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Vecchio 07-05-2008, 23.02.08   #1
Ray
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Predefinito Le parole semplici...

...sono le più difficili.

Può sembrare che ho affermato un controsenso, che mi sono contraddetto... se son semplici, come fanno ad essere difficili? Questo perchè, nel parlar comune, usiamo spesso "semplice" in luogo di "facile", ma i due termini non sono sinonimi. Tutt'altro.

Semplice viene dal latino sim-plex, che è il composto di sem (una volta) e la radice di plectere (intrecciare). Semplice è quindi "intrecciato una sola volta".
Con lo stesso sistema si sono formati termini numerali legati a semplice, quali du-plice, tri-plice eccetera, fino a multi-plex... molteplice.
Dalla stessa radice di plectere (PLEK) deriva il verbo latino plicare, che vuol dire piegare, che è quindi in realtà una specificazione di significato di "intrecciare"... l'antica radice PLEK compare nel sanscrito prac-na, che indica il cesto.
Ne risulta che l'opposto di semplice è "complicato"... in quanto com-plicare è piegare assieme. Se proprio vogliamo sarebbe "complice" anche per costruzione di parola, che è "colui che piega in compagnia"... traslato colui che è co-involto (in-volto = piegato in... la volta è la voluta).

Invece "facile" (lat. facilis) è l'aggettivo verbale di facere, che vuol dire fare. Ha valore passivo.. quindi vuol dire "che si fa (da se)" (interessante per il discorso di fare e venire fatti).
Il suo opposto è qui molto chiaro: la negazione dis unita a facilis ha composto difficilis... difficile, "che non si fa (da se)".


Ci sono già vari tread che parlano delle parole e dei loro significati, e anche che esplorano le modalità di scelta delle stesse... uno molto bello è questo qui di Kael. Ci sono inoltre intere sezioni che esplorano le parole, con diversi approcci.
Perchè questo tread in simboli? Perchè le parole sono simboli... ovvero veicoli di molteplici significati a molteplici livelli e, se nella simbologia è riconosciuto il fatto che l'esplorazione dei simboli "di base", quelli più "semplici" è in realtà la più difficile oltre che quella più foriera di comprensione, questo credo valga anche per le parole. Purtroppo quelle che consideraimo più semplici, quelle che conosciamo da più tempo e che usiamo più spesso, sono quelle che conosciamo peggio e più sommariamente. Questo poi, a cascata, si riversa su quelle più complicate... anche se, paradossalmente, ci prestiamo più attenzione e magari le usiamo meglio.

C'è anche un altro motivo (oltre a quello principale e implicito... amo questi argomenti) ed è che le parole veramente semplici, per essere comprese appieno, richiedono riflessioni filosofiche o addirittura meditazione. Un esempio, che è una parola connessa a semplice per via della stessa radice "sem" è "sempre"... si potrebbe farne un intero tread (perchè no?)... la indagheremo.

Concludo (per il momento) accennando che ci sono parole davvero semplici e che sono davvero difficili, al cui confronto "semplice" e "difficile" risultano bazzecole. Qualche esempio: io, chi, se, quindi, e, oppure...

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Vecchio 13-05-2008, 23.30.03   #2
Ray
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Un esempio, che è una parola connessa a semplice per via della stessa radice "sem" è "sempre"...
Sempre è una parola che usiamo sempre e conosciamo da sempre e siamo sempre convinti di usare a proposito ma siamo proprio sicuri di sapere che significa? Avete mai provato, li per li, a dare una definizione? Mica facile...

Ebbene, la definizione migliore che mi viene è: "senza soluzione di continuità"

Come dicevo prima, ci sono parole che per essere comprese, a mio avviso, necessitano di riflessione meditativa o quasi.
Sempre è un composto... la radice è quella di cui parlavamo prima. "sem", che vuol dire "una (sola) volta". Questa radice veicola il senso di "uno", "singolo" e se qualcuno ricorda quel che dicevamo nel tread sui numeri può immaignarsi come questa radice veicoli qualcosa di molto intuitivo... si potrebbe dire archetipico.
Il suffisso "per", che compone il termine latino semper, è un suffisso moltiplicativo. Quindi il senso intuitivo veicolato è la moltiplicazione indefinita di "una volta"... un altro modo di esprimere potrebbe essere "una volta per tutte".

Questa continuità (continere = essere unito) veicolata dal termine sempre è legata direttamente all'esistenza e, solo in luogo a questa, al tempo... in quanto anch'esso è legato all'esistenza. La cosa può sembrare complicata, ma se pensiamo all'uso della locuzione "sempre che..." diventa più chiara: verrò sempre che tu lo vorrai ancora, ad esempio, mostra come sempre sia legato al sussistere delle condizioni per le quali qualcosa si verifichi... è quindi l'interruzione a sospendere, a far non esistere, la continuità a permettere, a far manifestare.

Vediamo alcune parole connesse: tempo e mai. Si potrebbe stupirsi scoprendo che "tempo" viene da una radice antichissima (tem) che vuol dire tagliare. La parola veicola direttamente il senso del dividere (molta mitologia può assumere un aspetto diverso se vista in quest'ottica), del delimitare. Dividere qualcosa che, altrimenti è continuo... è sempre.
Parola quasi analoga a tempo è il tem-pio, che è lo spazio delimitato (in cielo e in terra) dall sacerdote per le sue osservazioni.

Dire che il tempo è sempre non è quindi un controsenso e può essere oggetto di interessanti riflessioni.

Mai, che normalmente utilizziamo come opposto di sempre, è in realtà analogo a "mah" e viene da una radice dubitativa (vuoi mai che...)... dubbio che ha il potere di annullare la continuità, di interromperla, di ribaltare le cose e prendere il significato di "nessuna volta". Ma la sua radice è proprio "ma" che è anche, appunto, un "avversativa" (bravo ma basta ), quindi avversa, si oppone, ribalta...

Si potrebbe dire forse che tempo e sempre sono due veri opposti... mah...

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Vecchio 14-05-2008, 22.31.16   #3
RedWitch
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Invece "facile" (lat. facilis) è l'aggettivo verbale di facere, che vuol dire fare. Ha valore passivo.. quindi vuol dire "che si fa (da se)" (interessante per il discorso di fare e venire fatti).
Il suo opposto è qui molto chiaro: la negazione dis unita a facilis ha composto difficilis... difficile, "che non si fa (da se)"
Dunque , ricapitolando: semplice/complice e facile/difficile
l'ho già scritto tempo fa su un altro post, ma è proprio vero che spesso si scambia il senso di una parola con un 'altra pensando a semplice, a me è sempre venuto naturale pensare che il suo opposto fosse difficile, non avrei mai pensato a complice, ed è stata una scopertona .
E più le parole sono comuni e di uso quotidiano meno ci si fa caso, spesso le si usa con un senso distorto.. è un vero peccato (proprio nel senso di mancanza..)

Quindi si potrebbe dire che che quando una cosa per me è facile è perchè addirittura si fa da sè, (il famoso essere fatti di cui parliamo sempre, anzichè fare..) e quindi, per fare, occorre che una cosa sia difficile, che non si faccia da sè.
E in effetti una cosa si pensa sia facile quando non si incontra alcun tipo di difficoltà nell'esecuzione, e diventa tanto naturale, quanto automatico...

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..................................................
Come dicevo prima, ci sono parole che per essere comprese, a mio avviso, necessitano di riflessione meditativa o quasi.
Sempre è un composto... la radice è quella di cui parlavamo prima. "sem", che vuol dire "una (sola) volta". Questa radice veicola il senso di "uno", "singolo" e se qualcuno ricorda quel che dicevamo nel tread sui numeri può immaignarsi come questa radice veicoli qualcosa di molto intuitivo... si potrebbe dire archetipico.
Il suffisso "per", che compone il termine latino semper, è un suffisso moltiplicativo. Quindi il senso intuitivo veicolato è la moltiplicazione indefinita di "una volta"... un altro modo di esprimere potrebbe essere "una volta per tutte".
Si potrebbe quindi dire , se rapportiamo la radice "sem" al senso di "uno", che ogni parola che lo contiene si avvicina alla fonte? E' per questo che ci sono parole che per essere spiegate hanno bisogno di tante definizioni, non siamo capaci di cogliere il senso perchè è archetipico?
Se fosse così, più le parole si "spogliano", si avvicinano all'origine e al loro vero senso più è difficile riuscire a dare loro un significato razionale, senza ricorrere a molte definizioni, ed ecco che i concetti di "io", "chi" , "se" "oppure", diventano difficili..

Grazie per questo thread Ray, è molto interessante

Ultima modifica di RedWitch : 14-05-2008 alle ore 22.45.15. Motivo: corretto semplice al posto di facile avevo incasinato i termini...
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Vecchio 14-05-2008, 22.45.02   #4
griselda
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Sono sicuramente OT, ma mi incuriosisce la storia dell'uno e di sem.
Chissà se il Sem Bibblico abbia a che vedere con questa parolina ed anche shem che è stato tradotto come nome?
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Vecchio 16-05-2008, 09.36.11   #5
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Sono sicuramente OT, ma mi incuriosisce la storia dell'uno e di sem.
Chissà se il Sem Bibblico abbia a che vedere con questa parolina ed anche shem che è stato tradotto come nome?
Sem, in ebraico, è uno degli appellativi di Dio oltre ad un nome abbastanza usato se non mi sbaglio. E riconduce al concetto di "Uno"... quindi il collegamento ci sta eccome direi.
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Vecchio 22-05-2008, 17.31.42   #6
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Predefinito origine e inizio

Il problema della differenza tra i due termini è sorta in altre discussioni del forum e, come spesso accade qui, si dipana più o meno in tutto ciò che viene trattato in questo periodo. Quindi ho pensato di dire qui qualcosa sull'origine e significato dei due termini... significato che, come abbiamo visto per altro, diventa poi oggetto di discussione e meditazione, alla ricerca di quella Comprensione che può dare l'indagine di un simbolo.

Origine viene dal latino origo, originis... che è l'astratto di oriri, verbo che vuol dire sorgere. Da cui oriente (vi sorge il sole). L'origine è quindi ciò da cui qualcosa scaturisce, l'origine emana. E' il principio forse, almeno visto come modo.

Inizio, latino initium, derivato da initus, viene da initiare, derivato da inire, composto di in e ire... andare dentro.
Iniziare era originariamente iniziare ai misteri... poi generico, comunque portare qualcuno, far provare a qualcuno, qualcosa che esiste già (anche se per lui quello è appunto l'inizio, la prima volta).
Cominciare è un derivato... viene da cum-initiare... quindi è "andare dentro con"...

Solo qualche spunto, che non vuol essere per nulla conclusivo, ma magari da appoggio a qualche intuizione o ragionamento e sviluppo che possiamo condividere.
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Vecchio 23-05-2008, 00.25.36   #7
Grey Owl
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La parola inizio significa quindi andare dentro (in-ire).
Mi ha colpito questo andare dentro, un movimento verso l'interno, infatti iniziare un qualcosa richiede immergersi in quella cosa.

Ho cercato in giro il significato di fine in contrapposizione con la parola inizio.
Fine, latino finem, derivato da find-nem, viene da find che significa fendere, incidere, dividere. Fendere ovvero dividere, creare un orlo, un termine nella continuità.
E' la parte estrema oltre la quale cessa, ma significa anche meta, scopo.
Si dice appunto avere un fine, un termine di risultato, un esito.

Come se, quando entro dentro (inizio) un qualcosa poi devo fendere (fine) quel qualcosa per terminare la continuità di quella cosa. Ma anche si può dire che inizio quella tal cosa col fine di ottenere un esito, avendo dato un termine a priori.


Grazie Ray, l'etimologia mi era sconosciuta prima d'incontrarti.
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Vecchio 23-05-2008, 00.40.37   #8
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E' la parte estrema oltre la quale cessa, ma significa anche meta, scopo.
Si dice appunto avere un fine, un termine di risultato, un esito.
C'è un'altra parola che mette assieme queste due cose, anche se forse da un altro punto di vista... e può aiutare a capire o almeno ad espandere il discorso. La parola è "limite"...
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Vecchio 23-05-2008, 13.55.33   #9
turaz
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forse che se ci diamo uno scopo, un fine nello stesso tempo stiamo dando un "limite" alla manifestazione?
ecco perchè forse quando alcuni maestri dicono di "agire senza scopo" si riferiscono al fatto di mantenere illimitata la possibilità?
(mi suona bene ma non so se è corretto)
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Vecchio 23-05-2008, 14.17.29   #10
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Il problema della differenza tra i due termini è sorta in altre discussioni del forum e, come spesso accade qui, si dipana più o meno in tutto ciò che viene trattato in questo periodo. Quindi ho pensato di dire qui qualcosa sull'origine e significato dei due termini... significato che, come abbiamo visto per altro, diventa poi oggetto di discussione e meditazione, alla ricerca di quella Comprensione che può dare l'indagine di un simbolo.

Origine viene dal latino origo, originis... che è l'astratto di oriri, verbo che vuol dire sorgere. Da cui oriente (vi sorge il sole). L'origine è quindi ciò da cui qualcosa scaturisce, l'origine emana. E' il principio forse, almeno visto come modo.

Inizio, latino initium, derivato da initus, viene da initiare, derivato da inire, composto di in e ire... andare dentro.
Iniziare era originariamente iniziare ai misteri... poi generico, comunque portare qualcuno, far provare a qualcuno, qualcosa che esiste già (anche se per lui quello è appunto l'inizio, la prima volta).
Cominciare è un derivato... viene da cum-initiare... quindi è "andare dentro con"...

Solo qualche spunto, che non vuol essere per nulla conclusivo, ma magari da appoggio a qualche intuizione o ragionamento e sviluppo che possiamo condividere.
Origine come da dove è sorto quel comportamento che poi ha dato inizio ad una serie di fatti.
Un po' come nella ricapitolazione quando cerco dove è sorta una certa idea, quindi da dove è originata e poi devo trovare l'inizio del suo compimento? E' cominciata così e si va poi ai retroscena che hanno fatto sorgere, quindi originato il difetto che ha iniziato (come imprinting) la persona comportarsi in un certo modo.
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Vecchio 23-05-2008, 23.59.34   #11
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Origine viene dal latino origo, originis... che è l'astratto di oriri, verbo che vuol dire sorgere. Da cui oriente (vi sorge il sole). L'origine è quindi ciò da cui qualcosa scaturisce, l'origine emana. E' il principio forse, almeno visto come modo.

Inizio, latino initium, derivato da initus, viene da initiare, derivato da inire, composto di in e ire... andare dentro.
Iniziare era originariamente iniziare ai misteri... poi generico, comunque portare qualcuno, far provare a qualcuno, qualcosa che esiste già (anche se per lui quello è appunto l'inizio, la prima volta).
Cominciare è un derivato... viene da cum-initiare... quindi è "andare dentro con"...
Riprendo questo pezzo e riporto quanto detto da Uno nell'interessantissima discussione sul daimon, per vedere se riusciamo a chiarirci.

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Originalmente inviato da Uno
Ho provato a lanciare uno spunto con origine ed inizio, ma non non sono sicuro che sia chiara la differenza, in due parola l'origine è pluripotenziale, può essere qualsiasi cosa, prendere qualsiasi forma, l'inizio è già determinato dalla forma, l'origine non è soggetta a regole, le regole vengono dopo, è l'origine stessa che detta le regole attraverso la forma e la direzione che assume, l'inizio è già formato e direzionato e quindi ha delle regole, seppure relative al punto percorso.
Se ci si pensa, quanto detto da Uno è contenuto nella definizione (non poteva essere diversamente) e ne rappresenta uno sviluppo.

Essendo l'origine pluripotenziale, ciò da cui scaturisce qualcosa in qualche forma, l'origine è "esterna" a ciò che da essa emana e resta esterna all'ambito di manifestazione della cosa emanata. Se poi parliamo della Manifestazione proprio, allora l'Origine è esterna ad essa. Questa potenzialità fa si che l'emanazione nulla tolga all'origine, che può essere origine anche di altre cose emanate.

L'inizio invece fa parte della cosa. L'inizio della vita fa parte della vita, di un film del film... mentre il film scaturisce dal proiettore (o dalla mente del regista o come vi pare) che in questo caso è la sua origine.

In matematica, se prendiamo per esempio il piano cartesiano, l'origine è il punto zero-zero... quello da cui idealmente originano gli assi, quello da cui partono infinite rette o direzioni, senzsa che questo amanare una retta precluda a qualsiasi altra emenazione (di rette).
L'inizio invece è sempre parte di qualcosa... l'inizio di un segmento è il punto di partenza dello stesso (ambito considerato) e fa parte di lui... non emana nulla, non origine il segmento.

Per riprendere quanto diceva Uno sulle regole... l'origine essendo in un piano precedente la manifestazione considerata non è soggetto alle Leggi di tale manifestazione, mentre l'inizio si, ha le stesse regole del piano di esistenmza considerato, dato che ne fa parte, anche se il punto è in una posizione del tutto particolare e quindi queste leggi assumeranno in quel punto le corrispondenti particolarità (che in alcuni casi possono essere "eccezioni").
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