Discussione: Il paradiso perduto
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Vecchio 29-01-2011, 15.44.57   #46
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Predefinito Il tesoro

Uno sguardo veloce all’obiettivo di questo scritto. Prendere contatto con la parte di me che sapeva godere, e reagire alle contrarietà della mia piccola esistenza, quando i processi sono molto più spontanei, naturali, e quando vi è linearità tra pensiero e azione.
C’è anche un altro motivo, oltre al terzo cioè il piacere di raccontare, di cui non ho ancora parlato specificatamente e che mi sta molto a cuore: scoprire chi abitava dentro di me fin da subito. In passato c’erano due tipi di sogno che mi davano turbamento e stupore. Beh gli incubi miei sono ormai noti. Invece i sogni straordinari , che non mi accadono da un po’ erano quelli in cui mi apparivano delle intere collezioni artistiche di abiti, scarpe e indumenti da sera. Intere collezioni di modelli inediti straordinariamente belli e originali, sia per i tagli che per i materiali e i colori con cui erano di un colpo realizzati. Vedevo solo la fase finale, della sfilata, oppure erano in stand, allineati e appesi ed io li scoprivo con meraviglia e avrei voluto possederli tutti. Capi esclusivi solo per donna.
Ho letto in un libro moderno di sogni la pagina presa da di Freud, dove si racconta di come un paziente avesse sognato qualcosa che era lontano dalla sua portata e conoscenza, ma si scopre poi che lo stesso paziente molto tempo prima era passato in quel luogo, letto una scritta , e l’inconscio ora lo tirava fuori. Una sorta di dimostrazione scientifica. Naturalmente non lo citava come unico modo per spiegare i sogni strani.
Era una parentesi perché avrei voluto affermare con assoluta certezza che quegli abiti non li ho mai visti nella realtà, nemmeno le scarpe, ma non so se posso; io credo ancora che sia così. E’ chiaro che si attinge dalle cose preesistenti, tutta la creatività e l’arte sono così, però mi colpiva la varietà e la ricchezza dei manufatti. Ora poiché non ho mai studiato come stilista di moda, ne coltivato particolarmente l’acquisto di riviste specializzate, mi sono sempre chiesta se queste immagini mi potessero arrivare dall’esterno, domanda alla quale non mi ha potuto rispondere nessuno di quelli ai quali ho chiesto. Questo stilista dentro di me c’è stata per molto tempo, e se avessi potuto registrare le immagini dei mie sogni sarei diventata sicuramente famosa. Ricordavo i modelli solo per pochi secondi o qualche minuto dopo il risveglio , ma poi si dileguavano con mio grande rammarico. Un mistero per me , che non ho mai potuto capire.

Allora vado ai ricordi, ripasso le strade percorse e torno ancora nella casa col giardino e al lato est, l’ultimo dei quattro di cui non ho ancora parlato. Magari lì trovo qualche altra indicazione.
Questo lato dava sui tetti delle case dei vicini, più basse, quasi tutti un pò a spiovere, poco perché non nevica , e con le tegole segnate dal tempo e a volte da macchie verdi di muschi in inverno; anche nelle tegole vedevo vita come nelle pianterelle erbose dei vasi della nonna P e mi ci incantavo...
Questo lato della casa dava con finestre e le due porte agli estremi, per tutta la sua lunghezza in un balcone terrazzo, in parte infilato nella parte finale del tetto della casa vicina, in parte con ringhiera di ferro. Situazione di per se intrigante per me. La varietà di ogni cosa mi ispirava meglio per gli impianti di paradisi sempre nuovi. Non sto a descrivere tutte le capanne che vi istallai appendendo coperte e tovaglie nei fili della biancheria che erano anche alti sulla ringhiera. Comari e comarelle ci era naturale simulare scene di vita quotidiana, con i vari personaggi di adulti interpretati da noi sorelle nelle ore meravigliose nelle quali restavamo incustodite. Ormai lascio immaginare questo tenere indaffarata me e le altre.
Questo per tutti i tre anni che vi abitammo, sempre dai miei dodici ai quindici anni.
Ma ricordo non troppo dopo il nostro arrivo, i miei occhi andavano in un lucchetto che chiudeva una porticina in quel pezzo di terrazzo che si infilava dove anche il nostro tetto andava a scemare sul terrazzino, che mi faceva pensare a qualcosa da esplorare. Un giorno ebbi tempo per toglierlo il lucchetto, avrò staccato le viti, non so…ed entrammo, prima io e poi le più piccole. Era una vera e proprio soffitta, e di sicuro apparteneva alla questa casa che il giudice ci aveva affittato; non c’erano dubbi per via di quello che vi trovammo oltre ai tanti nidi di uccelli vecchi e meno vecchi e mobili lasciati là già mezzi distrutti. I miei occhi vennero colpiti dai fasci di carte dentro carpette di cartone nero coi legacci di cotone ingiallito, dalle molte scatole e scatoline che man mano che le aprivo regalavano la sorpresadi cose mai viste di presenza e che mi potevano servire tanto...Erano: penne a calamaio, anche nelle loro confezioni originale, forse mai usate, regali sicuramente, boccettine di inchiostro ancora intatto, intenso. Blocchi di carta, non ricordo i particolari, ma tanta carta di vari formati, anche molta carta pesante per avvolgere cose, quella giallo ocra scura ma che non so cosa ci potesse fare lì, solo mi ricordo che la usai subito per confezionare sigarette. Rullavo molto bene la carta vuota, la accendevamo e facevamo fumo tenendola sulle labbra. Che ne sapevo che poteva risultare anche tossica! Tutto fatto quando nessuno ci controllava. Ritornando a tutto il ben di Dio, la cosa più fantastica fu la visione dei timbri, autentici gioiellini fatti a mano, con i rulli di lettere che giravano. Ma se non ricordo male c’erano anche scatoline con le piccole lettere. Ma non solo uno di timbro, tanti , di diversa grandezza. Tutto nelle scatole, ben conservato. Posso dire che era un vero tesoro, ed io, e di conseguenza le mie sorelle, lo valutammo appieno, enormemente e altro “lavoro” fu assicurato fino a saziarcene e finchè durarono…non avevo così tanta cura nel conservare le cose.
Nascosi la scoperta per un po’, di sicuro a mia madre, posso immaginare ora cosa avrò immaginato allora, cioè le sue parole: “Disgraziata amara, butta tutto questo inchiostro, sporcherai il mondo!” Lei era apocalittica.
Di mio padre invece temevo il giudizio, in certe cose era severo, non erano cosa nostre mi poteva dire, mettile al suo posto, e questo non lo volevo certamente nemmeno. Credo che alla fine man mano li usciì alla luce, perché tanto tempo li usammo per giocarci nel tavolo della stanza da pranzo. In pratica fu il gioco alternativo quando quello movimentato di cortile, di teatro stancavano.
Misi su una segreteria, si scriveva e si timbrava. I timbri, ripeto, erano magici marchingegni, ma anche le penne che intingevamo con l’inchiostro, avevo visto un calamaio solo nel libro di lettura alle Elementari e lo avevo desiderato, queste penne erano meglio!
Rimproveri me ne sarò presa lo stesso, avevo l’abitudine di smontare all’ultimo momento utile. Da lì il passo fu breve alla stamperia. Passavamo pomeriggi interi sui fogli. Ci aggiunsi altri strumenti, i colori, i pastelli a cera, la cera pongo, ma anche le semplici penne.
Mi fermo, sono stata bene, non finì lì. Scriverò gli sviluppi e le novità che la stamperia portò.
Buona buona domenica

Ultima modifica di webetina : 29-01-2011 alle ore 16.04.24.
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