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Vecchio 30-04-2010, 18.14.22   #1
Ray
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Predefinito Elaborare un lutto

Ne abbiamo certamente parlato in più discussioni, ma dalla ricerchina che ho fatto non ce n'è una specifica.

Già la frase dice molto... il lutto è qualcosa che si deve elaborare. Ma sempre? E perchè si deve farlo? Chiaro che le due domande sono connesse, dal perchè si potrà stabilire se è per forza necessario farlo sempre e quali eventualmentte le condizioni per cui non si renda indispensabile.


In ogni caso cos'è un lutto? Genericamente una perdita. Qualche cosa che avevamo e che non abbiamo più e soprattutto che non potremo più riavere indietro.
La cosa parte ovviamente dai decessi... quando qualcuno muore, intendo qualcuno che con noi aveva una relazione, con la sua dipartita si interrompe anche la relazione, ossia la possibilità di scambiare/condividere qualcosa. La condizione comune richiede un'elaborazione... ossia un processo per il quale integriamo una perdita. Integrare una perdita... sembra un paradosso, dato che normalmente va integrato qualcosa che aggiungiamo non che togliamo, in realtà dobbiamo integrare la nuova condizione.

La questione, dai decessi, poi si estende o può estendersi a qualsiasi cosa che avevamo e non possiamo più avere. Quell'avevamo è la chiave: nella misura in cui quell'avere implica il nostro essere ecco che il lutto porta con se una nuova condizine che va integrata... per qualcuno, neanche pochi, anche buttar via un vestito perchè rotto è un lutto da elaborare, anche se magari ce la fa prima e meglio che se gli muore qualcuno.
Già il vedere le cose che per noi necessitano o hanno necessitato di essere elaborate quando perse ci possono dare notevoli spunti di riflessione.

C'è molto da dire, soprattutto sui vari come e quando, ma come introduzione mi pare sufficiente per aprire molti discorsi.
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Vecchio 30-04-2010, 20.49.40   #2
luke
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Dunque...per fortuna di lutti, intesi come morti di persone che conoscevo in modo approfondito, per fortuna non ne ho avuti ancora molti, ma per forza di cose ne avrò diversi in futuro....

La prima cosa che mi chiedevo è se e in che misura l'elaborazione del lutto incida sul dolore per la perdita, nel senso se io elaboro, allora il dolore sparisce? Penso di no, magari può cambiare di forma e intensità però, credo, continui a restare per un pò dentro.

Come dicevo prima di persone cui ero particolarmente legato non ne sono ancora morte, mi è morto il cane, non so se vale lo stesso, lo avevo da 14 anni, i primi tempi era strano non vederlo più per casa, non poterci più giocare ecc, ho sofferto però comunque per tutto il tempo in cui era vivo ho sempre cercato di farlo stare meglio possibile e di passarci parecchio tempo insieme, in poche parole "me lo sono goduto" appieno e quindi credo di aver elaborato la sua scomparsa discretamente bene.

Forse il rimpianto di non aver condiviso e scambiato quanto era possibile potrebbe rendere l'elaborazione più difficoltosa, ci si rende realmente conto di ciò che era possibile fare, dare e ottenere quando ormai non è più possibile.

Per le perditre in senso globale, ci devo pensare, grandi attaccamenti ad oggetti non ne ho mai avuti, forse mi mancano determinati contesti e situazioni passate perchè so di non averli vissuti al meglio, cose che mi hanno lasciato un pò di amaro in bocca una volta scomparse.
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Vecchio 01-05-2010, 00.43.04   #3
Falketta
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Ho avuto solo un grave lutto nella mia vita. Ci ho messo sette anni per riuscire a sentire il dolore che provavo e che non volevo sentire. In quel caso "elaborare" è stato proprio questo, permettermi di sentire il dolore e lo sconforto che questa perdita mi aveva provocato
Diverso è stato l'altro grave lutto, in senso lato, della mia vita, cioè la fine di un amore (con la a minuscola)
Mi ci è voluto un'infintà di tempo per non provare più quel senso di vuoto angosciante e doloroso che mi prendeva appena aprivo gli occhi la mattina e sembrava non dover finire più, quel senso di mancanza incolmabile
Un fondamentale passo in avanti nel superare questo stato di cose è stato comprendere che quello che davvero mi mancava era me stessa innamorata... eh sì, più che lui quello che più mi mancava era quel pezzo di me stessa!
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Vecchio 01-05-2010, 00.50.41   #4
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La questione, dai decessi, poi si estende o può estendersi a qualsiasi cosa che avevamo e non possiamo più avere. Quell'avevamo è la chiave: nella misura in cui quell'avere implica il nostro essere ecco che il lutto porta con se una nuova condizine che va integrata... per qualcuno, neanche pochi, anche buttar via un vestito perchè rotto è un lutto da elaborare, anche se magari ce la fa prima e meglio che se gli muore qualcuno.
Già il vedere le cose che per noi necessitano o hanno necessitato di essere elaborate quando perse ci possono dare notevoli spunti di riflessione.
Certamente la morte di una persona cara è il lutto più difficile da elaborare, perchè sai che non ci sarà ritorno, non la vedrai mai più.
Ma ce ne sono molti altri con cui ci capita di fare i conti durante l'esistenza. I trasferimenti per esempio, sia che tocchi a noi partire o alle persone a cui teniamo, il distacco è sempre doloroso. Seppure razionalmente sappiamo che non è detto che sia definitivo, solo la morte lo è, stiamo comunque male soprattutto se siamo noi a rimanere negli stessi luoghi, perchè in un primo momento sentiamo la mancanza fisica della persona.
Un amore che finisce è anche un lutto da elaborare, dove il senso di perdita sembra andare oltre la persona con cui avevamo la relazione.
Come Luke finora non ho perso con la morte persone a cui sono profondamente legata, posso parlare solo per altri tipi di lutto di cui ho esperienza... L'impressione che ho avuto è di aver anestetizzato in qualche modo il dolore, forse era rabbia o almeno quella ho identificato. Una volta passata la rabbia il dolore si è scatenato, ho avvertito la sensazione della "fine", quella vera. Ma di certo non basta soltanto lo scorrere del tempo per arrivare alla rassegnazione...
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Vecchio 01-05-2010, 01.07.15   #5
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Ci ho messo sette anni per riuscire a sentire il dolore che provavo e che non volevo sentire. In quel caso "elaborare" è stato proprio questo, permettermi di sentire il dolore e lo sconforto che questa perdita mi aveva provocato
Parlo genericamente... in realtà questo riuscire a sentire è solo il primo passo dell'elaborazione. Processo comunque avviato, che però potrebbe incastrarsi in altri punti.
Ma quello su cui volevo porre l'accento è un'altra cosa, che poi è quella che rende così spesso così lungo il processo (e che a passare anni dagli psicologi se proprio vogliamo dirlo): riuscire a sentire... perchè non riusciamo subito? Ok, un po' scappiamo dal dolore, ma non è tutto qui, o meglio c'è un risvolto di questo scappare, che fa di lui un meccanismo di difesa utile, sul quale poi noi indugiamo e ci costruiamo le mille nevrosette con le quali conviviamo. Ed è il fatto che non siamo strutturati a reggere quel dolore, o più genericamente a reggere un certo livello di tensione.
Per questo ogni percorso serio più o meno parte dal raorzare la capacità di reggere, di sentire. Rafforzare i nervi...

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Un fondamentale passo in avanti nel superare questo stato di cose è stato comprendere che quello che davvero mi mancava era me stessa innamorata
Questo è un punto fondamentale, brava Falketta che ci hai posto l'accento. Cosa è davvero che ci manca è una direzione di indagine importantissima...
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Vecchio 02-05-2010, 23.08.09   #6
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Quando si parla di lutto/perdita si parla di dolore mentale mi pare venga definito
Ma l'elaborazione del lutto in cosa consiste?
In metabolizzare il dolore?
E cosa vuol dire?
Io ho perso tutti e due i genitori e se la loro malattia mi ha colpito molto sono rimasta meno travolta dalla loro morte. Ora però mi sto chiedendo se invece, avendo imparato a reprimere e a rimuovere in automatico, non abbia fatto questo anche qui, scappando dal dolore del dopo,(anche perchè ricordo poco o nulla ) anche se dopo la morte di mia madre sono caduta in depressione trovando le cause in altro vissuto del momento.
Questa discussione mi ha scosso per cui vorrei capirne di più.
Aspetto con interesse che si allarghi il discorso
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Vecchio 02-05-2010, 23.31.03   #7
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Quando si parla di lutto/perdita si parla di dolore mentale mi pare venga definito
Ma l'elaborazione del lutto in cosa consiste?
In metabolizzare il dolore?
E cosa vuol dire?
Io ho perso tutti e due i genitori e se la loro malattia mi ha colpito molto sono rimasta meno travolta dalla loro morte. Ora però mi sto chiedendo se invece, avendo imparato a reprimere e a rimuovere in automatico, non abbia fatto questo anche qui, scappando dal dolore del dopo,(anche perchè ricordo poco o nulla ) anche se dopo la morte di mia madre sono caduta in depressione trovando le cause in altro vissuto del momento.
Questa discussione mi ha scosso per cui vorrei capirne di più.
Aspetto con interesse che si allarghi il discorso
Il dolore lo definirei più psichico che mentale.

Al di là di questo, non so cosa intendi per "metabolizzare il dolore". Il lutto è sistemato quando, per così dire, abbiamo ritrovato un equilibrio anche senza quell'oggetto che abbiamo perso, che poi è sempre la relazione che avevamo con quell'oggetto (si dice "oggetto d'amore"). In realtà non è mai l'equilibrio che avevamo prima, ma sempre un equilibrio migliore, più stabile, se l'elaborazione è andata a termine. Purtroppo di solito, magari inconsapevolmente, ci si accontenta di un equilibrio piuttosto precario e inferiore a quello di prima, magari carico di piccole depressioni, nostalgie e quant'altro.
Ma era per dire che una perdita non ci lascia mai come prima, dopo dobbiamo diventare il noi senza quella cosa ma dopo averla avuta, quindi più forti, o comunque con quell'esperienza metabolizzata, dove per eseprienza intendo tutta la relazione, dato che è finita.
Qui si che ci sta il metabolizzare, riguardo a tutta l'esperienza. Ci sta anche col dolore, dato che anch'esso è un'esperienza, ma per quanto riguarda il lutto ne rappresenta solo una fase, appunto l'aver avuto dolore per quella perdita.

Una certa psicologia distingue alcune fasi del processo, dando loro dei nomi. Questa distinzione, in caso ne parliamo, lascia un po' il tempo che trova, pur avendo qualche utilità. La parte importante riguarda, come è intuibile, l'accettazione... che però è "solo" la base del futuro nuovo equilibrio, anche se innesca il suo instaurarsi.

Poi per carità... potevamo avere un eqilibrio instabile anche prima: Anzi, spesso è così, dato che lo perdiamo... ma, per altro conto, l'equilibrio perfetto non è cosa umana.
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Vecchio 03-05-2010, 01.20.48   #8
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Io invece mi stavo chiedendo in che modo si possa incastrare il processo di elaborazione dopo aver iniziato a sentire il dolore
In caso di amori finiti, ad esempio, ci si può incastrare in inutili tentativi di riavvicinare quella persona con l'intento di recuperare le situazioni che tanto ci mancano.
Ma in caso di morte della persona, dove posso incastrarmi?

Ultima modifica di Falketta : 03-05-2010 alle ore 01.35.20.
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Vecchio 03-05-2010, 09.01.01   #9
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Ma in caso di morte della persona, dove posso incastrarmi?
Ci sono varie opzioni... una classica è affezionarsi al dolore, quando magari è scemato un po', e non lasciare andare del tutto il dipartito. Ma ce ne sono altri. Per vederli dobbiamo parlare del processo però, altrimenti facciamo un elenco, che oltre a non avere senso, non sarà mai completo.
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Vecchio 03-05-2010, 10.42.04   #10
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Il dolore lo definirei più psichico che mentale.

Al di là di questo, non so cosa intendi per "metabolizzare il dolore". Il lutto è sistemato quando, per così dire, abbiamo ritrovato un equilibrio anche senza quell'oggetto che abbiamo perso, che poi è sempre la relazione che avevamo con quell'oggetto (si dice "oggetto d'amore"). In realtà non è mai l'equilibrio che avevamo prima, ma sempre un equilibrio migliore, più stabile, se l'elaborazione è andata a termine. Purtroppo di solito, magari inconsapevolmente, ci si accontenta di un equilibrio piuttosto precario e inferiore a quello di prima, magari carico di piccole depressioni, nostalgie e quant'altro.
Ma era per dire che una perdita non ci lascia mai come prima, dopo dobbiamo diventare il noi senza quella cosa ma dopo averla avuta, quindi più forti, o comunque con quell'esperienza metabolizzata, dove per eseprienza intendo tutta la relazione, dato che è finita.
Qui si che ci sta il metabolizzare, riguardo a tutta l'esperienza. Ci sta anche col dolore, dato che anch'esso è un'esperienza, ma per quanto riguarda il lutto ne rappresenta solo una fase, appunto l'aver avuto dolore per quella perdita.

Una certa psicologia distingue alcune fasi del processo, dando loro dei nomi. Questa distinzione, in caso ne parliamo, lascia un po' il tempo che trova, pur avendo qualche utilità. La parte importante riguarda, come è intuibile, l'accettazione... che però è "solo" la base del futuro nuovo equilibrio, anche se innesca il suo instaurarsi.

Poi per carità... potevamo avere un eqilibrio instabile anche prima: Anzi, spesso è così, dato che lo perdiamo... ma, per altro conto, l'equilibrio perfetto non è cosa umana.
Per quel che riguarda la definizione di dolore mentale l'ho letta e l'ho riportata infatti non capivo perchè veniva definito così, avevo pensato per distinguerlo da quello fisico

Metabolizzare il dolore era per me relativo a tutto il processo di perdita ed integrazione del nuovo equilibrio.
In effetti per me rende meglio la perdita del partner, tipo si è rotta una storia e li d'un tratto ti ritrovi che non hai più quella persona che faceva vibrare in te quel benessere e devi imparare a fare senza, la prima volta è la più dura, ma poi impari che passa e che istintivamente o non ci pensi neppure a riprovarlo oppure non vedi l'ora di ritrovare quella sorta di benessere psicofisico, tanto bene-tanto dolore nel caso di perdita.
In pratica è un po' come per il dolore fisico quando ci si fa male. Prima il dolore poi il tempo per il risanamento della ferita che è proprio fisiologico di ricostruzione che so di pelle, carne ossa. Poi in caso se si è stati troppo fermi e il guio è stato grosso ci vuole addirittura la riabilitazione che per la psiche può equivalere alla terapia psicologica.
(Pensavo chissà se anche la psiche funziona come il corpo che quando sei giovane si ripristina prima l'equilibrio piuttosto di quando sei vecchio? io penso di sì )

Però per quanto riguada i genitori, se tu sei già andato via di casa, non ti appoggi più a loro da anni per l'affetto o comunque non ci fai conto è sempre una perdita di equilibrio la loro dipartita?
Per quanto riguarda mio padre ricordo (chiedo scusa entro un attimo nel particolare per capire meglio) che mi scioccò la sua malattia, anche perchè essendo giovane io, incontrai la possibilità dela morte per la prima volta e ne presi paura, tanco che scappai da quella paura e non volli neppure accettare la sua malattia. Non volevo vederlo malato, lui non poteva essere malato, forse perchè inconsciamente lui era ancora quello che mi aveva sempre protetto e quello che non volevo perdere era la sua protezione, il suo affetto il suo aiuto. E in ultimo la mia parte di figlia? Alla fine quando morì lo portai io all'ospedale e questo mi rimase impresso, la prima volta che avevo fatto qualcosa per lui mi ero presa la responsabilità era morto. Per molto tempo questa cosa mi è rimasta in testa, girava e rigirava poi l'ho o digerita oppure chissà dove è andata ma ho smesso di soffrire e di sentirmi in colpa.
Che poi come in tutti i rapporti che finiscono quando sono finiti si pensa a come avresti potuto fare o non fare e come l'altro avrebbe....insomma questo pensare alle varie possibilità con la persona che è passata a miglior vita se c'erano dei conflitti ci si sente un po' in colpa ma perchè ci si dimentica del perchè. Non vivendo più con quella persona accanto rimaniamo solo noi e questo spesso ci sbilancia. Altre volte credo possa liberare.
In ogni caso non è mai indolore.

Mentre per mia madre, in quel periodo sono successe tante cose e troppo in fretta, che mi chiedevo se effettivamente non ho ascoltato bene e mi sono persa qualche passaggio. Ricordo che una persona che frequentava casa mia mi disse che l'avevo presa (avevo scritto persa) bene ed io mi chiesi perchè come mi sarei dovuta comportare?
Di quel periodo ricordo la malattia a sorpresa e in un anno ho avuto tre perdite (diverse) una dietro l'altra, una più pesante dell'altra e sono andata solo in depressione dico ora vabbeh mi trema tutta la testa ma sono viva vah

Ma al di là di tutto questo l'anno scorso ho visto come faccio davanti al dolore: cerco di risovere e trovare l'equilibrio in quattro e quattr'otto, in soldino scopo tutto sotto il tappeto perchè non reggo di essere arrabbiata, triste, dolorante, infelice. Non accetto in soldoni di essere imperfetta e cattiva.
Questo è quello che ci insegnano, tu non pui provare questi sentimenti per più di cinque minuti altrimenti chi ti sta vicino o si identifica o essendo bambino si spaventa e tu devi smetterla subito, non ti permettono di stare male. DEVI FARTI FORZA è la parola magica oppure dai dai che tutto passa e va, che vuol dire fattela passare subito che mi da fastidio. E altre cose di questo genere che ti impediscono l'ter normale che invece questa volta ho vissuto.
Ho fatto come i bambini che si sfogano, dicendo tutto quello che pensavo provavo sentivo urlato, pianto, vomitato ( scusate) ma poi è passata. Non mi ritorna più in continuazione in mente ad ogni momento con la stessa veemenza di prima e riesco ad avere la forza di non farmi portare via)
Allora mi domando dovremmo avere per ogni perdita del tempo per sfogarci, per far maturare il nuovo equlibrio e non dover fare tutto di corsa perchè a qualcuno da fastidio.
Così a me pare.
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Vecchio 03-05-2010, 17.14.48   #11
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riuscire a sentire... perchè non riusciamo subito? Ok, un po' scappiamo dal dolore, ma non è tutto qui, o meglio c'è un risvolto di questo scappare, che fa di lui un meccanismo di difesa utile, sul quale poi noi indugiamo e ci costruiamo le mille nevrosette con le quali conviviamo. Ed è il fatto che non siamo strutturati a reggere quel dolore, o più genericamente a reggere un certo livello di tensione.
Per questo ogni percorso serio più o meno parte dal raorzare la capacità di reggere, di sentire. Rafforzare i nervi...
Dunque se noi ci preparassimo adeguatamente e fossimo pronti al momento del lutto ad accoglierlo e viverlo l'elaborazione della perdita potrebbe avvenire in quel momento e non successivamente , è un po' quello che succede con la ricapitolazione che si rende necessaria se non sappiamo/possiamo/riusciamo a vivere il presente..

pero' questo processo di elaborazione com'è che avviene? ho cercato il significato elaborare anche se non mi soddisfa al 100%, il significato che ho trovato è (tra gli altri) questo: "lavorare, affaticarsi, studiarsi", il che potrebbe significare che lasciare andare qualcuno o qualcosa , presuppone un lavoro di conoscenza.. quel che diceva Falketta sul "cosa è che ci manca veramente.."

Se penso a quando finivano certi amori adolescenziali, ricordo molto bene la fatica che facevo a chiudere definitivamente le storie, continuavo a rimanere attaccata a ricordi in cui potevo cullarmi per poi permettermi di soffrire a lungo.. finchè non mi "innamoravo" di nuovo (ma passava anche molto tempo), per farla breve puntavo i piedi come fanno i bambini capricciosi, non poteva essere finita davvero... seppure mi sembrava di soffrire molto in queste situazioni, in realtà riempivo la mancanza , non volevo elaborare la perdita , mentre mi è capitato una sola volta di essere lasciata da una persona a cui tenevo davvero e di riuscire ad accettare di non aver nessun potere per tenerla vicina a me... se lui non mi voleva, cosa potevo farci? niente... Voler tenere le persone per forza legate a noi.. è un grande egoismo, e soprattutto è inutile, perchè che si tratti di un amore finito o di una dipartita, purtroppo la persona non vorrà/potrà tornare da noi...

Di qui.. il lasciare andare dovrebbe essere quasi un nostro dovere: tenere dei canali aperti ad oltranza credo non vada bene per noi, ma nemmeno per chi non c'è più (qualsiasi sia il senso che vogliamo darne..)...

Il fatto è che crediamo di soffrire "per l'altro", invece soffriamo quasi sempre per noi stessi...
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Vecchio 03-05-2010, 17.45.17   #12
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non volevo elaborare la perdita , mentre mi è capitato una sola volta di essere lasciata da una persona a cui tenevo davvero e di riuscire ad accettare di non aver nessun potere per tenerla vicina a me... se lui non mi voleva, cosa potevo farci? niente... Voler tenere le persone per forza legate a noi.. è un grande egoismo, e soprattutto è inutile, perchè che si tratti di un amore finito o di una dipartita, purtroppo la persona non vorrà/potrà tornare da noi...

Di qui.. il lasciare andare dovrebbe essere quasi un nostro dovere: tenere dei canali aperti ad oltranza credo non vada bene per noi, ma nemmeno per chi non c'è più (qualsiasi sia il senso che vogliamo darne..)...

Il fatto è che crediamo di soffrire "per l'altro", invece soffriamo quasi sempre per noi stessi...
Io credo che non sia solo quello che hai detto in cui trovo riscontro, ma è anche relativo a ciò che ci manca. Con l'altra persona tu riempi quella mancanza, l'altro/a di solito possiede quella cosa che tu non hai e se viene a mancare prima che tu l'abbia sviluppata non è solo egoismo è sopravvivenza, specie se le mancanze sono tante.
La verità come dici è che non avendo potere sugli altri e sulla vita degli altri dovremmo diventare indipendenti in tutto e per tutto, cosa che è molto difficile da riscontrare. In quel caso non abbiamo più bisogno di nessuno e il dolore per la morte o perdita di qualcuno non sarebbe più per se stessi e probabilmente lo si vivrebbe diversamente.
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Vecchio 03-05-2010, 18.23.39   #13
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pero' questo processo di elaborazione com'è che avviene? ho cercato il significato elaborare anche se non mi soddisfa al 100%, il significato che ho trovato è (tra gli altri) questo: "lavorare, affaticarsi, studiarsi", il che potrebbe significare che lasciare andare qualcuno o qualcosa , presuppone un lavoro di conoscenza.. quel che diceva Falketta sul "cosa è che ci manca veramente.."
In effetti il significato che hai trovato non soddisfa. Prendiamo l'esempio della cucina... anche li si parla di elaborazione dei cibi, ma cosa si elabora veramente e a che scopo?
Elaboriamo materie prime, ingredienti, per farne una pietanza. In pratica prima abbiamo unna serie di materie separate e disorganizzate, poi abbiamo un tutt'uno stabile, composto da quelle materie ma che è altro e ha un'esistenza sua e, per la maggior parte, è meglio dei suoi componenti, vuoi per gusto, digeribilità eccetera.
La digeribilità è strettamente connessa col tema del tread... ci sono ingredienti non digeribili se non elaborati in determinati modi e mischiati ad altri... a meno di avere stomaci di ferro.

Ma per elaborare non basta mischiare insieme gli ingredienti, serve metterci altro. Innanzitutto energia, sotto forma di fuoco o di freddo o comunque di lavoro muscolare se devo mischiare o simili, e anche se oggi uso il frullatore, ecco che comunque l'energia c'è anche se viene dall'esterno.
Oltre a questo devo seguire unna procedura, che per chi sa cucinare, ossia è addentro alla materia, trova che segue communque delle regole generali, che potremmo derivare da leggi di natura. Un bravo cuoco, dando un'occhiata ad una ricetta che non ha mai fatto, capirebbe la procedura senza leggerla.

Fuor di metafora la procedura segue meccanismi naturali, che però come detto possono incistarsi in vari modi, soprattutto se ci mettiamo del nostro. Il lutto per certi versi è naturale... in linea di massima ci aspettiamo prima o poi di perdere i nostri anziani, più difficile è perdere i più giovani. (Avete mai fatto caso che se uno perde i genitori lo chiamano orfano... ma solo fino ad una certa età... chi chiamerebbe orfano un sessantenne che gli sono appena morti i genitori?)

Qui ci sta bene un altro spunto, che poi un po' si collega a quel che dicevi sul potere. Se per la morte, a meno di essere molto molto caparbi nel voler costruirsi una nevrosi, si tende aonferirla ad un potere superiore e si riconosce questo potere. La gente muore, vuoi per natura, vuoi perchè Dio, oi qel che ti pare, ma non si indugia più di tanto sull'autoreferezialità tipo ecco mi ha abbandonato, l'ha fatto apposta per farmi star male. Mentre se perdiamo il partner le cose cambiano, si fa fatica ad accettare che l'altro abbia il potere, la prerogativa, di andarsene in qualsiasi momento e si indugia più a lungo nella fase di rabbia.
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Vecchio 03-05-2010, 20.27.44   #14
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aonferirla ad un potere superiore
Ehm interessante neologismo me lo puoi tradurre?

p.s. ho gradito molto la analogia con la cucina
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Vecchio 03-05-2010, 23.14.45   #15
Falketta
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E se parlassimo di questi processi naturali?
Per me è più facile ragionare pensando alla perdita di persone viventi
il dolore che si prova è del tutto particolare, varia più che nell'intensità nella durata
Nel dolore si cerca di capire... ma ci si fanno anche dei film: dai film che ci facciamo escono sensi di colpa e rabbia: e da lì il bisogno di puntualizzare delle cose con la persona... o il bisogno di chiedere scusa e magari tentare di riallacciare. Insomma, il processo che dovrebbe portare all'accettazione si può incastrare per benino.
Ora mi viene da pensare a questo: non sentire più dolore non significa necessariamente che l'elaborazione si è conclusa. Se io non provo più dolore, ma esco dall'esperienza ad esempio sfiduciata nei confronti dell'amore e degli uomini e mi chiudo, forse qualcosa non ha funzionato correttamente nel processo che dovrebbe portarmi alla fine ad avere un nuovo equilibrio e ad essere più forte
In questo caso dove ci si è incastrati?
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Vecchio 03-05-2010, 23.29.30   #16
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Ora mi viene da pensare a questo: non sentire più dolore non significa necessariamente che l'elaborazione si è conclusa. Se io non provo più dolore, ma esco dall'esperienza ad esempio sfiduciata nei confronti dell'amore e degli uomini e mi chiudo, forse qualcosa non ha funzionato correttamente nel processo che dovrebbe portarmi alla fine ad avere un nuovo equilibrio e ad essere più forte
In questo caso dove ci si è incastrati?

Dunque... no, non sentire più il dolore non significa che il processo sia concluso, anche se è conclusa la parte in cui abbiamo maggiore possibilità di interagire... la parte calda.

Però l'esempio che porti non permette risposte univoche... dipende cosa intendi tu per sfiduciata. Potrebbe darsi che prima eri una sognatrice idealista e adesso sei più equilibrata di prima ma che ti percepisci come sfiduciata, mentre invece hai imparato un po' di prudenza.
Oppure potrebbe darsi che generalizzi a tutti gli uomini o addirittura all'amore quel che invece è stata storia di un singolo lui e appioppi all'intero genere maschile le caratteristiche del tuo ex-lui. E' un po' tipica sta cosa delle "sfiduciate dell'amore", come se fosse stato l'amore a non soddisfare le tue aspettative e non il tizio in questione (ovvio che vale anche scambiando i sessi). In questo caso però, la mancata distinzione è sintomo di mancata elaborazione, del fatto che non hai ancora una visione lucida della faccenda. Stato intermedio è quando te ne rendi conto ma emotivamente non riesci comunque... sai che non sono tutti così, ma li vedi lo stesso tutti così.

E' il caso tuttavia di specificare che un migliore equilibrio non significa equilibrio perfetto. Più forti di prima non significa fortissimi. Significa solo che abbiamo integrato l'esperienza nella nostra storia e siamo, consciamente, il risultato anche di quest'ultima.
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Vecchio 03-05-2010, 23.42.22   #17
griselda
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Ehm interessante neologismo me lo puoi tradurre?

p.s. ho gradito molto la analogia con la cucina
Ehm forse non si capiva che non stavo scherzando per il senso, non riesco a mettere insieme la frase perchè non capisco la parola.
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Vecchio 03-05-2010, 23.45.01   #18
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Ehm forse non si capiva che non stavo scherzando per il senso, non riesco a mettere insieme la frase perchè non capisco la parola.
aonferirla = a conferirla
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Vecchio 04-05-2010, 09.29.19   #19
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Ray... Sì, è vero, non era un esempio di scuola il mio
Dunque.. so che gli uomini non sono tutti così, ho anche avuto la fortuna di conoscerne alcuni davvero ok. Probabilmente me li sono fatti "scappare" perchè non provavo le farfalle nello stomaco... Adolescenziale neh?
Comunque sì, non mi infatuo più, riesco a essere più lucida e così mi sono evitata diverse situazioni dall'esito già scritto in cui in passato mi sarei invece cacciata.
Forse sì, è prudenza... che scambio per sfiducia
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Vecchio 04-05-2010, 12.27.08   #20
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C'era una vecchia usanza che forse si usa ancora nei paesini tra le persone di una certa età che era quella di indossare il lutto.
La veste nera si usava il tempo necessario affinchè il dolore fosse accettato e lasciata andare la persona. Anceh se può sembrare brutto in effetti ti ricordava il dolore e ti spingeva un pò a lavorarci.
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Se non sarò me stesso chi lo sarà per me? E se non ora, quando?
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Vecchio 04-05-2010, 15.20.46   #21
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Io credo che non sia solo quello che hai detto in cui trovo riscontro, ma è anche relativo a ciò che ci manca. Con l'altra persona tu riempi quella mancanza, l'altro/a di solito possiede quella cosa che tu non hai e se viene a mancare prima che tu l'abbia sviluppata non è solo egoismo è sopravvivenza, specie se le mancanze sono tante.
Mi faresti un esempio concreto in cui il non voler lasciare andare l'altro è sopravvivenza?

Nel mio esempio parlavo di un amore finito, ma se la persona muore?
Io non credo si tratti di sopravvivenza, perchè va bene, ci avviciniamo all'altro anche (se non soprattutto) per i nostri bisogni (reali o presunti), ma l'altro non si puo' mai sostituire realmente a noi.

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La verità come dici è che non avendo potere sugli altri e sulla vita degli altri dovremmo diventare indipendenti in tutto e per tutto, cosa che è molto difficile da riscontrare..
Io vorrei diventare indipendente per poter essere libera, non perchè non ho potere sull'altro. Magari sembra la stessa cosa, ma per me la differenza è sostanziale (e non significa non avere affetti, anzi meno si sta con gli altri per bisogno e più l'affetto è sincero secondo me),

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Fuor di metafora la procedura segue meccanismi naturali, che però come detto possono incistarsi in vari modi, soprattutto se ci mettiamo del nostro. Il lutto per certi versi è naturale... in linea di massima ci aspettiamo prima o poi di perdere i nostri anziani, più difficile è perdere i più giovani. (Avete mai fatto caso che se uno perde i genitori lo chiamano orfano... ma solo fino ad una certa età... chi chiamerebbe orfano un sessantenne che gli sono appena morti i genitori?)
Quindi, come per un bravo cuoco l'elaborazione del piatto è "naturale" sebbene ci metta molto di suo (energia, lavorazione , procedura), lo stesso dovremmo fare con i lutti, di qualsiasi genere essi siano.

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...........Mentre se perdiamo il partner le cose cambiano, si fa fatica ad accettare che l'altro abbia il potere, la prerogativa, di andarsene in qualsiasi momento e si indugia più a lungo nella fase di rabbia.
Ecco questo è quel che intendevo nel post sopra col discorso del potere.. prendiamo questo esempio, ma puo' anche essere un altro tipo di affetto, in amicizia è quasi lo stesso, perchè si indugia di più nella fase della rabbia? il bello è che vorremmo avere il potere di tenere legata a noi un'altra persona, mentre l'unico "potere" lo ha chi se ne va..
Come elaborare questo tipo di perdita, indugiando il meno possibile sulla rabbia?
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Vecchio 04-05-2010, 15.46.03   #22
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Il lutto per certi versi è naturale... in linea di massima ci aspettiamo prima o poi di perdere i nostri anziani, più difficile è perdere i più giovani.
Tutti sappiamo che esiste la morte, in teoria ci prepariamo all'evento ogni giorno della nostra vita, eppure la teoria è sempre diversa dalla pratica.
La morte ha un potere distruttivo tale che ne esci annientato, improvvisamente la visuale cambia, il dolore ti prende l'animo e il corpo, sei in preda di eventi che non accetti, la rabbia e il dolore sono componenti inscindibili, sì tu sai che la morte è ineluttabile ma dentro ti rivolti, ogni fibra del tuo essere la rifiuta fisicamente e mentalmente, così forte è il legame tra corpo e mente che in quei momenti ci si sente animali feriti, sanguinanti, lacerati, senza possibilità di cure e la rabbia sale dentro contro tutto e tutti e maledici di dover soffrire, soprattutto perchè non sai il perchè!
Elaborare questo processo di distruzione è un percorso lungo, faticoso, la luce è in fondo, lontana, flebile, a volte quando la mente comincia a pensare in qualche raro momento ad altro, ti senti in colpa, ti sembra di allontanarti da chi hai amato, lentamente poi il tempo rimargina la ferita, la cominci a guardare ed è brutta, oscena, violacea, in alcuni momenti sanguina ancora poi indurisce e tu sei diventato un altro essere, sei una persona con una invalidità permanente, la ferita lascia il segno, non scompare mai, non conosco tecniche chirurgiche atte a farla scomparire.
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Vecchio 04-05-2010, 16.09.43   #23
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Ecco questo è quel che intendevo nel post sopra col discorso del potere.. prendiamo questo esempio, ma puo' anche essere un altro tipo di affetto, in amicizia è quasi lo stesso, perchè si indugia di più nella fase della rabbia? il bello è che vorremmo avere il potere di tenere legata a noi un'altra persona, mentre l'unico "potere" lo ha chi se ne va..
Come elaborare questo tipo di perdita, indugiando il meno possibile sulla rabbia?
Ascoltando ben bene quella rabbia (senza giustificarla e quindi sfogarla sul malcapitato/a) e da questa dedurre la nostra debolezza.
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Vecchio 04-05-2010, 17.05.34   #24
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Mi faresti un esempio concreto in cui il non voler lasciare andare l'altro è sopravvivenza?

Presente situazioni in cui due si sono sposati da giovanissimi, hanno un certo numero di figli e lei non lavora, non ha la patente abita in un paesino, non ha lavoro, non ha parenti se l'altro se ne va prima che questa ragazza diventi indipendente è questa vive dei grossi problemi. Oltre alla perdita dell'amore vi è anche il resto che è sopravvivenza
Quote:


Nel mio esempio parlavo di un amore finito, ma se la persona muore?
Io non credo si tratti di sopravvivenza, perchè va bene, ci avviciniamo all'altro anche (se non soprattutto) per i nostri bisogni (reali o presunti), ma l'altro non si puo' mai sostituire realmente a noi.



Io vorrei diventare indipendente per poter essere libera, non perchè non ho potere sull'altro. Magari sembra la stessa cosa, ma per me la differenza è sostanziale (e non significa non avere affetti, anzi meno si sta con gli altri per bisogno e più l'affetto è sincero secondo me),
Infatti non ho scritto che voglio il potere sull'altro, ho scritto quello che hai detto tu, con altre parole, ma probabilmente non si capiva.
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Vecchio 04-05-2010, 17.15.26   #25
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