Discussione: Il paradiso perduto
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Vecchio 12-02-2011, 14.00.20   #51
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Predefinito "Quattro"

Non so se ci ritornerò sul "prof" del liceo, perchè a dire il vero non riesco ad associare la parola paradiso alla parola scuola.

A parte gli anni delle Elementare che videro me stessa sempre all'opera, ora attenta alla maestra, poi a saltare sui banchi non appena ci lasciava sole, oppure concentrata a fare i compiti per l'indomani nei momenti vuoti se non ero in disputa con l'altra brava della classe, e mi sentivo pienamente viva fino alla quinta, a parte questi meravigliosi anni dicevo, non posso dire troppo bene della scuola.
Quando finii gli studi ricordo bene di avere pensato che ero felice, che mai più avrei aperto un libro allo scopo di essere esaminata. Un trauma il confronto, nel quale l'altro non capisce mai chi sei veramente. Non ho mai amato rendere conto ad altri di me stessa con obbligo, mai.
Quando la mia mente era al servizio di ciò che volevo realizzare, e il "realizzato" a sua volta serviva la mia mente per renderla libera verso altre cose ancora, posso dire che facevo le cose per me stessa, anzi le proteggevo dal giudizio degli altri. Era una purezza bellissima. Io stavo bene, così mi ricordo, anche se zampatine dagli inferi arrivavano di tanto in tanto. Il mio corpo di persona immatura in crescita aveva a disposizione tutta l'energia che gli serviva, e me ne serviva tanta. Certi adulti, ma non solo i genitori, lasciano in pace i figli finchè sono piccoli, poi improvvisamente decidono che questi sono grandi, e via...
"Basta quello, basta questo, devi quà, devi là. Non devi, non puoi, non è conveniente; solo fin quà, non oltre l'ora, tu non decidi, tu non sei abastanza grande, oppure: dovresti vergognarti sei grande, fai la grande!".
Che noia gli adulti paurosi, repressi, ignoranti, poveri di spirito, non innamorati, poco sensibili, bigotti, ansiosi, prepotenti, isterici, immaturi, ambiziosi o frustrati. Che brutta bestia l'adulto che non è pure saggio...
La scuola ti mette a contatto con gli altri, ti permette il confronto con la persona che insegna e ti fa crescere, due cose bellissime non lo nego. Non so da dove nacque la paura dell'esame.
Ora giacchè sono andata un attimo alla seconda elementare, riprendo un ricordo-zampata in quella oasi felice proprio dei primi anni di scuola.
In apparenza ero una bambina modello, perchè non facevo disperare la maestra, anzi le davo soddisfazione, salutavo cortesemente come la nonna ci aveva insegnato, non interrompevo gli adulti (così come mamy ci aveva impresso a bruciapelo senza troppi preamboli), ma di nascosto erano monellerie, audacia, nel senso che all'asilo avevo picchiato anche i maschietti, e dentro di me era movimento, sempre.

Un giorno la maestra della sorella poco più piccola di me, che era laureata in lettere, tremenda, molto temuta dagli allievi e rispettata dalle colleghe, venne a trovarci in classe, parlava con la maestra ed io mi trovavo al primo banco dove di solito ero abbastanza protagonista.
Buonissimi in presenza della ospite, avevamo appena copiato in bella il dettato. Il discorso tra le due si faceva lungo, mi annoiavo, e non sapendo che fare mi misi a rifinire le lettere iniziali delle parole, poi le vocali che le chiudevano. Man mano allungando le asticine, che poi sempre di più divennero ghirigori come gli avvitamenti simili ai teneri tralci di vite. In pratica una pagina di scrittura perfettamente ricamata. Poi a un tratto la mia adorata insegnante disse indicandomi e vantandomi, giusto perchè ero davanti a lei, di porgerle il quaderno. Certo non me l'aspettavo, evidentemente sospettavo che potesse essere dubbioso il gradimento di quelle elaborazioni barocche della mia scrittura, ciò nondimeno fiduciosa porsi il quaderno. La maestra andò su tutte le furie, la sua delusione mista a forte contrarietà per l'occasione che la portava a confrontarsi con l'altra fu forte. " Che hai combinato mi urlò, cos'è questo pasticcio?" , dimenticandosi di rispettare la mia piccola persona che di sicuro non aveva agito per farla sfigurare.
Che dolore, che vergogna provai, come mi ero potuto venire in mente una stupidata simile, come se il diavolo di fosse messo in mezzo sorridendomi! Ero in seconda o in terza non ricordo, ma certamente fu la prima macchia tra me e lei, quasi l'unica.
L'altra, penso fu in seconda , prima o dopo, non mi ricordo, davanti ad una divisione: sedici diviso quattro. Una delle compagne, all'impiedi davanti alla lavagna, fissa con lo sguardo e il cervello chiuso verso l'operazione aritmetica era da un pò che ci faceva aspettare. Al primo banco io fremevo per dire la mia. Alzavo la mano per dare il risultato, che a un certo punto non potei trattenere, ma non ero l'unica , anche molte altre si agitavano per dirlo, eravamo in preda ad una smania collettiva, non ne potevamo più. "Quattro, quattro, quattro signora maestra !!" Ormai anche alzate dalla sedia, come nello stadio...Lei scelse di venire contro di me che ero la più vicina e mi schiaffeggiò in una guancia e nell'altra urlando anche lei ad ogni colpo "quattro" come a fissare una punzione per ogni volta che lo avevo ripetuto, ripetutamente. Io per tutte le altre.
Questa volta... lei, come aveva potuto! A me che la amavo e per la quale credevo di essere speciale. Se esistesse una parola più grave di vergogna la userei. Fu molto di più, sprofondai nella sedia, con la faccia nascosta tra le braccia sul banco. Non la rialzai più fino alla campana e non volli tornare a scuola per giorni.
Mia madre si comportò bene, aveva anche lei barlumi di comprensione anche se giovane e ignorante. Mi fece dire cosa avessi in effetti che non mi faceva passare il finto mal di pancia. Lo raccontai piangendo, dissi che non avrei mai più voluto vedere la maestra, nemmeno se venivo mandata a forza, che ormai la odiavo, e non volevo più vedere le mie compagne. Non so se conoscevo la parola umiliazione allora, ma il sentimento che esprime di sicuro, si, lo provai esageratamente. Lei mi trascinò a scuola, mi promise che era per dire alla maestra che me ne andavo da lì per sempre.
Non so di cosa parlarono, la maestra mi convinse, e magari nel tempo divenne più sottile la barriera tra me e la isterica ensegnante. Ormai la avevo visto nell 'altra sua faccia, era come tutti gli adulti.
la prima volta che raccontai la cosa ero già grande e vaccinata e fu davanti alle mie sorelle. Ne ridemmo molto, ma ancora giuro che mi brucia.

Buona domenica, è stato bello condividere.

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