Discussione: Tradurre Tradire
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Vecchio 19-01-2007, 20.04.28   #3
Smashan
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Purtroppo è inevitabile nel passaggio da una lingua ad un'altra, o da un linguaggio ad un altro, il tradimento del concetto originario.
E' un po' come un telefono senza fili, in cui è inevitabile metterci qualcosa di personale.
Già all'interno di una stessa lingua ognuno associa diversi significati alla stessa parola, e la utilizza per i suoi scopi. Questo è il motivo fondamentale per cui i filosofi si sono sempre messi d'accordo sui termini, modificandone anche i significati dal linguaggio comune; era l'unico modo per parlare sulla stessa linea guida.

Venendo alla tua domanda, Griselda, riguardo ai testi sacri la cosa è ancora più complessa. Nei testi sacri ogni parola ha un suo peso ed è messa lì, in quella riga, in quel contesto, con quell'accezione perchè fa parte di uno scheletro perfetto che deve rappresentare la perfezione divina; dunque nulla può esserci di dato al caso. Nella traduzione, per quanto il traduttore si inserisca nella cultura che parla la lingua da tradurre, non sarà mai completamente all'interno della stessa, non sarà mai completamente 'libero' dal meccanismo di modifica.
La lingua, insieme alla religione, forma l'anima di un popolo. Ed è già complesso entrare nell'anima del proprio popolo, figuriamoci quanto può essere difficile farlo con un popolo diverso dal nostro, a maggior ragione se si perde nei tempi.
Un paio di esempi interessanti, nei rapporti tra cristianesimo ed ebraismo; premesso che l'ebraismo è l'unica religione che condivide insieme ad un'altra parte dei propri testi sacri.
Il pentateuco, per i cristiani parte dell'Antico Testamento, è per gli ebrei la Torah, parte dei loro testi sacri.
Sullo stesso testo nascono paradossalmente la maggior parte delle differenze tra le due religioni; poi Cristo è l'elemento massimo di differenza, ma è unico, mentre tante piccolissime differenze sorgono da diverse interpretazioni/traduzioni dei primi cinque libri.
Uno su tutti è il concetto di eternità.
Il cristianesimo prende di peso questo concetto, su cui si basa l'intera vita dell'anima nell'Aldilà, da una parola ebraica che è Olham.
Il problema è che nell'ebraismo il concetto di eternità, così come è inteso tra i cristiani, non esiste.
Non è sbagliato tradurre Olham con 'per sempre, o con eterno, o nei secoli dei secoli', ma concettualmente lo è.
Olham per gli ebrei è semplicemente un periodo di tempo talmente lungo che la mente umana non può calcolarne la fine, ma non è assolutamente detto che una fine NON vi sia, anzi; non è semplicemente possibilità umana saperlo, ma una fine c'è.
Questo esempio secondo me è veramente eclatante, perchè da una sola parola è nata una dottrina fondamentale per i cristiani.
Ci sono altri esempi simili a questo disseminati in tutto il testo, che renderebbe differenze di linguaggio ormai diventate anche concettuali.
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