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Vecchio 24-01-2008, 16.18.50   #1
dafne
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Predefinito il manuale delle risposte?

Uffa come sono stanca, triste, arrabbiata. E allo stesso tempo c'è una parte di me sollevata perchè i bambini sono tornati a scuola, un'altra parte che è felice perchè c'è una bellissima giornata di sole e un'altra preoccupata perchè non ho ancora finito un lavoro che devo fare per domani.
Un vagone di domande su quello che leggo, un vagone di domande per quello che vivo. Risposte pronte e preconfezionate che non mi danno più alcuna soddisfazione nè sicurezza.
Quando qualche giorno fà una persona che conosco mi ha detto "sono frammentato" ho compreso cosa intendeva ma non ho potuto fare a meno di chiedermi quanto fosse consapevolezza e crescita e quanto una scusa. Un pò come dire "ormai sono così cosa farci?". Mi sono chiesta quanto di quello che io chiamo coerenza è coerenza per davvero e quanto è cristallizzazione.
Mi chiedo qual'è il confine tra l'essere centrati in se stessi e l'essere egoisti.
E poi il mio spettro preferito, il demone che mi punge e scappa senza farsi vedere, il tormento continuo in cui mi metto, si, MI METTO, continuando a far entrare nel mio cuore persona che prima o poi si chiudono nel silenzio. Ah che palle , dirà qualcuno, ancora lì sei Daf? Si, ancora lì, evidentemente non riesco a vedere a intendere il problema. Posso raccontarvi il fatto, io non ci riesco a venirne fuori da sola, ci ho provato davvero, forse non abbastanza ma ecco, sono qui a rosolare a fuoco lento, anche se non mi identifico con questo dolore come prima ma qualcosa ancora c'è. Una persona a cui voglio molto bene da 4 giorni non mi parla, non mi risponde, solo perchè le ho fatto notare che non è sempre sincera come si definisce. Visto che tra l'altro le sue bugie coinvolgono anche a me. Ora, a un'amica ho scritto che negare una risposta, relegare nel silenzio una persona è come toglierle l'identità, la dignità. E mi è capitato di pensare "come se la propria dignità dipendesse dagli altri" Mi parlo e mi contraddico da sola Ora, per quanto possa farmi male ammetterlo, quest'amico è uno str.. perchè in ogni caso lui sà molto bene come quest'atto di silenzio forzato mi faccia soffrire, quindi è un'azione fatta con intenzione e questo fà molto a botte con il suo dire che mi vuole bene. Io da parte mia mi chiedo quanto mi dia fastidio il suo silenzio e quanto il fatto che io abbia ciccato così clamorosamente il mio giudizio su di lui (è un amico) .
E non posso fare a meno di rifarmi di nuovo la solita eterna domanda, ma è solo un bisogno, una necessità un'abitudine voler comunicare, voler avere delle risposte a delle domande, bisogno da estirpare o al di là del bisogno c'è anche una cosa chiamata educazione.
E la domanda appena dopo. Ma perchè continuare a chiedere se è giusta una cosa che è inequivocabilmente fortemente radicata in me? E cioè che chiunque ha diritto per il semplice motivo di esistere di avere attenzione e rispetto, poi se non ho tempo o mi stai sui c... non ti rispondo ma prima te lo dico. Io funziono così. E lo faccio e l'ho fatto davvero. Ma non ottengo in cambio lo stesso trattamento, questo un pò mi fà male e un pò mi fa rabbia.
Non lo so,mi sento indifesa di fronte a certi colpi al cuore e allo stesso tempo c'è una vocina che mi dice che continuo a porgere il fianco, è come se ci fosse qualcos'altro che mi sfugge, che non vedo.
E un pò di me continua ad essere ottimista, radiosa mentre l'altra parte cuoce e digrigna i denti.
Che cosa m'impedisce, nel caso di quest'esperienza, di lasciar andare, di passare oltre come fanno in molti che dopo una litigata girano le spalle alla persona con cui hanno discusso e si chiudono dietro le spalle la porta?
Perchè le mie porte non si chiudono mai?
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