Discussione: Bisogno di Aiuto
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Vecchio 11-08-2005, 14.08.02   #20
Ray
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Provo a rispondere alla domanda di Uno, anche se ho il lieve sospetto che essa sorga più dall'intenzione di stimolare riflessioni e contributi che da un reale dubbio personale.
La domanda verteva sulle motivazioni che rendono difficile a chi "sta male" il chiedere aiuto ed accettarlo una volta chiesto o proposto; motivazioni che poi sono le stesse che spingono colui che già è in terapia a manifestare quelle "resistenze" tanto care agli psicoanalisti.
Innanzitutto andrebbe fatta chiarezza, per quanto è possibile, sui termini: quello che viene comunemente inteso con "stare male" è unicamente la manifestazione, esteriore o interiore, del reale problema; cioè quello che viene chiamato "sintomo". Intendo che il sintomo, lungi dal coincidere con lo "stare male" è invece il frutto della reazione al problema che l'individuo è stato in grado di mettere in atto. Esso è sempre frutto di meccanismi di difesa inconsci che tendono a proteggere dal problema che, come vedremo, si consustanzia sempre in un conflitto o serie di conflitti. Quindi il sintomo è prodotto dalla "parte sana" dell'individuo e infatti, la psicologia tende, o dovrebbe tendere, a non abbatterlo a differenza della psichiatria (medicina allopatica) che invece lo combatte e tutto riduce ad esso, manifestando così la più completa confusione sul funzionamento della psiche che vorrebbe "curare".
Detto questo si può capire come il sintomo (o i sintomi), una volta manifestatosi, permetta all'individuo di prendere coscienza di un qualche conflitto interiore non risolto.
Provo un esempio: mia madre, a cui voglio molto bene, fin dall'infanzia ha proiettato su di me un'enorme serie di aspettative su come io dovrei essere, implicitamente comunicandomi che io "andavo bene" ed ero degno del suo affetto unicamente alla condizione di soddisfare le sue aspettative, a costo di non curarmi delle mie. Questo meccanismo, da me vissuto nella sfera emotivo-sentimentale ha prodotto e nutrito un conflitto piuttosto profondo tra il desiderio di farla felice (sentimento verso di lei) e quello di "seguire la mia strada" (sentimento verso di me) e siccome, fino ad una certa età, l'interiorizzazione della figura materna interagisce con l'identità, questo conflitto mi mina alle fondamenta. Risultato: mi sento completamente inadeguato a vivere, ad avere rapporti sociali, affettivi ed a diventare autonomo psichicamente. Questo stato di cose si manifesta ogni qual volta devo affrontare situazioni che richiedono implicitamente una scelta tra me e mia madre. Avrò ansia da situazioni, angoscia esistenziale, qualche fobia, probabili attacchi di panico.
I sintomi mi spingeranno a rendermi conto che qualcosa non va e ad agire di conseguenza.
Tuttavia agire di conseguenza, che può prevedere anche il chiedere aiuto se non altro per divenire coscienti del conflitto che mi lacera, implica che, prima o poi, io debba operare una scelta di cambiamento la quale, giocoforza, mi porterà a rinunciare a quei "benefici" che traggo dal mantenimento dello status quo, tipo non dovere mai mettermi in discussione, non dovere affrontare situazioni difficili, rinunciare all'accudimento materno e così via. In una parola "crescere".
C'è un altro fatto di notevole importanza: tra questi "benefici", che vengono definiti "ripagamenti nevrotici" ve n'è uno comune a tutte le situazioni sia sane che insane ed è quello della paura dell'ignoto che necessariamente si affronta ogni qual volta si va incontro ad un cambiamento. Necessariamente esso implica l'assunzione di responsabilità delle proprie scelte, ad un livello sempre più elevato. Esiste una forza in noi che si oppone.
Questa forza, semplificando il discorso ai limiti dell'accettabile, possiamo chiamarla ego. L'egoismo, l'orgoglio e via dicendo sono sue manifestazioni. Ogni scelta di crescita è una mossa contro l'ego e a favore dell'Io.
Non si pensi che con questo discorso si voglia giudicare alcuno, anzi l'opposto. Mira, speriamo, ad una maggiore comprensione. Chi "sta male" non è consapevole dei meccanismi descritti. Infatti la parte iniziale di una terapia dovrebbe portare nel conscio proprio essi in modo da permettere a colui che desidera "stare bene" di conoscere il suo "nemico".
Mi rendo conto che questa spiegazione genererà più domande ed obiezioni di quanto forse chiarisce. Attendo e mi impegno a tentare di dipanare i successivi dubbi.
Un'ultima parola a proposito del mio virgolettare. Il concetto di "stare male" e conseguente "stare bene" andrebbe rivisto decisamente proprio a partire dal verbo "stare" e comunque staccandolo il più possibile dalle concezioni dell'attuale medicina che tendono a deresponsabilizzare l'individuo fino ai massimi livelli omologando alla quantità ciò che è passibile di considerazioni unicamente qualitative.
Ray non è connesso