Le dieci parole proibite
Metto qui questa specie di decalogo.
L'ho trovato molto carino ed utile da esaminare interamente, una sorta di buone regole per diventare responsabili ed adulti anche, ma non solo, all'interno di una comunità. Non ho voglia Non tocca a me Non mi piace Non mi sento Non mi va Sono stanco Non posso Pensa ai fatti tuoi Non sono capace Lasciami in pace |
Non ho voglia
Partiamo dalla prima? In fondo poi ognuna è legata a doppio nodo all'altra. Quante volte lo diciamo e quante occasioni perdiamo e treni che passano. Alla fine "non ho voglia" quante volte è solo un atteggiamento mentale e quante invece è davvero mancanza di energia per fare. E cosa cambia all'interno di noi, e del corpo, nelle emozioni e sensazioni e in generale nel vissuto della situazione ogni volta che è un atteggiamento oppure no ernergia? |
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Le due forze antagoniste sono la ragione ed il sentimento, la prima mi impone di fare mentre la seconda si oppone con affermazioni del tipo "non ho voglia". Non so se ho perso treni in passato oppure occasioni irripetibili, però concordo nel pensare che sia sopratutto un atteggiamento mentale. Sospetto che siamo capaci di energie sopite e nascoste che manco sappiamo di avere, al contrario penso che sia un vizio della mente quello di affermare troppo spesso "non ho voglia". Cosa cambia all'interno di noi, e del corpo, nelle emozioni e sensazioni?Che domanda da un milione di dollari! Sole, se conosci la risposta mi piacerebbe conoscerla. A parte la mia curiosità, penso che sia il diverso approccio verso il fare che cambia la parola da "proibita" a propositiva. Anzi non ci si pone neanche la domanda, si fa e basta. Provo a dare una spiegazione, il "non ho voglia" è una parola ripetuta nella propria mente, un mantra negativo per indurci a rimandare il fare. Questa parola proibita ha la funzione di giustificare a noi stessi che decidiamo di non fare perchè appunto non abbiamo voglia. In realtà è una fuga dalle nostre azioni e sopratutto dalla responsabilità che abbiamo verso noi stessi di fare ogni giorno il meglio per noi stessi, per onorare il nostro esserci, questa ultima frase ha una forte connotazione mistica, mi è uscita così. |
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. Il senso di poter essere o poter raggiungere un obiettivo spinge, ma una volta persa questa convinzione, nasce il “non ho voglia”. Ciò che spinge secondo me è la gioia di poter riuscire, di poter essere all'altezza della tal cosa, ma se appena nasce il dubbio di non riuscire può divenire un peso il dover di accettare che non è così e quel peso può schiacciare e creare l’inerzia. (altra dispersione di energia) I sensi di colpa possono peggiorare la situazione ed impedire il movimento se vissuti con un ulteriore peso da portare, oppure possono generare rabbia con conseguente movimento negativo, durevole solo il tempo di averla consumata. Il “non ho voglia” può essere il modo di difendersi da qualcosa che fa soffrire, oppure una ripicca per un mancato scambio energetico. (ho provato ad essere impersonale ma non so se sono riscita) |
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Ma quando inizio a fare una cosa che mi piace, o che ho voglia di fare, anche se la spinta c' è lo stesso, mi sembra che mi costi meno energia di quando non ho voglia e mi forzo per iniziare a fare.... |
Quindi Gris, tu pensi/dici che il non aver voglia nascerebbe da un'insicurezza del risultato? Se la mente non ha certezza del risultato, non è stimolata a mandare il comando del movimento, una cosa del genere? Se interpreto bene questo apre a delle considerazioni sull'impegno e sull'andare in fondo alle cose non per la vittoria ma per il miglior risultato.
Il miglior tornaconto che si possa ottenere è la qualità dell'impegno che si mette nelle cose al di la del risultato finale. Per cui è interessante valutare anche il meccanismo/atteggiamento che proponi. Con che stimolo si può cambiare un atteggiamento che dice: non faccio se non ho la certezza di vincere? Citazione:
Il solito discorso se ti lasci usare da loro ti distruggono, se impari a conoscerli li puoi usare a tuo vantaggio. |
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Rigiro questa frase e domanda di modo da dimostrare che non era personale ma provocatoria di una risposta inerente a thread.
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E' abbastanza diffiicile mi pare... Anche se alla fine è solo uno mi sa l'atteggiamento da tenere... fare e basta. Quando si fa poi il resto si scopre, nel senso che facendo si svelano molti misteri. |
Mi sa che non era in sensi di colpa che si diceva, non mi ricordo dove... comunque anche se nadiamo un pò fuori per un attimo, se ci pensi il senso di colpa è un segnale che se ascoltato ti dice cosa sta accadendo e se lo sai, quello che accade in te, puoi di conseguenza muoverti in base a ciò che ti suggerisce.
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Non ho voglia significa "non prevedo un tornaconto di goduria girandomi l'idea di fare sta cosa"
Ho voglia significa "ho già incassato, almeno parzialmente, il tornaconto di goduria che immagino rigirandomi l'idea di fare sta cosa". Meglio non aver voglia... |
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Quindi tu dici che se si ha voglia di fare qualcosa è perchè già si pregusta il risultato? (quello che il risultato produrrà in termini di goduria?) Pero' se è davvero cosi, un viaggio, un qualsiasi cosa si abbia voglia di fare diventa solo il mezzo per procurarsi godimento (che già si immagina, si cerca di riprodurre quello stato di soddisfacimento)... mi pare una condizione un po' triste, anche se il ragionamento non fa una piega. |
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E' chiaro che si fa per ottenere qualcosa, ma non è un male, l'ozio, la paura di vincere o perdere, il che facciano gli altri ecc ecc con mille altre sfumature è più dannoso di un muoversi solo per ottenere un risultato.
Il non voglio che vuole intendere sopra il decalogo indica proprio "muovi il fondoschiena" invece che oziare. E' che anche cose che poi provocano o anticipano un godimento non si ha voglia di procurarsele. Il punto è proprio la fatica di procurarsele... Non si ha voglia di fare per ottenere. Ma si vuole eccome il risultato finito che fa godere. E' la preparazione che non fa godere per cui non si ha voglia di fare per... E' questo tipo di "non voglio" che stanno indicando secondo me. |
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Vabbeh, però è anche vero che chiunque in questo forum avrà sperimentato anche il non aver voglia e fare lo stesso... prima o poi tocca a tutti. Se, come avete detto, ci si immerge a sufficienza in quel fare poi la voglia (e il godimento) arriva. Ma il reale cambiamento è quando il non ho voglia non compare proprio quando siamo di fronte ad un dovere. |
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Mentre davanti ad un dovere che non mi va, pare di dover fare con un peso al collo e con un mostro da tenere al guinzaglio, anzi presente l'Idra con tutte quelle teste? Ecco ne taglio una e ne cresce un'altra e via, via così, in quel caso mi tocca aspettare e poi però non so come ancora dopo un po' trovo la voglia.nonso.gif |
Se contiamo tutti i "non ho voglia" ne vien fuori che mediamente viviamo (e son generoso) il 5% della nostra esistenza. Il restante 95% lo passiamo nel "non ho voglia", nell'apatia, nella meccanicità senza stimoli.
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Non tocca a me!
- E' sporco lì. - Non tocca a me, non l'ho sporcato io. - C'è da lavare i piatti e chi è di turno non può. - Non tocca a me, che faccia qualcun altro. - ecc ecc Non tocca a me - non mi tocca. Se una cosa non ci tocca direttamente nei nostri interessi allora non tocca a noi, ce ne freghiamo delle conseguenze che poi ricadono sugli eventi. Però vivere in una comunità implica una serie di "toccamenti" comuni e condivisi che sono piccole responsabilità che uniscono le persone gli uni con gli altri. A volte è chiaro che un "non tocca a me" è doveroso se le circostanze lo richiedono, ad esempio qualora qualcuno si approfitti di certe situazioni, ma escludendo questo caso secondo voi un "non tocca a me" è uno scaricarsi di responsabilità? |
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Non tocca a me
A me da l'idea di poca unità. Non credo abbia a che vedere con la responsabilità se non quella di un gruppo o legata alla società mi deresponsabilizzo perchè secondo il mio giudizio non c'è equità.
In pratica non vi è amore e la mancanza di questo collante fa si che ci sia all'interno di un gruppo/società disarmonia per cui invece di andarsi incontro ci si slega, ci si sente come se ci si dovesse difendere da...gli altri che possono essere visti come approffittatori. In pratica è una mancanza nostra di amore ed un profondo egoismo. Poi però ci può essere che se viene stabilito a priori che uno debba fare una cosa nell'ambito di un gruppo/società allora il "non tocca a me" possa essere giusto farlo rilevare ma per il bene comune nel caso non ci fossero cambiamenti lavorare per il gruppo/società è sempre lavorare per noi, per cui quella frase non ha senso di esistere in questi ambiti. |
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La comunità non è un circolo ristretto di persone ma il mondo è comunità. L'Universo è comunità. Ma rimanedo nel piccolo.. anche solo la città dove siamo è comunità. Quindi pagare il biglietto dell'autobus, ad esempio, tocca a me ogni volta. E se non lo faccio le conseguenze le pago io e tutti a caduta fino a tornare a me centuplicate. |
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Se oggi non pago il biglietto. Domani qualcun altro non lo farà domani ancora non lo faranno altri 10 ecc. Oggi il controllore potrebbe essere clemente perchè sono solo io e posso averlo dimenticato. Ma ho dato inizio ad una catena di eventi, di atteggiamenti. Tra 10 anni chi non lo paga saranno diventati centinaia e il controllore allora sarà centinaia di volte più severo e prima o poi mi troverà e dovrò pagare le conseguenze degli eventi che ho partecipato a causare. Non tocca a me è una pigrizia e una limitatezza di vedute molto triste. |
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