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Vecchio 17-06-2005, 16.20.32   #19
*Sissi*
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Ieri ho seguito la fine di "Quark", quando Piero Angela presentava un servizio
sulla dipendenza dall'alcool. In questo servizio si spiegava come l'essere umano
ricerchi il piacere, la gratificazioe, venga essa dagli alcolici, dal cibo, dal sesso.
Per quanto mi riguarda non trovo mai nulla che mi faccia sentire bene.

Uscire i fine settimana per una pizza... andare al cinema qualche volta, e non trovare un senso in tutto ciò.

.... per me il senso vero sarebbe riuscire a comunicare con gli altri
e dare agli altri, anche solo nel riuscire a sostenere una conversazione interessante
con una persona mi sentirei realizzata. Riuscire a trasmettere qualcosa agli altri sarebbe bello... invece viviamo in una società cretina dove i giovani ,per carità,
non vogliono studiare e non si interessano a nulla, e devi essere iper-fantasioso e
creativo per interessarli.
Eppure mi sarebbe piaciuto e, chissà, se non mi fossi incaponita con lo studio
dell'inglese che alla fine non mi si confà granché, forse in un'altra materia sarei
riuscita a trasmettere.
Non c'è senso di frustrazione più grande di quando spiego qualcosa e non vengo capita, di quando spiego e dico qualcosa e non vedo interesse.

Io credo che conti riuscire a 'costruire' qualcosa in questa vita.
Ma quante volte ho sentito la frase avvilita "in 35 anni non ho costruito niente"
Siamo tutti immersi per tanti anni alla ricerca di un lavoro o anche solo
nello scoprire cos'è che fa per noi, che ci può fare stare meglio, che si adatta al nostro modo di essere. Poi magari ci dobbiamo gioco-forza accontentare di occupazioni dove non possiamo dare il meglio, e nel
frattempo trascuriamo i rapporti umani, che stanno diventando sempre più stentati e difficoltosi.
La gente la mattina è di fretta, e per lo più in autobus o in macchina è nervosa per questo o quell'impegno imminente, per un ritardo, per il traffico.
Non c'è più tempo per pensare.

Ma proviamo a chiedere a un campione di persone quante si sentano realizzate o quantomeno soddisfatte della loro vita.
Cos'è la felicità?
Quando viviamo in una società dove i doveri sembrano non finire mai, dove sembra che conti più l'apparire:
apparire belli e in ordine
colti e intelligenti
profondi
spiritosi e arguti
buoni, generosi e compassionevoli
furbi o disinteressati a seconda dei casi.
Viviamo in un mondo in cui siamo talmente tanto occupati a fare quello che "è giusto fare, che sarebbe giusto" che manco ci rendiamo conto di quello che vogliamo per noi stessi.
Io per lo meno non me ne rendo conto.
E allora l'alcool.... per combattere lo stress, la stanchezza.... la paura di avere detto una parola sbagliata, di avere fatto brutta figura, di essere apparsi noiosi.
Siamo sottoposti a troppi condizionamenti, e secondo il mio modesto parere quando si pretende di dire "io sono sempre sincero e sono me stesso con gli altri" si dice qualcosa di veramente presuntuoso.
Ora dopo ora, giorno dopo giorno, indossiamo maschere, è una recita continua.
Penso alle madri di quei ragazzi con grossi problemi psichici del laboratorio teatrale; se in famiglia esse non debbano portare maschere, certo che sì..... magari il loro scopo nella vita è quello di aiutare i figli e nel contempo crescere interiormente e apprezzare la vita e balle simili,
ma possono ritenersi soddisfatte considerando la prigione in cui vivono in
famiglia, costrette a subire gli sbalzi umorali dei figli?... è solo un esempio.

Spesso nella vita non si fa o non si può avere ciò che si vuole, al contrario
di quel che dice Maxfuryus.

E poi ci sono individui più portati alla lotta e a superare gli ostacoli, ci sono altri che dopo un paio di batoste robuste (alla propria auto-stima, fallimenti, bocciature, litigi, insulti da parte degli altri, disoccupazione prolungata, fine burrascosa di relazioni) non si rimettono più in piedi.
Inseguiamo tutti il mito della felicità, e in definitiva credo che
la maggior parte della gente non si senta poi granché consolata a pensare che siamo parte di un tutto, di una grande armonia, ognuno vorrebbe una fetta di gloria per sé
in fondo ciò che vogliamo da questo cavolo di vita è di essere ascoltati,
considerati, capiti.
Ma non è affatto semplice:
spesso la prima mini-società che dovrebbe offrirci sostengno e fiducia
è la prima a fallire, parlo della famiglia.
........... non parliamo della scuola e di come versa in Italia da quel che vedo...
.... non parliamo di tutti quei giovani con pochi o nulli ideali che non
hanno minimamente il concetto di fare qualcosa per sé stessi, e studiano solo perché obbligati;
non parliamo delle persone che alla fine si sposano solo per avere una sistemazione, di coloro che fanno i figli solo per coprire i loro vuoti affettivi.
Ciò di cui finiamo regolarmente col scordarci, è che nel momento in cui
progettiamo qualcosa che coinvolge qualcun altro dall'altra parte,
sia esso avere un figlio, sia qualsiasi altra forma di relazione, non dobbiamo perdere di vista quello di cui ha bisogno l'altra persona, quello che siamo in grado di darle.
Un figlio non chiede di venire al mondo, e se viene al mondo per i motivi sbagliati, magari per coprire un vuoto affettivo del genitore o per soddisfare il suo narcisismo esistenziale, avrà una visione della vita distorta, di vita-dovere, obbligo, con i sensi di colpa e i ricatti affettivi che ne derivano.
Vogliamo renderci conto che per sapere cosa vogliamo davvero nella vita è necessario essere liberi? E che la libertà spesso la si raggiunge dopo molti ma molti anni, magari quando non siamo più in grado per varii motivi di mandare in porto certi progetti relativi a quello che vogliamo per noi?
Mi spego: spesso alcune persone scopriono tardi nella vita per cosa sono portati,
sia una attività, un hobby che diventa qualcosa di costruttivo, un pensiero filosofico o religioso, uno sport...,
ma certe cose non possono essere mandate avanti a qualsiasi età.
Un esempio per me sarebbe la danza che non è andata certo in porto.
Che ne so che non era quello veramente uno dei fari nella mia vita, ovvero che non lo sarebbe stato? Qualcosa che mi avrebbe dato la sensazione di costruire e di esprimermi.
L'importrante è ESPRIMERSI, non passare nella vita invano
DARE IL PROPRIO CONTRIBUTO ALLA VITA DEGLI ALTRI, ma farlo sapendo che si è IN GRADO DI FARLO. Se si fa un lavoro tanto per fare qualcosa, anche se si potrebbe, volendo, scegliere (diversoè il discorso se non siamo in condizione di poter scegliere come è spesso il caso) siamo parzialmente sconfitti.

Ma esprimersi è la cosa più importante.
Il difficile è farlo in modo costruttivo, pe
trasmettere qualcosa
aiutare qualcuno
dimostrare qualcosa
dare consigli pratici
E ancora più diffcile è ascoltare i nostri simili e capire quello di cui han bisogno, visto che uno su tre nemmeno noi stessi sappiamo cosa veramente potrebbe farci stare bene (o se lo sappiamo, non ce lo vogliamo manco confessare per orgoglio, visto che i vili sentimenti sono qualcosa di davvero poco dignitoso e persino quelli vanno coltivati, e si finisce anche nei sentimenti con il sentirsi degli incapaci)
Se è difficile dire ed esprimersi ed è difficile capire il punto di vista dell'altro e essere in empatia e creare unione e armonia... è perché viviamo in una società dove i tempi per coltivare certe abilità sono assai ristretti.
Dove è più comodo affidarci a piaceri immediati piuttosto che confrontarci
nelle idee con gli altri e "costruire", e quest'ultimo è un aspetto che riguarda soprattutto i giovani. Un mondo dove capire l'altro e andargli incontro è complicato da invidie, paure, paura di essere invischiati, di farci coinvolgere e paura di rischiare.
Tutto nella vita è un rischio
Nel momento in cui ci imbarchiamo letteralmente in una relazione non stiamo che rischiando.
Il fatto è che la maggior parte della gente si imbarca in relazioni, lavori, hobby così...
automaticamente senza perché, per vivere... io vivo alla giornata è il motto dei più.
Ha davvero senso parlare di uno scopo, di costruire...?
Sicuramente non per le persone emotive e ultrasensitive o ultra-sensibili, così in balia dei loro scossoni intieriori che è ben difficile che possano serenamente progettare un domani prossimo, men che meno lontano, (e parlo di me qui), a mala pena si barcamenano nell'oggi.
Partiamo dal presupposto che lavorare, sposarci, avere figli, siano cose quasi gratuite che potrebbero fare tutti, o forse oggi non la pensiamo più così... ma pensiamo 30 anni fa..., una donna che non si sposava e non aveva figli dopo i trent'anni, aveva fallito e non aveva realizzato il suo scopo.
E siamo sempre in grado di capire cosa vorremmo raggiungere o siamo
confusi dalla visione di quello che raggiungono gli altri?
Io, per parte mia, so che vorrei certe cose per me, ma a volte mi vorrei anche più simile agli altri e più integrata.
Ora, un altro punto dolente: l'integrazione.
Domanda cruciale; quanto conta essere accettati, fare parte di un famigerato gruppo, condividerne interessi, scopi, visione della vita, sensibilità, modo di esprimersi talvolta, forma di senso dellumorismo se si vuole? Secondo me tantissimo, checché se ne dica.
E qui arrivo al nocciolo del mio discorso.
Alla fine quando hai dentro qualcosa, ma sai che dall'altra parte non collima con l'interesse dell'altro, la comunicazione dove va a finire?
Tenti magari di adattarti all'altro per renderti interessante e accetto, ma i nodi prima o poi vengono al pettine.
Non lo so se si può realizzare quella grande unità di anime che taluni vagheggiano, l'umanità come una classe scolastica è fatta di gruppetti,
certe persone davvero non hanno nulla da dirsi, e il triste è che non hanno nulla da dirsi non perché non corre simpatia fra di loro, ma spesso perché ci sono sensibilità differenti.
Quante volte io ho provato attrazione, simpatia, interesse, curiosità con certe persone che mi pareva che avessero un certo-non-so-che ..., ma gira gira la conversazione... languiva dopo due minuti.
Vedete, un mio vezzo sarebbe di poter piacere a tutti, ci saranno altre persone che sembra che come scopo abbiano di farsi accettare sempre e comunque e inseguono.................
....................... la perfezione.
Il mio scopo da ragazzina, se fossi stata consapevole di poterlo conseguire, era la perfezione, prima era riuscire negli studi.
Poi mi son laureata, dopo tutte le mie conoscenze però (anche dopo persone apparentemente non più intelligenti e diligenti di me, anzi),
si direbbe che il mio scopo per tanto tempo sia stato di non arrivare, se non prima, manco fra le ultime.
Ho sempre visto la vita come una gara.
Quando frequentavo le micidiali lezioni di danza ero regolarmentre relegata in uiltimissima fila per i saggi, e per me era uno smacco.
Ora sono molto indietro rispetto i miei fratelli, per matrimonio o relazioni con l'altro sesso e lavoro.
.............. tutta una gara.....
E so benissimo che per molte persone la vita è una gara: dimostrare agli altri e a se stessi che si può fare tutto come e meglio degli altri e possibilmente più in fretta.
L'efficienza è la parola d'ordine del vivere moderno.
Persino efficienza nei rapporti sentimentali ed intimi, verrebbe da ridere.
Eppure è così, se la vita è velocizzata e tecnologizzata anche l'essere umano vuole 'sentirsi al passo', veloce, e questo talvolta uccide i sentimenti e le personalità emotive e più fragili che non riescono a "tenere il passo".
Infine per riuscire a vivere con soddisfazione bisogna in primis amare la vita.
Un esempio, la mia amica, quella che frequento assiduamente e di cui ogni tanto parlo (non l'aMICA FRIVOLA DI UN MIO POST, UN'ALTRA) ama la vita, ha voglia di fare, eppure anche lei ha problemi e non è messa meglio di me per lavoro, relazioni e altro; ma ama la vita e le piace anche solo andare a fare compere, andare a prendere una pizza e vedere la gente che balla in un locale.
Io appena mi fermo un po' mi deprimo, e mi viene magone e senso di rabbia; eppure non ho mai entusiasmo per pizza, passeggiate, compere, uscite, o cose varie....
Allora sarebbe utile capire perché ci sono queste differenze fra le persone: perché certi considerano le piccole cose della vita noiose e persino ansiogene, e certi le vivono con entusiasmo.
Bisognerebbe capire perché ad alcuni un tete a tete (con l'accento circonflesso sulla "e" ma qui non si può inserire), una conversazione a due, o un appuntamento mette ansia, perché .....non c'è nulla da dire.
Infine bisognerrebbe capire perché alcuni hanno così maledettamente paura di essere vuoti e parlano e scrivono per paura del nulla, e mettono su parole per dare l'illusione di essere interessanti come sto
facendo ESATTAMENTE IO IN QUESTO PRECISO ISTANTE CON QUESTO lunghissimo scritto.
*Sissi* non è connesso