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Vecchio 03-09-2007, 19.21.21   #6
griselda
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E’ possibile che quando non piace soffrire si tende a rimuovere il problema, a scappare dal motivo di tale sofferenza? Che poi a ben guardare poi si soffre di nuovo a causa della fuga perché il problema si ripresenta e la vita diventa un’eterna fuga. Uno che scappa e il problema che lo rincorre. Si scansa la sofferenza ma si vive nella paura. La paura di soffrire e allora non si fanno scelte, non si affrontano problemi, e non si cresce.
A questo punto non piace neppure la sofferenza degli altri e la si rifugge come qualcosa che scotta e da allontanare sempre di più.
Allora essa ci perseguita come a dirci wee ci sono anche io sono qui, vuoi crescere? Si? Allora affrontami. Studiami guardami ascoltami toccami sii tutt’uno con me e ti svelerò i mie segreti.
Ecco che si diventa apatici pigri sonnolenti.
E la sofferenza smette di essere aria e diventa materia per mostrarsi con maggiore forza e ci si ammala. In questo caso le si deve per forza dare ascolto. Ma per il fatto di volerla di nuovo sfuggire con cure di ogni tipo, eliminarla al più presto ecco che si ripresenta sotto varie forme anche nel materiale.
Inoltre la paura di soffrire può portare a controllare tutto ciò che ci circonda tentando ancora di tenerla lontana. Quindi si diventa sospettosi. E’ questo secondo me che procura “il piacere della sofferenza” quando per non soffrire si vive male anzi non si vive proprio, si vive tutto il tempo sul chi vive e quando arriva la vera sofferenza non si hanno neppure più le forze per affrontarla. Non riuscire a godere l’attimo per paura che in quell’attimo ci sfugga il controllo e la sofferenza ci assalga di sorpresa alle spalle.
Quindi secondo me il fascino sta nel cercare di scansarla entrando in una spirale senza fine.
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