Lo faccio per......
Lo faccio per Gino, lo faccio per il mio amore, lo faccio per Giuseppina, lo faccio per mio figlio, lo faccio per mia figlia, per mia nonna, mio zio etc....
E' giusto? E' sbagliato? |
Personalmente credo che gran parte delle cose che ordinariamente facciamo siano fatte per noi stessi o per soddisfare una parte di noi stessi e poi in misura ridotta per gli altri.
Sapere esattamente cosa sia meglio per un'altra persona non è mai facile, forse impossibile; magari iniziare a fare qualcosa, anche solo dare dei consigli o degli spunti, in modo onesto, perchè è corretto farlo, perchè qualcuno lo ha fatto con noi ed è giusto restituire il favore appena si può, nei limiti delle proprie possibilità e capacità, può essere una strada maggiormente percorribile che non pensare di fare questa o quella cosa per tizio o caio in modo "invasivo" col rischio di soffocare l'altro. |
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E giusto se ci lasciamo smuovere dalla scusa di farlo per qualcun' altro ma siamo consapevoli che è una spinta esterna che non riusciamo a darci da soli. E' sbagliato se invece usiamo gli altri per ottenere dei riconoscimenti che servono a soddisfare dei bisogni come diceva Luke. |
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Se non faccio andare mio figlio, esempio strampalato, a scalare l'Himalaia dicendo che lo faccio per lui, perchè si farebbe male è sbagliato perchè non è vero. Il più delle volte non vogliamo far fare esperienze ai figli perchè abbiamo paura di quello che può succedere e in primis di soffrire noi, quindi gli diciamo di no sbagliando e limitando la sua vita. Oppure sono fedele a mio marito/mia moglie (mentre magari non desidero esserlo) e lo faccio per lui/lei mentre lo faccio per me perchè se mi scopre mi lascia altro esempio strampalato, ma che dimostra che quello che apparentemente faccio per l'altro è fatto per il mio tornconto nascosto. Oppure quando faccio qualcosa che non ho voglia di fare ma la faccio perchè voglio sentirmi buona, volenterosa, per immagine, per tornaconto, tutto quello che dietro ha un ritorno nascosto poi se non arriva porta discordia dovuta ad aspettative mancate. Secondo me quando facciamo qualcosa per altri, non ce la raccontiamo giusta. Quindi per me fare qualcosa per gli altri è giusto nella misura in cui sappiamo farla per lui e non per noi, altrimenti è sbagliato. |
i o un sacco di cose che se non fossero (anche) per gli altri non faremmo proprio. Sto facendo un maglione per il mio nipotino dice la nonna e, se è vero che lo fa anche per la sua propria soddisfazione, se non ci fosse il nipotino non lo farebbe. L'altro spesso ci aiuta a muoverci... fare le cose solo per se stessi è difficilissimo e rischiamo di raccontarcela in senso inverso.
Quindi non direi che il fare le cose anche per proprio tornaconto personale sia sbaglliato in se, è solo pericoloso se non ne siamo consapevoli. |
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Anche io credo che il più delle volte non si facciano le cose realmente per l'altro, ma per un tornaconto personale, che come diceva Ray non è per forza sbagliato... basta esserne consapevoli e non credere di essere buoni a tutti i costi... in fondo sano egoismo penso che voglia anche dire che se faccio una cosa per un altro e ne godiamo entrambi significa che quella cosa va bene.. se faccio un cosa per uscirne bene agli occhi dell'altro non va più tanto bene, perchè in quel caso credo che invece che dare sto prendendo (a sbafo :D...)
Qualche giorno fa, ho trovato questo aforisma di Socrate che in qualche maniera mi sembra collegato all'argomento: "Se uno fa una cosa per un fine, non vuole la cosa che fa, bensì la cosa per cui fa quello che fa." Il fatto di fare una cosa per... implica che non sto facendo una cosa perchè voglio fare quella cosa, ma perchè il fine è di fare contento l'altro e anche me stesso ok, ma lasciando un attimo perdere il discorso egoismo , più o meno sano, rimane il fatto che se faccio una cosa con l'obiettivo già fissato, guardo al risultato ancora prima di aver fatto la cosa... in questo modo credo che ci perdiamo dei pezzi per strada.. d'altra parte, come diceva Ray sopra, molte delle cose che facciamo, non le faremmo se non ci fosse un "altro" per cui fare le cose.. |
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Io penso che dipende dallo spirito con cui si fa una cosa.... Se mi telefona un'amica nel cuore della notte perchè ha bisogno di sfogarsi mentre vorrei solo dormire, il darle ascolto è una cosa che faccio per lei e in seconda linea l'averle dato un aiuto mi fa sentire contenta anche se ho sacrificato qualche ora di sonno.... Ma in linea di massima penso sia sbagliato dire che si fa una cosa esclusivamente per un'altra persona, è un raccontarsela, a meno che non siamo obbligati o costretti a fare, ma qui penso si parli di un fare spontaneo. E' sbagliato dire "questo lo faccio per te" facendolo in qualche modo pesare, perchè in realtà si fa un ricatto morale in modo che quella persona si senta in debito con noi almeno per quanto riguarda quella cosa.... farsi sentire indispensabili per non restare soli.... Il fare dovrebbe essere disinteressato o per ricavarne un'utilità comune, ma in realtà ciò che facciamo di nostra spontanea volontà lo facciamo sempre prima di tutto per noi stessi. |
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Far pesare sugli altri le nostre scelte è come scaricare la propria coscienza, dire quasi che non dipenda da noi, che soffriamo per amore di qualcuno o di qualcosa, in realtà se siamo proprio sinceri con noi stessi...siamo consapevoli di agire in prima persona, se mi sacrifico e ne soffro, mi sacrifico per farmi dire brava o buona o indispensabile, di certo alla base siamo noi che muoviamo i fili!icon_mrgr: |
Risulterò estremo ma ritengo che ogni cosa che faccio, lo faccio per me stesso, per appagare un mio bisogno o perchè subisco una situazione a cui non riesco a reagire in altro modo.
E' giusto perchè tutto quello che vivo è in riferimento a ciò che mi accade, nel bene e nel male tutto scorre attraverso la mia esistenza. E' sbagliato pensare che lo si fa senza coinvolgimento, per principio o per obbligo. Quando "lo faccio per..." imputando a cause esterne a me, sbaglio in quanto mento a me stesso. |
In ogni momento della mia vita potrei fare qualcosa per me o per qualcun altro.
La scelta di fare qualcosa, o la scelta del momento influisce in questo caso positivamente sull'oggetto che è coinvolto direttamente dalla mia prestazione, e indirettamente in modo negativo su quasi tutto il resto, basta già pensare solo al fatto che sottraggo il mio tempo limitato a tutte le altre cose che potrei fare, non facendole. Allora se guardo sotto questa prospettiva almeno per quanto riguarda la mia vita, non posso proprio considerare niente di Buono nelle mie scelte. |
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Lo faccio e basta....mi verrebbe da dire. Lo faccio o non lo faccio... E' giusto o è sbagliato..? Chi è veramente fuori da questa diatriba.... Sono "dentro" o sono "fuori".... Creo o non creo... Se proprio devo dare una forma a tutto ciò lo faccio solo per me stesso. |
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Per altro, a favore di non significa necessariamente il bene per quella persona... uno può chiedermi un favore, io posso farglielo e nessuno di noi due accorgersi che si tratta di una grossa cavolata. |
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Mi viene in mente un episodio. Una persona che conosco bene ha trovato l'amante della vicina in giardino che tentava di scappare, il marito infatti era rientrato a sorpresa. Dopo un primo momento di smarrimento, l'amante della signora ha chiesto a questa persona il favore di reggergli il palco, fingendo sia andato a trovarlo perché interessato a comprare un'auto (il mio conoscente ha una concessionaria). Egli si è prestato di buon grado a reggere l'altarino anche davanti al marito della signora che così non ha dubitato di nulla. Quando mi ha raccontato l'episodio era abbastanza soddisfatto che tutto fosse andato nel verso giusto. Per come la vedo io questo favore è stato negativo, per chi l'ha fatto, per chi l'ha ricevuto e per tutti quelli coinvolti. |
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E se quello scoprendoli li avesse ammazzati preso da raptus? Certo non è bene tradire, non è bene tenere altarini e sopratutto vantarsene ma se si fosse evitata una strage? Mah io sono sempre troppo insicura sul da farsi, la cosa migliore è cercare di fare la cosa giusta per noi in quel momento probabilmente. |
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Quindi relativo sempre al conoscersi. L'affetto che intercorre tra le persone cambia già qualcosa mi par di capire, la nonna verso il nipote è spinta dall'affetto, anche se poi magari si aspetta dal nipite riconoscenza che è già un'aspettativa, quindi un ritorno che se poi il nipote non darà lei se ne potrà avere a male con relative conseguenze sul rapporto. Mi domando a parte sapere come siamo, per le aspettative mica possiamo perdere la memoria, dicendo che dobbiamo fare e poi dimenticarcene. Dobbiamo probabilmente quando sale l'aspettativa non darle retta e sapere che è un insegnamento errato, un'idea che dobbiamo nel tempo rettificare. E' così o è altro ancora che mi sono persa? |
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Riguardo all'aspettativa di quando si fa qualcosa, vorrei saperlo anch'io come riuscire a non crearla. Nel mio caso razionalmente quando l'aspettativa viene disattesa comprendo razionalmente che essa non è corretta ma emotivamente la sua disattesa continua a crearmi dolore, segno del fatto che volente o nolente me la creo sempre. |
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Come prima cosa, osservandosi è possibile pizzicare l'aspettativa prima che si presenti la soddisfazione o la delusione, ossia sentire che c'è, che ci aspettiamo qualcosa anche se il momento del "pagamento" deve ancora arrivare. A quel punto, seguendola a ritroso, a volte è possibile stabilire il bisogno che l'ha prodotta e lavorare su quello. Una volta sistemata la cosa - spesso il bisogno è ignoto - l'aspettativa non emergerà più. Altrimenti occorre costringersi a rinunciare al beneficio che ci aspettiamo... sofferenza autoinflitta che fa emergere il bisogno. |
Sapete che mi salta all'occhio da tutto quello che avete scritto?
Che dovrebbe essere impossibile fare qualcosa per altri essendone coscienti. Intendo che seguendo il filo dei vostri interventi, tranne casi particolari (che non avete però specificato) concordate che alla fin fine si fanno le cose sempre per se stessi, in maniera più o meno sotterranea. Quindi se le cose fossero così dovrebbe essere una specie di casualità fare qualcosa veramente per altri, altrimenti più ne siamo coscienti, più ci ragionamo e più cerchiamo in qualche maniera di tirare l'acqua al nostro mulino anche se spesso in via inconsapevole . Oppure possiamo dire al posto della casualità che non c'è nessuna intenzione direzionata. E questo si sposerebbe pure bene con alcune interpretazioni di dottrine orientali secondo le quali tutto accadrebbe da se. La cosa non mi convince dry.gif... se fosse così il male sarebbe più consapevole del bene, oppure non esiste male e non esiste bene, cosa che nella vita suonerebbe assurdo. C'è un punto su cui abbiamo girato intorno spesso ma non abbiamo mai affrontato da un certo punto di vista. Pare fuori tema, invece è collegato. Ti voglio bene Mi vuoi bene? Faccio il tuo bene Non è bene per lui Cosa vi ispirano questi comuni modi di dire? |
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è come diceva Gris allora, vale l'intenzione? Io pensavo che più si è incoscienti e più si fanno le cose per sè stessi pensando di farle per altre, mentre più ci si consosce e più è possibile fare davvero cose per altri senza secondi fini più o meno nascosti.. Ma ancora non ho capito bene quando si fanno le cose per l'altro e quando sono mascherate per averne un ritorno. Citazione:
Poi altra cosa che mi salta all'occhio è che volere e fare il bene sono entrambi verbi che esprimono un "movimento" del soggetto che in qualche modo ha un ruolo attivo verso l'altro.. e anche qui, credevo che il bene che si vuole, si sente verso un altro fosse qualcosa su cui non si potesse intervenire, semplicemente una questione di "sentimenti".. Non riesco invece a trovare una relazione dei primi tre esempi con il quarto. Ci penso :C: |
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Mi vuoi, ti voglio... mi sembra potrebbe avere a che fare con il bisogno di... ho bisogno di volerti bene, ho bisogno di sentirmi voluto bene o di sertirti dire che mi vuoi bene. |
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Poi c'è il verbo fare e il verbo essere Fare abbiamo visto tanto tempo fa che non è cosa semplice bisogna avere volontà Per fare il bene dell'altro di solito non è mai un bene per chi lo subisce :@@ anzi di solito vi è dietro la sofferenza se non erro Il verbo essere è all'essenza l'essenziale quello che serve veramente, in definitiva è bene ciò che ci serve e che non ha niente a che vedere ne col bene ne col male ma è solo ciò che serve :@@ |
Mi pare che si possa leggere in queste frasi dei movimenti che possono essere rappresentati come dei vettori o in forma pseudo-matematica. Questo mio approccio ad una possibile risposta, mi rendo conto è alquanto singolare, ma qualcosa mi pare di intravvedere utlizzando questo metodo.
Io(A) ti voglio bene a te(B) In questa frase la direzione parte dalla persona A verso l'altro B. La volontà ha una direzione A->B ben precisa da me stesso verso l'altro. E' una dichiarazione (asse A->B) Tu(B) mi vuoi bene a me(A)? Questa è una domanda che attende risposta. La direzione è contraria, vi è una richiesta e quindi si è in attesa di ricevere. E' una domanda (asse A<-B) Io(A) faccio il tuo(B) bene In questa frase non vi è direzione, è un'affermazione e non vi è direzione (A-B) [IO(A)affermo a (C) che]Non è bene per lui(B) Questa è un'affermazione fatta a terza persona. Io(A) affermo ad egli(C) che non è bene per lui(B). La direzione parte da A verso C di B. Affermazione (A->C)*B |
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