Discussione: La Magia dei Nomi
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Vecchio 05-04-2006, 11.46.13   #1
Kael
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Predefinito La Magia dei Nomi

In tutto il mondo, da quando l'uomo ha elaborato un linguaggio, si è sempre pensato che esistesse un sottile legame fra il nome di un oggetto, e la "sostanza" che tale nome rappresentava.
Chiamare le cose per nome significava un po' possederle, e non a caso nell'antichità in molte popolazioni era usanza dare un nome segreto alle persone, che solo gli amici più intimi potevano sapere per evitare che fossero "esposti" al nemico.
Addirittura perfino le città stesse avevano un nome segreto per preservarle dall'attacco di altri popoli, e la storia ci tramanda che Flora era il nome arcano dell'antica Roma...

Da dove derivava questa "magia" dei nomi?

Si può ricollegarla forse al potere del Suono...
Gli orientali dicono che non si può gettare un sasso in uno stagno, senza provocare dei cerchi d'acqua... analogamente, non si può emettere un suono senza che questo "crei" delle onde sonore che si espandono influenzando l'ambiente circostante.
Il Suono è vibrazione, energia e materia al tempo stesso... e quando esso è "controllato", ossia parole o musica esprimibili in numeri, può produrre reazioni calcolate...

La Bibbia inizia con "in Principio era il Verbo"...

Qualunque cultura, tradizione o religione, ha sempre fatto uso di Canti Sacri... dai monasteri del Tibet agli accampamenti dei pellirosse, dalle foreste africane ai deserti dell'Australia.

In una delle vocalizzazioni che accompagnavano i Kanji del Kuji-Kiri giapponese (vedi Hasta Mudras) si pronunciava On bai shira man ta ya so wa ka, che può essere tradotto all'incirca con: "Non mi lascerò scappare l'occasione, pur fingendo ignoranza, di usare il Suono e la Lezione d'Armonia per liberarmi dai vincoli di questo mondo"

Il Suono è vibrazione... può uccidere, può mandare in frantumi un vetro con l'acuto di un cantante lirico... ma può essere usato anche a scopi curativi... esistono infatti alcune pratiche orientali che usano il suono per "ri-armonizzare" l'equilibrio interno del paziente, la cui malattia non ne è che uno degli effetti.
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