Visualizza messaggio singolo
Vecchio 04-08-2009, 14.50.20   #8
Era
Cittadino/a Emerito/a
 
L'avatar di Era
 
Data registrazione: 29-05-2004
Messaggi: 2,671
Predefinito

Citazione:
Originalmente inviato da Uno Visualizza messaggio
Leggendo solo il titolo qualcuno penserà che un'ovvietà più banale non potevo scriverla.
Ma è tanto ovvia la cosa?
Razionalmente lo sappiamo tutti praticamente dai primi anni di vita, a tutti capita nei primi 10 anni di vita, in qualche modo, di vedere all'opera la grande mietitrice. Ma tra saperlo con la ragione e poi vivere con l'intima comprensione c'è una bella differenza.
Chi arriva per caso a prenderne piena coscienza cade in depressione, altri (una buona parte della massa) spesso prima di scendere fino in fondo nel baratro trovano un'ancora di salvezza in qualche teoria che rende tutti immortali senza coscienza.
In linea di massima, tranne poche eccezioni (statisticamente intendo) questi due sono gli opposti, con ovviamente molte sfumature in mezzo.

Poi ci sono le eccezioni statistiche, quelli che paragonerei all'alcolizzato che si è accorto di avere un problema e di aver iniziato a volerlo risolvere.
Quando si riesce a prendere piena coscienza che dovremmo morire, che non siamo eterni, ma il tutto senza cadere in depressione (a proposito tutte le depressioni derivano originariamente dall'arrivare a percepire la morte senza prenderne coscienza) iniziamo ad essere pronti per fare qualcosa.
La piena ed assoluta coscienza della morte è sancita dal raggiungimento della non paura verso di essa. Quando non avremo più paura della morte, pur essendone consapevoli (solo non pensarci non significa nulla), sapremo che c'è, che è inevitabile, naturale etc... allora potremmo iniziare a pensare ad altro, anche a se c'è un oltre.
Farlo prima è solo un modo per allontanare la morte, per non pensarci e così di fatto l'avviciniamo, sia non vivendo, che sopravvivendo a periodi depressivi di intensità variabile a seconda delle singole costituzioni. Anche il più, apparentemente, felice di questo mondo, se non ha preso piena coscienza della morte ne conserverà da qualche parte una paura e quindi avrà in se una depressione quanto meno embrionale. Depressione che all'occasione giusta potrà manifestarsi.
Ora sto razionalizzando il tutto per l'esposizione, ma se le parole sono un buon punto di partenza, la piena coscienza dell'incappucciata è affar intimo, interiore e diverso in base alle esperienze e alle costituzioni individuali anche se i passaggi principali, quelli sopra descritti, sono comuni a tutti.
Quest'ultima frase mi fa pensare ai popoli selvaggi che per altro lo erano molto meno di molti cittadini civili di oggi...voglio dire la consapevolezza degli indiani d' america...per esempio.. consapevoli che c'era un tempo per vivere e un tempo per morire..
Nel film "Piccolo grande uomo" il capo guardandosi intorno e "ascoltandosi" sentiva giungere la sua ora..diceva :"questo è un buon giorno per morire" e se ne andava sui monti cercava un buon posto..si sdraiava e aspettava...aspettava da solo...

Noi uomini civili e moderni non abbiamo la cultura della morte..di certo ne abbiamo un terrore folle..ma come dici tu..la esorciziamo non pensandoci nascondendola ai bambini come se fosse la più brutta delle cose...
Molto spesso sento dire che non si ha paura di morire..ma della sofferenza fisica...non so ma ho visto sofferenti gravissimi e di età avanzata aggrapparsi alla vita e alla speranza con le unghie..

Adesso leggo gli altri pareri
__________________
Dio mi conceda
la serenità di accettare
le cose che non posso cambiare
il coraggio di cambiare
quelle che posso cambiare
e la saggezza
di distinguere tra le une e le altre
Era non è connesso