Discussione: Ops, muoio
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Vecchio 02-02-2008, 20.15.38   #10
gylberte
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Questa sezione mi affascina particolarmente.....questa discussione poi mi ha colpito immediatamente.
Dafne io ho sempre pensato che l'unica cosa che ci salva da quella cosa terribile, inevitabile (...prima o poi) e misteriosissima che, bada bene, non è la morte in sè, ma l'idea della morte è.........un istintivo e salvifico "non pensarci", o pensarci il meno possibile, fuggire all'idea della morte è ciò che ci permette di attaccarci come si conviene, alla vita. Il non pensare alla morte, il voltare per quanto possibile le spalle al "baratro" incontrollabile ci permette di non impazzire, di vivere, di provare emozioni senza che il verbo 'finirà' le sopprima sul nascere.
La fede religiosa, qualunque essa sia, ci offre un'ancora di salvezza "alternativa" che ci permette di pensare alla morte come a qualcosa di meno inquietante e sconosciuto. Alcuni scelgono di aggrapparsi ad essa altri no..... altri come te non riescono a non pensarci. E non sanno come e dove aggrapparsi.
Non sono in grado di dare consigli, (su quest'argomento poi!) ma sono certa che la vita vista nell'istante della morte appaia come una morbida e tenera 'ovatta' in cui tutto è confuso e tutto ci ispira dolcezza e sereno distacco... Tutti i sentimenti, odio, amore, rancore, gelosia assumeranno un'unica, serena sfumatura..... Non so cosa ci sia dopo ma sono certa che che quello che più ci preoccupa, ovvero l'istante della morte, sia una rivelazione, un vedere tutto da un nuovo punto di vista, inaspettato e, paradossalmente, più vero. A tal proposito ti lascio con un passo, un po ' triste (ahi!) ma significativo, tratto da un racconto di Pirandello:

(...) Lui, quello! Uno che non è piú. Uno a cui quel corpo pesava già tanto. E che fatica anche il respiro! Tutta la vita, ristretta in questa camera; e sentirsi a mano a mano mancar tutto, e tenersi in vita fissando un oggetto, questo o quello, con la paura d'addormentarsi. Difatti poi, nel sonno...
(...)La lampada rosea, sospesa in mezzo alla camera, è rimasta accesa invano.
Ma dopo tutto, ora s'è liberato, e prova per quel suo corpo là, piú che antipatia, rancore. Veramente non vide mai la ragione che gli altri dovessero riconoscere quell'immagine come la cosa piú sua.
Non era vero. Non è vero.
Lui non era quel suo corpo; c'era anzi così poco; era nella vita lui, nelle cose che pensava, che gli s'agitavano dentro, in tutto ciò che vedeva fuori senza piú vedere se stesso. Case strade cielo. Tutto il mondo.
Già, ma ora, senza piú il corpo, è questa pena ora, è questo sgomento del suo disgregarsi e diffondersi in ogni cosa, a cui, per tenersi, torna a aderire ma, aderendovi, la paura di nuovo, non d'addormentarsi, ma del suo svanire nella cosa che resta là per sé, senza piú lui: oggetto: orologio sul comodino, quadretto alla parete, lampada rosea sospesa in mezzo alla camera.
Lui è ora quelle cose; non piú com'erano, quando avevano ancora un senso per lui; quelle cose che per se stesse non hanno alcun senso e che ora dunque non sono piú niente per lui.
E questo è morire.(...)
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