Discussione: Ricordarsi di sé
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Vecchio 15-04-2006, 19.54.00   #9
DanieleAsunis
Pensa di allungare la permanenza
 
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Giusto basandomi su quello che hai scritto jez mi viene da fare una riflessione sulla questione del 'ricordarsi di sè'.
Appare infatti un problema che forse non è risolvibile nemmeno con la pratica continua.
Innanzitutto + che un 'ricordarsi' c'è piuttosto uno spostamento dell'attenzione dagli oggetti esterni o interni che 'colorano' la mente, all'ente che li sta osservando.
Della serie, adesso sposto l'attenzione su di me per ricordarmi che esisto.
Ma se questo 'ricordarsi di sè' diventa un'esigenza, una pratica da coltivare, forse ciò accade a causa di un gap speriementale che la pratica stessa, per quanto assidua e continua nn può risolvere.
Per esempio, se io dimentico continuamente il mio nome, al punto da dover fare uno sforzo continuo per ricordarlo, significa che passo continuamente da uno stato (cognizione del proprio nome) ad un altro (dimenticanza) e poi di nuovo a quello precedente solo dietro sforzo deliberato.
Possiamo andare avanti così fino alla fine dei nostri giorni?
No! Dobbiamo trovare la chiave e terminare la partita.
E qual è la chiave?
Semplice, se io posso descrivere due stati differenti di coscienza, e posso riconoscere di trovarmi in uno o nell'altro stato, significa che ho cognizione di entrambi. Li vedo entrambi.
E allora la domanda è: chi è colui che ha la cognizione di questi due stati?
La risposta non può che farci scivolare nel nostro stato naturale, indivisibile e non soggetto a doveri di nessun tipo, nemmeno a quello di dover fare uno sforzo continuo per ricordarci 'che siamo'.
Gli stati sono molteplici, ma la coscienza è sempre una ed è indivisibile.
Per esempio, posso prendere la coscienza e dividerla in due, e subito dopo posso chiedermi: chi è cosciente di questo spacco?
Ecco la coscienza apparire di nuovo, assolutamente indivisa.
Quindi la mia conclusione è che noi siamo sempre noi, pura coscienza indivisa.
Perchè dovremmo fare lo sforzo di ricordarcelo?
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