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Vecchio 24-12-2006, 03.11.24   #1
Ray
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Predefinito successi e fallimenti

Avevo pensato di metterla in psicologia col titolo "sensi di colpa" anche considerando che prende un aspetto complementare di "aspettative", però è anche un discorso "energetico" e si collega forse di più con "le avversità".


Quando cerchiamo di fare qualcosa siamo mossi da un'intenzione, un risultato da ottenere. Questo almeno nella misura in cui siamo un minimo svegli e non ci limitiamo a quel fare che è reazione ad impulsi, esterni o interni che siano... che è in realtà un non-fare.

Ci poniamo un risultato e elaboriamo un modo per raggiungerlo e fin qui non è tanto difficile (le sbagliate elaborazioni dipendono secondo me da sotterranee aspettative di fallimento). Quello che è difficile è fare davvero tutte le "mosse" che ci siamo prefissi per ottenere il risultato e anche farle al meglio delle nostre possibilità.

Una volta terminato il nostro tentativo, che sia per esaurimento delle mosse o per resa, il risultato può essersi verificato o meno. E noi, di solito, in base a questo parliamo di successo o fallimento.

Se però le cose stessero davvero così, dovremmo sentire soddisfazione di fronte ad un successo e delusione di fronte ad un fallimento.
Invece è raro che accada. Capita invece non raramente di non provare soddisfazione anche se una certa cosa ci è riuscita e di non provare delusione se non ci è riuscita.

Questo avviene, a mio modo di vedere, per via del fatto che alla fin fine non conta molto se otteniamo quello che era lo scopo iniziale o quello che credevamo esserlo, ma conta come abbiamo agito... come nel senso di qualità.

Se io faccio davvero tutto ciò che è in mio potere, per quanto limitato sia, per ottenere qualcosa e non ci riesco, sarò soddisfatto lo stesso...
Se anche ottengo ma senza sforzo sentirò una specie di delusione-noia-disinteresse-addirittura fastidio verso il risultato...
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Vecchio 24-12-2006, 10.46.42   #2
'ayn soph
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il concetto è chiaro e ben sviluppato.
il collegamento al fatalismo in questo discorso appare però evidente.

se si fanno le cose con slancio ma soprattutto con la voglia di arrivare ad un risultanto nel quale immedesimarsi, è chiaro che poi, passato quell'istante di "euforia" tutto ritorna nella "normalità" e perfino nella noia.

ora se si vuole mantenere un giusto equilibrio tra l'enfasi del raggiungimento dello scopo e il fatalismo, bisogna avere chiara la strada che si sta percorrendo e non soffermarsi troppo in quello che può essere un rifornimento di carburante o un bisogno fisiologico.
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Vecchio 24-12-2006, 13.46.47   #3
Ray
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Ti ringrazio per i complimenti, ma forse il concetto non è esposto così chiaramente. Infatti è proprio dal fatalismo che volevo allontanarmi.

Quel che mi interessava sottolineare è il fatto che, se noi riusciamo ad impeganrci davvero fino in fondo in quel che tentiamo scopriamo che il risultato non è determinante, non influisce molto sul rapporto con noi stessi... che il senso di successo o fallimento non deriva molto, non deriva SOLO dal risultato.

Purtroppo, quando ci poniamo un obiettivo, quasi mai siamo in grado di perseguirlo davvero, con tutti noi stessi, ma accade che presto o tardi subentrano altre parti di noi che ci fanno deviare, o deviano l'intento.
Questo subentrare possiamo anche chiamarlo "avversità"... ma spesso le avversità sono interne.

Come dire che, quando progettiamo come arrivare ad un obiettivo, tenere conto delle avversità esterne è necessario ed è necessario agire nonostante quelle (e magari sfruttandole), ma è altrettanto necessario tenere conto di quelle interne, delle avversità che noi stessi rappresentiamo, di quanto riusciremo ad opporci a Noi Stessi... e qui, ancor maggiormente, agire nonostante e sfruttarle, se si può.

E' solo se si è agiti così che si arriva sempre al successo, obiettivo raggiunto o meno (lo so che è un concetto insolito e forse ancora non si capisce...)
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Vecchio 24-12-2006, 15.13.58   #4
'ayn soph
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Predefinito piani

lo spirituale e il mentale, trascendono quello fisico e quindi
nell'attuare il presente, se siamo coscienti dei primi due aspetti
allora avremo "successo" e sembrerà naturale.

diversamente siamo soggetti e del mondo esterno e di quello interno.
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Vecchio 25-12-2006, 19.41.35   #5
Sole
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Banalmente si potrebbe dire che l'importante è partecipare, non vincere.
Eppure quel partecipare fa si che nell'impegno che si mette non ci sia solo competizione e dimostrazione di potere o di forza, ma ci sia il completo impegno di tutti noi stessi, nelle sue varie manifestazioni e discordanze.
Tutti i nostri vari "io" impegnati a realilzzare un progetto, magneticamente uniti verso...
Soddisfare se stessi nn vuol dire vincere contro altri, probabilmente neppure contro se stessi, non siamo noi il nemico, vuol dire riempirsi di una forza attiva data dallo sforzo messo e dall'impegno imposto a se stessi nello scegliere e poi nell'agire.

Fintanto che l'impegno messo in qualcosa sarà stimolato dall'esterno, dal dimostrare ad altri o dal fare allo scopo di.. nn sarà possibile riempire il proprio essere di soddisfazione. L'agire deve essere un piacere, un gioco cosciente anche se faticoso.

Dicevano gli Esseni qui
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Vecchio 26-12-2006, 03.53.50   #6
RedWitch
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Originalmente inviato da Ray Visualizza messaggio
Purtroppo, quando ci poniamo un obiettivo, quasi mai siamo in grado di perseguirlo davvero, con tutti noi stessi, ma accade che presto o tardi subentrano altre parti di noi che ci fanno deviare, o deviano l'intento.
Questo subentrare possiamo anche chiamarlo "avversità"... ma spesso le avversità sono interne.


Come dire che, quando progettiamo come arrivare ad un obiettivo, tenere conto delle avversità esterne è necessario ed è necessario agire nonostante quelle (e magari sfruttandole), ma è altrettanto necessario tenere conto di quelle interne, delle avversità che noi stessi rappresentiamo, di quanto riusciremo ad opporci a Noi Stessi... e qui, ancor maggiormente, agire nonostante e sfruttarle, se si può.
Quando ci poniamo un obiettivo, qualunque, esso sia, ci si porranno davanti avversità esterne (paradossalmente a mio avviso più semplici da governare rispetto a quelle interne), che ci allontaneranno da esso, ma soprattutto, la nostra incapacità di andare dritti al punto, le altre parti di noi come hai detto tu, che si opporranno.. per esempio dopo un iniziale entusiasmo, potrei scoprirmi annoiato mentre cerco di perseguire l'obiettivo, oppure spaventato, o mille altre cose, "scuse" che mi allontanano dall'obiettivo.
Dunque, lo sfruttare che intendi tu, dovrebbe essere una spinta cosciente verso l'obiettivo, anche se mi annoio, ho paura o quantaltro, faccio uno sforzo per raggiungere ugualmente l'obiettivo che mi sono prefissato in modo che come ha detto Sole:

Citazione:
Tutti i nostri vari "io" impegnati a realilzzare un progetto, magneticamente uniti verso...
Con lo sforzo cosciente dunque, posso fare in modo che tutti i "piccoli io" convergano almeno temporaneamente , se riesco a tenere "legati" insieme i vari io che tentano di deviare , di allontanare dall'obiettivo.. nel tempo che impiego per realizzare l'obiettivo, avrò creato il centro magnetico.. che dovrei mantenere; quell'Ego ben formato al posto dei piccoli io che scappano da ogni parte ..
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Vecchio 26-12-2006, 13.13.44   #7
Uno
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Originalmente inviato da 'ayn soph Visualizza messaggio
lo spirituale e il mentale, trascendono quello fisico e quindi
nell'attuare il presente, se siamo coscienti dei primi due aspetti
allora avremo "successo" e sembrerà naturale.

diversamente siamo soggetti e del mondo esterno e di quello interno.
Non è il punto focale del discorso... ma possiamo essere coscienti dei primi due prima di essere completamente coscienti del terzo?
Scusa se sottilizzo ma c'è un'ampia corrente che si aliena dalla reltà cercando un trascendentale che senza base non può essere il trascedente di niente
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Vecchio 26-12-2006, 22.11.53   #8
stella
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Io penso che quando tutto il nostro essere tende con tutte le sue forze verso un obiettivo, non c'è un confine preciso tra la sfera spirituale, mentale e fisica.... questo però quando l'obiettivo che vogliamo raggiungere è veramente importante per noi, intendo dire che quando si tende con tutte le nostre forze (tutte) a qualcosa è probabile che riusciamo ad arrivarci, sempre che sia un obiettivo possibile.... ed è come se le nostre forze si moltiplicassero...
Se poi non si arriva all'obiettivo non penso che si possa parlare di fallimento, perchè noi ce l'abbiamo messa tutta... e comunque ci saremo avvicinati all'obiettivo.
Gli ostacoli che si frappongono tra noi e la meta, interni o esterni che siano, potrebbero diventare degli ulteriori stimoli....
Se invece siamo noi che ci ostacoliamo da soli vuol dire che non vogliamo quella cosa con tutto il nostro essere.... ma forse solo per dimostrare qualcosa a qualcuno o a noi stessi...
C'è una frase che mi sembra riassuma questo discorso: “Volere è potere” quindi in gran parte dipende da noi e dalla nostra volontà, la quale ci fa puntare dritti all'obiettivo.

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Vecchio 26-12-2006, 23.47.57   #9
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Ti ringrazio per i complimenti, ma forse il concetto non è esposto così chiaramente. Infatti è proprio dal fatalismo che volevo allontanarmi.

Quel che mi interessava sottolineare è il fatto che, se noi riusciamo ad impeganrci davvero fino in fondo in quel che tentiamo scopriamo che il risultato non è determinante, non influisce molto sul rapporto con noi stessi... che il senso di successo o fallimento non deriva molto, non deriva SOLO dal risultato.

Purtroppo, quando ci poniamo un obiettivo, quasi mai siamo in grado di perseguirlo davvero, con tutti noi stessi, ma accade che presto o tardi subentrano altre parti di noi che ci fanno deviare, o deviano l'intento.
Questo subentrare possiamo anche chiamarlo "avversità"... ma spesso le avversità sono interne.

Come dire che, quando progettiamo come arrivare ad un obiettivo, tenere conto delle avversità esterne è necessario ed è necessario agire nonostante quelle (e magari sfruttandole), ma è altrettanto necessario tenere conto di quelle interne, delle avversità che noi stessi rappresentiamo, di quanto riusciremo ad opporci a Noi Stessi... e qui, ancor maggiormente, agire nonostante e sfruttarle, se si può.

E' solo se si è agiti così che si arriva sempre al successo, obiettivo raggiunto o meno (lo so che è un concetto insolito e forse ancora non si capisce...)
Ancora più banalmente si potrebbe dire che " non è tanto importante DOVE si arriva, ma COME si arriva ".
Mi pare di notare che se da un lato questo " operare " (o modo di porsi) mantiene un centro magnetico, dal quale si può agire mantenendo salda una certa azione, dall'altro questo è generata dallo scontro derivante dalla collisione tra avversità esterne con quelle interne.
Insomma tenere conto, per arrivare ad uno scopo, delle avversità esterne ed anche interne sfruttandole, è il motore che spinge al raggiungimento di questo, tant'è che da tale dinamica si sprigiona l'energia " adatta " alla competizione - se vogliamo anche con Se Stessi - grazie alla quale viene fornita la possibilità di gioire della qualità del comportamento a prescindere dalla realizzazione di detto scopo...
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“Non deve essere l’alba di luce che deve iniziare ad avvisare la tua anima di tali doveri giornalieri e dell’ora in cui gli incensi devono bruciare sui fornelli; è la tua voce, solo lei che deve chiamare l’alba di luce e farla brillare sulla tua opera, alfine che tu possa dall’alto di questo Oriente, riversarla sulle nazioni addormentate nella loro inattività e sradicarle dalle tenebre in cui versano.”
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Vecchio 27-12-2006, 00.37.35   #10
Haamiah
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Ogni volta che ci poniamo un'obiettivo per poterlo raggiungere dobbiamo mettere tutto il nostro intento ed è certo che se l'intento è più forte delle avversità, sia interne che esterne, che si frappongono tra noi e l'obiettivo che vogliamo raggiungere, prima o poi vedremo materilallizzarsi davanti ai nostri occhi ciò che abbiamo pensato e voluto con tutti noi stessi.

Se accade che ci sia però una caduta di Volontà la meta può non venire raggiunta, altre volte pur cadendo e deviando si riesce a raggiungere comunque l'obiettivo, quindi è evidente che nella caduta di volontà vi è una sorta di 'margine di tolleranza', che non si può certo quantificare, ma superato quel margine l'insuccesso è certo.

Un'obiettivo potrebbe anche non essere raggiunto appieno ma solo parzialmente, e se in tal caso saprò che mi sono comunque impegnata dando il mio massimo, concordo con Ray quando dice
che potrò comunque sentirmi soddisfatto.
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Vecchio 27-12-2006, 01.05.24   #11
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sintesi: l'agire cosciente non ha bisogno di compimento
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Vecchio 27-12-2006, 01.11.14   #12
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l'agire cosciente non ha bisogno di compimento
niente da dire. Volevo solo ripeterlo.

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Vecchio 23-06-2008, 13.41.02   #13
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Originalmente inviato da stella Visualizza messaggio
Io penso che quando tutto il nostro essere tende con tutte le sue forze verso un obiettivo, non c'è un confine preciso tra la sfera spirituale, mentale e fisica.... questo però quando l'obiettivo che vogliamo raggiungere è veramente importante per noi, intendo dire che quando si tende con tutte le nostre forze (tutte) a qualcosa è probabile che riusciamo ad arrivarci, sempre che sia un obiettivo possibile.... ed è come se le nostre forze si moltiplicassero...
Se poi non si arriva all'obiettivo non penso che si possa parlare di fallimento, perchè noi ce l'abbiamo messa tutta... e comunque ci saremo avvicinati all'obiettivo.
Gli ostacoli che si frappongono tra noi e la meta, interni o esterni che siano, potrebbero diventare degli ulteriori stimoli....
Se invece siamo noi che ci ostacoliamo da soli vuol dire che non vogliamo quella cosa con tutto il nostro essere.... ma forse solo per dimostrare qualcosa a qualcuno o a noi stessi...
C'è una frase che mi sembra riassuma questo discorso: “Volere è potere” quindi in gran parte dipende da noi e dalla nostra volontà, la quale ci fa puntare dritti all'obiettivo.

Sono d'accordo con quanto scrivi Stella,aggiungo una cosa che credo sia inerente..il non attaccamento,cercare la giusta distanza da tenere sia dal fallimento che dal successo,nel senso che entrambe le cose non devono essere l'obiettivo,quanto dare il meglio di sè.
Questo per me è il reale successo,qualcosa in cui ci metto tutto quel che ho non potrà mai essere un fallimento,comunque vada.
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Vecchio 24-06-2008, 09.36.23   #14
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Sono d'accordo con quanto scrivi Stella,aggiungo una cosa che credo sia inerente..il non attaccamento,cercare la giusta distanza da tenere sia dal fallimento che dal successo,nel senso che entrambe le cose non devono essere l'obiettivo,quanto dare il meglio di sè.
Questo per me è il reale successo,qualcosa in cui ci metto tutto quel che ho non potrà mai essere un fallimento,comunque vada.
Concordo, qualsiasi cosa intraprendiamo mettendoci tutto noi stessi, comunque vada, è un successo personale.

Infatti il successo è l'esito delle azioni che sono state intraprese, mentre il fallimento è l'aver mancato in qualcosa...

L'assumere un certo distacco emotivo sull'esito delle proprie azioni è una cosa molto saggia, così si evita di soffrire troppo in caso di fallimento e di vedere sempre il lato positivo in quello che si fa.

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