Discussione: Il paradiso perduto
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Vecchio 21-01-2011, 16.02.50   #39
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Sicuramente il tempo amavo di più passarlo creando situazioni emozionanti, entrando e uscendo dai ruoli, recitando nelle vesti dei grandi, dove vi era movimento del corpo, ed emozioni date dalle vicende simulate con i ruoli stessi. Ebbi però anche modo di sviluppare l'attitudine alla manualità, dove più che altro è la mente creativa che lavora, aiutata dallo strumento. Fin da piccola, come accennavo, era stato doveroso imparare a ricamare, anche se bene non lo
feci mai, era un lavoro seccante per me, ci voleva troppo tempo per ottenere qualcosa di finito, io avevo fretta di vedere i risultati. Mi venne invece più simpatico da subito il cucito. Lo facevo per le bambole e ciò dava uno scopo ed una soddisfazione più immediati. Amavo tagliare e cucire i modelli sul letto della nonna, mentre lei ricamava nella stessa stanza. Le prime camicie furono un pezzetto di stoffa con due buchi per le braccia, e la gonnellina era anch'essa un pezzo di stoffa rotondo col buco in mezzo. Avrò avuto quattro anni, e non tenevo l'ago in mano. La nonna non voleva lasciassi le forbici sul letto, portava male, ma non mi riusciva di ricordarmelo sempre, e lei mi sgridava severamente, era una ossessione quel suo divieto perchè poggiare tutto sul letto significava per me che ero poco alta avere tutto sottomano, una buona visione d'insieme, e mi veniva meglio a prendere le cose.
La passione per il vestire le bambole fu coltivata fino
all'inverosimile. Il primo ricordo che ho di mia madre fu di lei che cambiava proprio in quel letto dove dormivo con la nonna, la piccola neonata. Ve la adagiò, le cambiò il pannolino e la sistemò con cura tirando per bene sulle gambine il vestito al fine di coprirla, una scena che ancora ho negli occhi, in tutta la sua dolcezza, e chissà cosa provai in quel momento...E poi era un continuum quella fila di panni vari, bianchi e colorati, che stavano appesi in ogni cortile, nei balconi e, dentro casa d'inverno, nel cerchio di legno sopra il braciere.
I panni erano una cosa onnipresente, in tutte le case, e forse ciò mi spingeva a crearne di continuo, come se fossero nel piano della sopravvivenza stessa. Ma quella scena di mia madre china sul quel fagottino delicato con la sciarpa rosa e le scarpette di lana in tinta coi fiocchetti, fu una visione che probabilmente accese molte cose in me.
Continuo... Fu una conquista bellissima, quando mi venne insegnato come dare la forma delle spalle al vestitino della mia bambola. Per fortuna che la nonna era anche sarta, perchè furono davvero una grande risorsa tutti vari ritagli colorati. Se per caso le si liberava un rocchetto di legno, lasciavo tutto e in un attimo lo mettevo a mò di tacco sotto la
mia ciabattina, col chiodo; avrò avuto otto anni per questo, e giravo per un giorno intero in quell'esercizio di equilibrio, e poi avanti con altra materia! Tenevo tutto sott'occhio per creare, per inscenare, in modo incessante, senza mai stancarmi, e mi scocciava che si dovesse mangiare, tanto che un giorno mia madre scoprì che mentivo dicendo che avevo preso qualcosa dalla nonna, mentre alla nonna dicevo che avevo mangiato con le mie sorelle. Mi pescò sola dentro il cortile, aspettavo che le compagnette scendessero a giocare subito dopo il loro pranzo, mi prese come una pupattola e mi sbattè con rabbia contro il cancello facendomi uscire anche sangue da dietro i capelli, un piccolo rivolo, mi urlò " se lo fai ancora ti ammazzo". Un unico episodio, ma convincente devo dire, avevo torto marcio e lo sapevo. Se devo dire cosa provo mentre lo scrivo posso affermare di avere contattato un grande sentimento di passione, le mie idee e la mia spinta a realizzarle erano una fonte inesauribile di piacere, il paradiso stava dentro di me.
Ho appena descritto le ore che passavo quando non andavo dall'altra nonna dalle mie sorelle, ore passate con me stessa, in silenzio a giocare da sola, e visto che sono tornata indietro in quella infanzia, vorrei descrivere qualcosa di magico che ancora oggi a pensarla non so perchè mi fa venire le lacrime.
Ho già detto che dalla nonna P c'erano dei doveri fastidiosi, le piccole faccende di casa, ma ce n'era uno di compito che mi impegnava particolarmente in estate quasi ogni giorno, quello di annaffiare i fiori. Centinaia di vasi, alla quale era attaccatissima, anche a quelli insignificanti, e l'unica bastonata che assaggiai fu perchè nel correre ne feci rovesciare una giù dal muretto all'ennesima volta che la nonna mia avvertiva di stare attenta.
Quindi erano due le cose o mi tagliavo le vene, oppure facevo di necessità virtù, mi riuscii la seconda. Prima di essere libera di andare in strada, col tubo dell'acqua dovevo bagnare, ma fino all'orlo, ogni vaso, a girare per tutta la terrazza, e la pressione era modesta. Al fine mi ritrovavo a terra all'altezza delle piante come i gerani, la gardenia, la campanella, la pittura, le tuberose, le begonie, una infiorescenza detta "ceci con la pasta", ect ect...e a volte proprio distesa vicino a un gruppi di fiori, persa a guardare ciò che accadeva man mano che l'acqua inondava la superficie di terra dentro il vaso,ed era interessante la vita che prendeva movimento davanti ai miei occhi. Tanti fili d'era che ondeggiavano, foglioline secche che galleggiavano,
il tronco della pianta che vedevo come un albero, pietruzze che rendevano mossa la terra.
Il tremolio più interessante era quello delle piantine erbacee con il piccolo fiore, che vedevo sparire sotto l'acqua e poi riemergevano, ecco lì io mi incantavo... entravo in quel pezzo di vita e cominciavo a dialogare con tutte queste figurine che per me erano persone. Signore e signorine per lo più, con i quali allungavo lunghi monologhi, io facevo le domande ed essi mi rispondevano, sempre io, e cambiavo tono, e
ammiravo la loro linea sinuosa, i loro indimenticabili delicati colori, i singoli petali in miniatura. Un miracolo che io potessi godermi così quella ora, e a volte anche se mi seccavo ad ogni inizio, poi mi rassegnavo e mi perdevo in quei sentimenti così pregnanti verso quella materia naturale che mi offriva quello che infondo doveva essere un obbligo. Io amavo tutte quelle esili piantine di ogni tonalità del verde, erano tutte amiche mie!
Per molti anni anche dopo le piante hanno avuto il potere di stregarmi, e ancora oggi un albero è molto di più di quello che sembra, per me. Chiudo quì per ora, mi sono persa abbastanza, tutti i sensi venivano invasi, era buono l'odore di erba, di terra bagnata, anche quello del tubo di plastica riscaldato dal sole mentre vi arriva l'acqua, un autentico paradiso che scusate non potevo tralasciare..

Ultima modifica di webetina : 21-01-2011 alle ore 16.05.32.
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