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Vecchio 09-07-2008, 22.54.27   #6
dafne
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Il discorso credo che sia complesso quanto lo è la natura umana ma in linea di massima credo che quello che ho pensato anni fà sia abbastanza ragionevole.
Io penso che ci siano persone che lavorano per vivere e persone che vivono per lavorare.
Il ragionamento parte a monte del discorso economico secondo me, anche se purtroppo spesso quest'ultimo è un fattore determinante.
La cosa mi era venuta osservando me e mia sorella, lei era ed è sempre in spinta per il suo lavoro, per migliorare, conquistare, progredire ecc ecc e io mi sono sempre sentita terribilmente in difetto perchè per me non è affatto così.
La realizzazione lavorativa non è affatto un punto essenziale nella mia scala personale.
Ci mettevo prima la famiglia.
Ci ho messo del tempo per capire, per dirmi, che così come non era affatto sbagliato scegliere di lavorare per vivere perchè l'interesse era diretto verso la costruzione di altro (allora famiglia appunto)altrettanto valeva per il processo opposto.
Non credo che perchè qualcuno decide di privilegiare la carriera a un'ipotetica famiglia sia per forza una persona arida e sterile e arrivista.
Purtroppo come molti altri clichè che avevo anche questo ci ha messo un pò a crollare.
Oggi che la famiglia ce l'ho, quasi per una forma di automatismo mi stavo lanciando nel "adesso è ora di fare qualcosa nel lavoro" complice la sorella che spingeva sotto ma è innegabile, a meno che io non trovi un lavoro che sia il mio interesse nella vita continuerò a far parte delle persone che lavorano per vivere.
Che non significa arrabattarsi per arrivare a sera in qualche modo attenzione, ma "accontentarsi" di un lavoro dignitoso purchè sufficiente a non dare malesseri fisici e vivere dignitosamente, lasciando libera più attenzione ed energia possibile per "altro".
Se anni fà era la famiglia ora sono io, e il mio desiderio di crescere (con tutte le implicazioni possibili)
Questi mesi di disoccupazione per me, lo ammetto, sono stati una manna, fermarmi, rilassarmi e iniziare a cercar di vedere dove voglio andare e cosa voglio fare non ha prezzo, neanche come dirigente quadro
Ma se restassi a casa credo che precipiterei nella pigrizia più assoluta..

Se non avessi un obbligo morale e fisico verso i miei figli probabilmente sceglierei una vita molto meno legata a ritmi lavorativi e di più ai miei personali.
Ma tant'è, le scelte che ho fatto allora sono sbocciate ora e con queste devo convivere,il più possibile con gioia e tranquillità.
Insomma, per sentirsi "realizzati", uomini o donne che si sia, credo che sia necessario almeno riuscire a capire quale sia tra la carriera e la vita "normale" ciò che maggiormente ci spinge ad essere migliori, a incontrare le sfide giuste ecc ecc
A me la competizione genera ansia e blocchi ad esempio, ora come ora "rendo" per me e per gli altri molto di più se non mi ci trovo in mezzo. Credo che per altri possa funzionare all'esatto opposto, senza escludere a priori però che ci siano a un certo punto inversioni di marcia e di necessità..
Boh, spero di non essermi attorcigliata troppo.

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