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Vecchio 26-07-2006, 10.29.42   #51
Uno
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Originalmente inviato da coccinella
Non so se la sofferenza mi trasformerà da bruco a farfalla. Il punto è che spesso e volentieri sento che ciò non è più importante per me. Anzi niente è più così importante. Io credo, rispondendo a Kael, che il lasciar andare possa avvenire, ma non senza sofferenza, alla cui base, riferendomi alla perdita di un figlio, c'è sicuramente un attaccamento che è nella naturalità delle cose, che è, non so come dire, di tipo genetico-fisico(avete letto "Il gene egoista?") che nella madre poi è sicuramente diverso (e sicuramente centuplicato)da ciò che può essere per il padre. Non è che al figlio la madre ha dato tutto, è che il figlio è della stessa sostanza (..non vi ricorda qualcosa?) ...della madre e la sua morte diventa, proprio dal punto di vista fisico, anche la morte della madre.
Questo è un tipo di ragionamento che in forme più raffinate (come il tuo) o più grezze sento fare spesso alle donne, sia punto di vista genetico che sia nella sua forma più materiale o meno, vi sono le stesse possibilità di attaccamento ai figli, la differenza principale sostanziale è in quei nove mesi di stretto contatto corporeo e nella culturalizzazione delle dinamiche, ma potenzialmente anche un padre potrebbe soffrire 100 volte più di una madre.
E' vero (discorso culturalizzazione) che per milleni dal patriarcale in poi la donna si è creata il suo "impero" sotterraneo, ha allevato figli accudendoli più di quello che la natura gli chiedeva, ha tenuto fuori l'uomo da tutte le faccende filiative, in maniera da poter sperare di non rimanere isolata e senza appigli in una società che dava spazio solo all'uomo.
Come dici tu Coccinella, è normale, non sto criticando tali comportamenti, sono nell'ordine delle cose e sono stati necessari per una tappa, però se è vero che ancor oggi il condizionamento (voluto e perpretato spesso dalla donna per i motivi di cui sopra) è molto forte nello staccare i padri da tutto ciò che è figli, si sta invertendo la rotta e comunque anche nei periodi più oscurantisti non è possibile affermare con sicurezza che nelle madri c'è un maggiore attaccamento/affetto/amore che nei padri verso i figli.
Quello che voglio dire è che l'attaccamento naturale, fisiologico, sacrosanto e giusto è presente in misura variabile in entrambi i sessi, nelle donne spesso (ma non faccio di tutta l'erba un fascio come è mio uso sempre) diventa innaturale, a volte sostituisce perfino alcune cose del rapporto coniugale, parlo di affetto e attenzione, che non sia capita male, tant'è che nella "normalità" spesso si parla di fare figli per aggiustare il matrimonio, si vive in semi-ipnosi per 20 o 30 anni e se questi figli poi riescono a trovar la forza di farsi una propria vita contro tutte le comodità che appositamente vengono loro donate, di colpo il "risveglio"... triste risveglio.
Se un lutto interrompe prima questo meccanismo rimane un vuoto incolmabile del "non c'è neanche la speranza remota che tutto possa rimanere così", se l'idea era che per determinati motivi questo sarebbe dovuto durare per sempre il taglio è ancora più doloroso.

Citazione:
Io conosco la morte perchè mi è entrata dentro, per questo ho la presunzione di aver capito la vita.
Sono diventata cinica, ma una cinica, non so come, ancora in grado di amare, tuttavia senza aspettarmi alcunchè, e senza dare alcuna importanza al mio amore, al vivere o al morire, al diventare questo o quello.
La vita per me ora è una sfida che però, allo stesso tempo, non mi interessa di vincere o perdere.
In questo sono molto in sintonia con Don Juan, e UG che guarda caso, pure avevano perso un figlio.
Attenta (scusa se mi permetto) a non usarli come anestetico, soprattutto il secondo, che pur dandoci molto come esperienza vissuta, non ha mai saputo cosa gli è successo veramente, è uno dei guru moderni, necessari oggi per scuotere una certa parte di massa, ma deleterio se usato come bibbia alternativa, se ci si ferma a lui, per quanto abbia detto di non insegnare, lui e l'altro "compare" J.K. alla fine è ciò che hanno fatto ed in maniera subliminale e non completa (non cattiva intendiamoci) di un don Juan che non lo ha mai negato e che ha dato riferimenti esatti su tutto quello che ha toccato, come pensiero.
Incontro spessimo ricercatori moderni che utilizzano il distacco non come mezzo ma come fine, un post non è sufficiente per descrivere tutte le problematiche, l'intero forum ancora non è sufficiente, ma stiamo attenti anche al fatto che siamo europei e prima di passare all'altro lato della medaglia dovremmo conoscere il nostro... oppure se ci sentiamo di fare diversamente possiamo partire con il resto ma tornando a casa dopo per integrare, allargheremo il discorso con chi ne ha interesse, qualcuno forse può già capire cosa intendo.

Citazione:
Io ho scelto di far vivere quella parte bambina di me stessa, che ne ha il sacrosanto diritto e che(rispondendo a Uno) non è nè madre, nè figlia, nè moglie, nè amica: è il mio sè primordiale, che fondamentalmente è un essere naturalmente FELICE e per il quale ora, mi autorizzo a vivere con tutta me stessa, osservandomi nel dolore sempre presente, ma da cui intendo(anche se sempre non ci riesco) fargli prendere le distanze.
Coraggio!
Ci facciamo una canna? (scherzo)
Che significa prendo le distanze dal dolore? Vuoi dimenticarlo?
Questa è l'anestesia di cui parlavo sopra.... ne godiamo già di nascita in questo nostro occidente, al contrario di quello che sembra abbiamo una coscienza corporea che fa ridere i gatti, una concentrazione che si limita alla ricezione di stimoli e alla loro messa in opera, però andiamo in cerca di addormentarci sempre peggio....
Ah se fosse qui lo zio Gurdi... si metterebbe le mani sui capelli, non li aveva? Ah ecco perchè


Coccinella sempre un
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Vecchio 26-07-2006, 22.02.59   #52
coccinella
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Rispondo a Uno

- ….potenzialmente anche un padre potrebbe soffrire 100 volte più di una madre…..

Potenzialmente è possibile tutto e il contrario di tutto; per me cmq c’è una differenza biologica fra l’essere madre e padre anche se sicuramente può accadere anche ad un padre di soffrire più di una madre. Ma a questo tipo di sofferenza, che sicuramente può appartenere ad entrambi i genitori, volevo aggiungere che c’è quella che deriva dalla rottura di un legame fisico/biologico esistente solo tra il figlio e la madre che lo ha generato, allattato e, in genere, allevato.
Che dopo questo accudimento abbia determinato l’esclusione dell’uomo o l’acquisizione di una forma di potere da parte della donna, o di una compensazione ad un rapporto di coppia insoddisfacente o,.. o,… o, …. in questa sede non ci interessa. Resta il fatto che una diversità biologica c’è. Sicuramente il contesto sociale in cui viviamo, e che finalmente sta invertendo la sua rotta, l’ha enfatizzata. Ma questa diversità c’è. E lascia un segno diverso.


- Ci facciamo una canna? (scherzo).

Non afferro il senso della tua battuta. Io non fumo. La mia felicità interiore la esprimo in altri modi, anùd esempio, cantando, coltivando l'orto, andando in canoa, ecc..

- Che significa prendo le distanze dal dolore? Vuoi dimenticarlo?

Non è possibile dimenticarlo anche volendo: il dolore è sempre presente, ma intendevo dire che ora riesco a non lasciarmi più andare ad esso, riesco a sfuggire all’identificazione totale con esso. Mi vedo nella sofferenza, che sento, ma da cui riesco anche a prendere una certa distanza. Questo è il mio modo di sopravvivere in questa fase. Forse in futuro riuscirò ad elaborarne altri di migliori. Per ora questa è la mia “strategia” su cui non credo vada emesso un giudizio di valore. Ognuno di noi fa quel che può con le risorse di cui dispone e con il “vissuto” che solo lui ha appunto vissuto.



- ….andiamo in cerca di addormentarci sempre peggio.... Ah se fosse qui lo zio Gurdi...

Lo zio Gurdi può dire quello che gli pare(non utilizzo nessuno quale bibbia alternativa, ma dai vari pensatori ho sempre cercato di trarre ciò che in un determinato momento mi corrispondeva, costruendomi via via una filosofia, che tuttavia non potrà mai essere definitiva perché la vita per me è divenire). Nell’inferno ci sono io, non lui e la resistenza al dolore è soggettiva. Dopo aver versato tutte le lacrime, arrivi al punto in cui sei stremato e devi decidere da che parte stare. Io ho deciso di vivere, ma per farlo devo in qualche modo anestetizzare, se ti piace il termine, la parte massacrata di me che diversamente trascinerebbe la parte ancora vitale e sana nel baratro. Ciò è necessario fintanto che la parte sana non recupera le forze necessarie per prendere definitivamente le redini della situazione. Il rischio della depressione per me è sempre alle porte, ma ad essa non intendo cedere le armi !
La filosofia è una cosa, la vita è altro. In teoria anch'io avrei pensato che avrei dovuto agire in un determinato modo: poi nella realtà devi fare i conti con chi veramente sei, risorse e limiti. Per questo sicuramente la sofferenza è la prova del nove attraverso cui conosci te stesso. E quasi sempre alla fine può caoitarti di capire che non eri come pensavi di essere.
Affettuosamente.
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Vecchio 26-07-2006, 22.42.30   #53
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Anche io ho perso un figlio e quindi, da padre, penso di poter rispondere ad alcune delle affermazioni sentite fino ad ora con una certa autorità.

La prima cosa è: esiste una unità di misura per il dolore? pensate veramente che il fatto di essere state portatrici in grembo del figlio dia automaticamente il diritto di soffrire più di altri? Penso che la sofferenza sia una cosa personale e che il livello di questa dipenda da molti fattori. Il primo è sicuramente quello biologico che non nego nella sua potenza, il secondo è la nostra rimozione della morte, sempre presente attorno a noi ma non negli spot pubblicitari, occultata per benino per non prepararci a ciò che poi inevitabilmente succede a tutti, il terzo è legato aimè alla propria intelligenza, arma molto potente quando si tratta di amplificare le cose belle ma anche le cose brutte. Aggiungo anche che la affermazione di kael sul fatto che la persona non conosciuta non porta via nulla di nostro è azzeccatissima; un figlio porta via anche il nostro desiderio di sopravvivenza in un essere che ci (dovrebbe) perpetuare anche se solo per la nostra metà.
il termine destabilizzante comunque non rende mnimamente l'idea delle sofferenza. Il baratro descritto in un altro post è rimasto vicino a me per molto tempo a cercare i miei occhi. Alla fine rimane una sola cosa da fare, vivere con un ricordo che deve essere il più piacevole e dettagliato possibile, accettato e messo assieme a tutte le altre grandi cose che ci sono successe.
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Vecchio 27-07-2006, 00.09.55   #54
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Sopra ho scritto
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sia punto di vista genetico che sia nella sua forma più materiale o meno, vi sono le stesse possibilità di attaccamento ai figli, la differenza principale sostanziale è in quei nove mesi di stretto contatto corporeo e nella culturalizzazione delle dinamiche,
Mi rendo conto che nella parte meno materiabile non è provabile strumentalmente (con gli strumenti della tecnologia di oggi), già a livello psicologico nello studio delle catene di dicendenza famigliari, come emerso in minima parte dal post di LB il fenomeno è conosciuto.... ma a livello biologico se è vero che il materiale di costruzione in quantità si avvale della struttura materna senza la metà della mappa ed indirizzo di progettazione del papà allo stato attuale il bambino non nascerebbe, anzi... non scientificamente posso affermare per osservazione e conoscenza diretta che la forza genetica è quasi sempre maggiore da uno dei due genitori e non è sempre la madre.
Adesso però direi di finire con la "barricata" uomini e donne che non era mia intenzione alzare quanto demolire, volevo solo porre l'accento sul fatto che non ci sono motivi fisiologici di nessun tipo per cui la mamma soffre diversamente se non di concenzione mentale, cosa che per motivi diversi può accadere anche al papà.

Ok Coccinella ritiro la battuta, era per sdrammatizzare, se è vero che tutti coloro che appaiono nei libri ai nostri occhi sono pensatori, ve ne sono alcuni che non si sono limitati al pensiero e comunque siamo d'accordo che nessuno merita di essere eletto Bibbia, mi prendo volentieri l'occhio per occhio etc etc sapendo in seguito di non nominare come è mia normale abitudine nessuno
Non emetto giudizi sulle tue strategie, ma sarei un ipocrita e falso buonista, se facessi finta di non vedere o non dicessi quello che vedo e che conosco bene (son presuntuoso che ci vuoi fare?) sulle dinamiche che muovono l'animo umano.
Se siamo qui, se qui ci incontriamo è per poter conoscere attraverso gli altri come funziona oggettivamente l'umano per vedere se ne possiamo trarre qualche vantaggio, il mio metodo per mettere a disposizione l'esperienza da me fatta non è raccontare episodi della mia vita, posso farlo se capita, ma conosco i limiti di questo modo e non posso sempre utilizzare la prima persona se questa coinvolge altri.
Poi alle fine delle nostre chiacchierate virtuali ognuno può rimanere dell'idea che preferisce come è giusto che sia, si possono comprendere nuove angolazioni o rimanere solo su quelle che avevamo in partenza, come ogni combattente della battaglia vita ho subito delle perdite, alcune addirittura consapevolemente, tramite distacco senza morte, di persone a me molto care (per non dire con legami di sangue), conosco il dolore e la sua manifestazione sotto varie forme anche se chi mi conosce (anche bene) può pensare che io sia come l'anatre con la piume su cui tutto scivola, questo è ciò che mostro in realtà sfrutto pur senza cercarla ogni grammo di sofferenza, ho imparato che posso distaccarmene a piacimento, parecchi anni fa sono stato istruito già a ciò che oggi viene venduto in seminari , quei giochi di prestigio in cui ti fai sparire un mal di testa in due minuti, o cose più gravi in più tempo, però mi è stato mostrato anche cosa posso fare se vi rinuncio, se utilizzo il distacco nel modo giusto e solo quando serve per "operare" in me o nell'ambiente.
Per essere completo devo incarnare ogni cosa, bene e male, più decido di andare avanti e più deve crescere la mia sopportazione, anche nel bene... non sembra ma ci vuole resistenza anche per reggere il bene, e da un certo punto in poi non ho avuto più sorprese in tal senso, in altri ambiti ogni secondo che vivo è una scoperta, ma su di me e ciò che posso reggere, su quello che vado a incrementare come resistenza no.
A scanso di equivoci non sto parlando di superuomo... di semplice uomo (come genere) qual sono e qual molti si dimenticano di essere tante sono le sovrastrutture che circondano l'umanità in attesa di risveglio.

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Vecchio 27-07-2006, 08.02.26   #55
latino
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volevo aggiungere che c’è quella che deriva dalla rottura di un legame fisico/biologico esistente solo tra il figlio e la madre che lo ha generato, allattato e, in genere, allevato.
metto bocca solo su questo punto, quel legame di cui parli è quello più deleterio che possa esistere in primis per il figlio..... io non parlerei neanche di legame in verità.....

Ultima modifica di latino : 27-07-2006 alle ore 08.04.50.
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Vecchio 27-07-2006, 08.24.56   #56
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Caro Uno,
sono d’accordo quando dici “ Se siamo qui, se qui ci incontriamo è per poter conoscere attraverso gli altri come funziona oggettivamente l'umano per vedere se ne possiamo trarre qualche vantaggio…” ma non sempre è facile comunicare per iscritto quello che l’animo prova, per cui credo che a volte molti di noi( io di sicuro) esprimendosi non sempre rendiamo esattamente quello che sentiamo. Questo purtroppo è il limite della comunicazione virtuale! Ciò nonostante per me questo forum rappresenta una rara e presiosa opportunità.
Anche l’ accento da me posto sull’aspetto biologico della maternità, non intendeva portar via nulla alla parte maschile,( in particolare con Ellepi che abbraccio affettuosamente ) ma solo evidenziare una diversità, per cui concordo con te quando dici di finire con la "barricata" uomini e donne” che pure non era mia intenzione andare ad innescare.
Mi interessa molto quando ti riferisci ad insegnamenti ricevuti dove “…mi è stato mostrato anche cosa posso fare se vi rinuncio, se utilizzo il distacco nel modo giusto e solo quando serve per "operare" in me o nell'ambiente” E anche quando aggiungi ….” in altri ambiti ogni secondo che vivo è una scoperta, ma su di me e ciò che posso reggere, su quello che vado a incrementare come resistenza no.”
Potresti spiegare meglio cosa intendi? Io sono consapevole che il mio modo di affrontare la sofferenza, per ora, è ancora di difesa e di paura. Per questo anestetizzo. Purtroppo non sono ancora riuscita a trovare altre strade. Potrebbe essere utile e non solo per me, conoscere altre
alternative. Grazie di cuore.

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Vecchio 28-07-2006, 11.29.05   #57
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In questi giorni non ho molto tempo per seguire tutti i discorsi (anzi praticamnte nessuno) però volevo dire questo thread come praticamente tutti, non è concluso e cercherò di esprimere meglio ciò che intendevo.
In un altro thread che aprirò invece vorrei con voi evidenziare i vantaggi di questa comunicazione virtuale... che poi alla fine lo è solo come mezzo... può essere (senz'altro lo è) che riesca a comunicare più con l'anima di Coccinella che con il corpo di chi abita di fronte casa mia... ma vale la pena di parlarne a parte, se qualche volontario volesse aprire intanto la discussione appena ho un momento vorrei dire alcune cose, oltre che tornare qui.
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Vecchio 28-07-2006, 20.19.12   #58
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Originalmente inviato da coccinella
Mi interessa molto quando ti riferisci ad insegnamenti ricevuti dove “…mi è stato mostrato anche cosa posso fare se vi rinuncio, se utilizzo il distacco nel modo giusto e solo quando serve per "operare" in me o nell'ambiente” E anche quando aggiungi ….” in altri ambiti ogni secondo che vivo è una scoperta, ma su di me e ciò che posso reggere, su quello che vado a incrementare come resistenza no.”
Potresti spiegare meglio cosa intendi? Io sono consapevole che il mio modo di affrontare la sofferenza, per ora, è ancora di difesa e di paura. Per questo anestetizzo. Purtroppo non sono ancora riuscita a trovare altre strade. Potrebbe essere utile e non solo per me, conoscere altre
alternative.
Provo ad esplorare questo discorso, credo di averne già scritto da qualche parte, ma faccio prima a ripetere, in caso, che a cercare.
Nel corpo dalla parte più materiale sino alla più rarefatta abbiamo la capacità di sopportare una certa variabile intensità di... emozione... non è proprio completamente corretto dire emozione, è qualcosa che va oltre, l'emozione ne è una conseguenza.
Comunque possiamo ricevere sofferenza, paura, umiliazione ma anche gioia, piacere etc etc fino ad un certo punto che è variabile a seconda delle persone (ma sarebbe meglio dire strutture psico-fisico-energetiche) e nello stesso essere è variabile a seconda di alcuni fattori tra cui "l'allenamento" ed il dispendio diciamo energetico globale.
Cosa succede quando siamo al limite? In maniera naturale subentrano alcuni meccanismi a vari livelli che ci fanno "staccare", che ci bloccano la ricezione di queste emozioni (uso la parola emozioni per comodità ma intendo quello che ho scritto sopra).
Questo apre molti scenari, i più attenti si staranno chiedendo: "ricezione da dove?" e soprattutto perchè.
Ci si dovrebbe poter arrivare unendo diversi thread, per esempio la parola ombra potrebbe aiutare ad un primo approccio... ma per adesso ci interessa più il perchè... se consideriamo il tutto in un'ottica in cui la nostra esistenza ha lo scopo di sperimentare la vita nella maniera più completa possibile anche se volessimo egoisticamente solo gioire... che so cose tipo provare estasi o altro per la legge della dualità non possiamo arrivare ad un certo livello di gioia se non possiamo anche sopportare il lato opposto.
Lo so sembra troppo matematica la cosa... però le leggi Universali sono così.
Sono sicuro che la riflessione su queste stupidaggini che ho scritto potrebbe già fare intuire alcune cose che normalmente non prendiamo in considerazione, comunque continuerò il discorso, per adesso mi fermo un momento.
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Vecchio 28-07-2006, 22.05.58   #59
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Siccome non sono senz'altro uno dei più attenti
forse ho scritto un sacco di .......te abbiate pazienza ma vorrei davvero comprendere...



Nel corpo dalla parte più materiale sino alla più rarefatta abbiamo la capacità di sopportare una certa variabile intensità di... emozione... non è proprio completamente corretto dire emozione, è qualcosa che va oltre, l'emozione ne è una conseguenza.

Comunque possiamo ricevere sofferenza, paura, umiliazione ma anche gioia, piacere etc etc fino ad un certo punto che è variabile a seconda delle persone (ma sarebbe meglio dire strutture psico-fisico-energetiche) e nello stesso essere è variabile a seconda di alcuni fattori tra cui "l'allenamento" ed il dispendio diciamo energetico globale.

Intendi una certa esperienza-azione da cui derivano successivamente o anche mentre delle emozioni, le quali possono essere, paura, piacere, umiliazione,gioia…che sono soggettive nel come vengono vissute. (psico-fisico-energetiche.) il tutto influisce relativamente a quanto a disposizione abbiamo nel serbatoio.


Cosa succede quando siamo al limite?

In maniera naturale subentrano alcuni meccanismi a vari livelli che ci fanno "staccare", che ci bloccano la ricezione di queste emozioni (uso la parola emozioni per comodità ma intendo quello che ho scritto sopra).

Intendi dire che se non ci senti con le buone subentrano delle cattive per farti capire che ora di dare un taglio ad un certo comportamento emozionale?

Questo apre molti scenari, i più attenti si staranno chiedendo: "ricezione da dove?"


Dal serbatoio dove abbiamo le nostre energie?
e soprattutto perchè.


Ci si dovrebbe poter arrivare unendo diversi thread, per esempio la parola ombra potrebbe aiutare ad un primo approccio... ma per adesso ci interessa più il perchè... se consideriamo il tutto in un'ottica in cui la nostra esistenza ha lo scopo di sperimentare la vita nella maniera più completa possibile anche se volessimo egoisticamente solo gioire... che so cose tipo provare estasi o altro per la legge della dualità non possiamo arrivare ad un certo livello di gioia se non possiamo anche sopportare il lato opposto.


Quindi se l’energia scarseggia la vita non riesce a sperimentare allora che fa attinge ad un’altra sfera per poter ancora usufruire di emozioni di cui nutrirsi?
Ovvero se non voglio volontariamente vivere lei mi spinge a provare ugualmente ciò che non voglio ma se non ho energia a sufficienza arriva a corrompere il corpo?

Lo so sembra troppo matematica la cosa... però le leggi Universali sono così.
Sono sicuro che la riflessione su queste stupidaggini che ho scritto potrebbe già fare intuire alcune cose che normalmente non prendiamo in considerazione, comunque continuerò il discorso, per adesso mi fermo un momento.

P.S. Scusate ho usato un altro colore perchè non so fare più quote
Grazie

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Vecchio 30-07-2006, 19.54.57   #60
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Si Grii intendo che le emozioni sono la conseguenza di un processo ben più grande che ci coinvolge, conseguenza che possiamo vivere o mettere a tacere, non c'è un metro per stabilire in maniera assoluta a priori quale delle due è giusta, dipende dall'essere, dal momento e luogo.

Per meccanismi a vari livelli intendo che a volte è il corpo che ci ferma, se non funziona lo stop possiamo collassare, infartuarci etc sia nella gioia che nel dolore (per fare esempi) , ma potrebbe essere una convenzione sociale per esempio che stimola la nostra razionalità, se durante un funerale ci venisse in mente una cosa che nulla c'entra divertente mai potremmo ridere, il bello (o brutto) è che questi meccanismi (sociali) ci limitano e costringono in continuo, non dico che bisogna andare in giro a ridere o piangere come matti, l'ideale sarebbe essere padroni dei propri pensieri in maniera che mai possa verificarsi una condizione del genere, ma qando non lo siamo come alla maggior parte delle persone capita subentrano le pressioni, i meccanismi bloccano le reazioni inopportune ma se non siamo in grado di vedere questo rischiamo di farci male.... soprattuto se alcuni di questi meccanismi si incastrano e non riaprono più il flusso... allora vediamo persone sempre estremamente controllate che rischiano di esplodere, quello che definisco essere anestetizzati è molto simile come cosa, solo che il blocco parte da dentro: soffrire mi fa star male (ma anche gioire, magari per paura che poi finsica) e allora blocco, in questa maniera la sofferenza si ripeterà perchè comunque in quel momento ne ho bisogno, se invece qualora non vi siano impedimenti apro tutte le valvole e mi "godo" qualsiasi stato si verifichi avrò il famoso effetto catartico....
Il discorso è appena iniziato..

in quel momento ne ho bisogno questa parte va sviluppata, è molto importante
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Vecchio 31-07-2006, 02.22.59   #61
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... allora vediamo persone sempre estremamente controllate che rischiano di esplodere, quello che definisco essere anestetizzati è molto simile come cosa, solo che il blocco parte da dentro: soffrire mi fa star male (ma anche gioire, magari per paura che poi finsica) e allora blocco, in questa maniera la sofferenza si ripeterà perchè comunque in quel momento ne ho bisogno, se invece qualora non vi siano impedimenti apro tutte le valvole e mi "godo" qualsiasi stato si verifichi avrò il famoso effetto catartico....
Il discorso è appena iniziato..

in quel momento ne ho bisogno questa parte va sviluppata, è molto importante


Mi aggrego....La sofferenza fa parte della vita e non penso che vi siano persone, per quanto 'lavoro' possano aver fatto su di sè che siano in grado di gestirla completamente. Sicuramente ci saranno persone che la sanno gestire più di altri, questo sì, ma esserne immuni...non sarebbero di questo mondo.(A parte forse qualche fachiro, yogi, o comunque chi da questo mondo si è completamente staccato).

Ci sono persone che invece della sofferenza sono succubi, ogni piccola cosa che gli accada, diventa una tragedia, e stanno sempre lì a piangersi addosso...vivono forse meglio di chi riesce a 'staccarsi' e trascendere in tempi relativamente brevi?
Poniamo che ci capiti una disgrazia, che sarà più o meno 'grave' a seconda di come la vivremo, avremo tutto il tempo di elaborare quel dolore, di dargli libero sfogo, ognuno poi lo affronterà a suo modo e coi suoi tempi, quando infine quel dolore sarà passato, ci si dovrà per forza di cose staccare, o si passerà tutta la vita a 'rivivere' quel momento andato, a stare attaccati al passato, senza godere mai il momento presente, portandosi dietro la rabbia, che molto spesso sfocerà in malattia....

In sintesi soffrire nel momento presente dell'accadimento è giusto, anzi addirittura 'utile' per elaborare il dolore, è 'catartico'.
Continuare a soffrire rimanendo ancorati al passato è inutile se non addirittura dannoso....certo se un dolore non lo si riesce a superare si continuerà a soffrire sine qua non.
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Vecchio 31-07-2006, 12.07.16   #62
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, in questa maniera la sofferenza si ripeterà perchè comunque in quel momento ne ho bisogno, se invece qualora non vi siano impedimenti apro tutte le valvole e mi "godo" qualsiasi stato si verifichi avrò il famoso effetto catartico....
Scusate non mi viene un esempio migliore e credo di essere anche OT
ma l'effetto catartico si verifica, faccio un esempio banale, nello stesso modo in cui il goloso mangia tantissime banane, perchè non ne può fare a meno sino a quando un'indigestine farà sì che lo nausino e non ne mangi mai più?
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Vecchio 31-07-2006, 13.17.09   #63
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Scusate non mi viene un esempio migliore e credo di essere anche OT
ma l'effetto catartico si verifica, faccio un esempio banale, nello stesso modo in cui il goloso mangia tantissime banane, perchè non ne può fare a meno sino a quando un'indigestine farà sì che lo nausino e non ne mangi mai più?
Uhum... si l'effetto esteriore può essere questo... in realtà, vado a orecchio cat-artico congelo in un angolo, in una categoria (magari l'etimologia è diversa, si può cercare, adesso non ho voglia ), l'effetto catartico è quando per la prima volta faccio realmente mio tutto ciò che scaturisce da quell'esperienza.
Pensa quante cose fai senza aver coscienza di aver fatto..... quelle sono cose che si ripetono in altra forma, non sto dicendo che per esempio se mangi in piena coscienza poi non mangi più.... anche se non è poi tanto strana e lontana come cosa, comunque delle cose può essere che le ripetiamo anche perchè necessarie in quanto immersi in un contesto... ma molte, la maggior parte la ripetiamo perchè in relatà non l'abbiamo vissuta realmente e totalemente... ci manca ancora un punto di vista e quello ricerchiamo in continuo... l'effetto catartico può essere il "congelamento" di uno dei punti di vista... lo conserviamo... ormai è "nostro".
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Vecchio 31-07-2006, 13.28.33   #64
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.

tratto dal DE MAURO
ca|tàr|si
s.f.inv.
TS filos.
1a nell’antica religione greca e nella filosofia pitagorica e platonica: purificazione dell’anima
1b nella “Poetica” di Aristotele: purificazione dell’anima dalle passioni che si verifica in chi assiste a una tragedia
2 CO estens., purificazione, redenzione
3 TS psic., in psicoanalisi: liberazione da tensioni psicologiche attraverso la rievocazione degli eventi che le hanno causate
4 TS med., evacuazione naturale o indotta di cavità organiche

Ultima modifica di griselda : 31-07-2006 alle ore 14.27.43.
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Vecchio 31-07-2006, 13.36.04   #65
Uno
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Questa è l'azione...... l'effetto è diverso.... ci vorrebbe Bibliotopo per una ricerca più approfondita
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Vecchio 31-07-2006, 15.49.05   #66
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Originalmente inviato da Haamiah
(A parte forse qualche fachiro, yogi, o comunque chi da questo mondo si è completamente staccato).
Vorrei brevemente dire, anche se ho intenzione di estendere il discorso in altro thread, che il fachiro e lo yogi non si staccano dal mondo, questa è l'immagine che passa a noi occidentali e purtroppo oggi anche a gran parte dell'oriente.
In sintesi per fermarmi solo al lato fisico maggiore è la calma e più bassa è la soglia del dolore, ciò non significa che io blocco il dolore o ne sono distaccato, significa che lo percepisco diversamente... poi in entrambe le scuole (fachiriche e yogiche ma non solo, anche nei conventi una volta... ed in tutti gli ordini monastici alle origini) si dovrebbe imparare anche la trasformazione di qualsiasi emozione in ciò che più ci serve per gli scopi che vogliamo ottenere...
Ho evitato di parlarne fin'ora perchè è inutile parlare di trasformare se prima non abbiamo coscienza di cosa.
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Vecchio 31-07-2006, 18.15.31   #67
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Originalmente inviato da Uno
.....se alcuni di questi meccanismi si incastrano e non riaprono più il flusso... allora vediamo persone sempre estremamente controllate che rischiano di esplodere, quello che definisco essere anestetizzati è molto simile come cosa, solo che il blocco parte da dentro: soffrire mi fa star male (ma anche gioire, magari per paura che poi finsica) e allora blocco, in questa maniera la sofferenza si ripeterà perchè comunque in quel momento ne ho bisogno, se invece qualora non vi siano impedimenti apro tutte le valvole e mi "godo" qualsiasi stato si verifichi avrò il famoso effetto catartico....
Il discorso è appena iniziato..

in quel momento ne ho bisogno questa parte va sviluppata, è molto importante
"In quel momento ne ho bisogno"... queste parole mi hanno sempre colpita molto.. ne ho bisogno.. ho bisogno della gioia, e della sofferenza in alcuni momenti della vita? e ancora.. le esperienze si ripeteranno (in forma diversa, ma anche nello stesso modo) , fino al momento in cui non avrò risolto gli impedimenti che non mi fanno "godere" le esperienze?
Si tratterebbe quindi di riuscire a vivere in pieno, le esperienze (tutte) che mi si presentano, nel momento stesso in cui mi accadono..
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Vecchio 31-07-2006, 19.21.56   #68
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Originalmente inviato da Uno
Questa è l'azione...... l'effetto è diverso.... ci vorrebbe Bibliotopo per una ricerca più approfondita
Chiamossimi, risposi. Al servizio vostro messeri... poi non dite che sbaformaggio (formaggio a sbafo).

Dunque "catarsi"... da cui catartico... quel che GrisElla riporta è corretto... proprio come il caffè ovvero è aggiunto da moderno anestetico significativo che impedisce la comprensione minima richiesta... meno male che ci siamo noi Topi a vegliare su di voi.

Ragionete su "netto"... "atto a purificare"... è vero che catartico è quell'effetto che purifica, quel che voi umani tendete a dimenticare è il significato di puro.
Puro non è uguale a pulito. Puro è uguale a "solo quello". L'acqua pura è acqua E SOLO acqua. Lo stomaco "purificato" è lo stomaco vuoto... solo stomaco.

Nella tragedia greca il tentativo (raggiunto assai meglio nella tragedia topesca) era quello di portare la situazione (emozione) al parossismo in nodo da ISOLARE quella specifica emozione e vincerla... mangiarla. La ripetizione della sofferenza, se bene interpreto le UNintenzioni, è quindi quel meccanismo attraverso il quale si identifica sempre meglio detta specifica emozione, in modo da separala da qualsiasi altra cosa (purificarla) e quindi anche da se stessi... (disidentificazione mi pare dite voi)... in detto modo ci si può poi nutrire di essa e se ne diventa i dominatori... si può quindi goderne, dato che il godimento è possibile solo in assenza del bisogno.

Questo è più o meno quanto. Se c'è qualche imprecisione su quel che riguarda il moi compito la colpa è vostra che non comprendete, se invece non ho ancora imparato ad usare bene i vostri concetto esostrani, sappiate che è la vostra di lingua e non la MIA.

PS: se necessita e c'è interesse approfondisco le altre questioni riguardanti il termine (pitagora ecc.ecc.), intanto segnalo che la concezione che viene dal De Mauro chiamata psicanalitica, psicanalitica non è... rilevo qualche incomprensione della psicanalisi... non si tratta di rievocazione ma di ripetizione dei vissuti, il che concorda con la visione UNica (di UNO)

PPS: Attendo formaggiamenti...
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Vecchio 01-08-2006, 12.28.34   #69
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Originalmente inviato da BiblioTopo

(disidentificazione mi pare dite voi)... in detto modo ci si può poi nutrire di essa e se ne diventa i dominatori... si può quindi goderne, dato che il godimento è possibile solo in assenza del bisogno.


PPS: Attendo formaggiamenti...
Mi colpisce molto questa cosa perchè nella visione comune in realtà un godimento deriva dal soddisfare un forte desiderio.
Invece mi viene in mente una famosa massima: godi di tutto ed astieniti da tutto.

Nel momento stesso in cui il desiderio generato da qualche emozione si fà forte tanto da nn avere altro pensiero che soddisfarlo .. quello è il momento di rinunciare ad esso (se ne parlava anche in altra discussione ma nn ricordo quale, sorry). Così astenendosi La si può osservare isolare studiare tanto da renderla impersonale e poterla poi finalmente vivere quando la si sente "a parte" da noi, momento in cui può essere pienamente goduta... è così?


p.s.

ho lasciato un formaggino qui ...
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Vecchio 01-08-2006, 14.57.59   #70
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Intanto le porgo i mie fOrMAGGI!!
In effetti si dice oro puro quando non è ancora la lega che conosciamo, ma non ci avevo fatto attenzione. grazie
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Originalmente inviato da BiblioTopo
Nella tragedia greca il tentativo (raggiunto assai meglio nella tragedia topesca) era quello di portare la situazione (emozione) al parossismo in nodo da ISOLARE quella specifica emozione e vincerla... mangiarla.
Domanda: ma aveva la stessa valenza di viverla? Partecipando ad una rapprensentazione è vero che ci si immedesima e quindi si provano cmq delle emozioni ma hanno lo stesso effetto?
Grazie infinite BiblioTopo!
Tutti i miei fOrMAGGI!!
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Vecchio 11-08-2006, 08.23.54   #71
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A chi di noi non è mai accaduto di soffrire?
Per sofferenza intendo un malessere profondo... fisico o psichico (o entrambi) in cui spesso, si sprofonda... che si subisce.... che si vive come un qualcosa di inevitabile che alla fine, puo' portare a cullarcisi dentro ...in questo modo pero'... si rischia davvero di non uscirne...
La "reazione" puo' essere allora di rabbia... quante volte ci siamo chiesti "perchè a me?" .. "Che ho fatto di male per meritare una cosa del genere?"
.... ho imparato, che la sofferenza...arriva per mostrarci qualcosa... qualcosa che non riusciamo a vedere in altro modo, se non soffrendo... qualcosa che ci porta, a farci delle domande... e a trovare risposte, che altrimenti, non arriverebbero... Vista in questa accezione... per quanto soffrire non piaccia a nessuno... non è poi così negativa no?
E se invece che respingere la sofferenza provassimo ad accoglierla... potremmo renderci conto che è possibile non girarci intorno... non farci sopraffare.....
la sofferenza è una cosa che piano piano ti distrugge l'anima...
Specialmente la sofferenza della morte...cioè quando muore una persona a te cara...la vita all'improvviso ti crolla adosso,vorresti evitare la sofferenza ma quando viene è difficile che se ne va...
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Vecchio 11-08-2006, 09.04.52   #72
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Originalmente inviato da sitael
la sofferenza è una cosa che piano piano ti distrugge l'anima...
Specialmente la sofferenza della morte...cioè quando muore una persona a te cara...la vita all'improvviso ti crolla adosso,vorresti evitare la sofferenza ma quando viene è difficile che se ne va...
E' vero... capitano momenti in cui tutto sembra crollare, in cui ogni possibile senso che cerchiamo di dare alle cose non conta più nulla. E' vero, la sofferenza fa difficoltà ad andarsene... è come se volesse fare di tutto per restare...

Certo, potremmo dire che dipende dall'accettazione... che soffriamo per motivi egoistici (chi è mancato manca a noi)... che se fossimo perfetti o quasi accetteremmo tutto quello che accade subito o quasi subito e non staremmo male o staremmo male pochissimo. Solo che perfetti non siamo e, anche se ci rendiamo conto di sta cosa, che alla fin fine per chi soffre sono solo parole, questo non ci basta a fare passare il male.

Purtroppo ci sono momenti nella vita... capitano cose per le quali è inevitabile soffrire. Cerchiamo di sfuggire alla sofferenza... ma più ci proviamo più questa ci insegue tenacemente.

Quando ci si trova in mezzo, quando si è nel turbine è molto difficile vedere, capire, riuscire a fare qualcosa... capita che ci sembra che esista solo la sofferenza e null'altro.
E' come cadere all'improvviso in acqua senza saper nuotare. Ci si agita, si ha paura... ed è difficle rendersi conto che la miglior cosa da fare per non affogare è stare fermi a braccia larghe... usare l'acqua per sostenerci... arrendersi ad essa.

Anche per la sofferenza è così... all'inizio tocca lasciarsi acchiappare... tocca arrendersi... fermarsi a "fare il morto" e recuperare le forze... poi magari si scopre che si galleggia e che un po' si può nuotare... ma arrendersi è il più grande atto di coraggio che si possa immaginare...

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Vecchio 11-08-2006, 09.59.30   #73
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E' vero... capitano momenti in cui tutto sembra crollare, in cui ogni possibile senso che cerchiamo di dare alle cose non conta più nulla. E' vero, la sofferenza fa difficoltà ad andarsene... è come se volesse fare di tutto per restare...

Certo, potremmo dire che dipende dall'accettazione... che soffriamo per motivi egoistici (chi è mancato manca a noi)... che se fossimo perfetti o quasi accetteremmo tutto quello che accade subito o quasi subito e non staremmo male o staremmo male pochissimo. Solo che perfetti non siamo e, anche se ci rendiamo conto di sta cosa, che alla fin fine per chi soffre sono solo parole, questo non ci basta a fare passare il male.

Purtroppo ci sono momenti nella vita... capitano cose per le quali è inevitabile soffrire. Cerchiamo di sfuggire alla sofferenza... ma più ci proviamo più questa ci insegue tenacemente.

Quando ci si trova in mezzo, quando si è nel turbine è molto difficile vedere, capire, riuscire a fare qualcosa... capita che ci sembra che esista solo la sofferenza e null'altro.
E' come cadere all'improvviso in acqua senza saper nuotare. Ci si agita, si ha paura... ed è difficle rendersi conto che la miglior cosa da fare per non affogare è stare fermi a braccia larghe... usare l'acqua per sostenerci... arrendersi ad essa.

Anche per la sofferenza è così... all'inizio tocca lasciarsi acchiappare... tocca arrendersi... fermarsi a "fare il morto" e recuperare le forze... poi magari si scopre che si galleggia e che un po' si può nuotare... ma arrendersi è il più grande atto di coraggio che si possa immaginare...

qualche saggio di cui non ricordo il nome, dice che è necessario abbandonarsi all'energia, al suo scorrere naturale, occorre arrendersi a lei.
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Vecchio 22-04-2007, 13.09.40   #74
Kael
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La sofferenza è distanza.
Maggiore la distanza, maggiore la sofferenza.

E' il diverso che fa soffrire.
Se ragioniamo a livello fisico (il più semplice da osservare) vediamo come il corpo soffre a elementi troppo diversi, da lui troppo distanti. Ad esempio una vasca con acqua troppo calda o troppo fredda (quindi distante da quella che è la sua temperatura ordinaria) un volume troppo alto, una luce troppo forte, ecc ecc..

Una temperatura troppo bassa ad esempio equivale a sofferenza solo per chi non vi è abituato, mentre per popolazioni del nord il cui corpo si è temprato (il che significa che si è "mangiato", cibato di freddo) rappresenta la normalità e semmai è il caldo torrido ad apportare sofferenza.
In questo modo però non si fa altro che spostare il proprio range di sopportazione, per alcuni abituarsi al caldo significa disabituarsi al freddo, quindi gioco forza o il caldo o il freddo saranno motivo di sofferenza. E' possibile temprarsi in entrambi i sensi?

Un corpo ugualmente temprato sia al caldo che al freddo potrebbe andarsene in giro per il mondo intero senza soffrire, in qulasiasi condizione climatica...

C'è da dire inoltre che spesso ci costruiamo delle sovrastrutture per ripararci dal mondo (nella metafora potrebbe essere una sciarpa, o un cappotto) il chè da un illusione di resistenza, ma appena tali sovrastrutture (che non sono nostre, proprie del nostro essere) vengono a mancare, ecco trovarci punto a capo (anzi, peggio, perchè così il corpo è diventato ancora meno temprato).

A questo punto spostando l'attenzione dal piano fisico ad altri piani (mentale, emozionale) si possono trarre le debite conclusioni... Temprare l'anima non significa negare il dolore o la sofferenza, al contrario, significa accogliere per far si di poterle "sopportare".
Come detto in altra discussione, divento immune al veleno solo se inizio ad assumerlo in piccole dosi, accogliendolo. Non rifiutandolo. Allora il mio corpo lo conoscerà e saprà fare quello che deve per resistergli.

Se sapessimo temprare i nostri nervi... accoglieremmo tutto invece di scottarci/li bruciarci/li...
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