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Vecchio 01-02-2005, 02.09.09   #1
stellatea
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Data registrazione: 21-12-2004
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Una volta, una sola, dolce e amabile donna,
si posò il tuo braccio tornito
al mio (nel fondo oscuro della mia anima
quel ricordo non è impallidito);

era tardi; come una medaglia appena forgiata
la luna piena si stagliava,
e la solennità notturna, su Parigi addormentata,
come un fiume scivolava.

E lungo le case, sotto portoni non illuminati,
dei gatti passavano furtivamente,
con le orecchie tese, come fantasmi amati,
ci accompagnavano lentamente.

A un tratto, in quella libera intimità
dischiusa a una luce pallida,
da te, limpido strumento dalla ricca sonorità
che esprime solo gioia splendida,

da te, simile a una fanfara chiara e festosa
nel mattino scintillante,
una nota bizzarra, una nota lamentosa
sfuggì, tutta tremante

come una deforme, cupa, orribile, bambina
che la famiglia, segretamente,
tenesse rinchiusa da lungo tempo in una cantina
per vergogna della gente.

Povero angelo, cantava, quella nota stridula:
«Quaggiù nessuna cosa è sicura,
e, prima o poi, l’egoismo umano si rivela
benchè si trucchi con cura;

è un duro mestiere essere una donna avvenente,
è il lavoro banale
della ballerina che si strugge, folle e indifferente,
in un sorriso macchinale;

costruire sui cuori è un inutile travaglio;
tutto crolla, amore e bealtà,
fin quando non vengon raccolti dall’Oblio
per esser resi all’Eternità!»

Ho spesso rievocato quella luna incantata,
quel silenzio e quel languore,
e quella orribile confidenza sussurrata
al confessionale del cuore.

Charles Baudelaire
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