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Vecchio 28-05-2011, 21.37.40   #1
Astral
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Predefinito Paura di essere felici

Le ansie, le paure, i problemi spesso ci rendeno la vita angosciante, e non ci permettono di goderne a pieno. Mi domando però se alla base di molte cose, noi ci complichiamo la vita, perchè sarebbe troppo bello essere felici, e troppo doloroso perdere quei momenti di gioia, che preferiamo premunirci e non averli, mettendo avanti dei problemi.
Altre volte pensiamo di non meritare la felicità o la gioia se volete, e che dobbiamo soffrire sempre.

Si pensa tanto alla paura di soffrire, ma quella della gioia è più nascosta, vuoi per fatalismo, vuoi per altro...
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Vecchio 28-05-2011, 22.28.30   #2
dafne
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Forse il dolore ci dà l'illusine di essere sotto il nostro controllo,mentre la felicità non arriva e non và sotto alcuno dei nostri sforzi. Và o viene da sè.
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Vecchio 28-05-2011, 23.20.39   #3
Grey Owl
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Originalmente inviato da Astral Visualizza messaggio
...perchè sarebbe troppo bello essere felici, e troppo doloroso perdere quei momenti di gioia...
Penso che non siamo abituati a gestire la gioia allo stato puro, semplicemente non la sopporteremmo. Un motivo potrebbe essere che conosciamo solo alcune dinamiche che ci portano a stati di felicità sufficenti e marginali. Metti ad esempio l'ottenere la felicità nell'ambito familiare, quello che abbiamo imparato in famiglia per ottenere un bisogno primario ovvero quello di essere felici.
Ed ancora la felicità cosè? Mi sono chiesto cosa significa essere felici, volevo poterti rispondere con sincera ricerca di cosa sia per me la felicità.

Ho scoperto che la felicità è uno stato dell'essere, quando il corpo è appagato e la mente tace allora sento la felicità che è una sorta di benedizione. Lo stupore nel vedere nascere mia figlia e la felicità di vederla crescere, la felicità è legata all'amore. L'amore in senso generale, amore per quello che si fa, amore verso i nostri cari, amore per le cose belle che ci emozionano come ad esempio un panorama. In quei momenti si è felici e non esiste il dubbio, si è felici e basta, appagati in tutto.

Mentre esiste anche la felicità fatua, quella illusoria che dura il tempo di un sogno. Si è felici per brevi momenti ma poi tutto ritorna in uno stato di ricerca di quei momenti. E' questa la felicità indotta o creata ad hoc per illudersi di essere felici.

Sono convinto che la felicità è un bisogno primario dell'uomo ed è per questo motivo che si è dotato dell'effimera speranza.

Ed ora rispondo alla frase del titolo, perchè parlare di paura quando si cerca di essere felici?

Perchè è difficile allontanarsi dal calore quando si ha freddo o dal nutrimento quando si ha fame. Il nostro essere ha bisogno di felicità come del sole e dell'aria che respira. L'uomo non vive se non è felice, piuttosto si lascia morire se non avesse momenti di felicità.

Ma comè possibile perdere la felicità? Se la si perde vuol dire che non è nostra di diritto o insita in noi? E perchè ci genera dolore nel perderla? La paura di essere felici nasce dal fatto che nel perderla essa ci causa dolore. Ma che felicità può essere quella che ci causa dolore nel momento che la perdiamo? Ricorda l'effetto di una droga, nel momento che non l'assumi più vai in astinenza con dolori lancinanti.

Possibile quindi che la felicità la si possa equiparare ad una droga? E che noi di conseguenza saremmo i tossicodipendenti sempre alla ricerca della prossima dose con la paura di cadere in crisi d'astinenza?

La mia è ovviamente una provocazione ma con la speranza di far vedere un punto di vista diverso, magari la mia provocazione porta nuovi stimoli al ragionamento del perchè si ha paura di essere felici.
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Vecchio 30-05-2011, 10.53.36   #4
Uno
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P quando il corpo è appagato e la mente tace
Con questa semplice constatazione hai risposto al perchè primario della paura, poi c'è anche la consapevolezza (più o meno inconscia) del non poterla sopportare oltre un tot.

A livello fisico è emblematico come felicità e sofferenza sono due lati della stessa medaglia. In entrambi i casi il corpo non può reggere più di un certo limite, in entrambi i casi un infarto è una fine tipica.
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Vecchio 30-05-2011, 11.14.04   #5
Astral
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Pensavo che l'infarto era dovuto ad un eccesso di colesterolo!

Quindi la chiave è il corpo? Maggiore felicità, sofferenza riusciamo a sopportare meglio è? Qualcuno disse che non possiamo vedere Dio allo stato grezzo, perchè moriremmo all'istante.
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Vecchio 30-05-2011, 22.25.54   #6
diamantea
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A livello fisico è emblematico come felicità e sofferenza sono due lati della stessa medaglia. In entrambi i casi il corpo non può reggere più di un certo limite, in entrambi i casi un infarto è una fine tipica.
In pratica è il rimanere fermi che porta alla morte, come stare in apnea con i polmoni pieni o vuoti. La vita è movimento, è spostamento fra gli opposti in un continuo moto dalla fase contrattiva a quella distensiva, inspiro ed espiro, felicità e sofferenza. Tra un opposto all'altro ci sono le infinite sfumature.

Nello yoga insegnano che il momento più importante da osservare è la pausa tra questi due movimenti.
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Vecchio 31-05-2011, 09.45.36   #7
Edera
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Ho scoperto che la felicità è uno stato dell'essere, quando il corpo è appagato e la mente tace allora sento la felicità che è una sorta di benedizione. Lo stupore nel vedere nascere mia figlia e la felicità di vederla crescere, la felicità è legata all'amore. L'amore in senso generale, amore per quello che si fa, amore verso i nostri cari, amore per le cose belle che ci emozionano come ad esempio un panorama. In quei momenti si è felici e non esiste il dubbio, si è felici e basta, appagati in tutto.
.

Condivido questa tua visione della felicità Grey.
Anch'io ho intravisto in me due tipi di felicità: uno legato ad eventi esterni,mutevole ed illusorio che cambia quando cambia il vento.
L'altro invece ha più a che fare con uno stato di Grazia dell'essere e nasce dal fatto di esserci e basta.
Credo che il primo tipo di felicità sia un sentimento di amore edonoistico che rifiuta il dolore e si compiace solo di se stesso, una specie di droga come dici tu.
Il secondo è un sentimento che accetta anche la sofferenza e la morte senza scappare, vivendole come parte integrante dell'esistenza.
Il primo sentimento, illusorio conduce alla ricerca del piacere continuo oppure (una volta che ci si è resi conto della sua natura illusoria) al nichilismo più cupo e stagnante, io la chiamerei la felicità della natura.
La felicità della grazia invece per me è movimento, fluire senza bisogno di stimoli particolari, non si cerca più la perdizione nel piacere o nel dolore ma si rimane al centro, abbracciando tutto quello che viene incontro.
Forse sì ha anche a che fare con lo stupore, con la meraviglia nell'osservare ciò che ci circonda: un fiore, un uccello, un uomo che lavora, i fratelli, i genitori, tutto acquista un senso, un filo conduttore che ci collega con l'universo. Ecco forse la felicità è proprio questa, la sensazione di essere a casa, nel proprio posto nel mondo.
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Vecchio 31-05-2011, 12.37.59   #8
Faltea
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Possibile quindi che la felicità la si possa equiparare ad una droga? E che noi di conseguenza saremmo i tossicodipendenti sempre alla ricerca della prossima dose con la paura di cadere in crisi d'astinenza?
Concordo anch'io con il pensiero di Gray, ma mi ha folgorato questa affermazione/provocazione e mi ha fatto riflettere sulla possibilità dell'assuefazione alla felicità..
C'è un qualcosa che non ho colto bene... Come se una condizione di felicità protratta portasse ad una stasi stucchevole che degenera in sofferenza, in voglia di cambiare e distruggere questa felicità per dare "moto"...

E' troppo per aria per ora... passo..

Dicevamo...
Concordo che la paura parte dal pensiero che chi o cosa ci rende felici venga a mancare, ma se arriva come una condizione di Grazia come si diceva prima (Edera mi pare ) non è legata ad un fatto ma a noi stessi, è libera da paure?
No, il battito aumenta, sudorazione, stato di agitazione che se il corpo non interpreta nella maniera giusta attiva tutti i campanelli di allarme, ansia e stato di panico.
Come diceva Uno, se la sensazione supera un tot.. crak.

Uno contiene un po' l'altro, soffri ma sei un po' contento perché ti senti più vivo, sei felice ma soffri un po' perché hai paura che ti portino via questa felicità o non la comprendi appieno e ti mette agitazione...
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Non ho bisogno di chi la pensa come me, ma di crescere aprendo la mente a diversi modi di vedere e di pensare.
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Vecchio 31-05-2011, 14.49.26   #9
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Il problema dovrebbe stare nella distanza fra i due opposti.
Un picco elevato di felicità, protratto nel tempo, non potendo rimanere tale troppo a lungo dovrà ritornare a valle, questa discesa nel moto inverso provoca la contrazione, ovvero quel senso di svuotamento o di depressione che si deve sopportare prima di tornare al normale ritmo equilibrante.
La sofferenza equilibrante di uno stato protratto nella felicità e viceversa.
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Vecchio 31-05-2011, 16.07.54   #10
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Nessuno ti costringe Tea a percorrere le due vie alla stessa velocità.

Certi pendoli poi è più conveniente farli andare tanto velocemente da "sembrar" di star fermi, in entrambi i sensi.
Certi, non tutti, non sempre.
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Vecchio 01-06-2011, 16.38.17   #11
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Il mio pendolo molto spesso fa la salita e poi la discesa con la stessa velocità motivo per cui mi consumo fino allo svilimento.
Io credo di dipendere dal fattore esterno, oggettivo capace di tirarmi su prima di compiere la discesa o viceversa. Immagino che si dovrebbe imparare a stare in una frequenza, stare all'interno della ruota o qualcosa di simile.

C'è una sorta di convincimento verso il raggiungimento del merito verso la felicità dopo aver vissuto la sofferenza.
Sarà solo condizionamento cattolico?
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Vecchio 01-06-2011, 20.12.08   #12
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Cattolicesimo o no, tutto si paga, o prima o dopo. Anche la felicità va guadagnata.
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Vecchio 01-06-2011, 20.38.20   #13
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Cattolicesimo o no, tutto si paga, o prima o dopo. Anche la felicità va guadagnata.
Questo mi pare giustissimo....
Il problema è cosa significa "guadagnare".La sofferenza può essere provocata da nostre scelte sbagliate, da situazioni strutturali che la provocano ecc

Nel secondo caso non si puòcerto stare alla finestra a soffrire, sbraitare, maledire tutto e tutti e pretendere poi la felicità, comunque si deve Lavorare, provare a usare la sofferenza per conoscersi meglio, per effettuare una "scrematura" delle cose che possono o meno essere davvero importanti evitando di ricorrere ad illusioni o palliativi, capire alcuni meccanismi e così via; in quel caso l'arrivo di (o l'arrivo ad ?) una felicità piena,appagante, ancorchè temporanea, dalla quale poi si ridiscenda per ripartire (possibilmente ulteriormente cambiati in meglio) mi sembra un'equa conclusione di un "ciclo"....se la conclusione non arriva mai però....
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Ultima modifica di luke : 01-06-2011 alle ore 20.51.36.
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Vecchio 01-06-2011, 20.49.32   #14
Astral
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Cattolicesimo o no, tutto si paga, o prima o dopo. Anche la felicità va guadagnata.
Quindi se uno ha sofferto tanto, ha già dato dei begli acconti?
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Vecchio 01-06-2011, 21.31.25   #15
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Se parliamo di felicità dobbiamo chiarirci prima cosa intendiamo con questo termine.
Le parole sono simboli a cui ognuno da un proprio valore (repetita juvant)
Se per felicità intendiamo "quel" particolare stato d'animo a cui il termine si riferisce (inutile aggiungere altre definizioni) tutti , chi più chi meno, lo abbiamo vissuto.
Ma questo stato è un evento transitorio, mai continuo, alternato a momenti di non felicità.
Senza tenere conto che senza il suo opposto (l'infelicità) la felicità non sarebbe nemmeno immaginabile.
Qualunque cosa noi proviamo non possiamo comprenderla senza assaporarne l’ opposto.
Comprendere questo è già una grande conquista verso l'accettazione e la comprensione della realtà.
Nessuno può essere esentato dal provare questa condizione alternante.

Il vero problema nasce invece quando cerchiamo la felicità eterna, duratura, definitiva.
Quella tanto cara ai ricercatori spirituali.
Una cosa così infatti non esiste in natura, esiste solo nella nostra fantasia, per questo è illusoria e causa di sofferenza e insoddisfazione.
Uno stato di perenne felicità, come uno stato di perenne sofferenza, sarebbe insopportabile per il corpo, in quanto distruggerebbe la sensibilità del sistema nervoso.

E' il nostro pensiero viziato e condizionato, che non è un pensiero individuale, ma di tutta l'umanità, che ci impedisce di ritrovare il nostro equilibrio originale.
Nel nostro stato naturale, quello dell'incanto del neonato, che non sa distinguere tra bene e male, tra bello e brutto, accetteremmo ciò che è per quello che è, senza giudizio e senza morale, dove felicità e infelicità non avrebbero alcun senso.

E’ quando veniamo a contatto con tutto quello che il pensiero umano ha teorizzato prima di noi che inizia il problema.
Ci hanno illuso che possa esistere una felicità duratura, ma qui in questa vita è pura illusione e non c’è niente che possiamo fare per cambiare questa situazione.
Rincorrere la felicità è un modo certo per non trovarla mai, come cercare di agguantare la propria ombra o di raggiungere l’orizzonte.
La felicità totale a cui tutti anelano non esiste, basta essere onesti con sè stessi per comprenderlo. Non ci sono metodi, né filosofie per raggiungerla.
Per questo abbiamo spostato l’obiettivo in un’altra vita, nell’adilà, nel paradiso eterno, nel nirvana…
La vera libertà sarebbe liberarsi da tutte queste illusioni e vivere nell’accettazione di ciò che è per quello che è.
Il problema della felicità, esiste solo perché ce lo poniamo, quindi basta non porsi il problema….
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Vecchio 02-06-2011, 10.39.17   #16
Ray
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La felicità totale a cui tutti anelano non esiste
La gente non anela alla felicità, solo gli inglesi lo fanno (F. Nietszche)


Comunque la questione sta qui a mio avviso:

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Uno stato di perenne felicità, come uno stato di perenne sofferenza, sarebbe insopportabile per il corpo,
Su questo siamo d'accordo, è stato pure detto esplicitamente. Uno parlava addirittura di infarti.


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Non ci sono metodi, né filosofie per raggiungerla.
Questo però non puoi saperlo, a meno di aver provato tutto e di aver stabilito senza ombra di dubbio che sia impossibile. E' una tua idea... tanto valida quanto quelle che chiami illusioni, almeno fino a prova contraria.

E' vero invece che se io mi alleno tiro su pesi sempre maggiori....
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Vecchio 02-06-2011, 11.37.26   #17
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Questo però non puoi saperlo, a meno di aver provato tutto e di aver stabilito senza ombra di dubbio che sia impossibile. E' una tua idea... tanto valida quanto quelle che chiami illusioni, almeno fino a prova contraria.
Certo, ho espresso un'opinione, nessuno può mai dimostrare nulla.
Però faccio anche altre considerazioni:
Io non ho mai incontrato nessuno in quello stato (ma questo non esclude a priori che qualcuno esista)
Nessuno ha mai dimostrato di essere in quello stato (non è sufficiente dichiararlo, il mondo è pieno di esaltati).
Se qualcuno così esistesse, beh siamo miliardi e le eccezioni confermano la regola...

Se ci fosse una "vera " soluzione alla domanda "si può essere costantemente felici ?", non esisterebbe più la domanda.....
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Vecchio 02-06-2011, 12.01.12   #18
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Il problema della felicità, esiste solo perché ce lo poniamo, quindi basta non porsi il problema….
Io grosso modo (senza vivisezionare il capello) sono d'accordo con tutto il resto del post, solo questa parte non condivido.
Non importa se possiamo essere felici sempre o no (in linea di massima tutti concordiamo con il no) è comunque uno stato dell'essere, importante direi, è quindi va indagato se nati per esser bruti non siamo,,,,
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Vecchio 02-06-2011, 15.33.16   #19
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Cattolicesimo o no, tutto si paga, o prima o dopo. Anche la felicità va guadagnata.
Lasciamo stare il cattolicesimo. lo dicevo giusto perchè ogni volta che si soffre ci si sente dire che "dopo" saremo premiati.
Io non mi trovo d'accordo con questa affermazione. Il fatto di soffrire in questa vita non credo possa essere garanzia di felicità nell'altra. C'è una qualità nel soffrire così come una qualità nello stare felici.
Conosco persone che rifiutano la felicità, vogliono solo la sofferenza per meritare il paradiso. Riescono a trasformare un momento felice in momento di dolore, ma poi cadono nel vittimismo, rivendicando crediti con la vita e con il Signore.

La felicità va guadagnata lo vedo nel senso di saper cogliere e vivere il momento quando accade, e poi lavorare per far accadere altri momenti. Il fatto di stare molti momenti nella sofferenza non è garanzia di conseguente felicità.
La felicità è come un treno, lo si può prendere come lo si può perdere.

Mi piacerebbe approfondire il discorso della velocità invece...

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Quindi se uno ha sofferto tanto, ha già dato dei begli acconti?
Anche in questo caso non credo che la sofferenza sia un bonus per la felicità. Dipende da come si è accettata e vissuta la sofferenza che ci può far meritare un momento di felicità. Una sofferenza rifiutata e quindi solo subita e sopportata nostro malgrado non credo che ci faccia accumulare punti di credito con la felicità. Nulla ci è dovuto credo. Anche la sofferenza viene guadagnata anche se spesso non siamo consapevoli, lavoriamo per essere felici invece stiamo solo attirando sofferenza.
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Vecchio 02-06-2011, 18.29.21   #20
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Io grosso modo (senza vivisezionare il capello) sono d'accordo con tutto il resto del post, solo questa parte non condivido.
Non importa se possiamo essere felici sempre o no (in linea di massima tutti concordiamo con il no) è comunque uno stato dell'essere, importante direi, è quindi va indagato se nati per esser bruti non siamo,,,,
Intendevo dire che, riconosciuta la felicità come uno stato che si alterna, mai continuo, il problema della ricerca di una felicità duratura non si pone più e con questo, l'ansia di doverla trovare da qualche parte, se ne va.
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Vecchio 02-06-2011, 18.41.00   #21
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Io non mi trovo d'accordo con questa affermazione. Il fatto di soffrire in questa vita non credo possa essere garanzia di felicità nell'altra. C'è una qualità nel soffrire così come una qualità nello stare felici.

La felicità va guadagnata lo vedo nel senso di saper cogliere e vivere il momento quando accade, e poi lavorare per far accadere altri momenti.
Su questo sono abbastanza d'accordo.
E' mia opinione, che la felicità promessa dalle religioni è una delle più grandi truffe ai danni dell'uomo.
Sofferenza e felicità sono parti integranti della vita così come essa è stata concepita.
Questa vita fino a prova contraria è l'unica certezza che abbiamo e basare la propria felicità su una promessa è contro natura.

L'idea di non essere abbastanza felici e di andare a cercare la felicità altrove che non sia qui e adesso, è una delle conseguenze aberranti di un pensiero religioso corrotto dalla nostra paura dell'impermanenza.

Ultima modifica di Telemaco : 02-06-2011 alle ore 18.46.19.
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Vecchio 02-06-2011, 20.16.07   #22
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C'è una qualità nel soffrire così come una qualità nello stare felici.
Ci sono due variabili in gioco.
La qualità che dici, che definirei meglio consapevolezza di come si soffre.
La diluizione o assunzione più pura che incide nel tempo e velocità, una cosa come quella del cerotto: lo stacchi di colpo o piano piano un pezzetto per volta?
Il rapporto tra queste due variabili determina i tipi di sofferenza che attiriamo e come movimentiamo il nostro conto del dare e avere.

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Intendevo dire che, riconosciuta la felicità come uno stato che si alterna, mai continuo, il problema della ricerca di una felicità duratura non si pone più e con questo, l'ansia di doverla trovare da qualche parte, se ne va.
Ah intendevi in particolare la felicità continua, non la felicità e basta. Ok

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Su questo sono abbastanza d'accordo.
E' mia opinione, che la felicità promessa dalle religioni è una delle più grandi truffe ai danni dell'uomo.
Mi sono perso qualcosa. Quale religione promette felicità?
Telemaco, attento, questa è una di quelle cose che qualcuno inizia a dire e poi tutti danno per scontato, ma se cerchi a fondo non sai da dove esce.
Invece è facile sapere perchè tutti la prendono per buona, perchè aggiungere fatti è un sistema comodo per poter rifiutare il semplice e vero che non solletica abbastanza.
Non sto parlando di te adesso, parlo in generale.

--------------
Volendo espandere il discorso, che in origine nasceva solo sulla paura di essere felici....

Si può essere più o meno felici?
Se si, posto che la felicità massima oltre che pericolosa è impossibile se non per brevi e fugaci momenti, potremmo accontentarci di una felicità meno importante ma più prolungata?

Si può dare e ricevere la felicità?
Che differenza c'è tra la felicità dell'essere e quella dell'avere, se per voi c'è?
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Vecchio 02-06-2011, 20.45.48   #23
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Mi sono perso qualcosa. Quale religione promette felicità?
Telemaco, attento, questa è una di quelle cose che qualcuno inizia a dire e poi tutti danno per scontato, ma se cerchi a fondo non sai da dove esce.
Tutte le religioni promettono la felicità eterna.
Chiamala beatitudine, estasi, pace assoluta, paradiso, tutti sinonimi dell'unica vera ambizione spirituale dell'uomo : vivere eternamente in assenza di sofferenza e preoccupazioni nel pieno benessere! chiamala se vuoi ..felicità assoluta.
Inutile nascondersi dietro tanti concetti...
Ma non devi essere per forza d'accordo, questa è "solo" la mia opinione.
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Vecchio 02-06-2011, 20.56.26   #24
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Si può essere più o meno felici?
Se si, posto che la felicità massima oltre che pericolosa è impossibile se non per brevi e fugaci momenti, potremmo accontentarci di una felicità meno importante ma più prolungata?
Se lo chiedi a me, che sai cosa penso sul libero arbitrio, puoi già immaginarti la risposta...ahahaha

Molto avrebbe potuto essere diverso se io fossi stato diverso. Ma tutto è stato come doveva essere; perchè tutto è avvenuto in quanto io sono come sono.
Carl Gustav Jung

Ecco questo vale anche per l'essere più o meno felici...

Ultima modifica di Telemaco : 02-06-2011 alle ore 20.58.48.
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Vecchio 02-06-2011, 21.06.32   #25
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Tutte le religioni promettono la felicità eterna.
Chiamala beatitudine, estasi, pace assoluta, paradiso, tutti sinonimi dell'unica vera ambizione spirituale dell'uomo : vivere eternamente in assenza di sofferenza e preoccupazioni nel pieno benessere! chiamala se vuoi ..felicità assoluta.
Inutile nascondersi dietro tanti concetti...
Ma non devi essere per forza d'accordo, questa è "solo" la mia opinione.
Non è solo la tua opinione, hai fatto bene a virgolettare, però è fondata su menzogne che solo in parte provengono dalle religioni.
Non posso condividere che felicità, beatitudine, pace siano sinonimi. Se lo fossero allora potrei "provarti" che la felicità può essere permanente perchè io sono sempre in pace, almeno con me stesso. Invece no... non sono sempre al massimo grado di felicità.
Il paradiso non è felicità (anche se qualche catechismo moderno ha manipolato un pò la faccenda), è pace e beatitudine ma neanche per tutti allo stesso livello visto che ci sono i beati e i non beati.
Se prendiamo un'altra qualsiasi religione le cose non cambiano.
Uno non è connesso  
 


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