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Vecchio 19-04-2007, 07.16.35   #1
Ray
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Predefinito La trasformazione della sofferenza

"Tutti soffrono, con o senza scuola. Noi stiamo cercando di usare la nostra sofferenza, piuttosto che di esserne usati."
(Robert Burton - allievo di G.I.Gurdjieff)

Questa idea, espressa qui secondo la terminologia del sistema Gurdjieffiano, è in realtà presente in tutte le tradizioni, spesso anche nelle loro parti essoteriche anche se magari espresse in termini più facilmente equivocabili. Senza dilungarci in esempi sono sicuro che qualcuno troverà facilmente citazioni e soprattutto fatti nella tradizione religiosa occidentale (Stella ) anche se spesso sono poco compresi.

Noi veniamo usati dalla sofferenza perchè ci identifichiamo con essa e/o con le sue cause apparenti. In realtà chiamiamo sofferenza l'attrito prodotto dalle emozioni negative, o dalle emozioni che la nostra personalità considera negative. Questa identificazione ci porta ad indulgere in atteggiamenti "negativi" che concorrono al cristallizzarsi delle emozioni in stati d'animo. L'esempio più frequente è il risentimento nei confronti del provare dette emozioni.
Altro atteggiamento che ci rende schiavi delle emozioni negative è la loro espressione, quasi a volersi vendicare della loro apparente origine, che sia qualcuno o la stessa realtà (ambiente in cui siamo inseriti).
Tutti gli atteggiamenti correlati sono a mio avviso inseribili in questi due, dalla eccessiva indulgenza nei confronti di se stessi all'autocommiserazione... tutte situazioni che ci permettono di indulgere in stati emotivi quali rabbia, paura, risentimento ecc.ecc.

La maggior parte di questa sofferenza è inutile. Se io provo rabbia e assumo un atteggiamento non patetico (da patire, subire) so innanzitutto che finirà e inoltre so che posso provare ad usarla. Invece se mi arrabbio per il fatto di provare rabbia (verso me stesso,la persona o la cosa che percepisco come origine) non farò altro che ridondarla, alimentandola indefinitamente.

L'identificazione con le emozioni negative nutre l'Imporatnza Personale. Essa ingigantisce a dismisura l'importanza sia dell'emozione che della sofferenza che dell'origine di essa (fatto accaduto o quel che è) andando quindi, grazie a ciò, ad alimentare se stessa e a stare sempre in primo piano. La trasformazione della sofferenza parte dall'ignorare l'IP.

L'identificazione con le emozioni negative ha come risultato l'allontanarci dal presente e quindi da noi stessi, a favore di ciò che non siamo, i meccanismi di reazione della nostra personalità. La trasformazione della sofferenza implica un cercare di restare nel presente, li dove siamo noi, anche se nel presente c'è sofferenza. Questo sposta il discorso sull'accettazione, termine spesso usato e, quasi altrettanto spesso, usato a sproposito. Accettare è smettere di desiderare che finisca. E' facilissimo raccontarsela sull'accettazione.

Di solito, invece di accettare e quindi iniziare a trasformare la sofferenza (che trasformandosi diventa altro e quindi non più sofferenza) opponiamo ad essa resistenza, con il risultato di aumentare l'attrito e quindi la sofferenza stessa. Così facendo ci procuriamo una quantità enorme di sofferenza inutile, sia in termini di intensità che soprattutto di durata. C'è gente che soffre anni o una vita intera per qualcosa che sarebbe finito in pochi giorni e gente che è capace di restare arrabbiata per giorni per qualcosa di futile che sarebbe durato pochi secondi, come l'apprendere di aver preso una multa. Il considerare importante una cosa futile è tipico dell'IP...

La trasformazione della sofferenza crea vita, perchè la sofferenza è energia...
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