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Vecchio 08-09-2009, 00.00.23   #1
RedWitch
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Predefinito L'indispensabilità ci fa esistere

Qualche sera fa ho fatto una chiacchierata con una cara amica e prendo in prestito alcune parole che mi ha detto per il titolo del thread, e che mi hanno aiutata a vedere qualcosa di importante, che pero' vorrei approfondire meglio con voi.

Sentirmi utile per qualcosa/qualcuno, è ciò che fino ad ora mi fa esistere, mi fa avere una identità che pero' non è reale.. provo a spiegarmi: lavoro da ormai da quasi 10 anni nello stesso ufficio, (faccio parte dell'arredamento ormai ), e lì dentro, mi sentivo indispensabile e caricavo quel lavoro di un'importanza enorme, e pensavo di essere quasi intoccabile, pensavo che non sarei mai stata licenziata, perchè comunque al mio capo "servivo"...
Poi c'è stato un lento ma progressivo calo del lavoro che mi ha fatto iniziare a vacillare... se lo avessi perso che avrei fatto? Avrei mai trovato altro? Mi ci sono aggrappata con unghie e con denti, ma in ogni caso quel lavoro ad un certo punto è diventato forzatamente part-time, e al di là dello stipendio, di cui comunque avevo bisogno, mi sono trovata dopo anni ad avere mezza giornata libera (dopo un po' ho iniziato anche ad apprezzare, ma i primi giorni ero persa). Riempivo le mie giornate con l'ufficio, e nonostante il lavoro non sia mai stato chissà che, mi sentivo indispensabile, e questo mi faceva esistere, identificata nel lavoro... Nel tempo ho creduto di averci lavorato sopra, e di aver superato certe cose, tant'è che adesso pur con la consapevolezza che il mio mezzo lavoro è a rischio, non mi importa più.. mi sento di aver dato tutto quel che potevo li dentro (e paradossalmente solo da quando sono part time ci ho messo davvero impegno e attenzione), e poi ci sono una serie di situazioni poco gradevoli .. credo di non avere più nulla da fare li dentro, e non mi importa più di essere indispensabile.. tutto bene quindi... ed invece no, perchè l' amica di cui sopra, mi ha fatto notare che non ho risolto il problema, l'ho semplicemente spostato su altro, che comunque ora mi riempie, e non mi da il tempo per pensare a me stessa, e alla ricerca ... Alla fin fine sto continuando a spostare fuori, per non vedere dentro, continuo ad identificarmi con dei ruoli che mi facciano sentire utile, che mi diano un senso, che mi facciano "essere" qualcuno... ma fino a quando?
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Vecchio 08-09-2009, 10.25.54   #2
stella
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Qualche sera fa ho fatto una chiacchierata con una cara amica e prendo in prestito alcune parole che mi ha detto per il titolo del thread, e che mi hanno aiutata a vedere qualcosa di importante, che pero' vorrei approfondire meglio con voi.

Sentirmi utile per qualcosa/qualcuno, è ciò che fino ad ora mi fa esistere, mi fa avere una identità che pero' non è reale.. provo a spiegarmi: lavoro da ormai da quasi 10 anni nello stesso ufficio, (faccio parte dell'arredamento ormai ), e lì dentro, mi sentivo indispensabile e caricavo quel lavoro di un'importanza enorme, e pensavo di essere quasi intoccabile, pensavo che non sarei mai stata licenziata, perchè comunque al mio capo "servivo"...
Poi c'è stato un lento ma progressivo calo del lavoro che mi ha fatto iniziare a vacillare... se lo avessi perso che avrei fatto? Avrei mai trovato altro? Mi ci sono aggrappata con unghie e con denti, ma in ogni caso quel lavoro ad un certo punto è diventato forzatamente part-time, e al di là dello stipendio, di cui comunque avevo bisogno, mi sono trovata dopo anni ad avere mezza giornata libera (dopo un po' ho iniziato anche ad apprezzare, ma i primi giorni ero persa). Riempivo le mie giornate con l'ufficio, e nonostante il lavoro non sia mai stato chissà che, mi sentivo indispensabile, e questo mi faceva esistere, identificata nel lavoro... Nel tempo ho creduto di averci lavorato sopra, e di aver superato certe cose, tant'è che adesso pur con la consapevolezza che il mio mezzo lavoro è a rischio, non mi importa più.. mi sento di aver dato tutto quel che potevo li dentro (e paradossalmente solo da quando sono part time ci ho messo davvero impegno e attenzione), e poi ci sono una serie di situazioni poco gradevoli .. credo di non avere più nulla da fare li dentro, e non mi importa più di essere indispensabile.. tutto bene quindi... ed invece no, perchè l' amica di cui sopra, mi ha fatto notare che non ho risolto il problema, l'ho semplicemente spostato su altro, che comunque ora mi riempie, e non mi da il tempo per pensare a me stessa, e alla ricerca ... Alla fin fine sto continuando a spostare fuori, per non vedere dentro, continuo ad identificarmi con dei ruoli che mi facciano sentire utile, che mi diano un senso, che mi facciano "essere" qualcuno... ma fino a quando?
Anch'io ho imparato a mie spese di non essere indispensabile in molte cose, e di aver più volte dovuto considerare la mia vita ed esistenza da un altro punto di vista.
Mi sto rendendo conto che far ruotare tutto intorno al posto di lavoro può essere gratificante pensando di essere unici a saperlo fare in quel modo, magari è anche così ma sono veramente rare le persone insostituibili, e le cose e le priorità cambiano.
In questo periodo sto passando una crisi che potrebbe coinvolgere anche il lavoro oltre che la vita di coppia, e si sta facendo capolino l'idea di mollare tutto per prendere la liquidazione e ristabilire nuovi equilibri e priorità....
Mi sto rendendo conto che l'unico posto dove siamo indispensabili è la nostra vita, anche se cambia il punto fermo restiamo noi.
Il fatto di essere utili agli altri è una gran bella cosa, ma sposta il problema su "noi in relazione a...." per cui se viene a cadere quell' "a....." ci sentiamo crollare un po' tutto il nostro mondo.
Invece se prima di tutto cerchiamo di essere utili a noi stessi potremmo vedere le cose da un altro punto di vista.
Non è facile questo discorso e non so se sono riuscita a spiegarmi, ma certe volte quando si pensa di aver perso qualcosa si aprono nuove prospettive che magari prima non si vedevano avendo un po' il paraocchi dei soliti binari....

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Vecchio 08-09-2009, 20.59.16   #3
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Esistere è vedere noi stessi negli altri, agire in modo da poterci specchiare e riconoscere negli altri un risultato mosso da noi così che come in un film, vediamo noi vivere, esistere. E' voler possedere gli altri e l'ambiente. penso che queste cose le hai già valutate.

E' come una mamma che dice di voler dare al figlio tutto quello che non ha avuto lei ma non ha mai chiesto al figlio cosa vuole.

In un certo senso dietro c'è una grande superbia. Se penso e suppongo anche inconsciamente di essere indispensabile, che vuol dire agire in tal senso e proiettare il bisogno di esserlo, vuol dire che mi sento molto importante ma che non ho fiducia che gli altri lo vedano o lo riconoscano e quindi mi rendo/sento indispensabile.
La superbia è nel non aver l'onestà di ammettere che si ha paura che gli altri non ci gratifichino. Si cerca così la gratificazione nella proiezione. Potrebbe essere questo uno dei motivi per cui il tuo lavoro a tempo pieno era blando e quando hai avuto paura e hai avuto la percezione che non eri indispensabile ti sei data da fare per trovare la gratificazione. Sotto pressione si lavora sempre meglio.

La questione della superbia l'ho appena intravista anche io, da qualche giorno, ma ci sta secondo me.
__________________
Se non sarò me stesso chi lo sarà per me? E se non ora, quando?
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Vecchio 08-09-2009, 23.35.49   #4
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Ne avevamo già parlato in qualche altro thread mi pare, è la memoria che gli altri conservano di noi che ci fa esistere... Se chiudo un oggetto dentro un baule e poi lo sotterro a qualche metro di profondità e lo lascio li per parecchi anni, potremo ancora dire che quell'oggetto esiste, in relazione a chi vive la sua caotica vita in superficie? Evidentemente no...

Se a questo aggiungiamo l'essere indispensabili, ci riferiamo ad una memoria ancora più forte, più fissata. Se sono indispensabile a qualcuno infatti, come potrebbe questo dimenticarsi di me?
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Vecchio 08-09-2009, 23.45.08   #5
Ray
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Concordo abbastanza con Sole e Kael, però si può anche vedere la cosa da un altro punto di vista... magari si arriva alla stessa conclusione, ma si arricchisce.

Voler essere indispensabili nasconde la paura di non servire a niente. Possiamo, nelle fasi iniziali del nostro cammino su questa palla di fango, avere la sensazione di esistere, ma il dato di fatto non da il perchè. Abbiamo quindi subito bisogno di servire a qualcosa. Questo bisogno può muovere alla ricerca di un senso... e questo unito all'inconsapevolezza in cui nuotiamo, genera la proiezione verso un ruolo. Ed ecco che cerchiamo un senso nello servire a qualcosa, meglio se qualcuno. In un certo senso è rubare esistenza, appoggiarsi... il nulla è sempre lì dietro l'angolo che ti soffia nell'orecchio, finchè non riesci a fondare l'esistenza sull'essere. E ce ne vuole...
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Vecchio 09-09-2009, 00.24.32   #6
RedWitch
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Concordo abbastanza con Sole e Kael, però si può anche vedere la cosa da un altro punto di vista... magari si arriva alla stessa conclusione, ma si arricchisce.

Voler essere indispensabili nasconde la paura di non servire a niente. Possiamo, nelle fasi iniziali del nostro cammino su questa palla di fango, avere la sensazione di esistere, ma il dato di fatto non da il perchè. Abbiamo quindi subito bisogno di servire a qualcosa. Questo bisogno può muovere alla ricerca di un senso... e questo unito all'inconsapevolezza in cui nuotiamo, genera la proiezione verso un ruolo. Ed ecco che cerchiamo un senso nello servire a qualcosa, meglio se qualcuno. In un certo senso è rubare esistenza, appoggiarsi... il nulla è sempre lì dietro l'angolo che ti soffia nell'orecchio, finchè non riesci a fondare l'esistenza sull'essere. E ce ne vuole...
Senza togliere nulla alle altre risposte (grazie a tutti), io credo che il centro (per me) sia qui, nelle parole di Ray . Il ruolo che ci prendiamo (nel lavoro, nella vita) diventa un surrogato dell'essere, perchè non lo conosciamo, non siamo in grado di guardare a lungo dentro di noi , il rischio è quello di trovare un vuoto che non siamo in grado di reggere.. il ruolo che ci prendiamo diventa lo scopo, l'esistere per.. ed ecco che se viene a mancare per qualsiasi motivo annaspiamo.
Sono d'accordo su quanto dicevano anche Kael e Sole, sul discorso del possesso, della superbia e del voler essere ricordati per esistere...li vedo pero' come effetti di quel ruolo che ci prendiamo e che non vorremmo mollare...

ps: Stella mi dispiace per la tua crisi, spero che tu possa risolvere
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Vecchio 09-09-2009, 17.35.54   #7
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ps: Stella mi dispiace per la tua crisi, spero che tu possa risolvere
Grazie
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Vecchio 09-09-2009, 20.39.17   #8
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Concordo abbastanza con Sole e Kael, però si può anche vedere la cosa da un altro punto di vista... magari si arriva alla stessa conclusione, ma si arricchisce.

Voler essere indispensabili nasconde la paura di non servire a niente. Possiamo, nelle fasi iniziali del nostro cammino su questa palla di fango, avere la sensazione di esistere, ma il dato di fatto non da il perchè. Abbiamo quindi subito bisogno di servire a qualcosa. Questo bisogno può muovere alla ricerca di un senso... e questo unito all'inconsapevolezza in cui nuotiamo, genera la proiezione verso un ruolo. Ed ecco che cerchiamo un senso nello servire a qualcosa, meglio se qualcuno. In un certo senso è rubare esistenza, appoggiarsi... il nulla è sempre lì dietro l'angolo che ti soffia nell'orecchio, finchè non riesci a fondare l'esistenza sull'essere. E ce ne vuole...
Quando nasci non ti poni il problema dell'essere, quando cresci sei impegnato a formarti, quando sei giovane devi trovare una collocazione nel mondo, quando sei adulto cominci a porti le domande sull'essere, sul tuo modo di vivere....ma forse è troppo tardi?
E comunque basare l'esistenza sull'essere potrebbe indurci a vivere sotto tono, quasi un pò abulici, senza spinte?
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Vecchio 09-09-2009, 23.07.02   #9
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Quando nasci non ti poni il problema dell'essere, quando cresci sei impegnato a formarti, quando sei giovane devi trovare una collocazione nel mondo, quando sei adulto cominci a porti le domande sull'essere, sul tuo modo di vivere....ma forse è troppo tardi?
E comunque basare l'esistenza sull'essere potrebbe indurci a vivere sotto tono, quasi un pò abulici, senza spinte?
Mi sa che non ci siamo intesi. Quando ho detto "essere" intendevo la nostra vera essenza, quella che ogni ricercatore appunto ricerca. Una volta che si riesca a fondare la vita su di essa in maniera stabile non c'è più necessità di identificazioni esterne, di ruoli, di sensi (significati) illusori.
Prima di riuscirci viviamo sotto tono, non dopo.
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Vecchio 09-09-2009, 23.15.07   #10
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Mi sa che non ci siamo intesi. Quando ho detto "essere" intendevo la nostra vera essenza, quella che ogni ricercatore appunto ricerca. Una volta che si riesca a fondare la vita su di essa in maniera stabile non c'è più necessità di identificazioni esterne, di ruoli, di sensi (significati) illusori.
Prima di riuscirci viviamo sotto tono, non dopo.
Scusa hai ragione, ho fatto un pò di confusione, mi rimane, tuttavia, in sospeso l'idea che una volta raggiunto la nostra vera essenza, difficilissimo peraltro, come mi dovrei raffigurare la vita, come quella di Siddharta? alla fine della sua lunga vita si siede sull'argine del fiume e lo guarda scorrere...in continuo movimento ma sempre in unico presente, sempre uguale all'infinito...
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Vecchio 09-09-2009, 23.25.26   #11
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Scusa hai ragione, ho fatto un pò di confusione, mi rimane, tuttavia, in sospeso l'idea che una volta raggiunto la nostra vera essenza, difficilissimo peraltro, come mi dovrei raffigurare la vita,
Come quella di un veicolo di una forza superiore, non più frenata dalle circostanze, ma solo soggiacente alle leggi del piano di manifestazione in cui opera.
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Vecchio 09-09-2009, 23.27.26   #12
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Come quella di un veicolo di una forza superiore, non più frenata dalle circostanze, ma solo soggiacente alle leggi del piano di manifestazione in cui opera.
non sono ironica, sono solo stanca e non ho capito niente....
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Vecchio 09-09-2009, 23.30.55   #13
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Scusa hai ragione, ho fatto un pò di confusione, mi rimane, tuttavia, in sospeso l'idea che una volta raggiunto la nostra vera essenza, difficilissimo peraltro, come mi dovrei raffigurare la vita, come quella di Siddharta? alla fine della sua lunga vita si siede sull'argine del fiume e lo guarda scorrere...in continuo movimento ma sempre in unico presente, sempre uguale all'infinito...
Per intuito, visto che non sono cose che ho ancora vissuto, non dovrebbe essere così come lo descrivi, quasi come se fosse una noia mortale.

Debbo dire, però, che dubbi simili sono venuti anche a me in passato varie volte, ad esempio quando sento dire che bisogna disidentificarsi dall emozioni ecc, abbandonare la personalità di facciata ed entrare in contatto col vero sè ecc: uno può rispondere che le emozioni , belle o brutte che siano, sono il sale della vita, ed il discorso sul sè può apparire ad una prima analisi come se fosse una cosa fredda, asettica, impersonale, come se si diventasse degli individui apatici e distanti da tutto.

E' ovvio che poi basta guardare alcuni esempi (Gesù, Buddha, San Francesco ecc) per capire che le cose non stanno così e che le emozioni legate al raggiungimento della propria essenza sono molto, molto, più vere, profonde, durature e belle delle reazioni emotive meccaniche che prova la maggior parte delle persone, i pensieri sono più vivi, si guarda la vita in modo totalmente nuovo e diverso, non si naviga più a vista col rischio continuo di finire sugli scogli, ma si parte per uno splendido viaggio durante il quale si affrontano bene anche le peggiori tempeste...
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Vecchio 09-09-2009, 23.31.06   #14
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non sono ironica, sono solo stanca e non ho capito niente....
Mi sto rifacendo a dei concetti discussi in molti tread delle sezioni esoterismo e tradizioni, ma anche filosofia.
Intendevo dire che la nostra vita, la nostra espressione, è limitata sia dalle leggi del mondo in cui viviamo (quello fisico... ce ne sono altri) sia da tutta una serie di ulteriori freni dovuti alle nostre difficoltà, ai nostri difetti, ai bisogni, alle circostanze esterne, alle influenze eccetera eccetera... fondati sull'essere restano le leggi.
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Vecchio 09-09-2009, 23.40.25   #15
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Mi sto rifacendo a dei concetti discussi in molti tread delle sezioni esoterismo e tradizioni, ma anche filosofia.
Intendevo dire che la nostra vita, la nostra espressione, è limitata sia dalle leggi del mondo in cui viviamo (quello fisico... ce ne sono altri) sia da tutta una serie di ulteriori freni dovuti alle nostre difficoltà, ai nostri difetti, ai bisogni, alle circostanze esterne, alle influenze eccetera eccetera... fondati sull'essere restano le leggi.
Conosci degli esempi di persone che abbiano raggiunto questo stadio?
Ammesso che si possa raggiungere tale fase priva di inibizioni, libera da legami esterni, da freni interiori, si dovrebbe vivere scevri da ogni terrena ed umana preoccupazione, saremmo nell'eden in totale serenità e imperturbabilità, quasi uno stadio sovrumano...
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Vecchio 09-09-2009, 23.49.26   #16
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Conosci degli esempi di persone che abbiano raggiunto questo stadio?
Ammesso che si possa raggiungere tale fase priva di inibizioni, libera da legami esterni, da freni interiori, si dovrebbe vivere scevri da ogni terrena ed umana preoccupazione, saremmo nell'eden in totale serenità e imperturbabilità, quasi uno stadio sovrumano...
Si eden è giusto, ma non sovrumano. E' una condizione umana possibile, il sovrumano parte da li. Bon, mi sa che siamo fuori come balconi... ci sono vari tread in cui possiamo riprendere il discorso, o anche farne uno nuovo.
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Vecchio 09-09-2009, 23.54.47   #17
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Si eden è giusto, ma non sovrumano. E' una condizione umana possibile, il sovrumano parte da li. Bon, mi sa che siamo fuori come balconi... ci sono vari tread in cui possiamo riprendere il discorso, o anche farne uno nuovo.
Sì, scusa l'OT,
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