere anche dell'altro (mancanza di altri scopi ecc.) ma chi resta potrebbe anche continuare. Se si lascia andare in qualche modo ci mette del suo, non è per forza così. Diverso, ovviamente, il caso del neonato che resta solo al mondo... in un'ipotetica assenza di società che se ne occupa non sopravviverebbe. Questo perchè al dipendenza è una condizione dalla quale partiamo, dipendenza fisica proprio, e dalla quale dovremmo sottrarci crescendo. Purtroppo non sempre ci riusciamo del tutto. Vediamo l'ordine naturale delle cose... che è perdere ad esempio i genitori quando siamo adulti, e quindi non diventando, per questa perdita, "orfani" (nessuno aveva colto lo spunto su questa parola... vabbeh). Dovrebbe essere una perdita che, pur facendoci male, è non troppo difficilmente elaborabile, dato che non abbiamo più bisogno di loro. Vediamo la cosa del compagno/a... già la parola la dice lunga, compagno. Qualcuno che condivide con noi determinate cose, ad esempio la vita familiare, l'abitazione, sentimenti, scopi come crescere i figli eccetera. Ma compagno significa che due adulti, ossia persone indipendenti o potenzialmente tali, decidono di stare assieme. Chiaro che si condividono anche i bisogni, e chiaro anche che in due è meglio che da soli, è più facile, più piacevole, più interessante. Ma restando soli, pur diminuendo giocoforza il livello generale, si dovrebbe essere in grado di cavarsela. Perlomeno per quanto riguarda quelle cose che si dovrebbero fare da soli, come la sopravvivenza personale, prendere decsioni eccetera. C'è un ma, ed è un ma grosso, e lo so che adesso butto una bomba. La questione figli. I figli si fanno in due e si tirano su in due. Non è possibile, stando alla natura, fare figli da soli, e, anche se è possibile tirarli su da soli, la natura in qualche modo non prevede questo e la società si è conformata in modo da scimmiottare più o meno consapevolemente la natura. L'ordine naturale delle cose infatti vorrebbe che si perda il compagno, se deve accadere, quando i figli sono adulti e non hanno più bisogno dei genitori. (sto parlando di morti, non di separazioni, che lasciano a disposizione dei figli entrambi i genitori e che comunque sono decisioni prese dagli interessati, in linea di massima). E' chiaro che la condizione di vedovo/a con fligli da allevare è molto difficile e, forse, la naturale tendenza, è quella di rimpiazzare inn qualche modo il partner perduto. Tuttavia, la condizione reale, facile o difficile che sia, in cui ci si viene a trovare dopo la perdita è parte integrante dell'elaborazione del lutto. Andrebbe esaminata in ogni suo dettaglio e affrontata di conseguenza... e per farlo occorre accettarla come nuova ma attuale condizione in cui ci si trova, come nuova realtà. Anche la relazione va analizzata, compresa, e dato che è finita si può cercare di trarne un senso... poi va smontata. Qualche tempo fa, parlando d'altro (forse neanche tanto diverso) con Filo, ho paragonato le relazioni a ponti che collegano isole, dove le isole sono i singoli umani. Dicevo che quando uno muore è come se l'altra isola, quella che c'è dall'altra parte del ponte, fosse affondata. E' necessario quindi smantellare quel ponte, perchè ora pesa su una sola isola e può farle dei bei danni. Chiaro che il nuovo equilibrio comprenderà la mancanza di tutto quello che dall'altra isola, tramite quel ponte, arrivava. Dai generi alimentari, ad altri tipi di nutrimenti meno materiali. Ed è anche necessario trovare dove mettere quel che noi, attraverso il ponte, mandavamo di là. |
Quello che noto più spesso nell'elaborazione di un lutto sia dentro di me ma anche negli altri è il senso di colpa. Sia per ciò che andava fatto e non si è fatto , oppure nel fatto di essere sopravvissuto all'altro, in seguito ad incidente ad esempio.
Ciò che mi ha colpito molto è il senso di colpa di una madre che ha perso un figlio 15 anni fa. Ha sofferto molto ma mi diceva ora dopo tutti questi anni sente svanire la sofferenza e il ricordo visivo del figlio e per questo si sente molto in colpa. Cerca disperatamente di trattenere quel dolore, quella sofferenza malgrado dentro non c'è più e il senso di colpa la sta divorando, e insieme a lei anche il resto della famiglia che si vede colpevolizzato anche di un sorriso. Ma cos'è questo senso di colpa, solo attaccamento? Non riesco a capirlo, a compenetrarmi perchè grazie a Dio non ho avuto questa esperienza, ma è una donna inavvicinabile e inconsolabile, non riesce a darsi il permesso di vivere senza suo figlio. |
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Si è spostata da poco e da un po' di mesi cercavano un bimbo. E'riuscita a rimanere incinta ma oggi mi ha scritto che è in ospedale e che il cuore del bimbo non batte più (è al secondo mese) e quindi sta aspettando per fare il raschiamento dell'utero. In questi casi è un lutto, un lutto per un figlio sognato, che ancora non esiste ma è appena abbozzato, un gamberetto. Mi chiedo che senso ha la sua morte per la madre? E (la domanda forse è troppo complicata) per il feto che muore, dove sta l'insegnamento, sempre se c'è ne uno.. E sempre se dentro quel feto ci sia già una qualche presenza spirituale.. |
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Per diventare indipendenti i figli attraversano un lutto? Il lutto di aver perso i genitori, anche se non fisicamente? |
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