Discussione: Il paradiso perduto
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Vecchio 29-12-2010, 15.26.18   #1
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Predefinito Il paradiso perduto

Lo avevo scritto per me, come un guardare dentro ad una telecamera puntata nel tempo, poi ho scelto di condividere perchè come mi ha scritto Grey c'è un interesse a che gli altri mi conoscano, ammetto che è vero e lo pubblico quì. Lo dedico a chi ha pazienza e tolleranza innanzitutto con se stesso.




La insostenibile sovrapposizione di interessi dentro di me, tra ciò che desidero e ciò che devo, potrei pensare abbia origine nel modo in cui ho giocato da piccola e nella adolescenza, in tempi in cui Mamy non si occupava di noi ma lo facevano le nonne; con una stavo di sera, con l’altra, in famiglia, di giorno. Avevo molto tempo, cortili e strade libere erano a disposizione, e i bimbi non mancavano, soprattutto le mie due sorelle, e anche un fratello più grande e spericolato che allevava di nascosto animali non proprio domestici come topi, lucertole, vermi. La nonna di casa mi lasciava fare, impiantavo con ogni mezzo ogni tipo di situazione: sartorie, teatri, botteghe, capanne, piscine, laboratori con la creta del vicino vetraio, festival di canzoni con premiazioni e un oggetto per microfono. C’era il turno delle culle per neobambole , ma potevo riuscire a farci stare anche un gattino, se c’era. I miei ruoli preferiti erano la mamma, la comare, la moglie abbandonata, Biancaneve, la ballerina, la fata, la principessa, l’insegnante, il dottore. Gli altri o le altre, specialmente le due più piccole, rivestivano ruoli minori, di figli, di operai, di sudditi, di principesse se ero la regina, di dame quando mi andava di fare la principessa; in palcoscenico però eravamo alla pari, tutte vestite come a ognuno faceva stare meglio io le sistemassi. Le calze fine della mamma fungevano da trecce, le sue camicie del corredo erano ottimi abiti da scena, poi giù tutto nelle cassepanche alla rinfusa. Non lasciavo nulla di inutilizzato se era colorato e incustodito. Spaziavo con la fantasia che rigorosamente traducevo in messa in opera. La nonna mi era alleata, mi procurava di tutto, non vi erano mai commenti negativi, ed era la migliore delle spettatrici. Il difficile era mettere a posto tutto ciò che mettevo in giro, solo a volte sentivo mia madre urlare contro di me, ma niente mi scoraggiava.
Le mie sorelle erano obbligate a giocare, per modo di dire, ero semplicemente convincente; grande passione la mia, senza limiti, ne di spazio ne di tempo, ma potevo giocare anche in un metro quadrato, trovavo Il modo anche solo con le parole o con gesti delle mani. Un imprinting forte che è poi diventato strumento di lavoro ma senza volere anche causa di disagio da adulta, soprattutto perché la spinta creativa e il movimento incessanti, che erano in me, persero spazio a mano a mano limitati dal poco tempo a disposizione che veniva sottratto anche dai doveri appiccicatimi all’età di dodici anni quando la mamma andò a lavorare in un’altra città e la nonna decise che io ero grande e poteva istruirmi. Mia madre tornò, ma un altro taglio drastico del tempo da dedicare alla mia passione preferita, il gioco, fu nel passaggio a casa nuova, senza più la nonna, senza guida, con incombenze ancora più grandi, in periferia da soli con mamy e papy… Volevo intitolare “dal paradiso all’inferno” , ma forse un sentimento poetico è pur vivo ancora in me.

Segue...

Ultima modifica di webetina : 29-12-2010 alle ore 15.52.34.
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