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Vecchio 11-03-2008, 00.46.56   #1
Grey Owl
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Predefinito La morte si prende gioco di me

Sabato scorso ero a far visita a mio fratello. Ha subito un'operazione al plesso brachiale che si e' lesionato durante un'incidente in moto avvenuto a fine luglio dell'anno scorso. Operazione necessaria per risolvere la paralisi al braccio destro che gli causava forti dolori e il lento distaccamento del braccio dalla scapola. Durante la visita di sabato mi ha parlato di come questo evento gli abbia cambiato la prospettiva di vita. In quell'occasione mi ha colpito il suo fermo e convinto punto di vista rispetto alla vita, anzi e' meglio dire il suo punto di vista rispetto alla morte. Lui e' fermamente convinto che la morte si stia prendedo gioco di lui. Asserisce che la morte e' una sadica signora che usa le persone per il suo personale divertimento e che noi non abbiamo voce in capitolo. Che si beffa di noi in un disegno sadico e meschino, ci infligge dei dolori per il suo piacere. Asserisce che l'uomo non e' partecipe del suo futuro, il destino e' segnato dal gioco beffardo della morte che ha per noi disegnato gia' un percorso di sofferenze. In questa sua visione di morte beffarda e sadica non vi e' posto per il senso di propria responsabilita' negli eventi accaduti. Non ritiene di avere un ruolo primario in quello che gli e' accaduto e in quello che sara' il suo futuro. Un senso di vita passiva e un destino gia' deciso fatto di sofferenza e amarezza. Continua nel suo teorizzare "avevo una passione (la moto) e lei (la morte) mi ha punito perche' ero felice, non mi ha ucciso perche' essendo sadica mi vuole far soffrire lasciandomi in vita senza poter piu' andare in moto".
Ribatto che la morte e' un esattrice della vita, si riprende quello che ci e' stato dato alla nostra nascita, essendo mortali vi e' un momento in cui viene restituita la vita, che e' il bene piu' prezioso. Gli rammento che in passato ha fatto azzardi, in moto come in altre cose, per cui se oggi e' qui con me a parlarne e' perche' ha avuto "fortuna". Allora mi fa' alcuni esempi di persone che sfidano la morte in imprese al limite dell'umano e che queste riescono sempre a salvarsi mentre altre per un banale incidente muoiono. Che alcuni muoiono giovani mentre altri pur con vizi malsani vivono fino a tarda eta'. Che alcuni nascono con gravi menomazioni e che la loro qualita' della vita e' minima, come lui ora. Quello che mi ha colpito di piu' nel suo dire e' la non responsabilita' nei confronti della sua vita. Quella sensazione di ineluttabile destino fatto di sofferenza, il non voler lavorare per migliorarsi in quanto poi la morte arriverebbe con una nuova punizione. Gli rammento che la parte attiva di una guarigione e' data dalla persona stessa, dal voler guarire, dall'aver fiducia in se stessi, dal credere in se stessi. Lui asserisce che non esistono i miracoli ma solo un non comprendere i meccanismi del corpo umano che guarisce in una misteriosa sequenza di eventi fortunati.
Comprendo che nel suo stato di dolore il pensare a una morte beffarda umanizzata e' un'esorcizzare la morte stessa e la sofferenza. Capisco che e' piu' facile pensare alla sfiga, al destino ingrato che punisce invece che cercare le proprie responsabilita' in tutto questo. Accusare quella donna in auto, della sua distrazione, causa delle sue sofferenze, del suo incidente in moto.

Eppure ritengo che siamo partecipi del nostro futuro e che Noi ci mettetiamo di fronte a prove per poterle superare e comprendere il mistero della vita.

Ne vogliamo parlare?
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