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Vecchio 14-04-2009, 15.28.47   #12
jezebelius
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Originalmente inviato da Ray Visualizza messaggio
Il problema è annoso ed è da sempre oggetto di indagine filosofica e non solo. Lo imposto in uno dei mille modi possibili, solo per inquadrare e avere un esempio.

Apparentemente non abbiamo alcuna prova dell'esistenza di alcunchè al di fuori della nostra percezione. Non solo... anche l'oggetto da noi percepito non ci da alcuna garanzia di realtà al di fuori del nostro soggettivo.

Mettiamola dal punto di vista della percezione. Possiamo immaginare l'incontro di due processi: le impressioni che arrivano dall'oggetto (che possiamo anche immaginarci oggettive) e il filtro della nostra percezione, che è soggettivo per forza, dato che ognuno ha delle sue proprie peculiarità ed è distinguibile da tutti gli altri.
La rappresentazione di questo oggetto, nella mente, va considerato quindi il risultato di entrambi (ben che vada) ed è quindi soggettiva... ossia parzialmente discosta dall'oggettività.

Traduco: di fronte a me esiste una sedia. Percepisco la sedia e posso immaginare che essa perturbi il mio campo percettivo e che faccia lo stesso con qualsiasi altro campo. Tuttavia il mio campo percettivo è soggettivo e la rappresentazione mentale (l'immagine e l'idea) della sedia percepita sarà un risultato delle due cose e cioè discosterà un tot dalla sedia reale.
Ne risulta che la realtà intrinseca della sedia mi resta del tutto sconosciuta.

Inoltre: qualunque grado di realtà io possa immaginare pre-esistente alla mia percezione, avrà sede nel mio soggettivo e quindi, ancora una volta, non mi darà alcuna garanzia di realtà... se non sul piano mio soggettivo, dove dubbi non si pongono.

Non sono certo di aver esposto il problema in modo comprensibile.... tuttavia lancio a tutti lo stesso la domanda: (secondo voi) come se ne esce? Sempre se sia possibile...
Cioè, tanto per capire.
La sedia - ciò che io valuto e mi rappresento - è il risultato di due processi.
Mi sembra che tu abbia detto che quella che disturba il mio campo percettivo e che presumo disturbi anche quello di altri " non è " la sedia reale ( oggettiva ) ma, semplicemente a prima vista, quel che vedo ( appunto soggettivamente ), ciò al quale attribuisco una forma, è un risultato.
Risultato/forma che viene generata sia dalle impressioni derivanti dall'oggetto e sia dal filtro che, abbiamo detto essere soggettivo.

Ora, queste impressioni da qualche parte devono pure arrivare. Però, dato che il mio campo percettivo è limitato a quel che guardo, a ciò che viene ad esservi inserito, attribuirò valenza a ciò che ho davanti, ossia la sedia.
Questo perché, probabilmente, elaboro( devo per forza) le impressioni in un linguaggio a me comprensibile dato che l'elaborazione di quello originario mi è precluso.
In realtà, mi pare si possa parlare di traduzione che mi serve, giocoforza, per l'elaborazione di quelle impressioni altrimenti non tangibili per la mia mente ed il mio filtro.
Ne segue che dovrò per forza di cose " trovare e cercare" ciò che assomiglia a qualcosa di conosciuto o che quanto meno ci si avvcini per potere poi " materializzare" la sedia.

Qui però sono sempre nella soggettività dato che queste operazioni sono funzionali alla materializzazione dell'oggetto.
Data questa premessa, posto che possa corrispondere più o meno al meccanismo che mi pare di aver capito, non potrò mai uscire dalla soggettività per due motivi.
Il primo, perchè è la mia stessa soggettività che mi permette di " materializzarmi" e dunque di sapere che " son qua " e che pertanto anche l'oggetto ( quel che mi rappresento per tale ) è qui con me; il secondo perchè, posto di riuscire in quel discostarsi dalla soggettività, anche se solo per un momento, tutto mi sembrerà incomprensibile, senza linguaggio: inesistente ( anche se ancora, forse, di soggettivo si tratta ).

Ne deduco che anche questo inesistente o che io percepisco per tale anche se per breve durata, può essere esplorato ma non so ancora in che modo e per quanto tempo.
L'unico modo, mi pare allora, è cercare di partire dalla soggettività così da individuare - e dividere - quali sono le impressioni che arrivano dall'oggetto e quale è il filtro " soggettivo" che utilizzo.
Tutto ciò che non ri-conosco mi sembrerà alieno, lontano dalla mia percezione e per quanto io voglia avvicinarmi all'oggettivo ne sarò sempre più lontano.

Non credo sia possibile discostarsi dalla soggettività, mentre invece credo che sia possibile conoscerla per capire bene il suo funzionamento.
Agendo per capirne il meccanismo posso, dopo, riuscire a modificare la percezione dell'oggetto e via via, andando a ritroso, espandere( non so se possa essere corretto ) il mio linguaggio per svolgere con più precisione quella funzione di " traduzione".
Mi troverò sempre nella soggettività ma non credo che si possa fare in altro modo.
Quella soggettività che avrà più dati e con alta probabilità può avvicinarsi ad un diverso grado di percezione, pure se dal basso può essere definita " oggettività"
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Dr. Marc Haven
“Non deve essere l’alba di luce che deve iniziare ad avvisare la tua anima di tali doveri giornalieri e dell’ora in cui gli incensi devono bruciare sui fornelli; è la tua voce, solo lei che deve chiamare l’alba di luce e farla brillare sulla tua opera, alfine che tu possa dall’alto di questo Oriente, riversarla sulle nazioni addormentate nella loro inattività e sradicarle dalle tenebre in cui versano.”
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