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Vecchio 13-08-2007, 01.55.59   #11
jezebelius
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Originalmente inviato da Era Visualizza messaggio
Secondo me danno sensazioni simile...
ma sono 2 cose assolutamente diverse...
per come la vedo io s' intende...
ok ci proviamo a capirci qualcosa?
Riprendo questa discussione perchè mi pare che sia collegata con quanto voglio dire.
Sicuramente ho intenzione di ricollegarmi alla " sensibilità " ed alla " emotività", passando, anche per la razionalità!
Cercherò di essere sintetico.
In questo periodo, ultima questa sera, sono accusato di essere troppo calcolatore ( forse allora razionale ), poco sensibile ed ancora meno emotivo.
In una parola " distaccato " da ciò che mi accade intorno.
La sintesi della condizione si può evidenziare nel fatto che, nei giorni scorsi, un amico ha avuto un problema. Problema abbastanza serio ma, probabilmente, risolvibile alla spina dorsale per cui è stato operato.
Insomma prima di 2 settimane non si sa se riuscirà nuovamente a camminare come prima.
Cosa è accaduto per rendere evidente, a detta di altri, la mia mancanza?
Beh..non ho avuto alcuna " reazione " esteriore appena saputa la notizia.
Se da un lato, interno, mi dispiaceva ma l'unica cosa che potevo fare, oltre ad interessarmi delle condizioni dell'amico, era cercare di analizzare la situazione, dall'altro, quello esterno, dal mio viso non è uscito alcun accenno alla sofferenza o, addirittura, all'immedesimazione di me con quella condizione. Risultato? Beh...mi vengono mosse accuse di cui sopra.
Altra cosa che ho notato e forse riconducibile a questa è stato il mio atteggiameento ad un funerale( qualche tempo fa ) o per le morti in genere.
La cosa mi dispiaceva e quando accade mi dispiace ma non più di tanto nel senso mi pare cosi " naturale " che se all'inizio dispiace poi non posso rimanere "collegato " a quell'evento.
In questo, allora oggi, l'accusa di essere poco sensibile, poco emotivo e molto razionale quasi come terminator che deve raggiungere il suo scopo?
Quale è il mio scopo?
Cerco di mantere l'attenzione su ciò che faccio e sui comportamenti altrui. Osservo le mie reazioni( più o meno simili tra le persone anche in situazioni e circostanze differenti ) e quelle altrui e talvolta le osservo a tal punto che ...come dire....posso sembrare un robot.
Insomma mi si accusa, anche ed oltre a questo che ho detto, pure di " non essere me stesso".
Alla fine chi è il " me stesso " che dovrei essere?
Quello che piange e si dispera per la sorte dell'amico, scendendo a volte nel delirio e compenetrandosi nella situazione al punto di non essere di supporto ad alcunchè oppure, oltre che osservare la cosa con distacco ( lo ammetto ma questo è funzionale all'osservazione,nel senso non che non mi interessi anzi ma il disperarsi non significa interessamento mi pare ), cercare di avere una certa lucidità che in molti casi, soprattutto quando si parla di emotività, si perde?
Infine mi han fatto notare che il riflettere troppo su stessi ( e quindi cercare di conoscersi attraverso l'osservazione anche dei comportamenti ) rende sterili e fa perdere il " filo " col reale.
Per cui mi son beccato anche " sterile ", in mezzo a sto po di roba.
Insomma sintetizzando: Poco sensibile, poco emotivo, molto razionale, sterile.
Sarà che mi illudo di osservare ed alla fine son diventato, appunto, un robot oppure non è cosi?
Per dovere di cronaca: le accuse son state mosse dalla mia ragazza.
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Dr. Marc Haven
“Non deve essere l’alba di luce che deve iniziare ad avvisare la tua anima di tali doveri giornalieri e dell’ora in cui gli incensi devono bruciare sui fornelli; è la tua voce, solo lei che deve chiamare l’alba di luce e farla brillare sulla tua opera, alfine che tu possa dall’alto di questo Oriente, riversarla sulle nazioni addormentate nella loro inattività e sradicarle dalle tenebre in cui versano.”
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