Discussione: Il paradiso perduto
Visualizza messaggio singolo
Vecchio 04-01-2011, 02.38.56   #5
webetina
Partecipa agli eventi
 
Data registrazione: 18-07-2009
Messaggi: 1,452
Predefinito

Dedicato alla nonna P, per tanti anni dal mio cuore dimenticata.

I confini del mio paradiso erano assai vasti, vi erano anche le zone d’ombra però. Ero nata in casa dell’altra nonna, madre di mia madre, che chiamerò nonna P, era vedova fin da ragazza e mi aveva voluto tenere con lei visto che si abitava nella stessa corte di case. Poi ci trasferimmo, di soli cento metri, potevo stare in una casa, o nell’altra con le mie sorelle. La musica era un’altra, anche altre compagne, case disabitate da vivere furtivamente, altre capanne, altri giochi. C’erano dei piccoli doveri però: lucidare le posate in rame, togliere la polvere ai mobili, e imparare a ricamare; cose che facevano molta ombra! La nonna lo faceva per mestiere il ricamo. A me costruiva i telai da mettere su due sedie, manco dovessi fare un lenzuolo…era per imparare. Il primo giorno ero entusiasta, poi man mano lo stare ferma e china con una manina sotto e una sopra che infilava l’ago sopra la tela per venire tirato giù dall’altra mano, cominciava ad annoiarmi, così scappavo fuori a chiamare gioco. Lei borbottava, dovevo farlo, ero piccola, sua madre aveva fatto lo stesso con lei.
Non potevo chiudere la porta se andavo in bagno, niente latte, ne i suoi derivati, le faceva disgusto sentirne l’odore. Si mangiava cose con troppo gusto o punitive, la pastina, il the, e alle undici la sera, alle tre il pomeriggio. La cioccolata solo fondente. A scuola andavo col vestito rigido e i pantaloni sotto, e per completare l’opera , i capelli sempre a maschietto perché crescessero forti. Sacrificio inutile ovviamente, mai avuto una capigliatura da vichinga. Mortificava molto la mia femminilità, ero la prima della classe, ma invidiavo le compagne con le gonnelline e le trecce, mi rifacevo poi con le calze della mamma in testa a mò di capelli lunghi.
Nelle due case vivevo due vite parallele, una coi doveri, il controllo non comprensibile e il cibo non adatto, l’altra con l’indugiare a oltranza nel divertimento, nel gioco a sazietà, nell’abbondanza e col cibo civettuolo allora nuovo. La nonna P mi amava anche, ero la sua preferita, quando la sera mi veniva a prendere se ero stata con le mia sorelle, non resistevo al richiamo del suo desiderarmi con lei. Ma ricordo che spesso mi riempivo il mento fin sotto il collo di herpes, il mio cuore voleva dire di si alla nonna sola, ma una parte di me desiderava stare in compagnia delle due più piccole. La sera si guardava la tv, lei lavorava e malgrado fosse avara, ma lo era anche con se stessa, l’aveva potuta comprare quando nessuno ancora poteva. La sera si riunivano da noi quando c’era il film, il lunedì e il martedì. Erano film d’amore con Cary Grant, Audrey Hepburn, Gregory Peck, Liz Taylor ect…Ero molto piccola, non erano proprio adatte a me quelle storie, mi turbavano, anche la tensione tra i presenti poi… per non parlare dei film sulla guerra, molto sentiti, era finita solo venti anni prima. Quei contenuti non mi lasciavano serena, ci pensavo sempre quando ero sola, di sera, prima di dormire.
Sia le situazioni sentimentali che le scene aberranti di morti e feriti di sicuro accelerarono in me potentemente una eccessiva sensibilità, erano stimoli troppo forti da elaborare. Gli adulti erano inconsapevoli… Forse ero già alle elementari, comunque l’altra nonna, nonna A, di contro mi comprò presto il primo libro di favole, e poi altri e altri ancora, fino ai romanzi da grandicella, la lettura fu la mia fonte ispiratrice non poco in quegli anni, e mescolavo il tutto. Ma credo che le favole siano state un rifugio ancora piu pericoloso, fuggivo da un mondo che avevo intravisto fosse anche brutale, e rifiutavo il mondo degli adulti. Troppo pesanti le loro manifestazioni emotive, certi gusti.
Quando la nonna P morì avevo venti anni, trovai i frutti del suo lavoro in buoni fruttiferi alla posta intestati a noi due, molto svalutati peccato, ma li utilizzai bene. Era la mia seconda madre, la seguii molto nella sua brutta malattia, lasciai gli studi e dopo li ripresi, lei mi amò molto sempre, come meglio sapeva, lavorando sempre, con parole sempre dolci per me, era semplice, qualcuno direbbe ignorante, ingenua, ma non ho raccontato cosa di lei mi affascinava, come mi faceva sentire il suo amore esclusivo, non con regali e giocattoli, ma a modo suo voleva darmi una educazione al lavoro, alla precisione. Mi manifestava il suo affetto baciandomi sempre, e il mio nome era sostituito dai vezzeggiativi, si confidava quando pioveva ed io restavo pomeriggi interi seduta vicino al suo ricamo , lavorava e mi raccontava della sua vita, degli odori della campagna che adorava perché a dorava il suo papà. La mamma che non la fece mai giocare. Quante volte mi raccontò che aveva quattro anni, e doveva andare a ricamo dalla “mastra” ogni mattina; un giorno giocava con una bimba con delle pietruzze colorate, ma la madre la fece smettere e le disse che era ora di andare, le diede la merenda, doveva rientrare a ora di pranzo. Lei aveva così tanta rabbia e delusione, che si mise dietro la casa, si sedette su un gradino e aspettò tutto il tempo li da sola senza far nulla.
L’unica bambola che ebbe da bambina le arrivò dall’America , in porcellana, le affiorava il ricordo di come per la gioia incontenibile la prese per i piedi e la sbattè contro un balcone di ferro fino farla in mille pezzi, e non ci pensò più. Mi prendevano i suoi racconti di vita vissuta fin nei minimi particolari, e man mano che crescevo vi aggiungeva quelli inediti che io ormai potevo ascoltare. Non l’ho mai sognata nonna P fino a poco più di un mese fà, mano con mano passeggiavamo dentro l'acqua, spero non senta che le abbia fatto un torto se ho detto certe cose, potrà perdonarmi di sicuro, le ho fatto da amorevole mamma, dimenticandomi di me, fino alla morte quando è stato il momento.

....

Ultima modifica di webetina : 04-01-2011 alle ore 03.38.06.
webetina non è connesso