Mettersi nei panni degli altri
Non è sempre facile, almeno per me non lo è.
Potremmo integrare la frase con: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. Allora così suona un pò più vicino.. come se con la frase di Gesù ci fosse quel passaggio che permette di respirare un attimo e considerare in noi l'altro mettendoci nei suoi panni, con la sua storia anche lontana dalla nostra. Il problema nasce quando mettendomi nei panni altrui rischio di perdermi nell'altro e nel volerlo comprendere si può perdere l'occasione di dialogo .. insomma è sottile il confine tra compassione e pietà. Eppure se si potesse tenere a mente sempre prima di parlare pian piano si potrebbe cercare di comprendere tutte le esprerienza senza necessariamente averle vissute.. anche solo immaginando.. Cosa ci ferma allora? Cosa non ci permette? Il bisogno di essere a nostra volta compresi? |
Mettersi nei panni degli altri è una cosa difficilissima secondo me se non ci si è passati o non si è in grado di rapportare l'evento in diversa forma rispetto a qualcosa che abbiamo vissuto in prima persona.
Non fare agli altri quello che non si vuole sia fatto a noi però potrebbe farci scappare da qualcosa che non vogliamo anche se giusto o fare qualcosa che all'altro fa male perchè a noi è indifferente per esperienze diverse. Mi pare un problema di non facile risoluzione. Mettersi nei panni degli altri ...forse bisognerebbe abbandonare le proprie convinzioni aprirsi ascoltare fare in modo che l'altro ci spieghi bene cosa intende e sentire con il cuore non sentendoci ne sopra ne sotto ma lì con lui o lei. Vibrare insieme mettendoci sullo stesso piano. La difficoltà sta nella divesità delle esperienze che ci hanno formato e se le esperienze sono identiche con stessi risultati è più facile mettersi nei panni degli altri, allora forse dovremmo azzerarci e provare a vivere quelle emozioni e vedere dentro di noi cosa scatta, come agiremmo, cosa diremmo, cosa faremmo con quella interiorità che ci è estranea. Secondo me sino a che non si diventa impersonali non si riesce ci si può avvicinare ma non altro. E per diventare impersonali ahah devo ancora fare tanta strada. abbraccio: |
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Sto provando ad osservare da diverso tempo questa cosa perchè ritengo che spesso, siamo convinti di metterci nei panni degli altri, e invece ci immedesimiamo, che è diverso.. o meglio.. in genere su di me ho potuto osservare due cose: 1) non mi interessa quello che accade all'infuori di me (C'era un esempio calzante di Ray quando si parlava di datori di lavoro (imprenditori) e impiegati.. è più semplice guardare al lato che si conosce "giudicando" l'altra parte piuttosto che provare a mettersi nei panni dell'altro..) 2) mi immedesimo e soffro, ma in realtà, non sto soffrendo per l'altra persona, ma per me stessa.. Alla fin fine credo che sia una questione di importanza personale anche questa. Raffrontare tutto alla propria esperienza, credere di poter capire cosa prova un altro, non è riuscire a mettersi davvero in quella situazione, ma vederne solo la piccola parte che coincide con il nostro vissuto... |
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Questa cosa non l'ho capita al momento. Alla fine se " sono" l'altro, dovrò " Sentire" ciò che sente lui ed anche quello che Pensa o anche Sapere cosa farebbe in una detrminata situazione ed altro ancora. Per fare questo, come dice Gris, dovrei essere in grado di far questo solo se ho raggiunto un certo grado dove la personalità ( soggettiva) è abbastanza lontana. Credo però che siccome questo livello è un po lontano dal venire mi pare, l'unica cosa che abbiamo al momento è l'immedesimazione. Identificarsi credo che possa essere un " gradino", anche se superficiale, dove poggiare, all'inizio, il piede. La particolarità di questo stadio è anche difficile a mantenere. Come dice Sole, infatti, lo sconfinare nella pietà è prossimo al farlo nel momento in cui l'attenzione cala. Essere nei panni dell'altro significa " sentire" il peso di quella esperienza? |
Non credo che mettersi nei panni degli altri significhi consderare come agiremmo o ci sentiremmo noi in una data situazione non nostra. Questo è semplicemente osservare da un punto di vista diverso. Invece sono più con Jez, quando dice che è sentire come l'altro.
Per mettersi nei panni degli altri occorre prima togliersi i propri. Tutti. Se mi metto la camicia di Caio sopra la mia non saprò cosa Caio prova nell'indossarla. Anche qui, inizialmente saprò come mi sento io con la camicia di Caio forse, ma se tolgo anche i miei panni di "come mi sento" (biancheria) allora saprò dell'altro. Quindi sono certamente escluse cose come compassione o pietà a meno che non le provi l'altro. Quelle le proviamo quando ci rimettiamo i nostri e facciamo il confronto. |
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Mettersi nei panni degli altri secondo me è voler ascoltare,partecipare,accompagnare senza alcun giudizio,o valutazione su ciò che si sta ascoltando...accogliere l'esperienza altrui pur consapevoli che non è la nostra,ma sentendo come nostre le emozioni che ne derivano,senza lasciarsi sopraffare,senza intenzioni consolatorie,ma creando empatia con chi ci sta di fronte,sintonizzandosi in un certo senso sulla sua lunghezza d'onda...non per dire alla fine è giusto o sbagliato,giudicando secondo il nostro punto di vista,ma semplicemente per comprendere in noi ciò che l'altro prova e vive...sentendolo dentro di noi.
:C: |
Concordo con Ray... per mettersi i panni degli altri bisogna prima spogliarsi dei nostri. Spogliarsi vuol dire rimanere nudi con la sola oggettiva presenza senza alcun indumento. Questa è la cosa più difficile da fare e da capire. Sole almeno riesce ogni tanto, per me rimane a tutt'oggi un'impresa impossibile.
Sole accenna al fatto che mettendosi nei panni altrui rischia di perdersi nell'altro. Come dire che se io una volta spogliato dei miei panni, nel momento della vestizione dei panni dell'altro mi dimenticassi di me, di chi sono. A quel punto sarei l'altro per il fatto di indossare i suoi panni, dimentico di me senza più riferimenti. Serve poter distinguere l'uomo dai suoi panni per poterli cambiare sennò si rischia di far confusione tra scarpe calzine e camicie... Sole aggiunge... "e nel volerlo comprendere si può perdere l'occasione di dialogo .. insomma è sottile il confine tra compassione e pietà." Non capisco bene questo passaggio... la volontà è di comprendere ma poi il rischio è di perdere l'occasione di dialogo? Compassione è la ricerca di "passione comune" mentre la pietà da cosa nasce? Sole mi puoi spiegare meglio questo passaggio?... mettiti nei miei panni. |
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Per indossare i panni di un altro ci si deve prima spogliare dei propri , per sentire la camicia dell'altro sulla propria pelle , questa deve essere nuda .. quindi si deve fare spazio nella propria mente per poter accogliere le emozioni , il sentire dell'altro e ciò secondo me comporta avere la grossa capacità di riconoscere le proprie emozioni , sentirle , valutarle controllarle per poi riuscire a metterle da parte per far spazio a quelle dell'altro |
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Certo è difficilino dire chi è che cerca la sculacciata eppure interagiamo tutti. Chi da una sculacciata ad un bimbo dovrebbe egli stesso essere in grado di riceverne all'occorrenza... Avrei voluto saper dire meglio questa cosa. :C: |
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Mettersi nei panni degli altri vuol dire riuscre a rimanere Se Stessi dimenticandosi di un se personale. Citazione:
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Gris ha parlato di ascoltare, ed è bello perchè l'ascolto presuppone l'abbondono della nostra posizione, e di fatti è cosa non facile da fare, prima o poi qualcosa ci parte... Però mi chiedo proprio come si faccia a mantenere una presenza e nello stesso tempo sentire/ascoltare l'altro? Sembra quasi che mettersi nei panni dell'altro sia una sorta di meditazione.. Cioè concentro dentro di me la mia presenza ed espando verso l'altro la mia attenzione.. Ciaro che possiamo farlo esercitandoci ogni giorno tentando di ascoltare e scoprire. |
Scusate se ho risposto con tanti post ma mi avete dato tutti moltissimi punti di riflessione anche chi non ho citato.
Intanto una considerazione del togliersi i propri abiti ed indossare quelli altrui. Cosa sono gli abiti? Un tempo il teatro nasceva come rappresentazione iniziatica del gioco delle personalità. Per potersi render conto di come mettiamo in scena la nostra vita attraverso un uso inconsapevole delle personalità si inventava un personaggio che poi veniva rappresentato in teatro. Per rendere ancora più vivo e vero questo personaggio /personaliltà gli si davano degli abiti. Ci si metteva in quegli abiti diventando la personalità che diventava l'abito. Si tratta di indossare una personalità togliendosi la propria e togliendosi la propria si mettono in disparte anche le esperienze emozionali che la comprendono. Forse in questo senso allora si.. si recita una parte e si può comprendere tutto. In fondo secondo l'enneagramma le personalità sono 12 con infinite sfumature di colore. Per rispondere a Grey qui: Citazione:
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Facciamo un esempio forte, così mi viene. Rivoluzioni, monaci e diritti. Se mi metto con i sentimenti di Sole in quella situazione io provo rabbia dolore e tantissima pietà per quella gente. Se provo ad immaginare un uomo che si da fuoco in mezzo alla piazza per i diritti di libertà provo compassione e dispiacere e rabbia ancora... ma lui che provava mentre si dava fuoco? Se sono lui sento umiltà per la sua vita che non contava quanto il messaggio che voleva veicolare.. provo forza e fede e amore per quel che sto facendo, non un bricilo di rabbia non un pochino di orgoglio personale e repressione.. un uomo libero e forte può far questo, non un uomo prigioniero. Se provo pietà sono io, Sole, che la prova.. ma quell'uomo mentre compie un gesto di Amore cosa prova? In questo senso. Chiaro che poi la compassione è comunicazione ma se ci metto qualcosa che è una mia interpretazione con la mia personalità allora perdo l'occasione di indossare i suoi panni e cerco solo di essere solidale. |
uhm...vediamo se ho capito qualcosa..io credo che possiamo in genere metterci nei panni di qualcuno solo quando abbiamo sperimentato quasi tutti i sentimenti che può provare, oppure posso farlo quando ho vissuto e compreso in me ogni sentimento, ogni sensazione ogni reazione...facciamo un esempio,se ascolto una notizia come quella di un kamikaze che si è fatto esplodere in una metropolitana, posso comprendere il suo punto di vista, posso comprendere che viva nella rabbia nell'umiliazione (discutibile lo so) e che l'unica via nel suo ambiente, nel suo credo, per sua cultura, accettabile sia quella della violenza.Posso immaginare la frustrazione, la collera, il valore ideologico del sacrificio...ma non posso realmente mettermi nei suoi panni perchè non ho vissuto la sua cultura, il suo paese, la sua storia..se invece Marianna siede disperata in ufficio perchè, che ne so, il marito l'ha tradita o perchè le han rubato in casa mettermi nei suoi panni è più semplice perchè sono sentimenti e reazioni che "conosco", che magari ho vissuto, e posso "ritrovare" in me...senza però che io permetta a me di esprimere un giudizio, e cioè ciò che percepisco di Marianna si ferma solo al riconoscimento senza generare delle reazioni che sarebbero, penso, filtrate dal mio vissuto e quindi mie...
:U non mi immedesimo perchè, in certo senso, io non ci sono e non mi identifico perchè non esprimo un giudizio o un parere...mi dà l'immagine di un fluire comune, come se Marianna fosse un'onda e io riuscissi a seguire quell'onda, a diventarla...un essere passivo insomma come nel guardare le nuvole senza dargli un nome... nonso.gif mah |
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L'enneagramma non c'entra nulla con questa cosa Sole, è una cosa che vogliono far passare per commercializzare, però le personalità, i tipi fondamentali sono 12 e le infinite sfumature..... Quote:
Quell'uomo era disperato e pieno di paura, per arrivare ad un gesto del genere non aveva altre possibilità, questo si significa che la disperazione e la paura con la costrizione a muoversi gli fanno bruciare l'orgoglio personale, la rabbia forse. Quindi ancora hai messo i suoi panni sopra i tuoi, hai visto/sentito la perdita di orgoglio ma non la paura e la disperazione .... .----------------------------------------- Mettersi nei panni altrui non è facile, anche perchè metaforicamente questi panni potrebbero essere un cappotto, una camicia o una maglia e delle mutande, cioè panni che si fanno vedere o panni che rimangono nascosti. Chi è più ricco può permettersi di avere belle mutande anche se non le vedono tutti, chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese (ovviamente trasportiamo soldi e ricchezza su potenzialità dell'anima) cercherà di vestirsi decentemente e/o il meglio possibile sopra, dove gli altri vedono.... Quindi se siamo "ricchi" come facciamo a metterci nei panni del "povero"? E viceversa, ancor più difficile se siamo "poveri" come facciamo a metterci nei panni del "ricco"? |
in teoria occorrerebbe "denudarsi" completamente (adamo ed Eva?)
per essere "paritetici". ciauzz |
Si dice anche non vorrei essere nei tuoi panni...inteso come situazione,non vorrei essere al tuo posto perchè secondo la mia percezione sarebbe difficile,pesante,doloroso ad esempio;come anche il contrario...un amico vince un viaggio e scatta il beato te!...come vorrei essere nei tuoi panni,per partire al posto tuo.
Mettersi nei pagni altrui è sentire una circostanza non dal nostro punto di vista o di esperienza,ma seguendo il percorso di chi sta condividendo un qualcosa che è suo. Faccio un esempio...Caio non ha passato l'esame ed è preoccupato,scoraggiato...non sa come comunicarlo al padre severo,chi ascolta dovrebbe riuscire ad essere neutro,non identificandosi in Caio,nè consigliando o valutando la situazione secondo la propria esperienza col papà...ma seguendo quel filo che è di Caio e di Caio soltanto.Cercando magari insieme una soluzione che sia giusta per quel momento ed in base alla sua situazione, che sarà sempre unica per quanto simile ad altre...e per questo non per forza risolvibile a seconda delle idee di chi ascolta,anzi a volte i consigli è meglio evitarli,quantomeno se non richiesti. In pratica ci vorrebbe oggettività,un certo sano distacco...non si tratta di dire o pensare cosa farei al tuo posto,quanto cosa puoi fare tu dopo aver allargato il punto di vista condividendolo,talvolta riuscendo ad ammette qualcosa che fatica ad uscire. Secondo me bisogna allenarsi per riuscire ad essere attenti,presenti mentre qualcuno ci parla...in quanto se ascolto davvero,senza farmi distrarre da pensieri che disturbano,distraggono,senza partire con associazioni o interrompendo tanto per dimostrare di essere attento...non solo capirò davvero in che stato d'animo è chi si confida,ma potrò sentire su di me quel che lui/lei prova...ma non sono sicura che si possa realmente stare nei panni altrui,non fino in fondo...o almeno non a certi livelli... :C: ho scritto senza aver letto Uno... |
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A dirlo sembra semplice. Siamo attaccati a ciò che pensiamo di possedere di noi |
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Posto che si possa riuscire a mettersi nei panni altrui - ma secondo me lo è - ciò presuppone alla base sia la non considerazione del "peso" di questi panni e sia la non considerazione dei nostri indumenti. Come se si sappia che " questi" sono, appunto, vestiti che coprono e nulla più. Si dovrebbe rimanere, ed essere prima di tutto, in una condizione di impersonalità sempre; poterlo fare non penso che sia semplice. Entrare in questo stadio, vale a dire dove sia il cappotto e sia la mutanda hanno la stessa valenza o anche lo stesso peso o che non abbia nessuna, posto che si possa intendere in questo senso, non è semplice poichè presuppone il conoscere totalmente noi stessi e quindi, per certi versi, si potrà mettersi nei panni altrui nella misura in cui noi ci conosciamo,o sbaglio? |
Penso che se un pochino ci conosciamo, e intendo come conoscenza che avviene dopo la nostra comprensione stessa, allora forse è meno impossibile mettersi nei panni degli altri se si sa prima cosa esattamente levarsi e come affinchè nel comprendere l'altrui situazione non subentri un pre-giudizio.
Mettersi nei panni degli altri lo intendo come accogliere l'altrui esperienza. Accogliere presuppone un terreno fertile ma anche se non una predisposizione almeno un allenamento. Allenamento a tenere distanti le nostre emozioni...allenamento per non finire col diventare una spugna assorbente. Esempio posso essere una persona empatica e comprendere l'altrui esperienza, o il vissuto emotivo ma non riuscire a prenderla per quella che è e in qualche modo rischiando di trattenerla inconsciamente e rigettarmela poi addosso in qualche modo. Può accadere anche questo?booh.gif |
come possiamo osservare gli altri se già in primis stiamo "giudicando" (e non osservando) noi stessi?
un abbraccio |
Daieri che cerco di vedere questa ricchezza e povertà...
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Il ricco allora nel suo semplice abbandono può comprendere -nel senso di prendere nella sua sfera di coscienza- il povero avrà sempre per lui il bisogno del possedere non solo a livello materiale ma anche conoscenze, concetti, sapere visioni spirituali ecc ecc Posso farci rientrare anche l'interagire nel forum, che dovrebbe anche insegnarci a metterci nei panni altrui. Quando siamo attaccati, innamorati di un post che abbiamo scritto o alla nostra idea o al nostro dire in generale ecco che siamo poveri. |
Leggo delle cose un pò confuse nei post dopo il mio, quindi penso che invece che prenderle una per una è meglio allargare il discorso o prenderlo da altre angolazioni.
Avete mai detto o sentito dire un modo di dire (non dico identico e testuale ma simile almeno come senso) tipo: "qualsiasi cosa gli metti sta bene"? Inteso a persone che hanno un figura e un portamento che stanno bene con qualsiasi vestito mettono. Questa è ricchezza, chi è ricco così può vestirsi da povero o da ricco sempre bene sta, quindi può facilmente mettersi nei panni altrui. Al contrario chi lotta sempre con l'abbigliamento (metafora eh..) che non trova mai ciò che gli/le sta bene, non solo non potrà mettere i panni del ricco, ma sta male pure in tutti quelli dei poveri, compreso nei suoi. Allargo ulteriormente il discorso, alcune personalità pur non avendo ancora trovato i propri abiti tendono a provare tutti quelli altrui, a prima vista possono apparire sensibili, attenti, in realtà girano da uno all'altro perchè non sono soddisfatti di come sono vestiti e sono talmente presi da non provare mai (o quasi) ad indossarne dei propri. In varie misure questa cosa è tipica dell'umano, ma qualcuno ne fa un tratto dominante. |
ahahahaha una frase che mi è stata detta spesso (vabbeh dai) riferita esclusivamente all'aspetto esteriore e che probabilmente soddisfava l'occhio di chi la stava esprimendo in quel momento
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Questa cosa può nascere da diversi fattori, ad esempio l'incapacità di accettarsi e la necessità di essere accettati. Tornano i discorsi fatti altrove... |
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