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Vecchio 13-04-2007, 05.52.57   #26
Ray
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Quindi se si arriva all'autoconoscenza non ci sarà più il vedere per dire il lavoro ogni tanto come un peso, ma come una gioia? Ogni cosa che si fa, di qualunque tipo, parte dalla mia volontà, e quindi viene fatta con serenità? Se tolgo il devo mi sto semplicemente nascondendo?
Avevo sentito che un aiuto sarebbe quello di cambiare la parola dovrei con potrei, in modo da alleviare la preoccupazione, ma probabilmente anche questa è una specie di trappola per la mente.
Eh, mi sto nascondendo si. Se tolgo il "devo" da qualcosa che devo me la sto raccontando... mi sto dicendo che ho un potere di scelta che in realtà non ho e che semmai posso costruirmi, ma se mi dico che ce l'ho già non lo costruirò.

D'altra parte il sostituire parole (che poi sono concetti) con altre più piacevoli ma meno centrate non è un passo verso la verità ma nella direzione opposta, quindi certamente non mi avvicino all'autoconoscenza. E' una sostituzione che avviene per preferenza personale, quindi alla fin fine va ad accontentare un'istanza della mente (che mente) che vuole trarre continuamente godimento indebito dal corpo... e può dormire. L'esempio del respirare è estremo ma chiarificatore. Io devo respirare... posso anche raccontarmi che invece posso e che morire di asfissia autoindotta è una mia possibile libera scelta, ma se non è dormire questo...

Il pensiero "devo respirare" o "devo lavorare" è la conseguenza di una percezione del reale, una diciamo "logica" conclusione della mia percezione, in prima istanza, del mondo e di me stesso. E' quindi un pensare conseguente al corporeo, che poi è quello che noi chiamiamo pensiero e che siamo in grado, a vari livelli di utilizzare.
Diverso è l'utilizzo di quel "pensare" che non è un pensare a cui accennava Uno e che è, diciamo, il ritrovamento, la ri-unificazione di una corrente spirituale che nel piano corporeo si scinde in tre, si ripartisce in circa quel che chiamiamo pensare, sentire e percepire (testa, cuore, corpo)... è quindi una corrente sovrarazionale che va raggiunta tramite autoconoscenza (e non solo) ovvero partendo dal "devo respirare e lavorare" e non dal negarlo che non fa niente altro che alimentare questa divisione. Non so quanto io sia capace di far capire ciò che intendo in questo ultimo pezzo, in ogni caso si tratta di favole o di aria fritta finchè non se ne ha un seppur minimo sentore...

Meglio a mio avviso partire dall'ammissione che devo respirare e lavorare, ammissione che, almeno in questo singolo campo, toglie la superbia e mi pone nella condizione mettermi a fare dato che devo (l'inizio di una decisionalità) che sia con gioia o meno. Gioia che a questo punto diviene un aspetto secondario della questione. Se c'è bene, se non c'è che faccio? non respiro?
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Vecchio 13-04-2007, 08.43.29   #27
Grey Owl
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Grazie Ray... caspita... si... quello che scrivi e' quello che condivido in pieno... partire dall'ammissione che devo respirare e lavorare, che sia con gioia o meno e non dal negarlo.
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Vecchio 13-04-2007, 09.37.17   #28
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Però la gioia la cercherei.... gioia intesa anche come giocosità e soprattutto come cosa preziosa. In effetti la preziosità di una cosa è determinata da alcune variabili tra cui le più importanti sono il gusto e la necessità umana. Se amo una cosa, questa per me (e per chi l'ama) è preziosa, diversamente dal costo che è determinato da domanda/offerta. Necessità invece perchè uno che fa la fame per quando ami Picasso, avrà nel sua scala di preziosità prima una bella pagnotta.
Quindi finchè una cosa per me non è preziosa sarà sempre un peso... riprendiamo il lavoro... a livello razionale (l'unico spiegabile forse abbastanza semplicemente) se mi fermo a pensare un secondo che potrei non averlo, che c'è gente che non lo ha, gente che corre, corre per trovarlo... almeno a livello razionale mi diventa prezioso, che è diverso dall'attaccarcisi, quella è bramosia... idem il denaro... mi può essere prezioso perchè lo posso usare per fare cose che mi piacciono o interessano... se lo accumulo o mi ci attacco solo per averlo finisce la preziosità.
Insomma si potrebbe dire con altre parole che la giosità e quindi la preziosità sono il nostro tendere verso qualcosa con tutto il nostro essere... non dimenticandoci però chi siamo, quando questo accade diventa cupidigia, l'oggetto della nostra bramosia ci infilza e ci possiede.

Negli esempi sopra mi sono limitato a soggettive situazioni, ma esiste anche una preziosità oggettiva, per esempio la vita che è preziosa anche per chi crede di non amarla.
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Vecchio 13-04-2007, 09.47.32   #29
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Il pensiero "devo respirare" o "devo lavorare" è la conseguenza di una percezione del reale, una diciamo "logica" conclusione della mia percezione, in prima istanza, del mondo e di me stesso. E' quindi un pensare conseguente al corporeo, che poi è quello che noi chiamiamo pensiero e che siamo in grado, a vari livelli di utilizzare.
Diverso è l'utilizzo di quel "pensare" che non è un pensare a cui accennava Uno e che è, diciamo, il ritrovamento, la ri-unificazione di una corrente spirituale che nel piano corporeo si scinde in tre, si ripartisce in circa quel che chiamiamo pensare, sentire e percepire (testa, cuore, corpo)... è quindi una corrente sovrarazionale che va raggiunta tramite autoconoscenza (e non solo) ovvero partendo dal "devo respirare e lavorare" e non dal negarlo che non fa niente altro che alimentare questa divisione. Non so quanto io sia capace di far capire ciò che intendo in questo ultimo pezzo, in ogni caso si tratta di favole o di aria fritta finchè non se ne ha un seppur minimo sentore...

Meglio a mio avviso partire dall'ammissione che devo respirare e lavorare, ammissione che, almeno in questo singolo campo, toglie la superbia e mi pone nella condizione mettermi a fare dato che devo (l'inizio di una decisionalità) che sia con gioia o meno. Gioia che a questo punto diviene un aspetto secondario della questione. Se c'è bene, se non c'è che faccio? non respiro?
Io farei una differenza però tra quello che facciamo "inconsciamente" e "consciamente".
Io non devo ricordarmi ogni momento di dover respirare, o di dover digerire....
Sono cose che avvengono anche quando dormiamo.... se no dovremmo essere sempre svegli.... il corpo sa che per sopravvivere deve fare queste cose... e le fa senza che io mi forzo a farle...
Al contrario, qualche volta che ho provato a trattenere il respiro per cronometrare quanto tempo posso stare senza respirare, ho dovuto sforzarmi di non respirare, cioè andare contro a quanto il mio corpo fa spontanamente ....
Invece il "devo lavorare" è una cosa che mi piaccia o no devo fare per sopravvivere... a prescindere che ne abbia voglia o no...
Lavorare è uno sforzo cosciente per ottenere qualcosa che altrimenti non avrei. Se poi amo il mio lavoro questo sforzo oltre che passare dal cervello passa anche dal cuore, il "devo lavorare" rimane ma in questo modo unisco l'utile al dilettevole... non mi sforzo più che tanto perchè anche se non fosse strettamente necessario lo farei lo stesso....
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Vecchio 13-04-2007, 10.00.09   #30
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il corpo sa che per sopravvivere deve fare queste cose... e le fa senza che io mi forzo a farle....
Anche se parlavi con Ray mi permetto visto che sono in giro....

Hai scritto bene "senza che io mi sforzo"
Eppur se analizzi bene la dinamica della respirazione, abbiamo bisogno di muscoli che dilatano torace e polmoni per far entrare aria... che forzano la pressione esterna che tenderebbe a farci stare con i polmoni vuoti.

Mi fermo... ma questa cosa si può sviluppare per bene
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Vecchio 13-04-2007, 10.52.23   #31
Lion
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idem il denaro... mi può essere prezioso perchè lo posso usare per fare cose che mi piacciono o interessano... se lo accumulo o mi ci attacco solo per averlo finisce la preziosità.
Insomma si potrebbe dire con altre parole che la giosità e quindi la preziosità sono il nostro tendere verso qualcosa con tutto il nostro essere... non dimenticandoci però chi siamo, quando questo accade diventa cupidigia, l'oggetto della nostra bramosia ci infilza e ci possiede.
L'esempio del denaro mi fa venire in mente una domanda.. Se una persona ha una passione, indifferentemente di che tipo (tu hai fatto l'esempio di una persona che ama i quadri di Picasso), come fa a sapere che sta tendendo con tutto il suo essere a quello oppure cade nella cupidigia? Se per esempio amo i quadri di Picasso, mi riempirò la casa delle sue opere, ma questo mi basterà? O arriverà un giorno che mi accorgerò che non mi basta più?
Voglio dire, fino a che una persona non arriva all'autoconoscenza, deve per forza di cose "appigliarsi" a qualcosa: ad un lavoro, ad una passione, anche ad una/o compagna/o, altrimenti rimane fermo e non si muove. Ma appunto la domanda è: "come so che non sto cadendo nella cupidigia??"
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Vecchio 13-04-2007, 12.09.13   #32
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Eh no.... se ti riempi la casa di quadri di Picasso mica è detto che li ami... mentre magari puoi amarlo andando in un museo... pagando un biglietto, facendo la fila, perdendo 10 minuti davanti all'opera per cercare di comprenderla.
Ecco la comprensione può essere un'altra chiave con la compassione.... se ami una persona la comprendi... e non solo nel senso di capirla... senti ciò che sente etc etc... ma rimani te stesso, idem un'oggetto lo senti... in un modo globale ma non ti perderai in esso, il possesso materiale fine a se stesso è la perdita di te, "trasferisci" il tuo essere in quella cosa, invece un'altra sorte di possesso, che non è materiale, dello stesso oggetto, ti consente di comprenderlo.
So che forse non è chiaro... ma in qualche modo ci torneremo
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Vecchio 13-04-2007, 14.39.02   #33
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Anche se parlavi con Ray mi permetto visto che sono in giro....

Hai scritto bene "senza che io mi sforzo"
Eppur se analizzi bene la dinamica della respirazione, abbiamo bisogno di muscoli che dilatano torace e polmoni per far entrare aria... che forzano la pressione esterna che tenderebbe a farci stare con i polmoni vuoti.

Mi fermo... ma questa cosa si può sviluppare per bene
Non posso che concordare, anche sul fatto che andrebbe sviluppata. Stella dice "altrimenti dovremmo essere sempre svegli"... vero. Infatti lui si sforza, fa il lavoro che deve fare, ed è grazie a ciò che siamo qui a cincischiarci (produttivamente, per carità) con questi concetti.
Quando la nostra coscienza sarà sveglia come il corpo, quando l'io funzionerà bene tanto quanto l'istinto, allora si che saremo svegli. E' proprio dal corpo, a mio avviso, che abbiamo un sacco di cose da imparare...
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Vecchio 13-04-2007, 22.03.39   #34
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Qui ha preso poco piede? Ma se siamo tutti autosuggestionati emotivamente?
L'america ha creato un vero e proprio business con le varianti dell'autosuggestione, iniziando dal pensiero positivo degli anni 60 arrivando fino alle ultime tecniche pubblicitarie, un bella fetta del terziario statunitense campa con lo spacciare per tecniche ciò che in realtà avviene e da cui invece bisognerebbe liberarsi, si va dai multilevel più o meno apertamente commerciali (spesso nascondono i veri scopi, ma a volte sono palesi) ad una buona fetta (non dico tutti) dei professionisti della salute mentale arrivando a sette e pseudoconfessioni religiose al cui apice come potenza metterei Scientology.

Scusami... ma dirsi "Devo andare al lavoro domani" al posto di "domani vado al lavoro" è comunque cercare di condizionarsi ulteriormente, tieni presente che se la mente non percepisce globalmente (intendo anche corpo etc) un cambiamento il tutto si ferma a livello razionale (per quanto inconscio) e anche l'effetto di "aggiustamento" ormonale che potresti avere per dei limitati periodi poi lo pagheresti.


Riprendo questo e poi leggo il resto delle risposte con calma..
Ho postato erroneamnete, la tecnica è definita autoterapia razionale emotiva RET per la precisione.
Quel mio errore ha creato delle inutili incomprensioni, la fretta, cattiva consigliera.
La tecnica è basata sul concetto: pensare in modo psicologiacamente efficace.
Il libro è di Albert Ellis (nato a Pittsburg, negli Stati Uniti, il 13 Settembre 1913 è definito uno dei più autorevoli e più influenti psicoterapeuti del nostro secolo. Verso la metà degli anni Cinquanta fondò la Terapia Razionale-Emotiva e gettò le basi della prospettiva cognitivo comportamentale) questa tecnica è diretta a chi vive tensioni emotive, disagi psicologici o stress lavorativo. Punto. Non è questo il luogo per dilungarsi oltre...

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Ti dico una cosa che apparentemente contraddice tutto quello che sto scrivendo da alcuni post... se tu fossi capace di "pensare" (non è proprio pensare, ma per adesso usiamo questo termine) una cosa con forza per un tempo sufficiente al cambiamento in maniera costante senza nessun cedimento e distrazione... ebbene il cambiamento avverrebbe realmente e stabilmente (a meno di un successivo ri-solvimento e coagulazione in altro modo), ma sta di fatto che raramente l'uomo comune è capace di tale cosa, o ci arriva per quello che potremmo definire ultima goccia che fa trabboccare il vaso e limitatamente ad una situazione o ci arriva attraverso un particolare addestramento, via, percorso o come preferisci.. e in quel caso è in grado di applicarlo dove e come vuole.
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Quindi in realtà non contraddico quello che ho scritto... queste tecniche a livello documentale risalgono ad almeno 4000 anni (India) ma sono sempre esistite, ma estrapolarle dal contesto oggi non è più vantaggioso, cosa che invece è stata necessaria qualche millenio fa per smuovere alcune cose.


Se ho capito bene il pensiero è energia? L'energia è dunque materia e di conseguenza il pensiero può diventare materia? Ma dai?




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P.s. tu vedi lo sforzo come qualcosa di negativo... il che poi è la visione occidentale moderna.... e comunque ripeto che quella S da un senso diverso da forzatura.... anche se oggi forzo e sforzo sono messi sullo stesso piano...
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E comunque che tu dica "devo" o no... se non vivi di rendita devi lavorare.... inoltre devi respirare, devi mangiare, devi muoverti (se stai al letto tutto il giorno fai le piaghe al...) puoi anche togliere mentalmente il "devi" ma attenta a quando scoppierà in qualche altra forma.....
In fondo in fondo c'è sempre una mancanza di autoconoscenza...

Chiedo ancora venia, ripeto ho postato di fretta e ho fatto un gran caos, che giustamente ho pagato.
Ho preso come esempio questa tecnica perché la ritenevo collegata al tema in quanto le doverizzazioni hanno un forte ascendente sullo sforzo inteso come "forzatura-dovere".
E' ovvio che devo alzarmi la mattina altrimenti le piaghe da decubito mi ucciderebbero....
idem:
devi respirare, devi mangiare, devi muoverti

Spero di essere riuscita a spiegarmi sul concetto che volevo esprimere, che il mio precedente post ora risulti più chiaro.

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Vecchio 14-04-2007, 17.20.05   #35
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Non posso che concordare, anche sul fatto che andrebbe sviluppata. Stella dice "altrimenti dovremmo essere sempre svegli"... vero. Infatti lui si sforza, fa il lavoro che deve fare, ed è grazie a ciò che siamo qui a cincischiarci (produttivamente, per carità) con questi concetti.
Quando la nostra coscienza sarà sveglia come il corpo, quando l'io funzionerà bene tanto quanto l'istinto, allora si che saremo svegli. E' proprio dal corpo, a mio avviso, che abbiamo un sacco di cose da imparare...
Tante volte effettivamente anche se siamo svegli, la nostra coscienza dorme... se nelle nostre scelte opereremmo la stessa economia che fa il nostro corpo, cioè prima le cose prioritarie e poi il resto, ogni nostro sforzo sarebbe cosciente... e perfettamente mirato allo scopo che vogliamo raggiungere...
Come dice un altro proverbio, che non sono sicura se centra ma mi viene in mente adesso, prima il dovere e poi il piacere...
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Vecchio 21-04-2011, 21.31.20   #36
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Ecco, questo è uno dei punti chiave. La "voglia" è un qualcosa che frena il volere. Particolare che di dica nello stesso modo no?

Se facciamo qualcosa perchè abbiamo "voglia" di farlo che sforzo è? Beh, un po' sforzo può anche essere, per carità, tra l'altro posso anche aver voglia di fare sforzi... ma dura poco di solito. Inoltre c'è un'altra questione: avere voglia spesso implica l'automatismo, perchè quando ho voglia di fare qualcosa mi è più semplice farlo che non farlo. E quindi rischio di dormire pur facendolo (non è detto cmq, è un rischio).
Invece lo sforzo vero sta nel fare qualcosa contro "voglia". Penso che tutti ne abbiano fatto esperienza, capita di dover fare qualcosa che non si ha voglia di fare... in questo caso ci sono due scelte: la faccio e ci metto comunque l'anima ("mi faccio venire la voglia") o la faccio e dentro di me continuo ad oppormi (magari ripetendomi che non voglio farlo e continuando a cercare scuse per smettere o se non posso lamentandomi). In questo secondo caso disperdo una quantità enorme di energie... e quindi dormo.

Tornando alla cosa del volere... qui si combatte una delle battaglie che facciamo con noi stessi se vogliamo stare svegli. Cosa voglio fare? Voglio fare questa cosa? E allora com'è che non ne ho voglia?

Chi è che vuole fare e chi è che non ha voglia?
Riprendo da qui perchè questa cosa del voglia contro volere mi ha colpito parecchio. In effetti in modo automatico molto spesso mi dicevo che se una cosa fosse stata "giusta" avrei avuto voglia di farla bella trappola.

Altra bella trappolina è quel togliere il verbo dovere che mi dà tanta noia...leggendo tutti gli interventi credo di poter dire che arrivare a dire voglio fare questo o quello invece di di dover fare è un traguardo, non da poco,ma che non è facilmente raggiungibile. Anche se la giocosità citata da Uno mi ha risollevata parecchio perchè si avvicina a quello che cercavo di fare togliendomi il dovere di dosso, alleggerire i doveri cercando di convincermi che come una medicina amara sono necessari.

Per restare in tema di lavoro, "devo lavorare" mi generava ansia, ho dovuto (ahahah ma guarda come mi autobeccoincastagna, ebbrava Daf) pensare che volevo lavorare anche se non mi piaceva l'idea (elloso ) perchè il poter lavorare mi permette di fare tante altre cose....

In altra discussione abbiamo visto lo sforzo come una ricerca di energia dall'ambiente esterno invece che interno, e allo stesso tempo mi viene in mente l'ansia che considero una produzione del corpo di un surplus energetico per sopperire a un problema in corso...ho la sensazione che le cose siano legate in qualche modo.

Fare sforzi coscienti ci permette di aumentare la tensione interna e di conseguenza la pressione e la portata dei canali energetici.

L'ansia nasce da una mancanza di energia necessaria ad affrontare un ostacolo, da come l'ho capita di fronte al pericolo il corpo (penso) s-forza andando a recuperare energia altrove, quindi energia grezza, energia che scalda molto di più di quella a cui siamo abituati e che, in genere, per paura (e non abitudine) cerchiamo di bloccare...infatti la risultante all'insorgere dell'ansia è il blocco del sistema....

Possiamo dire quindi che metterci in situazioni di costanti sforzi coscienti (cioè cercati) ci serve per aumentare la tensione e quindi ad utilizzare l'ansia invece di caderne si piedi?
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Vecchio 16-02-2012, 10.21.24   #37
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Vi richiamo l'attenzione a quella S (esse) che c'è prima di forzo... forza...

Un'altro paradosso? Forzo cioè... faccio imprimendo forza... ma anche come necessario... come un forziere per esempio... ma se ci aggiungo quella S davanti mi forzo a fare qualcosa che potrei evitare.

Forzare significa anche rompere... aprire... o costringere verso un'azione... quante apparenti contraddizioni....

Riprendo questo post ma tutta la discussione è molto interessante e credo in linea con le domande di Tina.
Non sò ancora dove ho pescato quel concetto che ho scritto ieri ma mi ricordo un esempio fatto sui muscoli del braccio mi pare, che normalmente forzano ma quando devono fare un lavoro diciamo extra sforzano recuperando energia dal resto del corpo...lo troverò...spero

Intanto penso sarebbe bello proseguire il discorso con Tina mettendo insieme le varie informazioni.
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