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Vecchio 29-12-2010, 15.26.18   #1
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Predefinito Il paradiso perduto

Lo avevo scritto per me, come un guardare dentro ad una telecamera puntata nel tempo, poi ho scelto di condividere perchè come mi ha scritto Grey c'è un interesse a che gli altri mi conoscano, ammetto che è vero e lo pubblico quì. Lo dedico a chi ha pazienza e tolleranza innanzitutto con se stesso.




La insostenibile sovrapposizione di interessi dentro di me, tra ciò che desidero e ciò che devo, potrei pensare abbia origine nel modo in cui ho giocato da piccola e nella adolescenza, in tempi in cui Mamy non si occupava di noi ma lo facevano le nonne; con una stavo di sera, con l’altra, in famiglia, di giorno. Avevo molto tempo, cortili e strade libere erano a disposizione, e i bimbi non mancavano, soprattutto le mie due sorelle, e anche un fratello più grande e spericolato che allevava di nascosto animali non proprio domestici come topi, lucertole, vermi. La nonna di casa mi lasciava fare, impiantavo con ogni mezzo ogni tipo di situazione: sartorie, teatri, botteghe, capanne, piscine, laboratori con la creta del vicino vetraio, festival di canzoni con premiazioni e un oggetto per microfono. C’era il turno delle culle per neobambole , ma potevo riuscire a farci stare anche un gattino, se c’era. I miei ruoli preferiti erano la mamma, la comare, la moglie abbandonata, Biancaneve, la ballerina, la fata, la principessa, l’insegnante, il dottore. Gli altri o le altre, specialmente le due più piccole, rivestivano ruoli minori, di figli, di operai, di sudditi, di principesse se ero la regina, di dame quando mi andava di fare la principessa; in palcoscenico però eravamo alla pari, tutte vestite come a ognuno faceva stare meglio io le sistemassi. Le calze fine della mamma fungevano da trecce, le sue camicie del corredo erano ottimi abiti da scena, poi giù tutto nelle cassepanche alla rinfusa. Non lasciavo nulla di inutilizzato se era colorato e incustodito. Spaziavo con la fantasia che rigorosamente traducevo in messa in opera. La nonna mi era alleata, mi procurava di tutto, non vi erano mai commenti negativi, ed era la migliore delle spettatrici. Il difficile era mettere a posto tutto ciò che mettevo in giro, solo a volte sentivo mia madre urlare contro di me, ma niente mi scoraggiava.
Le mie sorelle erano obbligate a giocare, per modo di dire, ero semplicemente convincente; grande passione la mia, senza limiti, ne di spazio ne di tempo, ma potevo giocare anche in un metro quadrato, trovavo Il modo anche solo con le parole o con gesti delle mani. Un imprinting forte che è poi diventato strumento di lavoro ma senza volere anche causa di disagio da adulta, soprattutto perché la spinta creativa e il movimento incessanti, che erano in me, persero spazio a mano a mano limitati dal poco tempo a disposizione che veniva sottratto anche dai doveri appiccicatimi all’età di dodici anni quando la mamma andò a lavorare in un’altra città e la nonna decise che io ero grande e poteva istruirmi. Mia madre tornò, ma un altro taglio drastico del tempo da dedicare alla mia passione preferita, il gioco, fu nel passaggio a casa nuova, senza più la nonna, senza guida, con incombenze ancora più grandi, in periferia da soli con mamy e papy… Volevo intitolare “dal paradiso all’inferno” , ma forse un sentimento poetico è pur vivo ancora in me.

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Vecchio 31-12-2010, 20.54.35   #2
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Il paradiso è il paradiso, non desideri di più, nè vuoi essere in un altro posto, se lo hai conosciuto come l’ho conosciuto io te lo porti dentro ovunque vai, e cercherai sempre di riprodurlo. Ma cosa è mai questo luogo di cui tutti abbiamo sentito parlare fin dalla nascita? Dico che è il posto più adatto alla nostra natura, non bisogna procurarsi nulla, nè aspettare nessuno, c’è già tutto, si può usufruire di ciò che si ha intorno a piacimento.

Poco controllo nella mia vita di piccola era la ciliegina sulla torta. Perlomeno, la nonna vegliava su di noi, se c’era un pericolo ci proponeva una alternativa subito accettabile, la sua pazienza con noi era senza limite, infinita e di me nessuno mai disse che ero monella, anzi, passavo per una ragazzina tranquilla. In effetti il nostro non era baccano , ma impegnare e vivere il tempo, in concentrazione, e poi sicuramente prendevamo i segnali di si o oi no che ci venivano dati, ma senza motivo che a noi non apparisse giusto, non arrivava mai un no. Con mamy la cosa fu diversa, era tutto uno scoraggiare, e per principio; non sapeva educare e quindi vietava. Comunque non fummo costretti ad ucciderci, lei mancava otto ore al giorno, e anche papy, finchè non ci furono fidanzati tutto sommato in quelle ore eravamo libere di gestire il tempo; certo si studiava ormai, alle elementari avevo vissuto invece di rendita, ero troppo in gamba per non farcela solo con la presenza a scuola, ero molto attenta alla maestra, l’imprinding dell’apprendimento ci era stato assicurato, sempre solo da lei, quella grande anziana donna . Il suoi metodi di insegnamento erano spontanei, giocosi ,mi è venuto in mente che quando ero piccola facevo un sogno ricorrente, sognavo di essere nella casa della nonna ,mi sdraiavo sulla soglia di casa che era in pietra lavica , la sollevavo, ed era piena di pezzi da dieci lire. Un pozzo inesauribile di monete,tutte gratis,tutte per me .Rimanevo stupita per ore e ne tiravo fuori un pò. La nonna era per noi come una buona fata tutto l’anno, e spendeva tutta la pensione per i nostri piccoli capricci. Ma di notte quel pozzo pieno di soldi diventava un dono senza limiti. Ci raccontava spesso la favola di mastro Giuseppe, un calzolaio povero che sfidò gli spiriti e divenne ricco. Un giorno lui passo davanti ad un palazzo ,la porta era aperta, ne usciva un buon odore di pranzo,chiese permesso ,nessuno rispondeva e allora avanzando si ritrovò dentro casa, e apparse ai suoi occhi una tavola imbandita piena di ogni ben di dio. Provò a chiamare ancora, ma niente… allora si mise a sedere e cominciò un pò incerto dai caldi maccheroni. Io e le mie sorelle adoravamo i maccheroni. Poi passò al pollo al forno, e ancora alle frittelle con lo zucchero, crocchette di patate; dolci al cioccolato e ciliegie. Dimèntico che non era a casa sua, si addormentò su una panca. La mattina dopo un rumore di piatti e stoviglie lo fanno risvegliare, di la era tutto ripulito ma non c’era traccia di servitù o altra persona. Così si trattenne un altro giorno e un’altra notte.
Questa volta la mattina si svegliò sopra il comò , capi così, che c’erano delle strane presenze: si trattava degli spiriti. Provò a fare la voce grossa e a buttarli fuori facendo finta di essere il padrone. Poi un giorno,dopo che si era convinto di avere ormai conquistato il palazzo, potè pensare alla sua famiglia. Tornò a casa,di notte, vegliò sua moglie,ormai disperata e con la pancia vuota, lei e i bambini. Lo rimproverarono ma poi erano troppo felici di vederlo. Lui porto molte cose buone e molti regali, disse che un tale gli aveva affidato la casa dovendo andare lontano. Li porto con se in quello strano posto. Appena sotto il balcone del palazzo, le misteriose signorine vi erano affacciate e sembrava che fossero li da sempre. Fermò il calesse e disse ai suoi di aspettarlo. Salì di corsa per le scale, fece un baccano terribile ,minacciò quelle figure di fare cose brutte se non sparivano e poi fece entrare i bimbi e la incredula moglie. Noi avevamo veramente paura mentre ascoltavamo il racconto, conoscendo già che nella notte gli spiriti sarebbero ritornati e avrebbero spostato i bambini sui mobili e dentro i cassetti. Mastro Giuseppe allora uscì tutta la sua voce e la sua forza attraverso altre minacce , li spinse col rumore di un bastone sino al dirupo lontano da casa e lì ,essi precipitarono in un altro posto da dove decisero di non risalire. E tutti vissero felici e contenti.
Questa storia ci rese incantati e impietriti infinite volte; sedute attorno ad un braciere in mezzo ai mobili della nonna, che creavano senso di sicurezza e di calore. Che nonna stupenda,non si stancava mai, e noi approfittavamo tanto, come è giusto che dei bambini possano fare per farsi un’dea generosa ed eterna della vita. Questo mia nonna, e come spesso solo i nonni possono,perché non hanno fretta, ce lo diede per tanto tempo, anche se poi strada facendo lo abbiamo perso; ma almeno abbiamo avuto esperienza di quel totale senso di appagamento e inesauribile disponibilità .

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Vecchio 02-01-2011, 03.02.46   #3
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La favola era una delle tante, e considerando il contesto di minore benessere tra la gente quando ero bambina, vi erano messaggi importanti. Quel temerario padre che sfida le fate era solo un ciabattino che guadagnava troppo poco e nella premessa era sempre descritta la miseria, la mancanza di caldo e di cibo, fin anche di un cappottino per i bimbi, perché ci fosse il contrasto con i doni poi acquisiti. Quella moglie spettinata e con abiti laceri, che non puliva la casa perché non aveva nemmeno il sapone per pulire, ignorante e credulona ,passa a nuova vita perché sa perdonare mastro Giuseppe, che ritorna dopo averli abbandonati in quella disperazione e in quella fame. Ogni volta i particolari erano inediti. Lui che fa la sorpresa nel cuore della notte, con involti in mano pieni di cose buone da mangiare, un’altra volta c’èra anche un anello, o una sciarpa per i figli.
Man mano aggiungeva pure i tesori trovati nel palazzo: monete, gioielli, statue, un'altra volta aggiungeva abiti nuovi e giocattoli di ogni genere. Eravamo insaziabili, chiedevamo " nonna ancora" , e lei inventava e quando si stancava ci proponeva una merenda.
La nonna coltivava le amicizie, e una fitta corrispondenza manteneva vivo il rapporto con la figlia lontana, la zia di Milano, che immancabilmente a Natale faceva arrivare il pacco delle delizie, un pacco grande, pieno di tutta la cioccolata acquistata in Galleria alla Motta.
C’erano barrette di vari gusti, monete, figurine di cioccolato che appendevamo al presepe e man mano mangiavamo. Durava un mese intero la festività e anche le amichette del vicinato ne godevano, la nonna era generosa, ma non sprecava, ci faceva gustare le cose senza farcele troppo desiderare. Si cantava ai pastori, le luci dentro le casette mi facevano immaginare altrettanti focolari domestici, buoni e sicuri. Io ci vivevo in quel presepe, immaginavo la vita quando vi scorreva un tempo e pensavo a quanto avrei voluto esservi anche io, con quel ruscello, le pecore, la paparella con la testa che si muoveva, e mi piacevano le scene dei mestieri: il fabbro, il panettiere, la filatrice, la lavandaia e altri.

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Vecchio 02-01-2011, 03.07.14   #4
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Non erano ricchezze, ma molto meglio. Era un fiume di piacere e di suspance; di risate quando erano scherzi, di stupore quando erano indovinelli, insegnamenti quando era il turno della storia della sua vita, aveva vissuto a Torino, a Milano, e poi la guerra.
Molti anni dopo, da studente, adulta e fidanzata , la guardavo piena di rughe e quasi del tutto sorda e non riuscivo ad immaginare la mia vita senza la sua presenza, adesso era lei nella nostra casa , e noi restituivamo l’amore che ci aveva dato . La nonna era stata magica, e anche lei molto fortunata ad averci in casa nell’età in cui avevamo bisogno di lei. E non mi lasciò per tanti anni nemmeno dopo la sua morte, mi appariva nei sogni, e ancora oggi, a volte ritorna; sogno la sua casa, come se fosse ancora lì intoccata, ed io controllo se per caso qualcuno l’ha visitata e ha rubato qualcosa o ha lasciato lettere per lei. Penso che se mai mia madre avesse a leggere tutto questo si stupirebbe, perché non ha mai saputo cosa trovavamo di così interessante nella suocera. Si detestavano quasi sempre. La loro convivenza iniziò che mia madre era poco più di una bambina, presa dal gioco e molto poco educata a fare la padrona di casa,infondo non lo era. Così per tanti anni, quando mia madre capì che l’altra sarebbe vissuta per sempre, io la dovevo rassicurare e le promettevo che era sicuro che sarebbe morta…. Mi sentivo a posto, che male c’era nel dirle infondo la verità , e poi lei ci aveva sempre fatto sapere che dovevamo rispettare e accudire la nonna,voleva dire allora che aveva riconosciuto il valore che pur la suocera meritava. Noi figli dovevamo rispettare la nonna, così lei almeno nuora, la poteva odiare meglio. Quando mia madre, matura, coi frutti del suo lavoro contribuiva a un maggior benessere per la famiglia, le cose andarono meglio tra di loro e a volte mia madre aveva gesti di vera gentilezza, e la nonna si compiaceva per le cose belle in più che ci potevamo permettere, ma molto alla fine…prima erano scene di veleno, e noi a soffrire e il paradiso già mezzo crollato a volte scompariva. Alla fine dicevo, erano cambiate un tantino, cambiati i bisogni e i bollori della giovinezza…

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Vecchio 04-01-2011, 02.38.56   #5
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Dedicato alla nonna P, per tanti anni dal mio cuore dimenticata.

I confini del mio paradiso erano assai vasti, vi erano anche le zone d’ombra però. Ero nata in casa dell’altra nonna, madre di mia madre, che chiamerò nonna P, era vedova fin da ragazza e mi aveva voluto tenere con lei visto che si abitava nella stessa corte di case. Poi ci trasferimmo, di soli cento metri, potevo stare in una casa, o nell’altra con le mie sorelle. La musica era un’altra, anche altre compagne, case disabitate da vivere furtivamente, altre capanne, altri giochi. C’erano dei piccoli doveri però: lucidare le posate in rame, togliere la polvere ai mobili, e imparare a ricamare; cose che facevano molta ombra! La nonna lo faceva per mestiere il ricamo. A me costruiva i telai da mettere su due sedie, manco dovessi fare un lenzuolo…era per imparare. Il primo giorno ero entusiasta, poi man mano lo stare ferma e china con una manina sotto e una sopra che infilava l’ago sopra la tela per venire tirato giù dall’altra mano, cominciava ad annoiarmi, così scappavo fuori a chiamare gioco. Lei borbottava, dovevo farlo, ero piccola, sua madre aveva fatto lo stesso con lei.
Non potevo chiudere la porta se andavo in bagno, niente latte, ne i suoi derivati, le faceva disgusto sentirne l’odore. Si mangiava cose con troppo gusto o punitive, la pastina, il the, e alle undici la sera, alle tre il pomeriggio. La cioccolata solo fondente. A scuola andavo col vestito rigido e i pantaloni sotto, e per completare l’opera , i capelli sempre a maschietto perché crescessero forti. Sacrificio inutile ovviamente, mai avuto una capigliatura da vichinga. Mortificava molto la mia femminilità, ero la prima della classe, ma invidiavo le compagne con le gonnelline e le trecce, mi rifacevo poi con le calze della mamma in testa a mò di capelli lunghi.
Nelle due case vivevo due vite parallele, una coi doveri, il controllo non comprensibile e il cibo non adatto, l’altra con l’indugiare a oltranza nel divertimento, nel gioco a sazietà, nell’abbondanza e col cibo civettuolo allora nuovo. La nonna P mi amava anche, ero la sua preferita, quando la sera mi veniva a prendere se ero stata con le mia sorelle, non resistevo al richiamo del suo desiderarmi con lei. Ma ricordo che spesso mi riempivo il mento fin sotto il collo di herpes, il mio cuore voleva dire di si alla nonna sola, ma una parte di me desiderava stare in compagnia delle due più piccole. La sera si guardava la tv, lei lavorava e malgrado fosse avara, ma lo era anche con se stessa, l’aveva potuta comprare quando nessuno ancora poteva. La sera si riunivano da noi quando c’era il film, il lunedì e il martedì. Erano film d’amore con Cary Grant, Audrey Hepburn, Gregory Peck, Liz Taylor ect…Ero molto piccola, non erano proprio adatte a me quelle storie, mi turbavano, anche la tensione tra i presenti poi… per non parlare dei film sulla guerra, molto sentiti, era finita solo venti anni prima. Quei contenuti non mi lasciavano serena, ci pensavo sempre quando ero sola, di sera, prima di dormire.
Sia le situazioni sentimentali che le scene aberranti di morti e feriti di sicuro accelerarono in me potentemente una eccessiva sensibilità, erano stimoli troppo forti da elaborare. Gli adulti erano inconsapevoli… Forse ero già alle elementari, comunque l’altra nonna, nonna A, di contro mi comprò presto il primo libro di favole, e poi altri e altri ancora, fino ai romanzi da grandicella, la lettura fu la mia fonte ispiratrice non poco in quegli anni, e mescolavo il tutto. Ma credo che le favole siano state un rifugio ancora piu pericoloso, fuggivo da un mondo che avevo intravisto fosse anche brutale, e rifiutavo il mondo degli adulti. Troppo pesanti le loro manifestazioni emotive, certi gusti.
Quando la nonna P morì avevo venti anni, trovai i frutti del suo lavoro in buoni fruttiferi alla posta intestati a noi due, molto svalutati peccato, ma li utilizzai bene. Era la mia seconda madre, la seguii molto nella sua brutta malattia, lasciai gli studi e dopo li ripresi, lei mi amò molto sempre, come meglio sapeva, lavorando sempre, con parole sempre dolci per me, era semplice, qualcuno direbbe ignorante, ingenua, ma non ho raccontato cosa di lei mi affascinava, come mi faceva sentire il suo amore esclusivo, non con regali e giocattoli, ma a modo suo voleva darmi una educazione al lavoro, alla precisione. Mi manifestava il suo affetto baciandomi sempre, e il mio nome era sostituito dai vezzeggiativi, si confidava quando pioveva ed io restavo pomeriggi interi seduta vicino al suo ricamo , lavorava e mi raccontava della sua vita, degli odori della campagna che adorava perché a dorava il suo papà. La mamma che non la fece mai giocare. Quante volte mi raccontò che aveva quattro anni, e doveva andare a ricamo dalla “mastra” ogni mattina; un giorno giocava con una bimba con delle pietruzze colorate, ma la madre la fece smettere e le disse che era ora di andare, le diede la merenda, doveva rientrare a ora di pranzo. Lei aveva così tanta rabbia e delusione, che si mise dietro la casa, si sedette su un gradino e aspettò tutto il tempo li da sola senza far nulla.
L’unica bambola che ebbe da bambina le arrivò dall’America , in porcellana, le affiorava il ricordo di come per la gioia incontenibile la prese per i piedi e la sbattè contro un balcone di ferro fino farla in mille pezzi, e non ci pensò più. Mi prendevano i suoi racconti di vita vissuta fin nei minimi particolari, e man mano che crescevo vi aggiungeva quelli inediti che io ormai potevo ascoltare. Non l’ho mai sognata nonna P fino a poco più di un mese fà, mano con mano passeggiavamo dentro l'acqua, spero non senta che le abbia fatto un torto se ho detto certe cose, potrà perdonarmi di sicuro, le ho fatto da amorevole mamma, dimenticandomi di me, fino alla morte quando è stato il momento.

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Vecchio 04-01-2011, 16.55.12   #6
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Le guide spirituali.

Ormai avevo dodici anni, ero una ragazzina interessante, e lei, mia madre, vedeva già l'indole di buona ascoltatrice e allieva, così pensò bene di farne il suo gioiello, e di affidare la cura della mia anima all'arciprete della Chiesa Madre, bellissima chiesa per inciso. Credo che lei amasse quest'uomo, come tante altre fedeli, non posso dire che tipo di amore fosse, ma lui indusse in lei il forte desiderio di elevarsi, di riscattare le sue modeste origini, di dare senso alla sua insoddisfazione di donna che non avrebbe preso ciò che meritava il suo spirito di sognatrice e la sua magnetica bellezza. Immagino che la inducesse ad una fede più intensa per dar meno peso alla poca felicità col marito e la suocera. Mi fece vestire con cura, mi pettinò, non avevo più i capelli a maschio, mi portò in chiesa, e mi presentò alla responsabile dell'azione cattolica, con la quale passai molti anni in attivismo, lei mi portò nell'appartamento del prete, e mi lasciò sola. Ero timorosa, aspettai, era una stanza studio, ordinata, con tanti libri alle pareti. Lui si presentò e si sedette dall'altro lato della scrivania dove ero già in attesa. Che sguardo che aveva, gli occhiali sottili con il nero solo sopra, rimarcavano lo spessore delle sopracciglia, io trattenevo il respiro, mi feci piccola e buonissima. Un prete che lasciò il segno nei cittadini che frequentarono la sua parrocchia, anche uomo di un certo valore, insegnava lettere al liceo classico. Le sue prediche erano taglienti, forti, senza sconti per gente che pensava molto alle apparenze; invitato dalle migliori famiglie. Mi faceva solo paura, aveva puntato il suo sguardo direttamente dentro di me. Vi lessi tutte le sue aspettative, sicuramente infinitamente sproporzionate. Mi sorrise, rilassato, mi chiese se aiutavo la mamma, se la mattina rifacevo il letto prima di andare a scuola, io candidamente risposi si, ma candido di sicuro ci fu solo l'instinto alla difesa, perchè stavo mentendo spudoratamente, io era la leader dei perditempo, che poi non era tempo perso, anzi lo impiegavo molto bene a giocare. Ma ero sicura che la risposta giusta da dare fosse quella.Lui mi credette e fu la cosa peggiore che potesse accadermi, uscendo da lì, sollevata dalla sua presenza che suscitava turbamenti forti in me, io mi ritrovai divisa in due, già peccatrice per via della menzogna nonostante ciò che intravvedevo nel suo ideale per me, che era anche l'ambizione di mia madre, potevo riconoscerlo in qualche modo interessante. Ma non avrei mai dato i miei pensieri, mia madre era lontana dal capire la mia vera essenza, desideravo restare un essere naturale, creativo e spontaneo. Mi serviva una guida, ma che mi chiedesse innanzitutto cosa è che volevo per me. Fu tutto il contrario, riuscirono a condizionarmi, un fuoco spirituale religioso si accese, fu una porta verso il divino e allo stesso tempo la mia croce per alcuni anni. Riuscii a parlare con Dio, ma mi aveva mandato dei vicari superbi, e non potevo che dissociarmi più in là. Ma se è quello che ho creduto Egli fosse, sicuramente continuerà a guardarmi con simpatia, fui una ottima servitrice.
La mia guida spirituale non visse a lungo, aveva cinquantacinque anni quando morì, vidi piangere sommessamente le sue predilette, per mia madre fu un lutto, e per anni citava con me, credo solo con me, ciò che lui aveva detto e lasciato scritto per le mamme. I suoi insegnamenti furono impressi a noi che frequentavamo attraverso le giovani donne che aveva formato, una in particolare, la signorina R, alla quale piaceva molto il paradiso che io andavo cercando e creando, quello terreno e ne godeva, ma più in là, divenute, amiche non accettò la separazione da mio marito, mi condannò, non si dava pace per il futuro della mia anima e mi costrinse ad allontanarla. E' morta un anno fa e fino alla fine ha parlato al marito di me, si era poi sposata, non andai a trovarla, nè lei lo chiese, del resto dovevamo goderci in vita e in buona salute, che senso avrebbe avuto per lei e per me se non c'era stato nessun perdono...
Avevo molte risorse, passò ancora un pò di tempo prima che tutte le colonne dell'eden venissero erose, nella canonica della chiesa madre, specie nel periodo natalizio, per settimane gustai ogni tipo di sensazione. Avevo una traccia nuova, amici nuovi, ci sentivamo nel giusto e protetti, le attività erano un modo per avere maggiore libertà da casa, e non era da trascurare il nuovo amico Gesù.
Non eravamo ancora a casa nuova, mi muovevo ora da una nonna all'altra, poi in chiesa, poi le gite con la signorina R, mollavo un pò di più le mie sorelle, ma poi mi rifacevo, a loro dedicavo le mie invenzioni migliori.


......

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Vecchio 05-01-2011, 14.53.30   #7
Faltea
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(questo è solo per sottoscrivere la discussione... non voglio perdermi la continuazione... )
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Vecchio 05-01-2011, 15.40.45   #8
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Sei gentile Faltea, se hai pazienza...aspetto, ogni volta, che arrivi il contenuto.

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Vecchio 05-01-2011, 17.52.24   #9
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Mia madre si faceva più matura mentre io avevo dieci anni e lei trenta, questo prima che mi affidasse ai cattolici, in pieno paradiso, e da lì prendo il primo ricordo di lei che mi parla da madre a figlia maggiore.
Prendeva in gestione il negozio della sorella che aveva avuto un bambino, in un'altra cittadina, non sarebbe stata via tanto. Ci lasciava soli con nonna e papà, tranne il fine settimana. Si portò mio fratello che cambiò istituto. Fu una comunicazione, mi rendeva pertecipe del suo interesse verso la cosa, della possibilità di maggiore benessere, si era in pieno sviluppo economico e anche se mettevi due mele fuori la porta, si vendeva. Un bel settore il corredo da sposa, e lei aveva molto gusto e competenza, la nonna P glieli aveva trasmessi. Mi chiese cosa ne pensassi, avrò detto va bene, che era bello avere un negozio, non ricordo, ma ho ancora l'immagine di lei sdraiata nel letto che mi parlava guardandomi negli occhi mentre attenta all'impiedi le stavo davanti, era molto seria...Eppoi non c'era motivo di sentire la sua mancanza. Capivo che non stava bene in casa, perchè a dire il vero il primo primo ricordo che ho di lei è quando sbattè contro il muro la nonna per dirle che non doveva metterla contro il figlio, mio padre. Erano due donne molto diverse, di estrazione sociale diversa, la nonna era superba, mia madre poco incline a subire inferiorità, era orfana di padre prima di nascere, ma era stata molto viziata e coccolata dalle sorelle maggiori. Da madre, fino a quel momento, accusava un dolore psicosomatico al fianco, e dormiva con panni freddi sulla parte tutta la notte. Il fastidio sparì come aveva visto bene la sorella non appena si allontanò da casa. lavorare e guadagnare per lei significò averla vinta su tutti, suocera proveniente da buona famiglia compresa. Purtroppo in questa presa di valore oltre al sourpluse di benesse ci fu anche la premessa a quella competizione con mio padre, uomo di coccio, col seme del padre padrone, scontro che irruppe, come dicevo, una volta soli a casa nuova, con una violenza inaudita, come una colata lavica dentro il nostro paradiso, e si portava via l'infanzia, l'innocenza, la sicurezza tutto sommato di una buona tranquillità. Tutto si svolgeva a tavola quando mia madre parlava dei suoi successi, era ritornata ed aveva preso un negozio vicino casa, tutto suo, e lui sentiva sminuire la propria importanza, il mito di chi è indispensabile e porta da mangiare in casa. Attacchi imprevedibili in una guerra senza fine, che distrusse non poco le nostre menti e la nostra capacità di fiducia nella vita. Presi a parte, singolarmente, erano accettabili con noi figli purchè non prendessimo la difesa di nessuno, avolte però mio padre ci voleva alleati, specialmente me, una volta sola mi disse anche " vattene, tu e tua madre" . Lui spesso aveva più torto, e lei non sapeva trattenere il mostro della esibizione. Avrebbero meritato legnate a non finire, invece, credo io da sola, mi caricavo dell'ansia tremenda della mediazione, del preverire, del controllo a che le piccole non facessero qualcosa o non dicessero la tal parola che poteva scatenare ira tempestosa con volo di piatti e parole irripetibili. I primi anni facevano anche pace con ritorno di fiamma, e la nostra felicità ritornava, poi la loro distanza di fece cronica e si abituarono solo ad un linguaggio ostile.
Chiedo scusa per essere andata in tali scene, e anche ai miei genitori; per me non esiste la colpa, e chi può dire che ne avessero se si pensa che c'è sempre un valido motivo per cui si cresce storti, c'è sempre un bambino poco amato o scioccato, o se vogliamo educato male, dietro chi sbaglia, pure con chi non ti ha fatto nulla. Anche io ho fatto del male, all'essere che amo di più, che non aveva chiesto di nascere in una famiglia per vedere separati i genitori. Eppure ho imposto a mia volta, ovviamente a mio figlio.
Amen come dice mia sorella, come dire con pazienza reset. Questo paradiso man mano sta svanendo,la prossima volta vedo di farvi una sosta magari senza divagare. Infondo ci sarà pure un motivo che mi porta a volere prendere contatto coi momenti migliori dell'infanzia, forse mi aspetto un reflusso, ma benefico, non so come dirlo meglio...

Grazie a coloro che leggendomi in qualche modo mi aiutano nel frattempo ad alleggerire il fardello che ne viene fuori. Fortunato chi non ne ha.

Ultima modifica di webetina : 05-01-2011 alle ore 18.40.25.
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Vecchio 06-01-2011, 02.24.13   #10
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Stasera pensavo ancora di scrivere ma non sono ispirata, ho bisogno ancora di passarvi un pò di lenitivo su quelle ferite che il divagare nell'inferno mi ha procurato, sento male e invece volevo sentire refrigerio. Ci vuole pazienza nelle cose, non so cosa mi brucia di più adesso, forse mi chiedo che differenza passa tra lo scrivere in un diario e scrivere sapendo che altri leggeranno, altri che non vedo e non conosco. L'unica risposta che mi posso dare è che così sono costretta a dare una forma comprensibile e magari nel tentativo di dargliela io stessa per prima comprenderò meglio.
Avevo iniziato con in mente le parole che un amico mi ha scritto citando qualcun'altro : "rielaborare implica il ricordare, il rimanere sui ricordi, il visionarli senza che ciò desti sgomento o fuga, bensì il piacere di un viaggio in cui non serve altro che curiosità viva e interesse".

Ma poi le cose riescono sempre in modo diverso da come è descritto sia più giusto farle. Quindi umilmente mi fermo e aspetto che il sonno porti via uno stato d'animo e mi restituisca domani nuova freschezza e nuovo entusiasmo per continuare sia il viaggio che la condivisione. Notte
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Vecchio 06-01-2011, 08.26.39   #11
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Poche ore di sonno ma è passata. le mie dita mi hanno riportato alla tastiera. Felice giorno.


Continuando, detto fatto la mamma cominciò le sue settimane via a lavorare, non ho ricordi di questo periodo, nessuno in particolare, credo tutto si svolgesse come prima. Stavamo a piano terra, si usciva subito in strada che per circa un anno fu chiusa al traffico per via della ripavimentazione, toglievano le basole in pietra lavica e mettevano dei mattoni piccoli , grigi. Un paradiso provvisorio fu così istallato a disposizione di tutti i ragazzini del quartiere, mi bastò seguire mio fratello, più grande di me, per farne presto luogo di allenamento per tutta la lunga estate. Finito il lavoro gli operai andavano via e c'erano ore a sufficienza per fare di tutto e di più. Feci la monella spericolata, ci eravamo dati tutti alla pazza gioia. Ci si rotolava sui monti di sabbia, si saliva e si scendeva, ci si spingeva a vicenda giù, si scavano fosse, si facevano i salti a chi arrivava più lontano. Tutti con le ginocchia sbucciate di fresco, i gomiti pure, e i glutei ammaccati, eravamo sempre lì. Passando le settimane i lavori si spostavano più giù rispetto alla porta di casa, ma lentamente, e per un pò io potei seguirli, poi, solo mio fratello che chiaramente aveva più libertà di stare incustodito. Mio padre guidava gli autobus di linea, tornava a sera, e la nonna , sua madre, era molto permissiva pur non lasciandoci mai sole. Le mie sorelle non mi ricordo che cosa facessero, ma credo che ne godettero anche loro un pò, ma non sto a chiedere adesso, vado di fretta, i pensieri premono, scorrono numerosi e si accavallano le sensazioni che mi suscitano nel petto, hanno il timore di essere ignorati prima che ne spuntino altre. La cosa più interessante però erano i mattoni, compatti e manegevoli, molto meglio delle costruzioni giocattolo, erano pane per i miei denti, non solo la fantasia era all'opera, ma potevo cimentarmi in vere piccole abitazioni, vi stavamo poi infilate come i cani nelle cucce, con non so cosa mettevo a mò di tetto, qualche tovaglia di sicuro, e la mia indole di nidificatrice mi portava a completare con ciotole e viveri che prendevo da casa. Si mangiava, sistemavo le sorelle, davo loro il pasto e queste poverine mi assecondavano come fosse normale tutto ciò, non le dovevo pregare molto, per altre cose si, tipo infilarsi in uno scatolo per fare le neonate quando si doveva stare in casa, e ciucciare da vecchi biberon acqua e zucchero. Comunque quei mesi furono importanti, un bambino potrebbe non essere più lo stesso dopo, una situazione impagabile in un momento storico di crescita a vista d'occhio, i palazzi appena dietro il centro storico crescevano come i funghi all'inizio negli anni settanta, e benedico la nonna A che come una guardiana missionaria vegliava, così come ci richiamava, mentre riusciva pure a non stare con le mani in mano; se non cucinava , lavava e cuciva per noi, le favole attorno al braciere erano per l'inverno, nei lunghi pomeriggi in casa. Paradisi unici, nessuno era più bello dell'altro, perchè il paradiso è totale, completo e bastevole.
Quando la strada fu finita, ma ancora le macchine non transitavano qualche volta potei provare una ebbrezza speciale sistemata dietro mio fratello sulla tavola con ruote piccole e molto dure, il " carriolo". Era un pò pericoloso, lui ad un certo punto per frenare in discesa era abile a girare a sinistra, la strada era larga e riusciva, a volte venivamo rovesciati a terra, ma non era male , anzi era più divertente, questo però lo facevo di nascosto. Ora che ci penso erano tante cadute temerarie...

Amen, è stata tutta una scarica di emozione pura senza invasioni, devo resettare anche questo, non so dove sistemerò tutto il calore che sento tra il petto e lo stomaco. Posso ancora dormire, è festa, spero si diffonda beneficamente, tutto in un posto non si può tenere. Buona Befana, che porti buoni doni, anche ai grandi piacciono, a me sarebbe piaciuto ricevere oggi una macchina fotografica nuova.

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Vecchio 06-01-2011, 17.15.11   #12
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Mi stai dando molte emozioni a leggerti, grazie per condividere con noi le tue esperienze !!!
Buona Befana anche a te, spero che ciò che desideri ti arrivi...

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Vecchio 06-01-2011, 20.43.47   #13
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Cara Stella è un lavoro che sto facendo per me, sapere che piace aggiunge ulteriore motivazione.
Auguro bei doni anche per te

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Vecchio 06-01-2011, 21.22.43   #14
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Vecchio 06-01-2011, 22.31.05   #15
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Vecchio 08-01-2011, 18.20.21   #16
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Sei andata in letargo ma c'è stato l'armistizio, puoi alzarti...


Lo so che ti sei fermata per darmi un pò di respiro, e di questo ti ringrazio ne avevo bisogno, ma desidero che tu continui e giusto per integrare i tuoi ricordi vorrei menzionare l'episodio delle ranocchiette Ile che il nostro spericolato bizarro fratello portò un bel giorno in giardino.
C'era la vasca con i pesci rossi costruita dal papy con la statua a forma di pesce e lo zampillo d'acqua, fra il grande albero di alloro e i prugni bianchi. Così lui pensò bene di portare compagnia ai pesci e farci saltare un pò alla vista di quegli animaletti innoqui ma viscidi.
Le rane felici prima in acqua poi uscirono tutte dirigendosi in ogni parte del giardino. C'erano molti alberi da frutto e i viottoli di asparagi selvatici delimitavano in zone il giardino, era difficile vedere dove si nascondevano ma saltavano tra i piedi da tutte le parti.
Era estate e noi stavamo quasi sempre in girdino a giocare alle comari, gli alberi diventavano le nostre case, così noi gridavamo atterrite e lui rideva e rideva, con quel suo guizzo negli occhi che lo rendeva felice.
Ma poi arrivò mamy più atterrita di noi che in giornata gli fece immediatamente raccogliere tutte le rane e portarle via.
Poverino mi fece quasi pena, era deluso che il gioco fosse durato meno di un giorno.
A lasciarlo fare ci avrebbe portato sicuramente le bisce
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Vecchio 08-01-2011, 20.30.08   #17
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Sei andata in letargo ma c'è stato l'armistizio, puoi alzarti...
Mi prendi per la gola...vediamo se riparte l'ispirazione.
Citazione:
A lasciarlo fare ci avrebbe portato sicuramente le bisce
Ma che poverino! ti ricordi quando la mamma andò ad aprirgli la porta d'entrata e lui da dietro la schiena come fosse un mazzo di fiori uscì la serpe e gliela porse in mano? ci fu la mad scene:
" ahhhhhhhhhhhhhh disgraziatu amaru" *...."u cori mi lassau, staiu murennu" .

E poi lui, così mortificato..." ma...io..non pensavo..."



*(cattivo come il veleno)

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Vecchio 08-01-2011, 21.12.23   #18
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Si me lo ricordo bene, se ne parlò a lungo di questo evento

Ma lui non perse il vizio, superò presto la mortificazione e ridimensionò la serpe sostituendola con lucertole e gechi

Sempre scene mad e strilli d'aquila
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Vecchio 09-01-2011, 14.23.55   #19
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Cerco di riprendere malgrado l'inerzia che mi assale quando incontro un ostacolo. Il bello del gioco è invece che quando non ti riesce lo lasci e ne cominci un altro, e ciò ti è perdonato solo se sei bimba.

Nel periodo del "carriolo" i paradisi erano diversi e in diverse vie.
Il paradiso di via Niccolò si chiamava zio Isidoro, fratello più piccolo della nonna A, sessant' enne a occhio e croce, e credo fosse autistico. Scapolo ed esile di corporatura sembrava un ragazzo vecchio. Aveva forza fisica, specie se si arrabbiava, ma accadeva di rado e solo perchè gli davano molte commissioni da fare, commissioni semplici, vai di quà vai di là, o perchè fumava ( senza filtro). Abitava dietro l'angolo, morta la bisnonna e rimasto solo, la sua casa divenne un laboratorio di invenzioni. Nella loro famiglia erano da generazioni scultori ebanisti catanesi, suo padre, il bisnonno, era morto però cieco quasi in povertà, e alla fine ai lavoranti, i "giuvini" , raccontava la nonna, non potendo più vedere indicava dove scontornare meglio una fogliolina toccandone la superficie di continuo coi polpastrelli. Scappato dalla città con la famiglia pensando che la Spagnola(1918) non arrivasse in provincia, aprì un laboratorio nella cittadina dove abitò e vi rimase, attraversando i periodi delle due guerre, nell'arco delle quali ,soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la committenza del mobile intagliato e scolpito andò scomparendo, e mentre nella città i fratelli che non si erano spostati continuarono comunque a fare opere per le tantissime chiese: arredi, troni, statue e tutto ciò che era legno scolpito, da noi , paese allora meno importante, dicevo si andò trasformando il loro tenore di vita. Non fecero la fame, alla nonna misero su anche un negozio di giocattoli intagliati tutti a mano: salottini con velluto vero, cullette, camere da letto con materassi e corredini ricamati a mano che rifiniva lei stessa. Cavallucci a dondolo, il tavolo con le sedie imbottite in miniatura e tante altre cose che la nonna quando non erano favole ci descriveva accendendo, parlo per me, la voglia, di nuovo come per il presepe, di abitare io stessa quell'atmosfera. Le avrei volute io tutte quelle cose meravigliose e soprattutto funzionali, non avendo mai preferito ciò che non avesse una qualche utilità come le cose degli adulti.
Dicevo a differenza dei parenti di Catania non lasciarono ricchezza, solo quella casa non molto grande che poi mio padre potè riscattare con una cifra modesta. Lo zio quando era poco più di un ragazzino era tornato dal fronte quasi morto, si diceva di paura, magari per la dissenteria penso, e gli avevano accordato una pensione. Col padre nel lavoro era stato piu che altro un garzone e si divertiva ora che era anziano a creare giocattoli meccanici. Mi ricordo di una specie di lente montata in una scatola di legno, con la lampadina, che proiettava delle figure nel muro. Montava piccoli binari dappertutto, ruote, o cuscinetti che appunto avvitati sotto tavole di legno completavano il "carriolo" ; poi lui vi aggiunse vari manubri in quello di mio fratello.Una altra cosa ,che piaceva molto alle mie sorelle era una giostra che facevamo girare azionando una manovella, era fantastica, e tutti e tre comunque andavamo pazze per stare con lo zio.
Non teneva molti soldi in tasca, tutrice era la nonna, però lui li chiedeva per le sigarette e il gelato per noi, o "muciularie"* varie asseconda se era inverno o estate. Anche lui aveva molta pazienza e noi eravamo, insieme al tabacco, credo le uniche cose piacevoli della sua semplice vita.
Ricordo che era più tenero con le mie sorelle, le vedeva di più, anche se non faceva particolarità nel dedicarci il suo tempo facendoci partecipi delle sue invenzioni. La più bella in assoluto fu l'automobile. Prima si sedevano le piccole che di fronte a un giocattolo del genere non sentivano ragione, poi salivo anche io. Ma poi ne fece una a quattro posti, la mettemmo pure in strada, senza freni, con una corda dietro tenuta dallo zio, non andavamo nelle discese in ogni caso. Il bello erano i pedali, c'era la trombetta esterna, quella col palloncino che andava compresso. Il manubrio era preso da qualche ferrari di plastica vecchia, infatti alle due più piccole con mancarono mai le automobili. Io non ne ebbi devo dire, quando furono alla portata di tutti io fui definita ormai grande. Nemmeno la bici ebbi tutta per me, ma questo invece mi pesò abbastanza, mi procurò una vera sofferenza quando la mattina dei morti che da noi sostituiscono la befana il due novembre le bici coperte da una carta regalo erano due e non tre. Sentii per la prima volta il dolore che mi portava l'essere più grande e cresciuta, avrò avuto dodici anni . Chissà quale altra cosa lei mi fece trovare, sapevo già che erano i vivi e non i morti a scegliere, mi sentii non capita, dovetti trattenere il pianto e fingere che si, ero grande; non ero abituata a chiede le cose perchè fino ad allora erano arrivate spontaneamente, non sapevo protestare ma un' acuta frustrazione e invidia verso le mie sorelle mi ricordarono che non ero la preferita della nonna giusta, l'altra di sicuro aveva preso del lino da ricamare per il mio corredo al posto di "inutili"giocattoli, ma avrebbe dovuto comprarmela lei la bici...Paradossalmente ero la maggiore, ma nell' età che avrebbe proprio segnato il passaggio dai giocattoli ad un mezzo che mi avrebbe dato nuovi slanci, mi sarò chiesta come fosse possibile che di colpo si fosse decretato il mio essere adulta! L'anno dopo accadde con le bambole, questa volta piansi a dirotto, e la nonna che di certo non aveva voluto farmi un torto mi portò nelle bancarelle ricche di ogni ben di Dio per l'occasione nelle vie principali e mi comprò un bambolotto che amai molto più degli altri, come una madre quando ha avuto il figlio in tarda età; sapevo che sarebbe stato l'ultimo. Si sicuro una sorta di regressione direi oggi. Presto ebbi modo comunque di abbandonare le bambole classiche, inventai altri modi per fare la piccola mamma. Mi stavo trasformando fisicamente, ma non volevo mollare quel paradiso fatto di diritti e pochi doveri. Lo zio Isidoro sicuramente fu turbato dalle mie sembianze non più di bambina, un pomeriggio che fummo soli rubò un piccolo bacio dalle mie labbra, un tradimento anche questo, si aggiungeva agli svantaggi di quell'addio all'aspetto di fanciulla che porta in se ad essere protetta dagli sguardi impuri. Non andai più volentieri da lui, mi proteggeva la presenza delle mie sorelle, ma non ebbi troppo rancore, lui era ritardato, la nonna lo diceva sempre, lo perdonai senza dimenticare . Sono storie del paradiso terreno, degli uomini, dove è normale che il male faccia le sue retate improvvise e poi si ritiri perché di un paradiso stiamo parlando, e il bene è maggiore. Il bene era ancora grande, perfetto sapevo era quello degli angeli nel cielo, sognavo pure di raggiungerlo di lì a moltissimi anni però.
.........

* muciularie( brioche, cioccolata, caramelle ect..)

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Vecchio 09-01-2011, 19.00.05   #20
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Mi ricordo di una specie di lente montata in una scatola di legno, con la lampadina, che proiettava delle figure nel muro.
Forse non ricorderai che lo zio Isidoro aveva fatto un vero e proprio cinema. Ritagliava le figure dai giornaletti di Topolino, le incollava in sequenza e poi le proiettava per fare il cartone animato.
Era ingegnoso lo zio, con i tappi delle gazzose faceva i fanali degli autobus o camion fatti di legno, poi laccati. Era minuzioso, gli sportelli tutti funzionanti, i sedili, lo sterzo, persino lo specchietto retrovisore.
Poi intagliava i salotti, le camere da letto complete di armadi e poltroncine, e poi le camere da pranzo. Quanti giocattoli.
Non mi dimentico della grande culla bianca dondolante per la mia bambola, con l'asta per il velo. La nonna poi l'ha rivestita interamente con il corredo completo. Un'emozione immensa trovarla il giorno dei morti .
E poi le figurine per gli album che lo zio ci comprava sempre, io ero una piccola tiranna con lo zio che mi accontentava in tutto.
Certo mi è dispiaciuto molto del finale, quando me lo hai raccontato molti anni dopo mi è crollato un pò il mito dello zio.
Si fidavano tutti di lui, a detta della nonna non ebbe mai donne, ma poi chissà.
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Vecchio 10-01-2011, 09.17.03   #21
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In quel periodo la mamma stava per finire il suo lavoro nel negozio della zia, presto sarebbe ritornata. Un giorno di fine settimana tornò a casa dicendo che aveva affittato un casa tutta per noi, non era la casa dell’inferno, passarono ancora tre anni prima che fosse confezionata.
La notizia fu diretta, semplice , un grosso regalo da godere subito, un nuovo pianeta tutto da scoprire, il vecchio ormai era stato vissuto in lungo e largo.
Stavolta prometto sarà solo paradiso…

Di sera ancora dormivo con la nonna P, non sarebbe stato sempre così, quasi subito dopo il trasferimento nella nuova abitazione mio padre mi volle in famiglia. La casa era quasi attaccata a quella di zio Isidoro, prendeva l’angolo, un primo piano, e i balconi erano in fila su due strade. Che meraviglia, ma questo era un palazzo! Una casa antica, anzi vecchia, appartenuta ad un anziano giudice che ora l’aveva lasciata. Questo particolare è interessante , dirò più in là perché. L’acceso era da un portone non proprio importante nella stradina laterale, la scala era per metà coperta e portava su al primo terrazzino, subito all’uscio di casa. Salendo non sapevo dove mettere gli occhi... oltre il muretto della scala, giù, c’era un giardino, ma non sapevo nulla, ne se era il nostro, per intanto volevo vedere la casa. Appena si entrava un ingresso quadrato lasciava a sinistra la cucina e il bagno, dritto invece si accedeva alla stanza da pranzo-studio, poi seguiva la camera da letto, alla quale seguiva un disimpegno che invitava alla nostra stanza la più grande, ad angolo con balconi sulle due strade, e quella di nostro fratello, lo sgabuzzino.
La casa era fredda d’inverno e calda d’estate malgrado i muri spessi, con tutte quelle aperture, però aveva una gran bella luce in tutte le stanze.
Non ricordo i particolari del trasloco, mio padre pensò a tutto, era un uomo pratico, forte, organizzato, mia madre invece si attaccava ai particolari: niente cestino delle carte in sala, non era elegante, niente appendi abiti, cominciava a uscire fuori i suoi gusti sofisticati, la sua mania di grandezza, insomma il mostro dell'ambizione che si stava impossessando di lei. Io fui impegnata nella esplorazione di tutti gli angoli dell'abitazione compreso il giardino che mi sarà apparso come un eden vergine incontaminato da colonizzare. Il giardino quindi era nostro, vi si accedeva dall’entrata giù, subito a destra prima dell'invito alle scale e guarda caso attraversando un tunnel in pietra; che cosa pazzesca per una mente come la mia che tutto questo la riportava ai meandri misteriosi dei castelli con le principesse. Una grande palma subito dopo il passaggio, si girava a sinistra e si contavano alberi per ogni frutto che nel clima temperato non lontano dal mare trovasse giusto habitat e resistenza, un frutteto veramente ben fatto. Vi erano il mandarino, l’arancio, il pero, l’albicocco, due grandi pruni neri e quello bianco, due alberi di fico, incedibile il melograno che mi ricordava la poesia , dai bei vermigli fiori, un frutto per me buono raro e originale, mi sembrava una sorta di gioiello, e poi l'alloro. C'erano felci, calle, rose e i vialetti erano disegnati dai cespugli di asparagi; quelle sarebbero state le strade nel futuro villaggio che non solo immaginai....Le case di Peter Pan sugli alberi furono al primo caldo le nostre residenze estive, o forse meglio dire alla Tarzan. Non sto a dare i nomi alle cose dalle quali prendevo ispirazione, era un immaginario misto, che mi spingeva a montare e smontare e cambiare le situazioni come meglio mi andava.
E qui vorrei aprire un parentesi sul potersi concedere una attività, sia essa un gioco, un lavoro o altro che ti piaccia e ti realizzi. Potere avere cioè una situazione appagante per tutto il tempo che si vuole con ostacoli possibili da superare.
Nella vita di tutti i giorni è difficile potere godere di questa condizione, come credo che in genere invece un pò tutti i bambini lo possono sperimentare. E quì credo stia tutto il nocciolo del disagio enorme che mi sono portata e in parte mi porto ancora nel vivere successivamente la mia vita da adulta fatta di molti doveri e costrizioni. Se fossi nata uomo avrei avuto maggiore vantaggio, infatti l'unico che si è realizzato bene nella professione è stato il figlio maschio. Anche lui come me ebbe stimoli straordinari e libertà lungamente perpetrata, perchè certo riuscì solo fregandosene dell'ansia e delle botte che si prendeva quando spariva giornate intere a esplorare i numerosi cantieri edili in mezzo ad una tenuta anch'essa non meno interessante, oggi tutta cementificata, attaccata al cuore del paese, che aveva confine nella distante strada ferrata, tutta leggermente in discesa verso il mare la cui vista non si perdeva mai. Condizioni uniche , che oggi i nostri figli nemmeno si sognano. Poche macchine, niente pericolo droga, un maggiore contatto con la natura che di per se già solo col verde in abbondanza che ha, colore indispensabile all'uomo più di ogni altro, rende l'essere più in armonia con se stesso. Il correre, niente cibo spazzatura, le emozioni fisiche più abbondanti di quelle mentali, sono convinta che restituirono personalità più complete e ricche di cui oggi non vedo esempio altrettanto forte ne in mio figlio ne nei miei nipoti. Poi col tempo non so. Non vorrei risultasse il solito discorso "ah una volta era meglio" . Sto solo considerando com'è che nella mia generazione ho visto persone che hanno avuto anche grande capacità di esprimere se stessi a diversi livelli, malgrado l'epidemia abbattutasi tra noi delle separazioni tra le coppie. Se fossi stata uomo, e ammesso che sulla strada che non ho percorso non fosse caduto un fulmine, di sicuro mi sarei realizzata meglio, non avrei penato così tanto per un maggiore equilibrio. Anche mio fratello è passato come noi sorelle per lo stesso clima violento da un certo punto in poi nella nostra famiglia, ma non dovette lottare per studiare, non si occupò mai di lavare e stirare, e poi cucinare tutti i giorni come noi donne. E la storia è stata questa, la donna della mia generazione e del sud non ha mai smesso di fare il doppio, il triplo lavoro, perché metto in conto anche la maternità. Al nord la donna ha lavorato prima di noi al sud, molto prima, ma per quello che ho visto, gli uomini vivono le incombenze di casa in modo normale. I mariti da tempo fanno la loro parte in casa. Ora per fortuna è diverso anche da noi, le nuove coppie, magari si sposano meno, ma sentono parità di diritti e di doveri anche nei doveri domestici e con i figli piccoli, e ciò cambia molto la condizione della donna, che di fatto sta assolutamente meglio con se stessa se non allargo il discorso ad ambiti come il lavoro, ma le cose non sono rose e fiori nemmeno per l'uomo lì.
Doveva essere solo paradiso stavolta, scusate, la parentesi voleva essere solo una considerazione, ma si è imposta mentre mi ero immersa in quel meritevole giardino. Riprenderò le vicende di quel paradiso che fu questa casa .
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Nella casa più su presentata, trovai la mia dimensione per intero, stavo in un solo posto, e poi la convivenza con la nonna P mi aveva segnato negli ultimi mesi. La malattia che l'avrebbe fatta morire dieci anni dopo, aveva messo in ginocchio il suo corpo e il suo spirito, e anche la mia resistenza a starle vicina e ad accudirla ,sebbene fossero piccole cose, in quel mare di sofferenza che la vita le aveva destinato.Alla fine avevo solo undici anni...
Scoprii che poteva capitare a tutti, anche ai bambini, ne vidi nelle corsie, e ne parlavano di continuo i grandi, che allora non avevano molta sensibilità. Fu mio padre, dicevo, che mi tolse alla nonna, ed era meglio l'avessero fatto in tempo però, le basi su cui atterravano i paradisi furono irrimediabilmente compromessi, ma il danno fu coperto in qualche modo, a quell'età si cerca di dimenticare presto.

La nuova casa era tutta un teatro, dove non era giardino era terrazzo, e quando era freddo la tranquillità della stanza in fondo, la nostra, era indisturbata. Non so nemmeno da dove cominciare, innanzitutto fu mia la scelta di come disporre i letti, due in una parete con le pediere in mezzo alla stanza e uno di lato a ridosso della parete opposta. Coricate potevamo vederci e parlare, un balcone vicino al mio letto e uno nell'altra parete, su due strade. Le tende che non avevamo avuto davano un senso di importanza, e di sera a luce spenta, le intravvedevo e mi sembravano bellissime. Quei tetti alti a volta erano eleganti. Poi mi stancavo e univo i due letti, magari dormivamo in tre e la nonna ospite nel lettino di fronte. Ogni sera aspettavo il sonno ripassando ancora e pensando a cose che domani avrei fatto, oppure immaginavo animati i personaggi delle favole che leggevo.
Di giorno dirigevo la baracca gioco e studio, poco studio, di continuo. I giochi senza frontiere li guardavamo con la faccia a terra nel balcone , giù nella tv della vicina; allora si tenevano le porte aperte d'estate anche se era piano terra, e i vicini si sedevano davanti l'uscio e ogni tanto si scambiavano delle parole. Noi avevamo la tv ma era in cucina. Libri di favole rendevano interessante gli intervalli, anche corde per saltare, cerchi, sottane e veli per ballare ogni santo giorno. I ruoli indossati erano i piu svariati, ma i più gettonati erano moglie e marito, mamma e comari, mamma e figlio in braccio. Questo ruolo in particolare era il preferito, dicevamo tutte le cose che sentivamo dai grandi: “devo dare il latte al bambino”, “ uh, ora torna mio marito!” , “comare mi presta il sale? “.Tra un ruolo e l'altro c'era sempre il ballo, a volte anche il canto.
La mia curiosità era incessante, occupandomi anche di rassettare la casa conoscevo ogni cosa, una volta notai che i salsicciotti che coprivano le fessure delle porte a terra erano stranamente imbottiti, ne aprii uno e tirai la punta di un indumento: era un vestitino da neonato, poi un altro, un altro ancora, poi delle calze, cappottini, camicine, di tutto insomma, lì vi erano cresciuti due maschietti, ed io potevo impazzire...chiamai le mie sorelle: “guardate, possiamo vestire i nostri figli”, e potreste pensare che fossero le bambole, e ci provai, ma erano troppo larghi, non so quando concepii l'idea della borsa dell'acqua calda, vestita coi panni veri di un bambino lo sarebbe sembrato di certo! Più morbida, seguiva meglio i movimenti per aderire al nostro grembo. Che sensazione di pienezza, mi sentivo una vera madre...Le bambole anche , era una la borsa, forse facevamo a turno.
Da lì passai a mettere i vestiti dentro la gonna, ecco tutte col pancione! Appena la mamma arrivava...giù il malloppo, di colpo secche di nuovo! il bello è che incinte in quel modo stavamo con le mani sulla schiena, cioè io, loro mi imitavano, perchè si vede che osservavo molto le donne adulte, le mamme. Madre mi appassionava tantissimo, ero maestra in maternità.
…...

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Vecchio 14-01-2011, 13.26.44   #23
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Stavo sempre in cerca di nuove emozioni. Non è che non facessi cose che fanno tutti, certo studiavo anche, andavo a messa, guardavo la tv, potevo anche io dover lavare a mano la biancheria prima della lavatrice che arrivò presto per fortuna. Ma paradiso era altro, erano emozioni, lo scoprire nuove cose, nuovi oggetti, nuovi movimenti. La casa si prestava a una varietà di cose nell'intervallo che la abitammo, dai miei dodici ai quindici anni; noi figli ce la godemmo come meglio non si può, e ogni tanto avevo nuove idee per darvi look nuovo.
Mia madre non mi ricordo in che modo era presente nelle faccende di casa, noi si faceva ciò era nelle nostre possibilità, e la nonna mi dava un occhio. Le mie sorelle più che altro eseguivano ordini : "prendi questo, prendi quello, portalo di là...
Spesso trovavo dei modi più simpatici per pulire casa, specialmente quando le stanze cominciavano a esigere tutte una riordinata. Amavo fare i grandi lavori, la soddisfazione era maggiore. Dopo che convincevo e motivavo per bene le ragazzine, si cominciava nel primo pomeriggio una volta sole, e si finiva a sera prima del rientro di mamy. Una di queste volte calcolai male i tempi e la quantità di sapone. Dopo avere fatto il letti, avere scopato le stanze e lavato piatti e bagno, mi venne la felice idea di sbiancare il pavimento; era in marmo tipo scaglia. Alzammo sedie e coperte , buttai a terra una bella quantità di sapone, forse Ava della biancheria(ava come lava... di Calimero) e cominciammo a strofinare con le scope, con gli stracci, a lungo. Fu un divertimento, il premio in soddisfazione sarebbe stato troppo bello, perchè è vero che disordinavamo ma la casa in ordine era il mio ideale. Anzi la casa perfetta lo era.
Lava che ti lava, al momento di sciacquare riempimmo i secchi di acqua che cominciammo a buttare per terra, con cautela si, per non bagnare tutto. Non ne uscii più, un lavoro immane! Si fecero le otto e mia madre tornando dal negozio cominciò da lontano a vedere l'acqua con la saponata nella strada, e poi che usciva dal nostro portone ovviamente, e nella scala un mare di acqua e schiuma ancora. Non fu di certo benevola, non alzava le mani, ma colpiva con gli apprezzamenti ...cioè con gli epiteti: " capuriuna ranni" ovvero capobanda maggiore(la grande delle sorelle), e l'immancabile "disgraziatuna amara" ; " comu putisti(come hai potuto)" , "cu tu dissi? (chi ti ha detto di farlo!)", ma le maschere che indossava il suo viso erano quelle che erano peggio delle condanne a morte, mi sentivo condannata al disprezzo e alla disapprovazione totali, peggio di una merdaccia insomma!...Lei non amava il mio osare, il mio sperimentare, ci voleva mummie, tutta colpa della nonna che ci lasciava fare... Non faceva casino sempre, ora capisco che fondamentalmente era ansiosa e preferiva stessimo immobili senza fare niente per evitarle fastidio. Non faceva casino sempre, anzi, era molto presa dal suo successo nel lavoro. La cosa più importante per me era quindi non farle vedere nulla per quanto mi era possibile.
Quante volte si usciva dalla nostra stanza e il fumo di pollo più pentola bruciati ci investiva come un proiettile. Mi, investiva, e la mente piu che i sensi; subito pensare a come rimediare, ero io che dovevo badare al pranzo quel tale giorno. Porca miseria quante cose ho lasciato bruciassero, quante pentole buttate, quante volte ricorsi alla nonna perchè ricomprasse i piselli, la carne...oppure quante altre volte mi dovetti sentire un mer....ccia. Tanto era inutile, rendere me una mummia era impossibile, avevo la memoria corta e la passione lunga.
Quella volta dormimmo con tutta con la casa bagnata, ma l'indomani il pavimento mi sembrava così bello...
Un'altra volta decisi che la nostra stanza doveva essere al massimo della perfezione. Volevo invitare le compagne di scuola, ero già al primo liceo. Mettemmo ordine, staccai le tende, le lavai e poi comprai la cera Liù. La vedevo in televisione, immaginavo quello specchio a terra e i pattini di panno. Coinvolsi le piccole, che mi aiutarono. Passammo il liquido, lo lucidammo con i maglioni vecchi e le ginocchia sul pavimento; erano belle queste imprese, iniziative nascoste ovviamente. Era un piacere una volta finito, guardammo soddisfatte, le facevo entusiasmare, mancavano solo le tende per completare l'opera. Era domenica e chiesi a mio padre il favorino di appenderle lui . Prese la scala, che non era a forbice, ma una fila di pioli , tutta di legno, alta. Il tetto era alto pure. La poggiò al muro al di sopra della porta e vi sali sopra, non appena alzò le braccia con la tenda, la scala comincio a scivolare e in un attimo mio padre fece un tonfo a terra. Mannaggia, non ci voleva, una calamità, questo non lo avevo previsto. Mentre si alzava da terra un pò ammaccato mi guardò e disse : " hai messo la cera tu?" . Io dissi no , come potevo dire si... Tea invece si ricorda che guardò anche lei me, timorosa, pensando a che fine avrei fatto io piu che al male che si era fatto mio padre. Lui si alzò e arrabbiato andò a cercare la latta, era un po nascosta fuori, la buttò dicendo che era stato stupido fargli mettere la scala dopo avere cerato all'insaputa. Beh, questo in sintesi... Aveva tanta ragione, il sangue mi si era fermato, e a seguire si era anche raggelato all'urlo di mia madre. "ahhhhhhhhh... chi fu? chi successi? ..." la cera"...Non dico altro che nemmeno ricordo, non furono botte, ma poi, la sera, nel letto, in un deserto sperduto privo di fantasia, l'idea e lo stato d'animo che affioravano erano di cambiamento radicale, nel buio, e mentre gli altri dormivano, mi dicevo che ora basta, dovevo essere migliore, niente più gioco, ne scherzi, ne fare disperare i miei, basta per sempre giocare, dovevo comportarmi da adulta, e quanto mi dispiaceva quella volta che mio padre ignaro fosse caduto. Ma quanto mi sentivo triste e infelice, le mie sorelline mi sostenevano sempre, mi amavano tanto, ma in quel momento io non lo sapevo che quel male che sentivo così radicale e pervasivo, insieme ai buoni propositi, poi passava.



....

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Vecchio 14-01-2011, 13.52.34   #24
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Si Gry, hai ragione, la nonna fu meravigliosa, forse scrivo perchè lei desidera essere ricordata ancora un pò, chi lo sa...
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