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Vecchio 19-07-2008, 14.37.42   #1
Astral
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Mi domando spesso una cosa: sento sempre più spesso di gente laureata che sfoggia la propria cultura, in discorsi filosofici, religiosi, sociologici, antropologici e politichi.
Tuttavia mi sembra che molto spesso in realtà sia dei libri stampati che parlano e quello che viene non è farina del loro sacco, ma allora dove sta la cultura?

Secondo voi basta studiare sui libri? Oppure è l'esperienza che conta molto di più nelle cose?

Mi viene in mente l'esempio della cucina: io posso studiare 10 libri di cucina, ma se non metto in pratica quello che studio, posso dire che ha avuto senso studiare? Non era meglio apprendere l'arte della cucina?

E la stessa cosa vale per i discorsi filosofici, etc. ma che applicazione pratica hanno?

E la cultura spesso non viene utilizzato solo come mezzo per compiacere il proprio ego, e sfruttarlo a vantaggio di chi è più ignorante in materia, o ha una capacità di linguaggio più limitata?
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Vecchio 19-07-2008, 20.40.23   #2
Ray
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Da come la metti giù forse stava meglio in un'altra sezione... ma perchè ce l'hai su tanto con la cultura?

La cultura, che non è detto che sia libresca ma può darsi, come dice la parola stessa è una "coltivazione", una preparazione (si dice che uno è preparato se ha letto o sa le cose) che serve poi, o dovrebbe servire, proprio all'applicazione pratica. Indipendentemente se questa pratica è in ambito fisico o intellettuale o altro. Io non ci vedo niente di male in se... poi certo, che parte della gente colta ne approfitti per abbindolare allocchi è sempre stato, ma non è questo lo scopo.

Se mi dici che cultura non è conoscenza concordo. Conoscenza è esperienza... altrimenti so e non conosco. Ma tra sapere una cosa e non saperla, in linea di massima vedo meglio la prima.

A cosa serve la filosofia? Beh questo meriterebbe un tread a parte... dove magari ci chiadiamo a che serve la sezione stessa. Qualche spiritoso una volta aveva detto: "la filosofia è quella cosa per la quale o senza la quale tutto resta tale e quale"... in parte ha pure ragione, soprattutto se si va a cercare un certo impoverimento della filosofia nella sua storia... se lo si cerca lo si trova.
Originariamente "folosofia", come dice la parola, era "amore per la conoscenza"... e basterebbe questa definizione per parlarne a lungo.
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Vecchio 01-08-2008, 16.19.13   #3
RedWitch
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.............
Secondo voi basta studiare sui libri? Oppure è l'esperienza che conta molto di più nelle cose?

Mi viene in mente l'esempio della cucina: io posso studiare 10 libri di cucina, ma se non metto in pratica quello che studio, posso dire che ha avuto senso studiare? Non era meglio apprendere l'arte della cucina?

E la stessa cosa vale per i discorsi filosofici, etc. ma che applicazione pratica hanno?

E la cultura spesso non viene utilizzato solo come mezzo per compiacere il proprio ego, e sfruttarlo a vantaggio di chi è più ignorante in materia, o ha una capacità di linguaggio più limitata?
Credo che se lo scopo e' conoscere, l'applicazione pratica, l'esperienza, non possa essere divisa dalllo studio, anche i libri servono per quanto possano essere limitati all'esperienza di altre persone, la teoria secondo me e' comunque importante. Un esempio fra tutti, se quando si prende la patente si facesse pratica e basta, con il tempo si imparerebbero comunque a riconoscere i cartelli stradali , o le strisce della segnaletica orizzontale, pero' nel frattempo si potrebbero imboccare un sacco di sensi unici vietati ad esempio. Poi sono ancora dell'idea che a guidare si impari soltanto facendo tanta pratica, ma la teoria e' in questo caso indispensabile e credo che il discorso valga per quasi tutti gli ambiti della vita, cultura compresa.
Per riprendere il tuo esempio, si puo' imparare a cucinare anche senza libri, ma bisognera' andare sempre ad occhio con le dosi degli ingredienti, mentre con una ricetta sottomano seguiro' chi ha preparato il piatto prima di me, poi potro' aggiungere se voglio, il mio estro, ma secondo me si hanno meno possibilita' di fare pasticci studiando e se possibile parallelamente dovro' cucinare..

Cosi' come non basta l'esperienza diretta , non basta nemmeno leggere soltanto tanti libri senza fare esperienza, altrimenti rimane tutto teorico, e comunque non compreso, anche se magari capito alla perfezione..

Poi come in tutte le cose, se si legge /studia solo per incamerare dati, alla fine non credo serva a molto, se lo scopo e' imparare a conoscere, invece ne vale la pena e soprattutto sarebbe bello farlo sempre per amore di conoscenza..
Mi trovi d'accordo sul fatto che c'e' in giro un sacco di gente che usa la propria cultura libresca per farsi bello.. e in quel caso per come la vedo io e' solo una sterile trattazione di qualcosa che si crede di conoscere..

Una cosa pero' che ho imparato di recente e' che chi ha una grossa cultura fosse anche solo costruita sui libri, ci ha messo tempo e fatica sopra, dunque sempre un lavoro per se' stessi (per quanto incompleto) e', meritevole di rispetto...

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Vecchio 01-08-2008, 21.57.58   #4
Ray
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Per riprendere il tuo esempio, si puo' imparare a cucinare anche senza libri, ma bisognera' andare sempre ad occhio con le dosi degli ingredienti, mentre con una ricetta sottomano seguiro' chi ha preparato il piatto prima di me, poi potro' aggiungere se voglio, il mio estro, ma secondo me si hanno meno possibilita' di fare pasticci studiando e se possibile parallelamente dovro' cucinare..


Ecco, prendiamo l'esempio di qualcuno che impari a cucinare senza aver mai letto un libro di cucina, o addirittura senza sapere che esistono.
Egli imparerà per prove ed errori e, se ci si dedica, ci penserà su, avrà delle idee, delle intuizioni, farà degli esperimenti, alcune cose gli si presenteranno come problemi e cercherà la soluzione in avri modi... ma soprattutto si farà delle rappresentazioni mentali (connesse alle emozioni positive e negative, gratificazioni e frustrazioni) di quel che fa, ovvero della sua esperienza. In una parola, concettualizzerà.

E dopo aver concettualizzato, tutta una serie di operazioni non avverranno più nel pratico, nel fisico, ma avverranno nel mentale. Per esempio si dirà: beh so fare bene tre crostate diverse... potrei farne una con la marmellata di limoni... (si immagina il procedimento e il risultato)... uhm, no, non funzionerebbe, devo modificare qualcosa. Potrebbe stabilire che alcune questioni necessitano di prove pratiche, oppure potrebbe darsi che risolva tutto a livello teorico, dentro di se, al livello della rappresentazione.

Perchè teoria non vuol dire libri. Teoria vuol dire pensiero.

E comunque, sapete come andrebbe a finire? Andrebbe a finire che ad un certo punto inizia a prendere degli appunti. Perchè magari deve segnarsi i tentativi diversi, con diverse quantità e segnarsi i risultati.
Poi magari, quando gli appunti sono corposi, potrebbe decidere di trascrivere da un'altra parte solo i risultati finiti, i migliori procedimenti che ha trovato per i vari piatti.
Un libro.
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Vecchio 10-08-2008, 16.57.36   #5
Sole
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Cito testualmente dall'Alchimista di Paulo Coelho un brano che in qualche modo potrebbe essere il conciliatore delle partii. Il protagonista del romanzo riceve da un compagno di viaggio (l'inglese) dei libri di alchimia, l'inglese è geloso di questi libri ma glieli concede perchè hanno un accordo, lui deve imparare qualcosa osservando il mondo e basta e l'altro deve imparare qualcosa leggendo i libri di alchimia e in fondo in fondo l'inglese spera di confermare l'importanza indiscussa dei testi che porta con se senza i quali nonpuò vedere oltre ma dai quali non riceve l'ultima risposta che lo farà iniziare l'Opera. Entrambi allora iniziano l'esperiemento/esperienza e riporto il dialogo finale:

Citazione:
"Perchè parlano in maniera così difficile?" domandò una sera all'inglese. Osservò inoltre come l'inglese sembrasse abbastanza annoiato e dimostrasse di sentire la mancanza dei propri libri.
"Affinchè possano capire soltanto coloro ai quali spetta la responsabilità di comprendere", fu la risposta. " Immagina se tutti riuscissero a trasformare il piombo in oro: in breve tempo l'oro non varrebbe più nulla. Soltanto coloro che percepiscono, soltanto colore che ricercano a lungo, riescono a realizzare la Grande Opera. E' il motivo per cui mi trovo in mezzo a questo deserto: per incontrare un vero Alchimista, che mi aiuti a decifrare i codici".
"Quando sono stati scritti questi libri?" domandò il ragazzo.
"Tanti e tanti secoli orsono".
"A quell'epoca la stampa non esisteva," ribattè il ragazzo. "Non c'era alcuna possibilità che tutti venissero a conoscenza dell'Alchimia. Perchè, allora, questo linguaggio tanto strano, pieno di disegni?"
A questo punto l'ingelse non rispose malgrado l'insistenza. Gli disse, invece, che da alcuni giorni prestava attenzione alla carovana, ma che non riusciva a scoprire nulla di nuovo. L'unica cosa che avveva notato era che le voci sulla gueraa erano sempre più insistenti. Un bel giorni il ragazzo restitui i libri all'inglese.
"Allora, hai imparato tante cose?" gli domandò questi pieno di aspettativa. Aveva bisogno di qualcuno con cui poter parlare per distogliere la mente dalla paura della guerra.
"Ho imparato che il MOndo possiede un'Anima, e chi riesce a comprendere quest'Anima riuscirà a comprendere il linguaggio delle cose. Ho appreso che tanti alchimisti hanno vissuto la propria Leggenda Personale e hanno finito per scoprire l'Anima del MOndo, la PIetra Filosofale e l'Elisir. Ma, soprattutto, ho scoperto che queste cose sono talmente semplici da poter essere scritte su uno smeraldo."
L'inglese ne rimase deluso: gli anni di studio, i simboli magici, le parole diffiicli, gli strumenti di laboratorio... nnulla di tutto ciò aveva colpito quel ragazzo. "Deve avere un'anima troppo primitiva per poter comprendere tutto ciò", fu la sua conclusione. Radunò i suoi libri e li rimise nei sacchi carichi sul cammello.
"Tornatene alla tua carovana," disse "NEppure lei mi ha insegnato granchè".
Il ragazzo se ne tornò allora a contemplere il silenzio del deserto e la sabbia sollevata daglia nimali. " Ognuno ha la propria maniera per apprendere", si ripeteva fra se e se, " La sua maniera non è la mia, e la mia non è la sua. Ma tutti e due siamo in cerca della nostra Leggenda Personale, e per questo io lo rispetto.

Mi è piaciuto molto questo brano perchè pone in evidenza proprio come ognuno cerca diversamente ma pur sempre per arrivare allo stesso punto e non c'è il meglio o il peggio di un modo ma ognuno deve poter accogliere i propri pilastri e punti di riferimento che lo mantengono saldo sul cammino.

Un libro è come vivere l'esperienza altrui per poi cercare di viverla per se stesso o trovare un nome alle proprie, mentre cercare nel mondo le proprie esperienze è come rifiutare che altri ne abbiano già fatte, in ogni caso quando si arriva ad un piccolo traguardo ci si accorge che ci si può arrivare da diverse angolazioni e non è da negare o elogiare nessuna delle due, sono modi diversi e rispettabili.

Il tema non era strettamente spirituale ma la cosa può essere vera ovunque.
L'esperienza altrui può esser utile e accellerare i tempi di una ricerca esclusivamente su campo ma senza poi l'applicazione pratica neppure la ricerca da biblioteca serve a nulla.
__________________
Se non sarò me stesso chi lo sarà per me? E se non ora, quando?
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Vecchio 11-08-2008, 12.09.03   #6
Astral
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In alcuni casi la presenza di altre persone può sostituire i libri. Ad esempio cucinare con qualcuno che ha più esperienza permette di ricevere informazioni in modo migliore di un libro.

Qualcuno ha fatto le ricette di cucina, ma qui parliamo di cose avanzate, se parliamo di livello professionale per esempio, non è un libro o la teoria che ti dice come si fa.
Magari il libro ti dice come si taglia una costa di sedano, ma quando ne devi tagliare 100, ti accorgi che nonostante la perfezione dell'informazione, manca la coordinazione manuale.
La stessa cosa in campo spirituale, la cultura può aiutare fino ad un certo punto, ma l'Amore non si studia, si applica e si esperisce.

Questo perchè comunque l'uomo ha perso il contatto con se stesso, che gli fa fare le cose con la giusta intuizione senza doverci studiare troppo.

Guarda una mamma: sa fare certe cose e nessuno gliele ha insegnate, il fatto che invece escono sempre libri nuovi per neo mamme significa che si sta perdendo sempre di più la facolta di ricevere l'informazione tramite intuizione, e per questo necessitiamo di studiare.
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Vecchio 11-08-2008, 13.53.08   #7
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Perchè teoria non vuol dire libri.
Neanche cultura vuol dire libri, anche se spesso vedo le due cose erroneamente associate.
I libri sono uno dei possibili mezzi per, come si dice, farsi una cultura, non l'unico mezzo, non il fine.
Il problema nasce proprio quando si crede di farsi una cultura solo con i libri, l'antropologo potrà studiare quanto vuole ma se non andrà mai a visitare altre culture (eh già, anche quelle dove i libri praticamente non esistono) non sarà mai un antropologo, rimarrà uno studioso.

Per comprendere bene la cultura, e non quello che oggi si scambia come tale, dobbiamo considerare che questa è il passato che ancora ha motivo di esistere di un gruppo di popolazione, di un gruppo sociale etc...
Ciò che tutti i rappresentanti di quella popolazione nel tempo hanno scoperto, inventato, migliorato etc... è tramandato ad ognuno che nasce in quella cultura (o chi vi si accosti) tramite comportamenti e parole, queste possono essere orali o scritte poco conta e sono entrambe importanti, non sempre abbiamo la fortuna di trovare qualcuno che in quel determinato settore che ci interessa è competente e/o anche se questo può insegnarci qualcosa magari 30 anni prima ce n'era uno più bravo (o per lo meno che ha ispezionato alcuni lati della faccenda in maniera diversa da altri) di cui abbiamo solo libri.


Quindi ai miei occhi una persona non è colta solo se ha letto molto, o comunque può essere meno colta di una persona che ha letto meno, in ogni caso misurare la cultura di una persona è buona cosa solo se pensiamo di avvantaggiarcene, in ogni caso l'autocelebrazione non serve a nessuno
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Vecchio 11-08-2008, 14.14.20   #8
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Il problema nasce proprio quando si crede di farsi una cultura solo con i libri, l'antropologo potrà studiare quanto vuole ma se non andrà mai a visitare altre culture (eh già, anche quelle dove i libri praticamente non esistono) non sarà mai un antropologo, rimarrà uno studioso.

Quindi ai miei occhi una persona non è colta solo se ha letto molto, o comunque può essere meno colta di una persona che ha letto meno, in ogni caso misurare la cultura di una persona è buona cosa solo se pensiamo di avvantaggiarcene, in ogni caso l'autocelebrazione non serve a nessuno
Accidenti! O è una coincidenza, o hai beccato proprio la riflessione per cui ho aperto la discussione: un antropologo che sfoggia le sue teorie, ma che non ha mai visitato questi popoli.
E' questo il fulcro della discussione, il fatto che la cultura fine a se stessa può essere un altro modo per rigonfiareil proprio ego, proprio come fa uno sportivo col proprio corpo (fine a se stesso).

Parlando della Teoria in ogni caso serve, ed in certe discipline serve anche di più, ma ancora più utile non è la quantità di nozioni che si hanno, ma quali utilizzare al momento giusto, nella pratica.
Cosi in campo spirituale: magari conosco "tecniche" per rilassarmi, tecniche per relazionarmi, o per analizzarmi, ma se non so quando applicarne, e sopratutto quali applicare nel momento e quali invece vanno scartate, non ne faccio appieno buon'uso.
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Vecchio 13-08-2008, 23.02.29   #9
Kael
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Neanche cultura vuol dire libri, anche se spesso vedo le due cose erroneamente associate.
Alcuni giorni fa infatti stavo parlando con una mia collega originaria del Kenya su quanto la loro cultura fosse diversa dalla nostra, mi raccontava le loro usanze e costumi, e questo mi ha fatto capire una cosa: per avere cultura del Kenya, non basta sapere tutto di lui, conoscerlo geograficamente, socialmente, storicamente e antropologicamente. Bisogna saper pensare come un kenyano. Bisogna "essere" come un kenyano.

Altrimenti come dici si è solo studiosi, si osservano da fuori le cose ma non le si vivono da dentro...
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