Discussione: Sofferenza
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Vecchio 05-02-2006, 19.01.24   #11
jezebelius
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Originalmente inviato da Kael
Visto che siamo in psicologia, potremo parlare della sofferenza come della risultanza di una non accettazione o sopportazione di determinati avvenimenti.
Così come da un fuoco che sopportiamo ci arriva calore e benessere, da un fuoco che non siamo in grado di sopportare (troppo forte per noi) ci arriva sofferenza e patimento.

Ma è davvero impossibile evitare la sofferenza? O magari come dice Uno, previa adeguato allenamento, potremmo farne a meno?

Beh, innanzitutto potremmo vedere come la stessa situazione produca effetti diversi in persone diverse, e già questo potrebbe suggerire che non è la situazione in sè a determinare sofferenza ma siamo noi a generarla. A Tizio esempio muore un genitore, e si dispera, mentre Caio accetta serenamente la cosa senza drammi. Quindi non è la perdita di un genitore la causa della sofferenza, ma semmai l'incapacità di Tizio di sopportarla.
Eppure è pazzesco che esistano persone che temono la morte... sarebbe come se esistessero dei pesci che temono l'acqua. L'acqua è l'universo in cui sono immersi i pesci, la morte è l'universo in cui è immerso attualmente l'uomo... Eppure egli la teme, teme la sua natura...

Che la vera causa della sofferenza quindi sia la mancanza di conoscenza di se stessi? Che l'uomo soffra e sia destinato a soffrire ancora per chissà quanto, solo perchè non è cosciente di quello che è, e di quello che potrebbe Essere?

Domande retoriche ovviamente.
Non vorrei generalizzare ma mi pare che un accenno lo si possa fare anche al " tipo " di società nel quale oggi viviamo.
Un accenno che vuole evidenziare la mancanza di " educazione " a situazioni che al contrario di come si pensa, fanno parte della vita; la morte ad esempio pur se in un certo senso è vista come interruzione è sicuramente da intendersi come evento inevitabile, per cui facente parte della vita stessa.
Da ciò seguirei Ray, nelle sue ultime domande, non prima di aver detto qualcosa in merito.
Spesso è vero ci identifichiamo come colui che è al centro di eventi negativi, quando ci troviamo in una situazione che è poco sopportabile.
La situazione che ci fa scatenare questo vittimismo ( che a diversi gradi colpisce chiunque ) è vista come un handicapp per la conduzione della normale vita che ci apprestiamo a continuare.
La reazione potrebbe seguire o una attività, sia mentale che fisica, che ci aiuta ad uscire dal limbo della sofferenza oppure, in casi contrari, ci inghiotte nella morsa dalla quale, e nella quale, più passa il tempo e più è difficile uscire col rischio successivo di " strutturare " il tutto ed avere poi difficcoltà per il futuro.
Una riflessione potrebbe forse aiutare.
Come UNO dice, se ci mettiamo in condizione di affrontare un evento particolare ( si faceva l'esempio della dieta ) allora potrebbe aversi qualche speranza affinchè questo non pregiudichi la nostra esistenza anche solo per attimo o quanto meno per un periodo lungo.
Il problema riguarda appunto la " programmazione " alla quale siamo inevitabilmente legati.
La mancata programmazione - " programmazione "intesa non come evento programmatico quanto come ri-configurazione - , fa si che quando il " fatto " capita, ci si trovi impreparati.
Quello che voglio dire è che nella maggior rilevanza dei casi, nessuno pensa alla " sofferenza " - di qualsiasi grado - che potrebbe ( potenzialemente ) affrontare; non lo si pone come parametro con cui fare i conti poichè - come dicevo sopra - non abbiamo quella forma mentis che ci aiuta a vedere nella totalità l'evento stesso, evento che viene definito negativo poichè porta una inversione nella normale direzione che si stava percorrendo.
L'uomo in quanto essere, sociale ed individuale, cerca sempre di scacciare tale modo di programmarsi una esistenza.
Se domani non riesco a fare ciò che oggi ho pensato per la mia carriera, questo genererà sofferenza in me, creando un conflitto ( lo so psicologia spicciola.....), se invece, al contrario, pur prefissandomi una meta, sarò entrato in quella condizione per cui " qualunque " cosa io faccia andrà bene lo stesso, poichè tutto va vissuto come " migliore " per me in quel momento....beh...credo che, quale causa innescante un atteggiamento sofferente, ci sia ben poco.
Tornando alla " dieta "....la preparazione......la disciplina alla quale ci si dovrebbe sottoporre non è un atteggiamento che si puo aspettare in quanto imposto da un comune sentire sociale.
E ' evidente che una presa di coscienza si deve muovere, accompagnado, chi ha intenzione di ri-uscire a capire allontandosi da quelle dinamiche strutturate sia dalla società e dalla vita in essa sia dalla relazione che ogni uomo dispone come risposta al gruppo sociale.
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Dr. Marc Haven
“Non deve essere l’alba di luce che deve iniziare ad avvisare la tua anima di tali doveri giornalieri e dell’ora in cui gli incensi devono bruciare sui fornelli; è la tua voce, solo lei che deve chiamare l’alba di luce e farla brillare sulla tua opera, alfine che tu possa dall’alto di questo Oriente, riversarla sulle nazioni addormentate nella loro inattività e sradicarle dalle tenebre in cui versano.”
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