Discussione: Sofferenza e futuro
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Vecchio 23-06-2011, 13.32.15   #3
luke
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Originalmente inviato da Uno Visualizza messaggio
Ho sentito un aforisma che attribuivano a Kierkegaard (io non ne sono sicuro, ma probabilmente non mi è mai capitato sotto mano) che più o meno diceva così:
"La più grande sofferenza è ricordare il futuro che non si avrà."

A prima vista può sembrare esagerato dire "la più grande" ma è praticamente impossibile trovare una sofferenza che non origini da questa.

Ci fa soffrire tutto quello che è diverso da uno stato di non sofferenza simile a ciò che abbiamo già provato. Potremmo anche accedere a stati ancor migliori, ma finchè non li assaggiamo non ci causa sofferenza non poterli avere... quindi niente ricordo.....

È un grande tema, che ne dite?
Allora il tema è intrigante e da sviscerare bene.

Da un lato è vero che se ad un certo grando "gioia" ofelicità no ci siamo arrivati, non dovrebbe farci star male il non poterli avere, tipo se io la vita da miliardario non l'ho fatta mai, posso aspirarci ma non averla vissuta non mi dovrebbe provocare sofferenza.
VIceversa se l'avessi vissuta ed il futuro non me la ripresentasse più (almeno ipoteticamente, ragionevolmente, perchè poi non si può mai sapere con certezza) allora la sofferenza dovrebbe essere più viva e concreta, c'è una frase nella Divina Commedia che dice "Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria".

C'è anche da considerare però, che aver vissuto ad uncerto "livello", dovrebbe comunque placare la sofferenza, non si può avere tutto dalla vita, se uno dei momenti gioiosi li ha vissuti appieno, poi può anche accontentarsi se il futuro non li ripresentasse più, se ne dovrebbe fare una ragione.
Naturalmente bisogna vedere che significa viverli appieno, spesso la gioia è troppo superficiale, ci sono troppe illusioni e troppe cose dentro di noi da sistemare, non lascia traccia e quindi il nonpoter viverli più ci lascia l'amaro in bocca.
Se lavorando dentro di noi, si riesce ad fare un minimo di pulizia vera , a scendere all'essenziale sul serio e quindi un eventuale "picco" di felicità piena lo si raggiunge, poi ,almeno adesso la vedo così, può anche bastare, anche se il resto della vita fosse solo una discesa inarrestabile da quel picco ormai alle spalle, però se l'ho vissuto, me lo sono goduto, non so se si potrebbe parlare ancora d vera sofferenza o almeno secondo me la sofferenza più viva e rappresentata dal "picco "non raggiunto e/ non assaporato appieno, al massimo delle nostre possibilità, piuttosto che dal non riraggiungerlo più.

POi , ripeto, sono discorsi ipotetici che faccio, è ovvio che se mi dessero come alternativa poter rivivere begli stati d'animo identici a quelli già vissuti e dall'altra parte solo stati peggiori sceglierei i primi, ma non avendo sicurezza davanti in tal senso, per adesso sono i picchi che non ho vissuto che mi tormentano di più, non eventuali "valli" anche se profonde.
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