Ermopoli

Ermopoli (https://ermopoli.it/portale/index.php)
-   Psicologia moderna e antica (https://ermopoli.it/portale/forumdisplay.php?f=20)
-   -   Paura di essere felici (https://ermopoli.it/portale/showthread.php?t=7166)

Astral 28-05-2011 21.37.40

Paura di essere felici
 
Le ansie, le paure, i problemi spesso ci rendeno la vita angosciante, e non ci permettono di goderne a pieno. Mi domando però se alla base di molte cose, noi ci complichiamo la vita, perchè sarebbe troppo bello essere felici, e troppo doloroso perdere quei momenti di gioia, che preferiamo premunirci e non averli, mettendo avanti dei problemi.
Altre volte pensiamo di non meritare la felicità o la gioia se volete, e che dobbiamo soffrire sempre.

Si pensa tanto alla paura di soffrire, ma quella della gioia è più nascosta, vuoi per fatalismo, vuoi per altro...

dafne 28-05-2011 22.28.30

Forse il dolore ci dà l'illusine di essere sotto il nostro controllo,mentre la felicità non arriva e non và sotto alcuno dei nostri sforzi. Và o viene da sè.

Grey Owl 28-05-2011 23.20.39

Citazione:

Originalmente inviato da Astral (Messaggio 100407)
...perchè sarebbe troppo bello essere felici, e troppo doloroso perdere quei momenti di gioia...

Penso che non siamo abituati a gestire la gioia allo stato puro, semplicemente non la sopporteremmo. Un motivo potrebbe essere che conosciamo solo alcune dinamiche che ci portano a stati di felicità sufficenti e marginali. Metti ad esempio l'ottenere la felicità nell'ambito familiare, quello che abbiamo imparato in famiglia per ottenere un bisogno primario ovvero quello di essere felici.
Ed ancora la felicità cosè? Mi sono chiesto cosa significa essere felici, volevo poterti rispondere con sincera ricerca di cosa sia per me la felicità.

Ho scoperto che la felicità è uno stato dell'essere, quando il corpo è appagato e la mente tace allora sento la felicità che è una sorta di benedizione. Lo stupore nel vedere nascere mia figlia e la felicità di vederla crescere, la felicità è legata all'amore. L'amore in senso generale, amore per quello che si fa, amore verso i nostri cari, amore per le cose belle che ci emozionano come ad esempio un panorama. In quei momenti si è felici e non esiste il dubbio, si è felici e basta, appagati in tutto.

Mentre esiste anche la felicità fatua, quella illusoria che dura il tempo di un sogno. Si è felici per brevi momenti ma poi tutto ritorna in uno stato di ricerca di quei momenti. E' questa la felicità indotta o creata ad hoc per illudersi di essere felici.

Sono convinto che la felicità è un bisogno primario dell'uomo ed è per questo motivo che si è dotato dell'effimera speranza.

Ed ora rispondo alla frase del titolo, perchè parlare di paura quando si cerca di essere felici?

Perchè è difficile allontanarsi dal calore quando si ha freddo o dal nutrimento quando si ha fame. Il nostro essere ha bisogno di felicità come del sole e dell'aria che respira. L'uomo non vive se non è felice, piuttosto si lascia morire se non avesse momenti di felicità.

Ma comè possibile perdere la felicità? Se la si perde vuol dire che non è nostra di diritto o insita in noi? E perchè ci genera dolore nel perderla? La paura di essere felici nasce dal fatto che nel perderla essa ci causa dolore. Ma che felicità può essere quella che ci causa dolore nel momento che la perdiamo? Ricorda l'effetto di una droga, nel momento che non l'assumi più vai in astinenza con dolori lancinanti.

Possibile quindi che la felicità la si possa equiparare ad una droga? E che noi di conseguenza saremmo i tossicodipendenti sempre alla ricerca della prossima dose con la paura di cadere in crisi d'astinenza?

La mia è ovviamente una provocazione ma con la speranza di far vedere un punto di vista diverso, magari la mia provocazione porta nuovi stimoli al ragionamento del perchè si ha paura di essere felici.

Uno 30-05-2011 10.53.36

Citazione:

Originalmente inviato da Grey Owl (Messaggio 100411)
P quando il corpo è appagato e la mente tace

Con questa semplice constatazione hai risposto al perchè primario della paura, poi c'è anche la consapevolezza (più o meno inconscia) del non poterla sopportare oltre un tot.

A livello fisico è emblematico come felicità e sofferenza sono due lati della stessa medaglia. In entrambi i casi il corpo non può reggere più di un certo limite, in entrambi i casi un infarto è una fine tipica.

Astral 30-05-2011 11.14.04

Pensavo che l'infarto era dovuto ad un eccesso di colesterolo! :D

Quindi la chiave è il corpo? Maggiore felicità, sofferenza riusciamo a sopportare meglio è? Qualcuno disse che non possiamo vedere Dio allo stato grezzo, perchè moriremmo all'istante.

diamantea 30-05-2011 22.25.54

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100468)
A livello fisico è emblematico come felicità e sofferenza sono due lati della stessa medaglia. In entrambi i casi il corpo non può reggere più di un certo limite, in entrambi i casi un infarto è una fine tipica.

In pratica è il rimanere fermi che porta alla morte, come stare in apnea con i polmoni pieni o vuoti. La vita è movimento, è spostamento fra gli opposti in un continuo moto dalla fase contrattiva a quella distensiva, inspiro ed espiro, felicità e sofferenza. Tra un opposto all'altro ci sono le infinite sfumature.

Nello yoga insegnano che il momento più importante da osservare è la pausa tra questi due movimenti.

Edera 31-05-2011 09.45.36

Citazione:

Originalmente inviato da Grey Owl (Messaggio 100411)
Ho scoperto che la felicità è uno stato dell'essere, quando il corpo è appagato e la mente tace allora sento la felicità che è una sorta di benedizione. Lo stupore nel vedere nascere mia figlia e la felicità di vederla crescere, la felicità è legata all'amore. L'amore in senso generale, amore per quello che si fa, amore verso i nostri cari, amore per le cose belle che ci emozionano come ad esempio un panorama. In quei momenti si è felici e non esiste il dubbio, si è felici e basta, appagati in tutto.
.


Condivido questa tua visione della felicità Grey.
Anch'io ho intravisto in me due tipi di felicità: uno legato ad eventi esterni,mutevole ed illusorio che cambia quando cambia il vento.
L'altro invece ha più a che fare con uno stato di Grazia dell'essere e nasce dal fatto di esserci e basta.
Credo che il primo tipo di felicità sia un sentimento di amore edonoistico che rifiuta il dolore e si compiace solo di se stesso, una specie di droga come dici tu.
Il secondo è un sentimento che accetta anche la sofferenza e la morte senza scappare, vivendole come parte integrante dell'esistenza.
Il primo sentimento, illusorio conduce alla ricerca del piacere continuo oppure (una volta che ci si è resi conto della sua natura illusoria) al nichilismo più cupo e stagnante, io la chiamerei la felicità della natura.
La felicità della grazia invece per me è movimento, fluire senza bisogno di stimoli particolari, non si cerca più la perdizione nel piacere o nel dolore ma si rimane al centro, abbracciando tutto quello che viene incontro.
Forse sì ha anche a che fare con lo stupore, con la meraviglia nell'osservare ciò che ci circonda: un fiore, un uccello, un uomo che lavora, i fratelli, i genitori, tutto acquista un senso, un filo conduttore che ci collega con l'universo. Ecco forse la felicità è proprio questa, la sensazione di essere a casa, nel proprio posto nel mondo.

Faltea 31-05-2011 12.37.59

Citazione:

Originalmente inviato da Grey Owl (Messaggio 100411)
Possibile quindi che la felicità la si possa equiparare ad una droga? E che noi di conseguenza saremmo i tossicodipendenti sempre alla ricerca della prossima dose con la paura di cadere in crisi d'astinenza?

Concordo anch'io con il pensiero di Gray, ma mi ha folgorato questa affermazione/provocazione e mi ha fatto riflettere sulla possibilità dell'assuefazione alla felicità..
C'è un qualcosa che non ho colto bene... Come se una condizione di felicità protratta portasse ad una stasi stucchevole che degenera in sofferenza, in voglia di cambiare e distruggere questa felicità per dare "moto"...

E' troppo per aria per ora... passo..

Dicevamo...
Concordo che la paura parte dal pensiero che chi o cosa ci rende felici venga a mancare, ma se arriva come una condizione di Grazia come si diceva prima (Edera mi parefiori.gif ) non è legata ad un fatto ma a noi stessi, è libera da paure?
No, il battito aumenta, sudorazione, stato di agitazione che se il corpo non interpreta nella maniera giusta attiva tutti i campanelli di allarme, ansia e stato di panico.
Come diceva Uno, se la sensazione supera un tot.. crak.

Uno contiene un po' l'altro, soffri ma sei un po' contento perché ti senti più vivo, sei felice ma soffri un po' perché hai paura che ti portino via questa felicità o non la comprendi appieno e ti mette agitazione...

diamantea 31-05-2011 14.49.26

Il problema dovrebbe stare nella distanza fra i due opposti.
Un picco elevato di felicità, protratto nel tempo, non potendo rimanere tale troppo a lungo dovrà ritornare a valle, questa discesa nel moto inverso provoca la contrazione, ovvero quel senso di svuotamento o di depressione che si deve sopportare prima di tornare al normale ritmo equilibrante.
La sofferenza equilibrante di uno stato protratto nella felicità e viceversa.

Uno 31-05-2011 16.07.54

Nessuno ti costringe Tea a percorrere le due vie alla stessa velocità.

Certi pendoli poi è più conveniente farli andare tanto velocemente da "sembrar" di star fermi, in entrambi i sensi.
Certi, non tutti, non sempre.

diamantea 01-06-2011 16.38.17

Il mio pendolo molto spesso fa la salita e poi la discesa con la stessa velocità motivo per cui mi consumo fino allo svilimento.
Io credo di dipendere dal fattore esterno, oggettivo capace di tirarmi su prima di compiere la discesa o viceversa. Immagino che si dovrebbe imparare a stare in una frequenza, stare all'interno della ruota o qualcosa di simile.

C'è una sorta di convincimento verso il raggiungimento del merito verso la felicità dopo aver vissuto la sofferenza.
Sarà solo condizionamento cattolico?

Uno 01-06-2011 20.12.08

Cattolicesimo o no, tutto si paga, o prima o dopo. Anche la felicità va guadagnata.

luke 01-06-2011 20.38.20

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100580)
Cattolicesimo o no, tutto si paga, o prima o dopo. Anche la felicità va guadagnata.

Questo mi pare giustissimo....
Il problema è cosa significa "guadagnare".La sofferenza può essere provocata da nostre scelte sbagliate, da situazioni strutturali che la provocano ecc

Nel secondo caso non si puòcerto stare alla finestra a soffrire, sbraitare, maledire tutto e tutti e pretendere poi la felicità, comunque si deve Lavorare, provare a usare la sofferenza per conoscersi meglio, per effettuare una "scrematura" delle cose che possono o meno essere davvero importanti evitando di ricorrere ad illusioni o palliativi, capire alcuni meccanismi e così via; in quel caso l'arrivo di (o l'arrivo ad ?) una felicità piena,appagante, ancorchè temporanea, dalla quale poi si ridiscenda per ripartire (possibilmente ulteriormente cambiati in meglio) mi sembra un'equa conclusione di un "ciclo"....se la conclusione non arriva mai però.... piango.gif

Astral 01-06-2011 20.49.32

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100580)
Cattolicesimo o no, tutto si paga, o prima o dopo. Anche la felicità va guadagnata.

Quindi se uno ha sofferto tanto, ha già dato dei begli acconti?

Telemaco 01-06-2011 21.31.25

Se parliamo di felicità dobbiamo chiarirci prima cosa intendiamo con questo termine.
Le parole sono simboli a cui ognuno da un proprio valore (repetita juvant)
Se per felicità intendiamo "quel" particolare stato d'animo a cui il termine si riferisce (inutile aggiungere altre definizioni) tutti , chi più chi meno, lo abbiamo vissuto.
Ma questo stato è un evento transitorio, mai continuo, alternato a momenti di non felicità.
Senza tenere conto che senza il suo opposto (l'infelicità) la felicità non sarebbe nemmeno immaginabile.
Qualunque cosa noi proviamo non possiamo comprenderla senza assaporarne l’ opposto.
Comprendere questo è già una grande conquista verso l'accettazione e la comprensione della realtà.
Nessuno può essere esentato dal provare questa condizione alternante.

Il vero problema nasce invece quando cerchiamo la felicità eterna, duratura, definitiva.
Quella tanto cara ai ricercatori spirituali.
Una cosa così infatti non esiste in natura, esiste solo nella nostra fantasia, per questo è illusoria e causa di sofferenza e insoddisfazione.
Uno stato di perenne felicità, come uno stato di perenne sofferenza, sarebbe insopportabile per il corpo, in quanto distruggerebbe la sensibilità del sistema nervoso.

E' il nostro pensiero viziato e condizionato, che non è un pensiero individuale, ma di tutta l'umanità, che ci impedisce di ritrovare il nostro equilibrio originale.
Nel nostro stato naturale, quello dell'incanto del neonato, che non sa distinguere tra bene e male, tra bello e brutto, accetteremmo ciò che è per quello che è, senza giudizio e senza morale, dove felicità e infelicità non avrebbero alcun senso.

E’ quando veniamo a contatto con tutto quello che il pensiero umano ha teorizzato prima di noi che inizia il problema.
Ci hanno illuso che possa esistere una felicità duratura, ma qui in questa vita è pura illusione e non c’è niente che possiamo fare per cambiare questa situazione.
Rincorrere la felicità è un modo certo per non trovarla mai, come cercare di agguantare la propria ombra o di raggiungere l’orizzonte.
La felicità totale a cui tutti anelano non esiste, basta essere onesti con sè stessi per comprenderlo. Non ci sono metodi, né filosofie per raggiungerla.
Per questo abbiamo spostato l’obiettivo in un’altra vita, nell’adilà, nel paradiso eterno, nel nirvana…
La vera libertà sarebbe liberarsi da tutte queste illusioni e vivere nell’accettazione di ciò che è per quello che è.
Il problema della felicità, esiste solo perché ce lo poniamo, quindi basta non porsi il problema….

Ray 02-06-2011 10.39.17

Citazione:

La felicità totale a cui tutti anelano non esiste
La gente non anela alla felicità, solo gli inglesi lo fanno (F. Nietszche) icon_mrgr:


Comunque la questione sta qui a mio avviso:

Citazione:

Originalmente inviato da Telemaco (Messaggio 100586)
Uno stato di perenne felicità, come uno stato di perenne sofferenza, sarebbe insopportabile per il corpo,

Su questo siamo d'accordo, è stato pure detto esplicitamente. Uno parlava addirittura di infarti.


Citazione:

Originalmente inviato da Telemaco (Messaggio 100586)
Non ci sono metodi, né filosofie per raggiungerla.

Questo però non puoi saperlo, a meno di aver provato tutto e di aver stabilito senza ombra di dubbio che sia impossibile. E' una tua idea... tanto valida quanto quelle che chiami illusioni, almeno fino a prova contraria.

E' vero invece che se io mi alleno tiro su pesi sempre maggiori....

Telemaco 02-06-2011 11.37.26

Citazione:

Originalmente inviato da Ray (Messaggio 100590)
Questo però non puoi saperlo, a meno di aver provato tutto e di aver stabilito senza ombra di dubbio che sia impossibile. E' una tua idea... tanto valida quanto quelle che chiami illusioni, almeno fino a prova contraria.

Certo, ho espresso un'opinione, nessuno può mai dimostrare nulla.
Però faccio anche altre considerazioni:
Io non ho mai incontrato nessuno in quello stato (ma questo non esclude a priori che qualcuno esista)
Nessuno ha mai dimostrato di essere in quello stato (non è sufficiente dichiararlo, il mondo è pieno di esaltati).
Se qualcuno così esistesse, beh siamo miliardi e le eccezioni confermano la regola...

Se ci fosse una "vera " soluzione alla domanda "si può essere costantemente felici ?", non esisterebbe più la domanda.....

Uno 02-06-2011 12.01.12

Citazione:

Originalmente inviato da Telemaco (Messaggio 100586)
Il problema della felicità, esiste solo perché ce lo poniamo, quindi basta non porsi il problema….

Io grosso modo (senza vivisezionare il capello) sono d'accordo con tutto il resto del post, solo questa parte non condivido.
Non importa se possiamo essere felici sempre o no (in linea di massima tutti concordiamo con il no) è comunque uno stato dell'essere, importante direi, è quindi va indagato se nati per esser bruti non siamo,,,,

diamantea 02-06-2011 15.33.16

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100580)
Cattolicesimo o no, tutto si paga, o prima o dopo. Anche la felicità va guadagnata.

Lasciamo stare il cattolicesimo. lo dicevo giusto perchè ogni volta che si soffre ci si sente dire che "dopo" saremo premiati.
Io non mi trovo d'accordo con questa affermazione. Il fatto di soffrire in questa vita non credo possa essere garanzia di felicità nell'altra. C'è una qualità nel soffrire così come una qualità nello stare felici.
Conosco persone che rifiutano la felicità, vogliono solo la sofferenza per meritare il paradiso. Riescono a trasformare un momento felice in momento di dolore, ma poi cadono nel vittimismo, rivendicando crediti con la vita e con il Signore.

La felicità va guadagnata lo vedo nel senso di saper cogliere e vivere il momento quando accade, e poi lavorare per far accadere altri momenti. Il fatto di stare molti momenti nella sofferenza non è garanzia di conseguente felicità.
La felicità è come un treno, lo si può prendere come lo si può perdere.

Mi piacerebbe approfondire il discorso della velocità invece...

Citazione:

Originalmente inviato da Astral (Messaggio 100583)
Quindi se uno ha sofferto tanto, ha già dato dei begli acconti?

Anche in questo caso non credo che la sofferenza sia un bonus per la felicità. Dipende da come si è accettata e vissuta la sofferenza che ci può far meritare un momento di felicità. Una sofferenza rifiutata e quindi solo subita e sopportata nostro malgrado non credo che ci faccia accumulare punti di credito con la felicità. Nulla ci è dovuto credo. Anche la sofferenza viene guadagnata anche se spesso non siamo consapevoli, lavoriamo per essere felici invece stiamo solo attirando sofferenza.

Telemaco 02-06-2011 18.29.21

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100594)
Io grosso modo (senza vivisezionare il capello) sono d'accordo con tutto il resto del post, solo questa parte non condivido.
Non importa se possiamo essere felici sempre o no (in linea di massima tutti concordiamo con il no) è comunque uno stato dell'essere, importante direi, è quindi va indagato se nati per esser bruti non siamo,,,,

Intendevo dire che, riconosciuta la felicità come uno stato che si alterna, mai continuo, il problema della ricerca di una felicità duratura non si pone più e con questo, l'ansia di doverla trovare da qualche parte, se ne va.:@@

Telemaco 02-06-2011 18.41.00

Citazione:

Originalmente inviato da diamantea (Messaggio 100611)

Io non mi trovo d'accordo con questa affermazione. Il fatto di soffrire in questa vita non credo possa essere garanzia di felicità nell'altra. C'è una qualità nel soffrire così come una qualità nello stare felici.

La felicità va guadagnata lo vedo nel senso di saper cogliere e vivere il momento quando accade, e poi lavorare per far accadere altri momenti.

Su questo sono abbastanza d'accordo.
E' mia opinione, che la felicità promessa dalle religioni è una delle più grandi truffe ai danni dell'uomo.
Sofferenza e felicità sono parti integranti della vita così come essa è stata concepita.
Questa vita fino a prova contraria è l'unica certezza che abbiamo e basare la propria felicità su una promessa è contro natura.

L'idea di non essere abbastanza felici e di andare a cercare la felicità altrove che non sia qui e adesso, è una delle conseguenze aberranti di un pensiero religioso corrotto dalla nostra paura dell'impermanenza.

Uno 02-06-2011 20.16.07

Citazione:

Originalmente inviato da diamantea (Messaggio 100611)
C'è una qualità nel soffrire così come una qualità nello stare felici.

Ci sono due variabili in gioco.
La qualità che dici, che definirei meglio consapevolezza di come si soffre.
La diluizione o assunzione più pura che incide nel tempo e velocità, una cosa come quella del cerotto: lo stacchi di colpo o piano piano un pezzetto per volta?
Il rapporto tra queste due variabili determina i tipi di sofferenza che attiriamo e come movimentiamo il nostro conto del dare e avere.

Citazione:

Originalmente inviato da Telemaco (Messaggio 100615)
Intendevo dire che, riconosciuta la felicità come uno stato che si alterna, mai continuo, il problema della ricerca di una felicità duratura non si pone più e con questo, l'ansia di doverla trovare da qualche parte, se ne va.:@@

Ah intendevi in particolare la felicità continua, non la felicità e basta. Ok

Citazione:

Originalmente inviato da Telemaco (Messaggio 100616)
Su questo sono abbastanza d'accordo.
E' mia opinione, che la felicità promessa dalle religioni è una delle più grandi truffe ai danni dell'uomo.

Mi sono perso qualcosa. Quale religione promette felicità?
Telemaco, attento, questa è una di quelle cose che qualcuno inizia a dire e poi tutti danno per scontato, ma se cerchi a fondo non sai da dove esce.
Invece è facile sapere perchè tutti la prendono per buona, perchè aggiungere fatti è un sistema comodo per poter rifiutare il semplice e vero che non solletica abbastanza.
Non sto parlando di te adesso, parlo in generale.

--------------
Volendo espandere il discorso, che in origine nasceva solo sulla paura di essere felici....

Si può essere più o meno felici?
Se si, posto che la felicità massima oltre che pericolosa è impossibile se non per brevi e fugaci momenti, potremmo accontentarci di una felicità meno importante ma più prolungata?

Si può dare e ricevere la felicità?
Che differenza c'è tra la felicità dell'essere e quella dell'avere, se per voi c'è?

Telemaco 02-06-2011 20.45.48

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100617)
Mi sono perso qualcosa. Quale religione promette felicità?
Telemaco, attento, questa è una di quelle cose che qualcuno inizia a dire e poi tutti danno per scontato, ma se cerchi a fondo non sai da dove esce.

Tutte le religioni promettono la felicità eterna.
Chiamala beatitudine, estasi, pace assoluta, paradiso, tutti sinonimi dell'unica vera ambizione spirituale dell'uomo : vivere eternamente in assenza di sofferenza e preoccupazioni nel pieno benessere! chiamala se vuoi ..felicità assoluta.
Inutile nascondersi dietro tanti concetti...
Ma non devi essere per forza d'accordo, questa è "solo" la mia opinione.

Telemaco 02-06-2011 20.56.26

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100617)

Si può essere più o meno felici?
Se si, posto che la felicità massima oltre che pericolosa è impossibile se non per brevi e fugaci momenti, potremmo accontentarci di una felicità meno importante ma più prolungata?

Se lo chiedi a me, che sai cosa penso sul libero arbitrio, puoi già immaginarti la risposta...ahahaha icon_mrgr:

Molto avrebbe potuto essere diverso se io fossi stato diverso. Ma tutto è stato come doveva essere; perchè tutto è avvenuto in quanto io sono come sono.
Carl Gustav Jung

Ecco questo vale anche per l'essere più o meno felici...

Uno 02-06-2011 21.06.32

Citazione:

Originalmente inviato da Telemaco (Messaggio 100618)
Tutte le religioni promettono la felicità eterna.
Chiamala beatitudine, estasi, pace assoluta, paradiso, tutti sinonimi dell'unica vera ambizione spirituale dell'uomo : vivere eternamente in assenza di sofferenza e preoccupazioni nel pieno benessere! chiamala se vuoi ..felicità assoluta.
Inutile nascondersi dietro tanti concetti...
Ma non devi essere per forza d'accordo, questa è "solo" la mia opinione.

Non è solo la tua opinione, hai fatto bene a virgolettare, però è fondata su menzogne che solo in parte provengono dalle religioni.
Non posso condividere che felicità, beatitudine, pace siano sinonimi. Se lo fossero allora potrei "provarti" che la felicità può essere permanente perchè io sono sempre in pace, almeno con me stesso. Invece no... non sono sempre al massimo grado di felicità.
Il paradiso non è felicità (anche se qualche catechismo moderno ha manipolato un pò la faccenda), è pace e beatitudine ma neanche per tutti allo stesso livello visto che ci sono i beati e i non beati.
Se prendiamo un'altra qualsiasi religione le cose non cambiano.

Astral 02-06-2011 21.36.27

Comunque il topic era centrato sull'avere paura della felicità e crearsi delle sofferenze apposta: va bene parlare della felicità, ma poi andiamo un po' OT.

Telemaco 02-06-2011 21.50.26

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100621)
Non posso condividere che felicità, beatitudine, pace siano sinonimi. Se lo fossero allora potrei "provarti" che la felicità può essere permanente perchè io sono sempre in pace, almeno con me stesso. Invece no... non sono sempre al massimo grado di felicità.
Il paradiso non è felicità (anche se qualche catechismo moderno ha manipolato un pò la faccenda), è pace e beatitudine ma neanche per tutti allo stesso livello visto che ci sono i beati e i non beati.
Se prendiamo un'altra qualsiasi religione le cose non cambiano.

Se giochiamo con le parole e i concetti (spesso personalizzati) possiamo continuare all'infinito.
Al di là delle singole parole, credo che si capisca bene cosa intendevo dire per "meta " spirituale...
E' vero, non sono sinonimi dal punto di vista linguistico letterario, ma il senso ultimo è sempre lo stesso.
Se tu sei in pace con te stesso, così come lo sono io, questa è un'altra cosa.
Nella vera pace non utilizzeresti l'avverbio "almeno"...
Ma mi piacerebbe sapere secondo te cosa prometterebbero allora le religioni....ma saremmo O.T.

Telemaco 02-06-2011 21.54.48

Citazione:

Originalmente inviato da Astral (Messaggio 100622)
Comunque il topic era centrato sull'avere paura della felicità e crearsi delle sofferenze apposta: va bene parlare della felicità, ma poi andiamo un po' OT.

Hai ragione, ma per parlare di una paura devi prima definire cosa sia l'oggetto della paura, ovvero cosa sia la felicità.
Abbiamo visto che ci sono diverse interpretazioni di felicità....
Per me non esiste una vera paura della felicità, semmai è una paura camuffata della sofferenza.
La sofferenza che ci aspetta al termine di una felicità che sappiamo essere transitoria.
Per questo il massimo anelito è la felicità assoluta ed eterna.

diamantea 02-06-2011 22.12.26

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100617)
Ci sono due variabili in gioco.
La qualità che dici, che definirei meglio consapevolezza di come si soffre.
La diluizione o assunzione più pura che incide nel tempo e velocità, una cosa come quella del cerotto: lo stacchi di colpo o piano piano un pezzetto per volta?
Il rapporto tra queste due variabili determina i tipi di sofferenza che attiriamo e come movimentiamo il nostro conto del dare e avere.

Nella mia vita ho provato diverse volte moti di felicità anche intensa, a volte incontenibile, poi arrivava la sofferenza.
La mia natura orgogliosa mi porta tendenzialmente a rifiutare la sofferenza come una non ammissione di responsabilità nell'aver causato dolore verso me stessa o verso altri, eppure l'unica strada che ho avuto per superare l'orgoglio è stato vivere il dolore fino in fondo, fin dove arrivava la punta del coltello conficcato dentro i punti nevralgici.
La forza per affrontare il dolore credo di averla presa proprio dall'aver vissuto quei momenti di felicità.
Prima la carica di energia poi la forza per affrontare la discesa. Sapere che esiste il bene da forza per affrontare il male.

Io credo che per avere consapevolezza del soffrire occorre almeno inizialmente staccare il cerotto un pezzetto alla volta, questo per avere la piena percezione del dolore in tutte le sue parti, con varie sfumature di sofferenza. Sembra una condizione masochistica eppure io attraverso lo stacco lento ho potuto vivere la sofferenza in profondità e averne un ritorno di crescita, di consapevolezza.
E' pur vero che questo mi ha creato un rallentamento nel passato in quanto ho protratto oltre il dovuto fino allo stillicidio, quasi a dover restituire la felicità che ho preso per non esasperare l'altro, saziare il desiderio di vendetta dell'altro, annullare debiti futuri pagando pure gli interessi.
C'è stato un periodo in cui avevo paura della felicità se poi dovevo soffrire, preferivo rinunciare alla felicità per non soffrire, ma mi sono accorta che non vivevo, vegetavo soltanto, indebolendo il corpo e lo spirito.
Rifiutare un opposto fa rifiutare anche l'altro, è non vivere soffrendo lo stesso inutilmente.

Forse quando si ha consapevolezza del dolore si può staccare il cerotto velocemente.

Uno 03-06-2011 10.35.36

Citazione:

Originalmente inviato da Telemaco (Messaggio 100623)
Se giochiamo con le parole e i concetti (spesso personalizzati) possiamo continuare all'infinito.
Al di là delle singole parole, credo che si capisca bene cosa intendevo dire per "meta " spirituale...
E' vero, non sono sinonimi dal punto di vista linguistico letterario, ma il senso ultimo è sempre lo stesso.
Se tu sei in pace con te stesso, così come lo sono io, questa è un'altra cosa.
Nella vera pace non utilizzeresti l'avverbio "almeno"...
Ma mi piacerebbe sapere secondo te cosa prometterebbero allora le religioni....ma saremmo O.T.

Non ho giocato con le parole e sto usando concetti oggettivi. Accumunare il senso di parole diverse, per quanto vicine, appiattisce la realtà in maniera se non nichilista molto vicina.
Prendiamo solo pace e felicità e lasciamo per ora beatitudine.
Io posso essere in pace con me stesso ma se il mondo (l'altro) non è in pace con me non posso essere in una pace totale. Al contrario posso essere felice a prescindere ad qualsiasi avversità (magari qualcuno può prendermi per pazzo, ma posso).
Questo potrebbe aprire la mente al concetto di paradiso, cioè un ambiente in cui tra le altre cose è possibile la pace totale. Un concetto che più che un luogo da raggiungere è una comprensione di una dinamica.
Un altro modo per comprendere le differenze tra le due parole e vederle dal punto di vista dell'essere e dell'avere.
Qualcuno può darmi la pace ma non può rendermi un essere pacifico, in pace. Viceversa qualcuno può rendermi (per quanto in maniera effimera e non duratura) felice, ma non darmi la felicità.
Mi fermo, tanto se bastano questi due accenni bastano, se no non serve neanche un trattato.

Sulle promesse delle religioni, se così vogliamo chiamarle, metto un appunto sulla lista dei thread da aprire :)

Telemaco 03-06-2011 18.18.01

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100631)
Non ho giocato con le parole e sto usando concetti oggettivi. Accumunare il senso di parole diverse, per quanto vicine, appiattisce la realtà in maniera se non nichilista molto vicina.
Prendiamo solo pace e felicità e lasciamo per ora beatitudine.
Io posso essere in pace con me stesso ma se il mondo (l'altro) non è in pace con me non posso essere in una pace totale. Al contrario posso essere felice a prescindere ad qualsiasi avversità (magari qualcuno può prendermi per pazzo, ma posso).
Questo potrebbe aprire la mente al concetto di paradiso, cioè un ambiente in cui tra le altre cose è possibile la pace totale. Un concetto che più che un luogo da raggiungere è una comprensione di una dinamica.
Un altro modo per comprendere le differenze tra le due parole e vederle dal punto di vista dell'essere e dell'avere.
Qualcuno può darmi la pace ma non può rendermi un essere pacifico, in pace. Viceversa qualcuno può rendermi (per quanto in maniera effimera e non duratura) felice, ma non darmi la felicità.
Mi fermo, tanto se bastano questi due accenni bastano, se no non serve neanche un trattato.

Sulle promesse delle religioni, se così vogliamo chiamarle, metto un appunto sulla lista dei thread da aprire
:)


Ecco ! è proprio questo che io intendo per giocare con le parole, un esercizio di retorica basato sul significato letterario dei termini.
La mente non riesce ad esprimere concetti che non gli siano già noti e per questo riconduce tutto secondo i termini che già conosce e che appartengono al passato.
Tu usi la parola pace riconducendola a quello che tu conosci della parole pace, la pace tua, la pace del mondo, la pace dell'essere e la pace dell'avere.
Ma se devi parlare della pace assoluta, quella che appartiene ad un mondo divino che non conosci allora cominciano i problemi e non ti resta che giocare con le parole.
Io mi riferisco ad uno stato che non si può descrivere a parole, ma che si può solo immaginare come un insieme di tutte le qualità che conosciamo (pace, beatitudine, estasi, felicità, ....)e molto di più.
Una pace dove non esiste nessun conflitto, neanche di termini.
E' questa cosa che noi identifichiamo come meta spirituale e che nella nostra limitatezza umana chiamiamo ora felicità ora pace, ora altro, e a cui noi (anche inconsciamente) aneliamo.
Molti la cercano meditando, altri pregando, altri credono di guadagnarsela in un'altra vita.
Ma qui andiamo veramente fuori tema.

Io ribadisco che la paura della felicità non esiste, ma esiste solo la paura del dopo, della sofferenza, consapevoli che è impossibile rimanere in uno stato di felicità continuo.
La cura sta nella stessa causa, basta essere consapevoli che pure la sofferenza non è permanente e che questa alternanza fa parte del movimento della vita.
Ormai però il nostro pensiero è viziato, ci hanno raccontato che è possibile essere felici e indipendenti dagli accadimenti e noi non ci rassegnamo di trovare un modo. Ma un modo non c'è e i risultati si vedono.
Ma questa è solo una mia "opinione".

Astral 03-06-2011 19.13.00

Temo che non è stato chiaro ciò che intendevo con l'apertura di questo topic. Paura della felicità, paura della realizzazione, dovuta alla paura per esempio di meritare troppo o non essere degni, e quindi spinte un po' masochiste anche a cercare la sofferenza, oppure crearsi o affrontare problemi che in realtà sono meno consistenti di quanto si parla.

La paura del successo e della felicità esiste almeno quanto la paura della morte e della sofferenza. Perchè magari sappiamo che è troppo bello quel momento e che dura troppo poco, quindi ne preferiamo rinunciare.

Un atteggiamento nichilista ma che rende l'esempio poteva essere questo: non voler farsi una famiglia, affezionarsi a nulla o a nessuno perchè tutti prima o poi dobbiamo morire, e questo porterebbe sofferenza dopo una grande felicità, di conseguenza cerco di non essere troppo felice.

luke 03-06-2011 20.32.05

Citazione:

Originalmente inviato da Telemaco (Messaggio 100634)
La cura sta nella stessa causa, basta essere consapevoli che pure la sofferenza non è permanente e che questa alternanza fa parte del movimento della vita.
Ormai però il nostro pensiero è viziato, ci hanno raccontato che è possibile essere felici e indipendenti dagli accadimenti e noi non ci rassegnamo di trovare un modo. Ma un modo non c'è e i risultati si vedono.
Ma questa è solo una mia "opinione".


Essere sempre totalmente felici indipendentemente dagli accadimenti non credo sia pensabile, almeno a livelli evolutivi medi , poi casi estremi o comunque più in là nel percorso potrebbero cambiare le cose ma per ora non me ne preoccupo più di tanto essendo ben lontano dal raggiungerli.

Credo che sia possibile riuscire ad essere meno soggetti al "caso" non adare su e giù come uno yo yo senza avere nessuna voce in capitolo, anche perchè poi non è detto che per forza ci debba essere questo movimento alterno a fasi contrapposte e dello stesso tenore, del tipo sono andato su 10 ora mi tocca scendere di 10 e così via, che già sarebbe accettabile come cosa.
A volte funziona in modo diverso, magari c'è chi va su 30 poi scende 5 e risale 20 e chi va giù 50, sta fermo lì poi riscende 10 risale uno e ricrolla di 100.
Un minimo di stabilità maggiore si può raggiungere lavorando su se stessi, si può essere più resistenti e più stabili e preparati nei momenti negativi e più in grado di assaporare appieno i momenti favorevoli.

diamantea 04-06-2011 09.32.38

Citazione:

Originalmente inviato da Astral (Messaggio 100635)
La paura del successo e della felicità esiste almeno quanto la paura della morte e della sofferenza. Perchè magari sappiamo che è troppo bello quel momento e che dura troppo poco, quindi ne preferiamo rinunciare.
Un atteggiamento nichilista ma che rende l'esempio poteva essere questo: non voler farsi una famiglia, affezionarsi a nulla o a nessuno perchè tutti prima o poi dobbiamo morire, e questo porterebbe sofferenza dopo una grande felicità, di conseguenza cerco di non essere troppo felice.

Se non l'abbiamo mai provato come facciamo a sapere che è troppo bello? Che è una grande felicità?
Se l'abbiamo provato e sappiamo che è troppo bello veramente il nostro essere richercherà ancora quel momento anche se la mente si ribella. A meno che non ci sia stato un trauma associato a quel momento di felicità. A es. sono stato troppo felice ma poi ho avuto un incidente stradale che mi ha causato sofferenza così associo l'incidente a quella felicità.
Ma cercherai un'altra condizione di felicità anche se non sei consapevole.

Nella visione nichilista o masochista c'è un sottile piacere, godimento in quella condizione di sofferenza che annulla la sofferenza stessa. Il masochista gode della sofferenza quindi non è vera sofferenza. La loro felicità sta nell'infelicità.
Nessuno può fare a meno di sentirsi felice tra una sofferenza e l'altra altrimenti a monte ci stanno problemi psichici, gravi depressioni, turbe suicide, ma vuoi parlare di questo? Di disturbi mentali?
Oppure vuoi riferirti alla vita mediocre di chi non sa vivere, crearsi i propri momenti di benessere e si crogiola nella rinuncia, nella sventura tirando energia a chi gli sta intorno.

Astral 04-06-2011 11.33.25

Grazie Diamantea,
senza andare nei casi clinici, volevo parlare essenzialmente di quanto spesso pensiamo di non meritare felicità o abbiamo poca speranza nella vita, o ci sentiamo indegni, e di conseguenza c'è quel sentimento di incredulità quando le cose vanno tutte bene.

La discussione però ha fornito buoni spunti, è giusto capire cosa significa essere felici e cosa no, e che cos'è la sofferenza.
In ogni caso uno può avere TUTTO dalla vita e non essere ugualmente felice, che gli manca?

Uno 04-06-2011 11.56.23

Citazione:

Originalmente inviato da Telemaco (Messaggio 100634)
Ecco ! è proprio questo che io intendo per giocare con le parole, un esercizio di retorica basato sul significato letterario dei termini.
La mente non riesce ad esprimere concetti che non gli siano già noti e per questo riconduce tutto secondo i termini che già conosce e che appartengono al passato.
Tu usi la parola pace riconducendola a quello che tu conosci della parole pace, la pace tua, la pace del mondo, la pace dell'essere e la pace dell'avere.
Ma se devi parlare della pace assoluta, quella che appartiene ad un mondo divino che non conosci allora cominciano i problemi e non ti resta che giocare con le parole.
Io mi riferisco ad uno stato che non si può descrivere a parole, ma che si può solo immaginare come un insieme di tutte le qualità che conosciamo (pace, beatitudine, estasi, felicità, ....)e molto di più.
Una pace dove non esiste nessun conflitto, neanche di termini.
E' questa cosa che noi identifichiamo come meta spirituale e che nella nostra limitatezza umana chiamiamo ora felicità ora pace, ora altro, e a cui noi (anche inconsciamente) aneliamo.
Molti la cercano meditando, altri pregando, altri credono di guadagnarsela in un'altra vita.
Ma qui andiamo veramente fuori tema.

Io ribadisco che la paura della felicità non esiste, ma esiste solo la paura del dopo, della sofferenza, consapevoli che è impossibile rimanere in uno stato di felicità continuo.
La cura sta nella stessa causa, basta essere consapevoli che pure la sofferenza non è permanente e che questa alternanza fa parte del movimento della vita.
Ormai però il nostro pensiero è viziato, ci hanno raccontato che è possibile essere felici e indipendenti dagli accadimenti e noi non ci rassegnamo di trovare un modo. Ma un modo non c'è e i risultati si vedono.
Ma questa è solo una mia "opinione".

Che ti devo dire Telemaco? Alla fine gira gira con te torniamo sempre li.
Ammesso che le cose stiano come dici tu, cioè che la mia mente non conosce il concetto, io comunque uso tutti i concetti che ogni mente può conoscere (concetti oggettivi) mentre tu ti limiti a negarli riconducendo il tutto a ciò che tu hai deciso essere giusto, vero, reale.
Sull'alternanza etc.... stiamo dicendo più o meno le stesse cose, dove non concordiamo è sulla differenza di quello che la massa pensa sulle religioni e quello che queste propongono realmente. Ok, non importa poi molto ai fini del discorso ma se vuoi puoi vedere che stai facendo proprio quello che sopra denunci, ti accontenti di un pensiero viziato culturalmente e socialmente.

Citazione:

Originalmente inviato da Astral (Messaggio 100635)
Temo che non è stato chiaro ciò che intendevo con l'apertura di questo topic. Paura della felicità, paura della realizzazione, dovuta alla paura per esempio di meritare troppo o non essere degni, e quindi spinte un po' masochiste anche a cercare la sofferenza, oppure crearsi o affrontare problemi che in realtà sono meno consistenti di quanto si parla.

La paura del successo e della felicità esiste almeno quanto la paura della morte e della sofferenza. Perchè magari sappiamo che è troppo bello quel momento e che dura troppo poco, quindi ne preferiamo rinunciare.

Un atteggiamento nichilista ma che rende l'esempio poteva essere questo: non voler farsi una famiglia, affezionarsi a nulla o a nessuno perchè tutti prima o poi dobbiamo morire, e questo porterebbe sofferenza dopo una grande felicità, di conseguenza cerco di non essere troppo felice.

Concordo con Tea, se non sappiamo prima come sarà un certo momento non possiamo aver paura della durata o che altro....
Invece si ribalta il problema, sappiamo esattamente come è la situazione in cui ci troviamo anche quando questa è sofferenza. Sappiamo di poterla sopportare e non sappiamo invece cosa troveremo se lasciamo questa situazione per andare verso la felicità. Sappiamo che dobbiamo lasciare il certo (pure se non è bello e/o il massimo aspirabile) per l'incerto ed in questo il tutto è riconducibile alla morte e al fondo di ignoto.

Quello che dice Telemaco seppur valido in molti casi, cioè dopo aver già fatto determinate esperienze, non spiega perchè capita chi non si lascia andare alla felicità in casi che non ha mai sperimentato, dove non sa neanche che andrebbe verso la felicità se non si frenasse.
Per capirci, uno che ha già amato ed è rimasto scottato potrebbe poi rimanere condizionato da questa cosa, ma chi non ha mai/ancora amato da cosa è frenato? Non sa neanche che potrebbe arrivare alla felicità e poi essere costretto a tornare indietro....


Le domande che facevo sopra
"Si può dare e ricevere la felicità?
Che differenza c'è tra la felicità dell'essere e quella dell'avere, se per voi c'è?"
hanno un senso preciso per esplorare la dinamica.
Se qualcuno può darci la felicità allora il "problema" del thread si sposta. Non evitiamo le situazioni, ma evitiamo le persone.
Se invece nessuno può darci veramente la felicità allora dobbiamo assumerci la responsabilità in pieno... cosa che spesso invece si evita: "non sono felice per colpa di..."

luke 04-06-2011 13.18.43

Personalmente non credo che si possa dare o si possa poter ricevere la felicità per mano di un'altra persona.
Alcune persone ossono influenzarci di più o di meno, creare ostacoli o dare aiuti, ma da sole non sono ingrado, a mio avviso, di fare tutto il lavoro.
Vedo la felicità come un mix dipendente da vari elementi, persone, avvenimenti e ovviamente noi, il tutto variabile come percentuale di importanza, il chè dovrebbe spingerci a cercare di aumentare la percentuale che dipende da noi e far diminuire le altre, poi non so se si possa arrivare ad azzerarle del tutto, forse solo in casi estremi di totale realizzazione, quando magari si arriva ad un concetto di felicità totalmente incentrato sull'essere.

La paura me la spiegerei, almeno inaprte, proprio perchè sappiamo, più o meno consapevolmente, che non tutto dipende da noi, che siamo troppo in balia degli eventi e quindi anche una situazione felice, specie se capita raramente o è di un tipo mai capitato, ci disorienta, non sappiamo raffigurarcela o vsualizzarla, è come se ci dovessimo immaginare su Marte o su Giove.
Magari nella sofferenza un minimo ci si conosce , sappiamo come reagiremo, almeno grossomodo, è un territorio per alcuni più noto.

Nella felicità si è più nudi , nel senso che tanti ammortizzatori che abbiamo creato non servono, ed allora forse si fanno, inconsciamente domande (o paranoie) del tipo "e se poi non so che fare?se mi mancano le coordinate? e se mi brucio questa occasione e non me ne capitassero più, magari quello era il "top" ed ora è passato senza averlo sapuo vivere appieno?

Telemaco 04-06-2011 14.05.54

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100645)
Ammesso che le cose stiano come dici tu, cioè che la mia mente non conosce il concetto, io comunque uso tutti i concetti che ogni mente può conoscere (concetti oggettivi) mentre tu ti limiti a negarli riconducendo il tutto a ciò che tu hai deciso essere giusto, vero, reale.

Tutti usiamo concetti che già conosciamo e a questi riconduciamo tutto.
Il vero limite è restare vincolati a questa presunta oggettività, che in realtà è una soggettività fondata sul "proprio" conosciuto.
Io non nego niente, semmai aggiungo....
Non ho mai affermato che ciò che esprimo sia la "verità", ma esprimo un'opinione andando, con l'immaginazione, oltre a ciò che tu ritieni oggettivo.
Ciò che ho descritto sulla meta spirituale l'ho lasciata volutamente indefinita proprio perchè descrivendola in modo oggettivo avrei potuto usare solo concetti soggettivi...e la verità non è mai soggettiva

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100645)
Ok, non importa poi molto ai fini del discorso ma se vuoi puoi vedere che stai facendo proprio quello che sopra denunci, ti accontenti di un pensiero viziato culturalmente e socialmente.

Cosa è accontentarsi ? Ho fatto un'osservazione su come mi appare il pensiero dell'umanità di cui anch'io faccio parte...
Non esiste un pensiero, mio, tuo o di chichessia...
Per me non esiste una distinzione tra pensatore e pensato , per questo parliamo parliamo , ma non concludiamo mai niente....
E ci facciamo le stesse domande di 10.000 anni fa....

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100645)
Quello che dice Telemaco seppur valido in molti casi, cioè dopo aver già fatto determinate esperienze, non spiega perchè capita chi non si lascia andare alla felicità in casi che non ha mai sperimentato, dove non sa neanche che andrebbe verso la felicità se non si frenasse.

Ma chi è che non si lascia mai andare alla felicità ?
Come possiamo dirlo ?
Noi proiettiamo solo le nostre esperienze, il nostro vissuto, il nostro passato.
Giudichiamo dal nostro interno... ciò che appare all'esterno... che riguarda l'interno altrui...
Tutti hanno provato e provano momenti di felicità, fa parte della natura umana.
L'unica paura è quella di soffrire dopo che passa la felicità...
Così molti preferiscono vivere nell'appiattimento generale, piuttosto che salire per poi dover scendere.
Aspettando magari di incassare la felicità eterna in un'altra vita...
Non è la paura di salire che ci blocca , ma quella di scendere...e noi sappiamo sulla nostra pelle che non esiste la continuità...

Aggiungo che ognuno fa le sue scelte in base a ciò che è ...ed è credere di poter cambiare ciò che si è il vero problema umano che porta all'insoddisfazione.
Non possiamo più fare a meno di pensarlo...è quello che ci hanno sempre promesso con lauta ricompensa finale di un percorso che si chiama ..evoluzione.
Mah !

ma questa non è verità..è solo una mia opinione....:@@

Uno 05-06-2011 10.03.07

Citazione:

Originalmente inviato da luke (Messaggio 100647)
Personalmente non credo che si possa dare o si possa poter ricevere la felicità per mano di un'altra persona.
Alcune persone ossono influenzarci di più o di meno, creare ostacoli o dare aiuti, ma da sole non sono ingrado, a mio avviso, di fare tutto il lavoro.
Vedo la felicità come un mix dipendente da vari elementi, persone, avvenimenti e ovviamente noi, il tutto variabile come percentuale di importanza, il chè dovrebbe spingerci a cercare di aumentare la percentuale che dipende da noi e far diminuire le altre, poi non so se si possa arrivare ad azzerarle del tutto, forse solo in casi estremi di totale realizzazione, quando magari si arriva ad un concetto di felicità totalmente incentrato sull'essere.

In pratica se volessimo sintetizzare, la felicità è il raggiungimento di una quantità di una serie di cose a noi piacevoli o la mancanza di una quantità di cose a noi spiacevoli... o meglio ancora il giusto rapporto tra le due.
Se riconoscete una validità alla definizione questo apre una considerazione: non possiamo controllare direttamente la felicità nostra o altrui, ma possiamo provare a lavorarci sia positivamente che negativamente.
Questo vuol dire che in qualche modo rifiutiamo la felicità, come nell'ipotesi che fa scaturire il thread, dobbiamo darci da fare parecchio per selezionare ed eliminare tutte la cause di felicità e lasciar passare quelle di infelicità.
In sostanza e definitiva ne abbiamo un controllo ridotto e per cercare di variare la condizione è necessario l'uso di una forte volontà ed impegno.....

Citazione:

Originalmente inviato da Telemaco (Messaggio 100648)
Tutti usiamo concetti che già conosciamo e a questi riconduciamo tutto.
Il vero limite è restare vincolati a questa presunta oggettività, che in realtà è una soggettività fondata sul "proprio" conosciuto.
Io non nego niente, semmai aggiungo....
Non ho mai affermato che ciò che esprimo sia la "verità", ma esprimo un'opinione andando, con l'immaginazione, oltre a ciò che tu ritieni oggettivo.
Ciò che ho descritto sulla meta spirituale l'ho lasciata volutamente indefinita proprio perchè descrivendola in modo oggettivo avrei potuto usare solo concetti soggettivi...e la verità non è mai soggettiva

Caspita, quello che dico io è soggettivo anche se mi baso su qualcosa che chiunque può conoscere, invece quello che dici tu sebbene limiti e confini quello che ho detto io è basato su qualcosa che va con l'immaginazione oltre....
Beh che dire... si commenta da se.
Citazione:

Ma chi è che non si lascia mai andare alla felicità ?
Come possiamo dirlo ?
Non lo so a meno che non ti psicanalizzo, perchè il "mai" lo hai aggiunto tu.
Citazione:

Noi proiettiamo solo le nostre esperienze, il nostro vissuto, il nostro passato.
Giudichiamo dal nostro interno... ciò che appare all'esterno... che riguarda l'interno altrui...
Citazione:

Prima mi dici che non esiste un pensiero tuo o mio o di chiunque, adesso invece che qualcuno ha un interno diverso.... uhum...
Tutti hanno provato e provano momenti di felicità, fa parte della natura umana.
L'unica paura è quella di soffrire dopo che passa la felicità...
Così molti preferiscono vivere nell'appiattimento generale, piuttosto che salire per poi dover scendere.
Aspettando magari di incassare la felicità eterna in un'altra vita...
Non è la paura di salire che ci blocca , ma quella di scendere...e noi sappiamo sulla nostra pelle che non esiste la continuità...
C'è anche chi non è mai salito, come fa a sapere che poi riscenderà?
Citazione:


Aggiungo che ognuno fa le sue scelte in base a ciò che è ...ed è credere di poter cambiare ciò che si è il vero problema umano che porta all'insoddisfazione.
Non possiamo più fare a meno di pensarlo...è quello che ci hanno sempre promesso con lauta ricompensa finale di un percorso che si chiama ..evoluzione.
Mah !

ma questa non è verità..è solo una mia opinione....:@@
Si è vero, vedi che su qualcosa siamo d'accordo?
Non si può cambiare ciò che si è, si può solo cambiare ciò che si fa e si manifesta.

diamantea 05-06-2011 11.40.24

Citazione:

Originalmente inviato da Uno (Messaggio 100617)
Si può dare e ricevere la felicità?
Che differenza c'è tra la felicità dell'essere e quella dell'avere, se per voi c'è?

Ci ho riflettuto parecchio su queste domande che sembrano facili.

Io credo che la felicità si può sia dare che ricevere. Ci sono le azioni legate a persone o situazioni esterne che provocano uno stato di felicità anche circoscritto, momentaneo ma pur sempre di felicità.
Mi capita di dire "mi hai resa felice" oppure sentirmi dire "mi hai reso/a felice", oppure ancora "mi hai ragalato un momento di felicità". Ci sono delle azioni che compiute portano felicità o stimolano la felicità nell'altro che aspetta quell'azione per sentirsi felice.
Per quel che mi riguarda sicuramente da uno stato di infelicità ne esco principalmente con l'aiuto esterno, può essere anche vedere giocare il mio cane felice in giardino che mi mette di buon umore.

Poi vi è lo stato dell'Essere felice. Mi capita di svegliarmi la mattina e sentire il cuore già colmo senza che siano accadute azioni esterne che lo provocano, almeno di cui non ne sono cosciente. Qualunque cosa accada, in un tempo in genere limitato a un giorno, la mattina successiva è già passato, io resto felice qualunque cosa accada. Quel giorno tutto sembra fatto per mantenere la mia felicità.
Immagino che si tratti di una vibrazione energetica con cui entro a contatto per chissà quale motivo.
Sento che qualcosa scappa da dentro di me, può essere la voce, il sorriso, uno slancio energetico, come qualcosa che non si può trattenere.

Poi è vero il contrario, svegliarmi la mattina infelice, però durante il giorno la clessidra può girare più facilmente se mi distraggo, se accadono fattori esterni capaci di darmi un pò di felicità.


Tutti gli orari sono GMT +2. Adesso sono le 23.41.12.

Powered by vBulletin Copyright ©2000 - 2024, Jelsoft Enterprises Ltd.
Questo sito non è, nè può ritenersi assimilabile ad una testata giornalistica, viene aggiornato senza alcuna periodicità, esclusivamente sulla base della disponibilità del materiale. Pertanto, non è un prodotto editoriale sottoposto alla disciplina della l. n. 62 del 2001. Il materiale pubblicato è sotto la responsabilità dei rispettivi autori, tutti i diritti sono di Ermopoli.it che incoraggia la diffusione dei contenuti, purchè siano rispettati i seguenti principi: sia citata la fonte, non sia alterato il contenuto e non siano usati a scopo di lucro. P.iva 02268700271