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Vecchio 26-11-2008, 01.09.37   #15
Ray
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Originalmente inviato da Kael Visualizza messaggio
A conferma di quanto dici, basta vedere quando andiamo magari in vacanza in qualche piccolo paesino di montagna. Lì l'aria ci trasforma, passeggiando salutiamo chiunque incontriamo senza per questo aver paura di essere presi per maniaci, se troviamo qualcuno in difficoltà non esitiamo un istante ad aiutarlo, etc etc...
Questo perchè effettivamente la capacità di costruire una società è minima, e semplicemente ne siamo noi influenzati, subendola passivamente.
"Subendo" quindi il paesino alpino diventiamo tutti boyscout provetti, poi appena torniamo in città subiamo la metropoli e torniamo ad essere i soliti menefreghisti per il nostro quieto vivere...
Citazione:
Originalmente inviato da dafne Visualizza messaggio
ecco, credo di essere totalmente succube della società
Ecco, ma allora cosa possiamo definire realmente società?

Nell'esempio di Keal, anche se forse intendeva incentrare il discorso su un punto diverso, ovvero quanto il singolo subisce l'ambiente in cui via via si trova, vediamo come in un ambiente piccolo, con meno gente, dove è facile che ci si conosca tutti anche se relativamente, si respiri un'aria diversa, un po' meno tesa.

Platone sosteneva che le cità avessero un limite massimo di grandezza - si riferiva alla quantità di abitanti più che all'estensione del territorio, anche se i due sono abbastanza colegati - e questo limite era più o meno il "tutti conoscono tutti".
Diceva che fino a che la popolazione non cresce oltre questo limite era possibile parlare di città, traslato di società. Erano possibili rapporti veri tra gli abitanti, appartenenti ad uno stesso insieme (e quindi c'era anche appartenenza), anche se alcuni di questi rapporti erano superficiali.
Oltre questo limite il caos.

Se ci pensiamo un attimo, nell'odierno, la sospettosità di cui parliamo, la condizione di paura patologica presente nei recinti in cui siamo tenuti, è proporzionale alla popolazione. Forse non in maniera precisa... ci saranno centri con più abitanti in cui si sta un po' meglio di altri con meno abitanti, ma grossomodo è così... più piccolo è il paese, più tranquilla è l'aria che si respira.

Tornando al discorso di Platone, se lo guardiamo dal punto di vista dei rapporti, vediamo che in una condizione dove tutti si conoscono è abbastanza robabile che ci sia almeno uno che si fidi di almeno un altro in modo che tutti rientrino in questa rete, magari indirettamente. Se conosco poco tizio, so però che caio lo conosce bene e io conosco bene caio e mi fido di lui... e via così.

Nelle grandi città, paradossalmente, conosciamo ad un livello decente meno persone di quante ne conosceremmo in un piccolo centro. Le grandi città offrono dei vantaggi... ma quanto costano?


Venendo al discorso di Kael, lo condivido fino ad un certo punto. Non tutti quelli che "facevano società" erano consapevoli di quel che andavano costruendo... molti comunque subivano quel che veniva manovrato (in senso neutro) dai ochi consapevoli, tuttavia piccoli centri sereni erano comunque possibili. Il meccanismo di aggregazione umano è appunto un meccanismo... ma fino ad un certo punto non nuoce necessariamente.

Forse, in ogni caso, possiamo parlare di "società" solo fino a quando funziona, poi degenera in qualcos altro.
Un possibile parametro, a mio avviso, per distinguere una società funzionante, è quello che determina maggiori vantaggi rispetto agli avantaggi per tutti coloro che ne fanno parte, facendo anche le debite proporzioni sui vantaggi che ognuno a seconda del suo "livellod'essere" può ottenere.
Io mcredo che nelle società malate odierne molti membri ricevano più svantaggi che vantaggi, ma non lo sanno. E per un meccanismo di auto conservazione della società stessa vengono tenuti all'oscuro di questo fatto (grazie al sonno indotto o aiutato), non necessariamente in modo costruito. Se uno si accorge che ha più svantaggi che vantaggi se ne va...
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