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Vecchio 22-09-2005, 09.57.06   #6
Ray
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Predefinito Riferimento: Considerazioni di un cinico

Per sottolineare la mia completa condivisione sulla posizione di Uno, tra l'altro già emersa in altre discussioni, copio-incollo un intervento pubblicato in altra sede e con altri intenti di questo forum.

L'ipocrisia delle solidarietà
Nella società occidentale moderna il concetto di solidarietà è giunto ad un livello di degenerazione che sfocia nel ridicolo. La solidarietà viene commercializzata. Viene venduta e, con ciò, svuotata del suo contenuto di significato.

Oggi si è portarti a credere che per essere solidali, e quindi giusti, bravi, buoni, belli e in pace con se stessi, basti, ad esempio, acquistare oggetti inutili ad un prezzo sproporzionato al loro valore e la cui sproporzione dovrebbe diminuire la sproporzione tra chi ha prodotto l'oggetto e chi lo ha acquistato. Oppure, sempre ad esempio, adottando a distanza bambini tramite il versamento di una cifra irrisoria che potrebbe permettersi qualsiasi studente liceale con la sua paghetta settimanale.

Questa credenza è originata e nutrita da due fonti: chi vende solidarietà e, conseguentemente, è interessato a valorizzare il suo prodotto al di là del suo contenuto, e chi la compra che, per pochi soldi, si assicura la sedazione della coscienza e la continuità dell'illusione di operare per il bene.

La solidarietà dovrebbe essere la partecipazione ad una condizione altrui più sfortunata della nostra. Questa partecipazione dovrebbe muovere dal riconoscimento che la condizione altrui non è nettamente separata dalla nostra ma che, per ritrovata identità con l'altro, possibile solo ad una pace con se stessi già acquisita e non da acquisirsi tramite solidarietà, sussiste una com-partecipazione di destino.

La solidarietà pubblicizzata, venduta e acquistata oggi, quella falsa e degenerata, non mira alla riduzione, con tendenza all'annullamento, della differenza di fortuna tra il solidale e chi riceve la solidarietà. Fa esattamente l'opposto. Nutre se stessa e, per farlo, deve sottolineare e mantenere tale differenza, per permettere la continuità di sedazione del senso di colpa collettivo che muove la solidarietà.

Che oggi esistano individui che, dal punto di vista materiale, hanno molto meno di altri, è un fatto. Che questo fatto comporti una maggior sfortuna dei primi rispetto ai secondi è da dimostrare. Tuttavia, anche prendendolo come assunto, non è il riconoscimento di questa maggior sfortuna che muove il solidale moderno. Se così fosse, se egli fosse realmente mosso da compassione per lo sfortunato e da susseguente desiderio di partecipazione, di vicinanza, di condivisione, che è vera solidarietà, rinuncerebbe alla sua fortuna e si unirebbe a lui. Come San Francesco. E così facendo insegnerebbe allo sfortunato che non è la condizione materiale a far felice o infelice un individuo, ma la partecipazione, la vicinanza, la condivisione del proprio essere che, per definizione, trascende l'avere in quanto sua condizione. La solidarietà che muove San Francesco è il riconoscimento di un comune Principio spirituale, da condividere consapevolmente, del tutto indipendente dalla concezione arbitraria e mutevole di fortuna-sfortuna.

La solidarietà degenerata di oggi muove elemosina verso l'ipotetico sfortunato senza minimamente modificare la condizione dell'ipotetico fortunato. Cioè non è solidarietà, perchè non c'è partecipazione né condivisione. La distanza che li separa resta immutata, anzi, in quanto ribadita dall'azione dell'uno verso l'altro, aumenta. Cerca di espandersi al valore dell'individuo che, in quanto solidale, è automaticamente anche buono e giusto, in qualche modo meritevole della fortuna che gli è toccata. Chi compra la solidarietà, senza per questo rinunciare alla sua condizione di privilegio, cerca di comprare, a basso costo, quell'indulgenza di simoniaca memoria che gli permette di stare in pace con se stesso anche contemplando la sfortuna altrui. Acquisto che lo sfortunato non può permettersi. Ecco che, tramite solidarietà, in realtà, si nutre quell'illusione egoica di essere migliore dello sfortunato.

Il solidale vero, quello francescano, non compra: dona. Se si facesse un referendum, non tra tutta la popolazione, ma solo tra coloro che oggi si ritengono solidali, atto a stabilire quanti sarebbero disposti, da subito, a rinunciare a tutto quello di materiale che li separa da coloro con i quali crede di solidarizzare, a raggiungerli per condividere la loro condizione e, da quella posizione, muovere insieme al miglioramento della stessa, si svelerebbe, grazie al risultato, l'ipocrisia della solidarietà. Il senso di colpa che muove il solidale odierno, quello finto, è pre-esistente alla solidarietà. Esso si riempie di contenuto razionale di pensiero quando, cercando fuori di se la causa del suo disagio, incontra, ad esempio, l'affamato, l'infreddolito, il malato, in genere il sofferente. Il contenuto di pensiero che si forma grazie a questo incontro è quello della sazietà, del calore, della salute, del benessere. Cioè non della condizione in cui si trova, ma dei suoi desideri e dell'obiettivo minor sforzo con cui può soddisfarli. Egli non si avvede che l'incontro, che manifesta il suo disagio, non è causa dello stesso ma effetto. Nell'incontro con il sofferente il solidale si trova di fronte alla sua dipendenza da ciò che possiede. Alla misura di cui è posseduto da ciò che possiede. Alla misura di quanto non è presente a se stesso, di quanto la sua vita è basata su illusioni. Facendo l'elemosina al sofferente, fa l'elemosina a se stesso. Seda il disagio invece di affrontarlo e risolverlo perchè, se lo affrontasse, dovrebbe mettere in discussione le illusioni su cui si fonda e si troverebbe davanti a decisioni importanti da prendere, come quella francescana o, se si vuole, per modernità, quella pillola azzurra, sintesi chimica di responsabilità, la cui assunzione corrisponde all'accettazione del proprio destino.
Facendo l'elemosina commette, inoltre, un secondo errore: quello di trasformarsi anch'egli in venditore di sedazione. Insegna al ricevente a non affrontare la propria condizione ma a nutrire le proprie illusioni. E, proprio come chi originariamente vende solidarietà, lo fa per il proprio immediato interesse: la nutrizione del proprio ego.
Ray non č connesso