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Vecchio 14-01-2011, 16.42.16   #26
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Non so cosa mi rimanesse di quelle scivolate nel piano basso dell’inferno dove nemmeno il fuoco arrivava e la base era solo buio e cenere, ma insomma anche i picchi del paradiso lasciavano impronte di castelli colorati e abitati nel cuore della mia mente, e davano ritmo scorrevole alla mia tanta energia. Di mezzo ci stavano le cose normali, alla fine non credo qualcuno possa dire che nella propria gioventù tutto sia filato liscio. Il bilancio era più che positivo.
Tutta l’abitazione era vivibile, a est la nostra stanza coi primi raggi di sole. A sud le finestre davano nel cortile esterno, che collegava la nostra stanza alla prima, l’entrata, particolare prezioso perché ci dava libertà di andare anche in giardino, sotto, senza passare dalla camera da letto, giardino che era quindi a ovest. A nord a parte i balconi sulla via, proprio la strada sui quali si affacciavano, era un’ altra meta di divertimento; lì incontravamo anche i compagni del circondario con i quali condividevamo uno dei paradisi in estate durante le vacanze. Mia madre amava riposare nel primo pomeriggio, e guai a chi fiatava, le sue minacce sembrava che fosse sempre la volta buona che li mettesse in atto, tipo : “se mi alzo vi stacco un pezzo di gamba”, quindi scendevamo giù, ma non per fare baccano, quello dopo le sedici sempre per via di mamy che aveva l’imposta aperta per il caldo. Leggevamo i giornaletti.
Le sedie sotto i balconi guardavano il muro, vi prendevamo posto attaccati alla stretta banchina, mettendo i piedi sul muro, così sopra le gambe poggiavamo ogni genere di fumetto. Mio fratello ne era appassionato e non so come facesse ad averne sempre tanti e freschi. Facevano scambio, e mia nonna sicuramente gli dava delle monete. Ci sentivamo bene, molto bene, lo posso ancora ricordare, ognuno con la testa chinata per ore immersa in quelle avventure. Io amavo Diabolik, era il mio tipo in quella fase, Eva l’esempio di donna che desideravo essere. Stranamente non amai mai Topolino, sebbene penso che mi sia persa qualcosa. Tantissimo nemmeno il Papero con nipoti, li vedevo più volentieri in tv come cartone animato, eppure tutti li leggevano, compresa nientedimeno la mia stranissima mamy . Per le mie sorelle erano come il pane e latte la mattina, la nonna a loro li comprava a parte. Nemmeno le storie del Koyote mi piacevano in tv, mi esasperava quella assurda , ostinata, accanita, reiterata violenza, anche se non annientava mai. Oggi mi stupisco che mi piaccia da morire “L’era glaciale”...
Quando la mamma scendeva per andare in negozio, le femmine istallavamo qualche situazione di gioco o passeggiavamo su e giù spensierate, e mio fratello si dileguava con gli altri maschi, forse era già il periodo del bigliardino, gioco che lo vide campione per anni, così come per il biliardo. Di questo i miei non sapevano nulla, quando portava delle bottiglie di Martini come premio, a parte la prima volta, loro avevano da ridire: che perdeva tempo, che non si faceva vedere, etc etc...Mia madre avrebbe vietato anche il respiro, ci odiava con tutti questi interessi che avevamo, fu sempre di più una lotta con lei, mano mano che emergeva purtroppo dalla sua assenza di madre quando ancora decisamente immatura. Aveva l'ambizione però che andassimo a scuola e ci comprava tutto, purchè non dessimo problemi. Una sola volta fece bene il suo ruolo di genitrice forte. Nostro fratello per indole pacifico, e riservato per necessità, appena reinserito al liceo nostro, dopo i due anni fuori, subiva le angherie di un figlio di papà, in classe. Mia madre essendo innamorata solo di questo figlio che aveva avuto a quindici anni, si accorse che qualcosa non andava , andò dal professore, uscì il linguaggio della domenica a messa, ma con furente calma, e come dice lei, mise le lenzuola nuove al letto di quel cattivo compagno. Cioè informò il professore nelle cui ora accadeva la cosa, e minacciò senza nulla di personale, di denunciare il fatto. La cosa andò per il verso giusto, fine delle ingiustizie, lei lo ha raccontato sempre.
…..

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Vecchio 14-01-2011, 17.46.11   #27
diamantea
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Dovevo avere doti da veggente fin da piccola, e un grosso odorato perchè a un certo punto potevo sentire forte odore di guai, soprattutto per Tina che molte delle sue iniziative finivano sempre in tragedia.
Quando vidi che mio padre non si era fatto nulla di grave pensai che forse la vita di mia sorella era salva. Il suo morale no invece, soprattutto perchè le fu buttata subito nella spazzatura la rimanente cera e le fu proibito a vita di usarla ancora.
Mio padre era una furia mentre cercava l'oggetto incriminato.
Io era la più piccola ma intuivo benissimo quello che sarebbe accaduto da li a pochissimo, e durava per giorni.

Dell'episodio della casa insaponata forse Tina non ricorda che questa tragedia accadde a pochi giorni di distanza di una precedente, in cui mi conficcai un grosso chiodo arrugginito nel piede destro. Avevo la l'infradito di gomma, il chiodo fuoriusciva da una tavola e noi ci passavamo vicini senza togliere il pericolo, finchè non ci misi il piede sopra conficcandomelo bello profondo.
Anche in quel momento funesto lei mi disse supplichevole di non piangere che loro si sarebbero arrabbiati tanto e non avremmo potuto mangiare la pasta che stava cuocendo nelle vere pentole in un fuoco acceso sulle pietre in giardino sempre da lei, la caporiona. Anche io pensavo al gioco e volevo trattenermi ma il dolore era lancinante e il mio piede gonfiò a dismisura sotto i miei occhi in breve tempo.
I nostri genitori accorsero preoccupati dalla mia sirena spiegata ai 4 venti, e quando seppero del chiodo arruggito e videro quello spavento di piede insanguinato e gonfio andarono su tutte le furie, mio padre spense il fuoco subito e proibì a mia sorella per sempre di accendere fuochi in giardino, poi mi portò in braccio in casa, poi dal dottore e tutto l'iter del caso.
Per molti giorni non potei poggiare il piede a terra tanto era gonfio e dolente, così tenevo il ginocchio su una sedia a o di gamba finta e mi trascinavo per casa.
Fu proprio la domenica successiva che Tina ebbe questa felice idea di lavare casa. Poi il sapone era troppo e le secchiate d'acqua non bastavano, la saponata diventava sempre più copiosa, così andò a prendere la tubo di gomma dal giardino per sciacquare bene. Io a essere sincera morivo di invidia che loro due si divertivano con le scope e i piedi in mezzo all'acqua, ma poi iniziai a rendermi conto che si faceva tardi, l'acqua scolava da tutte le aperture, dai balconi, sulla scala verso la strada, era tutto un fiume d'acqua corrente, pregai che si sbrigassero, temevo l'arrivo dei genitori che sarebbero montati su una furia tremenda anche in virtù dell'incidente da poco capitato a me.
E fu così infatti che tornando a casa, vedendo tutta quell'acqua temettero il peggio, ma il peggio fu sempre il solito rituale di urla, rimproveri spietati e minacciosi, e lei la caporiona sempre a capo chino apparentemente pentita, ma già pensava alla prossima.
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Vecchio 14-01-2011, 22.26.25   #28
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Hai anticipato il tuo ferimento al piede, non me lo ero scordato, fu uno dei giorni più brutti della mia vita, ma non ricordavo assolutamente fosse stato così vicino alla lavata del pavimento. Mi stupisco di come ero.
E non fu senza conseguenza, non lo ricorderai , ma la mamma quella volta buttò nella spazzatura la mia vecchia bambola, l'ultima della mia lunga carriera, le dissi piangendo, che quella bambola vecchia valeva più di lei, era la prima volta che le parlavo così e segnò la prima distanza tra di noi, non mi ero mai permessa, non sentivo giusto l'addossarmi ogni volta le responsabilità sulle mie sorelle, infondo giocavo e le facevo giocare. Mi bruciava maledettamente che fosse così odiosa con me in quei momenti.
A pensarci fu orrendo quel chiodo nel piede, una cosa seria, non mi rendevo nemmeno conto. Ma poi quella tavola perchè si doveva trovare lì, non era possibile che la colpa si spostasse in chi non doveva lasciarla in fondo al giardino. Forse nessuno l'aveva vista.
Mi dispiace di averti chiesto di non piangere, avevo tredici anni, tanti e neanche troppi. Non so perchè la natura mi avesse fatto in quel modo, spinta sempre a inventare luoghi, situazioni, capanne, come una nomade raminga che non ha dimora fissa ne famiglia, la mia famiglia eravate voi.

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Vecchio 15-01-2011, 00.44.23   #29
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Quel pomeriggio d'estate stavi realizzando il tuo sogno di cucinare davvero come fossimo ai tempi delle caverne.
Ogni giorno cucinavamo la pasta per le bambole mettendo le pentoline sul finto fuoco piene di acqua e poi ci lasciavamo rammollire la pasta fino a sembrare cotta.
Poi ti venne l'idea di accendere il fuoco. La prima volta lo facesti sotto il muro limitante con i vicini, ma la cosa non riuscì bene perchè il fuoco divampò pericolosamente e fu solo grazie all'acqua della vasca dei pesci lì vicino che spegnemmo subito.
Quel pomeriggio, faceva caldo e i genitori erano a letto per il solito riposino prima di andare al lavoro.
Tu pensasti di cucinare la pasta per davvero, avevamo già mangiato, ma l'idea di un vero fuoco, con vere pentole e vera pasta solleticava parecchio.
Stavolta il fuoco lo accendesti nella parete più alta senza vicini a curiosare, vicino il grande albero di alloro dove il papy aveva costruito un piccolo capanno per gli attrezzi. Era una zona in cui non giocavamo spesso, era territorio suo quello, ma era riparato oltre che dal lauro anche dai pruni e dalla vasca dei pesci.
Fu emozionantissimo raccogliere un pò di legna e carbonella, sistemare il focolare su cui hai messo un pentolino d'alluminio, nel frattempo preparavamo la tavola con delle cassette di frutta.
Io quella tavola con il chiodo l'avevo vista, non doveva stare lì ma intanto ci stava, e noi ci giravamo intorno schivandola. Ricordo che pensai pure di stare attenta a non metterci il piede sopra, sapevo che l'infradito di gomma non mi avrebbe protetto, pensai pure che avremmo fatto meglio a levarla, ma sai la pigrizia, il gioco, l'incoscienza... avevo 7 anni nemmeno compiuti.
Ho un ricordo nitido, c'era un silenzio particolare fra noi che sapevamo di fare qualcosa che non sarebbe stato approvato dai genitori. Ci scambiavamo poche ed efficaci parole.
Insomma la pasta era quasi pronta, la tavola sistemata, la salsa l'avevi conservata dal pranzo. Il tuo e nostro sogno di un vero pasto cucinato all'aperto si stava realizzando.
E' stato terribile vedere tutto il gioco rovinato da uno stupido chiodo arrugginito che nessuno ha tolto di mezzo e si è conficcato nel mio piede.
Non posso dimenticare come papy fece volare via il nostro pranzo. E la mamy poi... mi sentii in colpa per te, per noi, per il gioco e poi il tormento di quel piede. Che io ricordi non accadde più di ripetere l'esperienza.

In qualche post prima hai detto di aver sviluppato l'ansia della mediazione fra i due galli, io invece ho sviluppato l'ansia di quel che poteva capitare a te caporiona di guai, a cui ero infinitamente legata, a nostro fratello che amavo tanto che tornava sempre tardi a pranzo e da più grande la notte, alla nostra sorella che non voleva mangiare, con lei litigavamo sempre ci tiravamo i capelli fino alla radice, però non facevo mai la spia, la reazione esagerat.....ma della mamy superava ogni ostilità fraterna. Mia madre trasformava ogni episodio in tragedia.
Noi fratelli non ci siamo mai traditi, ci siamo sempre coperti, difesi l'uno con l'altro, e lo facciamo ancora oggi che siamo grandi. E' questo è molto bello.
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Vecchio 15-01-2011, 14.29.17   #30
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Avviso chi legge che questo paragrafo è una necessaria parentesi del genere tagliavene.

Devo fare fatica per continuare. Ricordare quei sentimenti provati allora così contrastanti, mi ostacola il proseguimento, e faccio uno sforzo nel tentativo di passare oltre, ma devo soffermarmi ancora un momento.
La sorella piccola aveva il visetto tondo e gli occhi a stella, faceva più tenerezza degli altri, e quindi è logico che suscitasse nei genitori un maggiore accanimento un torto fatto a lei(torto tra virgolette, perché io non me la accollai mai la causa di quel chiodo nel suo piede) però era pur successo e lei si era fatta molto male.
La nonna per prima la chiamò Cicitta, e ne aveva anche altri di sopranomi e vezzeggiativi, ma questo rimase il preferito da tutti, e completa bene l’idea dei sentimenti che suscitava, e non era solo bene però, perché si traduceva anche in troppe attenzione corporali, nel senso che tutti la baciavano e la abbracciavano infastidendola più che altro; eccetto la nonna. A casa nostra era tutto passionale. Parlo dei grandi, perché la passione dei minori non può mai essere troppo pesante. Si amavano tra parenti, poi si odiavano, poi facevano la pace, e di nuovo…. Più che altro mia madre. Anche con sua madre faceva lo stesso, unilateralmente però, che quando ci lasciò procurò nella mia genitrice un dolore così forte da spezzarle il cuore, forse i rimorsi anche, chissà. Le sue urla facevano impressione, nessuno ce lo aspettavamo, io pensavo che lei non volesse molto bene a sua madre, ma capii che non esagerava quando dopo abbandonò per sempre un piccolo roseto con alberelli rari che insieme curavano e a cui lei teneva tantissimo. Si vantava di una rosa glicine tenue , innesto, pare, creato da Papa Giovanni Ventitreesimo, e cambiò per sempre anche la sua fiducia, non so dire bene in che, forse negli altri. Io non ho mai capito mia madre, ne desidero provarci adesso, sarà il più grande enigma finchè vivrò. Spero solo non mi accada ciò che è successo a lei se dovesse morire; se vado prima io, che ne so, va beh…la vita è imprevedibile, in ogni caso abbiamo già goduto abbastanza entrambe. Amen dice Tea.
Quindi l’episodio che investì Cicitta ebbe risonanza nel tempo, ma fu solo la scusa, tra me e mia madre di definì una distanza che mi fù più chiara, e la delineavo io stessa in quel momento e a lei serviva, vi avrebbe appoggiato meglio i suoi insegnamenti.
Non solo le accuse esagerate, ma anche la bambola, cioè la mia figlioletta preferita finita nella spazzatura mi procurava il dolore della perdita, accompagnato da un risentimento che fu il primo probabilmente. Era un addio alla mia parte bambina, lei mi aveva fatto pesare finalmente in modo efficace che dovevo ormai vergognarmi di giocare ancora stupidamente col fantoccio pieno di buchi: quello per il biberon e quello per la pipì che avevo praticato perché sembrasse più viva. Credo fosse esasperata, preoccupata di dovermi dare delle dritta per farmi passare a maggiore maturità. Entrambe avevamo le nostre ragioni. Eppure tutto ciò con la nonna non accadde mai, tutto era naturale e spontaneo, sarà che io conoscevo già questa differenza…

Nello stesso periodo, e preciso che non ne ho memoria ancora oggi, si raconta che misi a repentaglio la vita stessa di Cicitta, a mare ; eravamo con mio padre e i nostri ospiti preferiti, gli zii. Ci avevano regalato i salvagenti, solo lei non nuotava e lo aveva attorno alla vita. Stando vicino alla battigia dove però bastava allontanarsi di un metro per non toccare, io dicevo a lei che era l'unica a non sapere nuotare. Lei rispondeva che non toccava, io dicevo si, che toccavo invece, ed era vero. Lei si sfilò il salvagente, e cominciò ad andare giù, toccava e risaliva a fior d'acqua, e poi ancora. Pare io non mi resi conto, probbilmente pensavo già ad altro, sempre tredicenne, mio padre non capiva che lei lo chiamava, anzi la salutava dalla spiaggia mentre continuava a chiaccherare a due passi da noi. Poi mio fratello, che aveva pure un braccio ferito, si buttò e la tirò per i capelli salvandola. Certo lei subiva in quel caso da me, che non ero abbastanza responsabile, direi oggi che di certo non volevo annegasse. Mio padre del resto come faceva a lasciarla in mano mia, non nuotava ed io non ero la sua balia.
Tea ricorda dal suo lato la fiducia un attimo prima accordatami, e la paura di affogare un attimo dopo che si toglie il salvagente, ed io che le sarà sembrato non rispondessi alla sua difficoltà. Due mondi, i piccoli e i più grandi, assai separati. Anche quello della vittima e del carnefice. Ma Dio mio come è difficile mettere insieme le ragioni di tutti, ed è stato da sempre da come la vedo io. Mi accusavano, anzi era mia madre che lo faceva, ed io cascavo sempre dalle nuvole, sinceramente non mi ricordo mai che desiderassi di fare del male a qualcuno....

Spero mi basti questa divagazione .

......

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Vecchio 15-01-2011, 19.07.17   #31
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E' vero, è una questione di fiducia, ed io ne avevo incondizionata su di Tina, era la mia sorella maggiore che mi faceva divertire, ma anche in tante situazioni proteggeva soprattutto dalla furia di mia madre.
Quel giorno rischiai di annegare seriamente, sapevo che lì non toccavo, ma se Tina insisteva a dire che avrei toccato una volta tolto il salvagente doveva essere così.
Invece così non fu, e mio padre non si accorse subito della cosa perchè io come tutti i bambini del mondo lo chiamavo continuamente per fargli vedere i miei tuffi "papà guarda" e lui sempre paziente "brava".
Anche in quel tragico momento io gridavo "papà" con le mani fuori dall'acqua, e lui "brava" e rideva orgoglioso poi riprendeva il chiacchierio con lo zio e mio fratello che poverino quella mattina gli avevano dato 8 punti sul braccio e non poteva fare il bagno, eppure fu il primo a capire che non risalivo più da sott'acqua da "troppo tempo" perchè stavo annegando e si buttò subito e senza esitazione a salvarmi. Avevo bevuto una grande quantità d'acqua annaspavo senza più riuscire a risalire. Fu la prima volta che credetti di morire.
Dall'indomani fui di nuovo in acqua ed imparai presto a nuotare, non volevo più rischiare la vita e volevo pure essere come i grandi, andare a largo con gli altri, crescere e fidarmi di me.
Non portai mai rancore a mia sorella per questo episodio che mancava poco mi costava la vita, non lo aveva certo fatto per farmi morire, era un gioco, un momento di leggera incoscienza ma non certo di cattiveria.
Perdonabile, mi aveva salvato la vita altre volte, dall'ira funesta di mia madre.
Ricordo una mattina al risveglio sognai di fare la pipì, ma subito mi accorsi che la stavo facendo nel letto, balzai fuori con uno scatto felino sperando che non avessi bagnato le lenzuola.
Invece aimè c'era un grande alone bagnato come prova della mia colpa e vergogna, l'età era sempre quella dei 6 o 7 anni.
Mia madre mi avrebbe spellata viva per una cosa del genere.
Io non dissi una parola, ero pietrificata dalla paura, ma Tina accanto a me non so come capì la situazione e mi disse soltanto: "vestiti e va a scuola, non dire nulla ci penso io al letto". Io eseguì come un automa, quando tornai il letto era a posto. Non ne parlai mai per scaramanzia, meglio dimenticare subito l'episodio. Ancora mi chiedo come abbia fatto a capire al volo e come abbia fatto per rimediare, forse ha girato il materasso chissà.
Siamo pari Tina, una volta me l'hai salvata e una volta me l'hai fatta rischiare, siamo ancora qui a raccontarcela
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Vecchio 15-01-2011, 21.56.27   #32
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La mamma di certo non ti avrebbe ucciso, mentre l'altra cosa è più seria, non c'entra il compensare.
Quella volta al mare ci si potrebbe chiedere cosa facessi io mentre annaspavi e chiamavi con le braccia alzate. Io per prima me lo chiedo non potendo immaginare di me che stessi a guardare e basta. Posso credere che come era nella mia natura mi distrassi irresponsabilmente da te pur inducendoti a nuotare da sola. Era facile col vocio assordante che ci doveva essere in pochi metri di acqua nel mese di Agosto,che associato all'essere presa di me stessa e da ogni stimolo nuovo che mi capitava di momento in momento, si stesse arrivando ad una tragedia. Devo darmi una spiegazione perchè così dovrei pensare ad una mente seriamente malata , la mia a tredici anni. Perdona la precisazione, è difficile questo lavoro partito con l'intendo di ritrovare contatto con quelle isole felici della mia lunga e non proprio lineare infanzia. E' come una passeggiata lungo un fiume, vedere in rassegna i ricordi così come affiorano e senza sequenza precisamente ordinata. Si dà il caso che vicino vi scorrono le acque del tuo fiume, a volte ci sono dei ponticelli, altre volta l'acqua dell'una si mescola con quella dell'altra. Altre volte dalla mia parte i massi sono in luce, ma dalla tua in cupa ombra e viceversa. A tratti sta emergendo il nero della nostra interazione e dei nostri conflitti taciuti o inconosciuti. Ci si sforza di farlo scorrere entro gli argini, ai primi segni di straripamento mi sono fermata. Se dovesse essere necessario mi fermerò più a lungo per guardare nel modo più giusto dentro me stessa. So che dall'altra parte è pure così.
Buona serata a tutti

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Vecchio 15-01-2011, 23.11.46   #33
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Sarà sicuramente come dici tu, c'era gente in acqua, poi se non l'ha capito il genitore adulto a maggior ragione potevi non averlo capito tu che tutto sommato i 13 anni di allora non sono come quelli di ora, si era più ingenui su tutto. I ragazzi si distraggono facilmente, e poi eri veramente convinta che pure io toccassi quindi non ti sarai posta il problema magari nuotando più in là, non eri la mia balia, c'erano gli adulti a vegliare su di me.

E' vero che i nostri fiumi si intersecano ma non c'è motivo di entrare in conflitto, sono sempre io a straripare, mi dispiace. Vedrò di far pascolare i miei ricordi in altre praterie.
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Vecchio 16-01-2011, 00.41.37   #34
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E' vero che i nostri fiumi si intersecano ma non c'è motivo di entrare in conflitto, sono sempre io a straripare, mi dispiace. Vedrò di far pascolare i miei ricordi in altre praterie.
Il conflitto è inevitabile e riguarda la importanza che si dà ai ricordi, forse chiedo troppo a te, ci sono rimasta assai male dell'episodio, turbata con me stessa, e nemmeno mi ricordavo. E' chiaro che scrivendo i miei ricordi affiorino anche i tuoi, ma non ho detto che devi pascolare in altri prati, significherebbe che non leggeresti ciò che scrivo, non vorrei che fosse così. Oppure che tu dovresti reprimere. Finora è stato scorrevole, ora una piegatina alle mie ginocchia. Vorrà dire che mi fermerò di nuovo per raddrizzarmi e capire cose cos'è che me le ha piegate.

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Vecchio 17-01-2011, 10.53.32   #35
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Le gambe si piegano perchè è duro accettare il male che sta dentro di noi, sia il male che abbiamo scampato sia quello quello a causa del quale potevamo far morire qualcuno. Nel momento in cui si riflette su questo, l'acqua del fiume diventa torbida, offusca tutto il resto, l'entusiasmo di raccontare di se va tutto a rotoli, e ci vuole uno sforzo per pensare che il male alla fine non ha vinto, specialmente quello che ci appartiene, tra pericoli e gioie si è vissuta la vita, e siamo ancora quì a raccontarcene altra davvero. Meno male che Tea sia ancora quì nel tempo divenuta così dolce e timida.

Quando si andava in macchina per un breve viaggio o una gita in montagna, noi figli, seduti dietro, accadeva che ci si imbalsamava, in modo spontaneo. Non so cosa fosse, magari il movimento sulle ruote, oppure il vedere le cose che scorrevano. Non so le mie vicine di sedile cosa facessero, a me accadeva che mi perdevo nell'osservare le case vecchie non più abitate che scorrevano veloci.
Premetto che oggi come allora, girando per le città della Sicilia, i paesi, i litorali, se ci si allontana appena un pò dai loro centri, cominciano ad esserci porte chiuse, cortili con ciuffi di erba incolta. Ma può succedere anche nel centro storico coi palazzi di fine ottocento più antichi, che qualcuno di questi sia chiuso da tempo, spesso il restauro costa troppo al privato che lo ha ereditato. A Troina , un paese in provincia di Enna , proprio nell'entroterra, il comune regala le case delle vie del centro storico architettonicamente interessante, a patto che le si restauri. Isola paradisiaca per la pace e la maggiore semplicità che vi regna. Paesi vivibilissimi se si ha un lavoro, a misura d'uomo, che vanno scomparendo anche al sud. Non esiste lì nemmeno mala gente, la economia però è ferma e quelle case pur belle sono ancora chiuse da tanto tempo, nessuno ha voglia di investire lì. Un mio caro amico che vi è nato, compagno di liceo, oggi fa l'architetto, i suoi per molti anni all'estero, e lui stesso da studente per anni a Firenze, eppure lavora per metà settimana nella mia cittadina e poi nell'altra metà completa i lavori passandola con la famiglia proprio in questo paesino, sempre con l'idea di far trasferire moglie e figli nella nostra costa più ricca e più vivace per la sua professione, mi dice che preferisce farsi tutta quella strada il sabato, ma non ha il coraggio di togliere ancora i due figli ragazzi da quella tranquillità e serenità, senza droga, senza molti altri pericoli, delinquenza compresa, con un paesaggio pressochè incontaminato. Il loro futuro economico purtroppo è probabile che non venga assicurato lì.
Dicevo delle case di campagna abbandonate non appena ci si allontana pochi chiilometri dalla costa. Si alternano a nuove case, o a villette che la gente ha preferito costruire a mano a mano che è sparito quasi del tutto il contadino che ovunque abitava appena fuori dalle città e nei tanti paesini sotto l'Etna, e in condizione molto modeste anche quando stavano discretamente bene.
Senza che me ne accorga i miei occhi anticipano di pochi istanti il loro scorrere, e allungano lo sguardo fino a vederle scomparire tra il verde anch'esso incolto che le separa. A volte sono una attaccata all'altra, ma in periferia è piu difficile, da noi subito è campagna.
Facendo strada rapidamente in macchina, sono pochi secondi, rapide sequenze che nella mia mente formano una sola scena, la vita che fu delle persone nel cuore di quelle case.
Costruzioni modeste, una sola porta sulla strada o sul cortile antistante, a volte due, con gli stipiti in pietra lavica scura, sempre dignitosa e lucente, con gli archi scolpiti a mano nelle dure cave da personaggi che li ho sempre visti come fare un tuttuno con la loro pietra, forti e resistenti, un lavoro meditativo si dice, che ti assorda, eppure oggi chi lo ha, non lo lascia questo lavoro. Quasi sempre sono anche proprietari delle piccole cave, la lava ne ha regalate tante nei secoli, quando arrivava fino amare, non è necessario scavare troppo in altro per averle. E poi quella sorta di sogno finisce sempre nello stesso modo, risistemo con la mia immaginazione ogni locale, ogni stanza, ridipingo l'esterno. Farle rivivere appaga un ideale di focolare, dove ci sia sempre calore, il profumo casalingo e ogni cosa rinnovata se non nuova. Questo oggi ancora, ma con una differenza rispetto a quelle escursioni in macchina con papà, ragazzina immaginavo di viverle così come erano,le avrei spazzate e pulite; immaginavo un giaciglio, le cose essenziali per una cucina, la legna e basta. La vita povera della campagna mi attirava tantissimo, tanto non l'avevo vissuta. L'essenziale, era il mio ideale, quasi significasse la sopravvivenza. Come era possibile, a casa avevo molte più cose, le comodità, il pavimento levigato. Perchè quel rifugio povero, e antico mi attraeva cosi tanto e sento che non riesco nemmeno a descriverlo quanto? e ci lasciavo gli occhi e il cuore passandovi davanti. E quanto doveva invece essere stato duro viverci veramente per chi ormai magari non era più. Non sopportavo di vedere una casa inutilizzata, mi sembrava un peccato vedere quelle mura svuotate da ogni forma di vita, gli usci spalancati e i tetti spesso crollati, in pochi secondi aggiustavo quei tetti. Per me la casa era la cosa più importante, per questo ne costruivo di ogni tipo, con ogni cosa che era adatta allo scopo. La casa dentro la casa, sopra l'albero, in terrazzo, con le tende al mare, e ovunque si potesse fare quadrato sopra le noste teste. Era nei miei pensieri sempre, come nido, rifugio, protezione; e il calore del fuoco acceso non doveva mai mancare. Nel mio immaginario la casa era col camino e con la cucina a legna innanzitutto. La casa era sempre presente nei miei disegni, fin dai primi, e sempre uguale; la staccionata, l'albero che fa ombra sul tetto, il canile col cane dentro, i monti dietro e il sole in alto. Il fiume anche , più in là dalla casa, che scorreva nel prato.

Pensare al contenuto di questo scritto è stato l'unico modo per fare reset, non è da me scrivere senza passione, non sempre vi si può attingere, forse è giusto così...Buona settimana.

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Vecchio 18-01-2011, 03.41.02   #36
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Ho avuto tanto tempo per imparare e anche tante opportunità, ma non sempre le ho sapute cogliere, anzi ne ho colte pochissime. La mia mente è stata troppo occupata a sognare. Infondo lo stupido è felice, ed io ho voluto esserlo ad ogni costo. C'è un prezzo da pagare, ho vissuto il paradiso della terra, ora vorrei anche quello del cielo, ma non trovo l'intelligenza per riconquistarlo.


Un capitolo a parte meritano le nuvole. Centra ancora il paesaggio in cui sono stata sempre immersa. Ci sono giorni in cui per via delle nuvole , dopo che il temporale è andato via, il cielo è uno spettacolo: il sole, le varie sfumature dell'azzurro, e la nitidezza. In questi giorni dell'anno che sono soprattutto nelle mezze stagioni, un tempo, fino a quando ebbi fede, immancabilmente mi accadeva una cosa, immaginavo al di sopra di quelle nuvole bianchissime, anzi poggiata su di esse, la sede del paradiso dei santi. In particolare una immagine mi stordiva, la Madonna seduta come in un trono, che parla con gli Arcangeli, come in una scena di Leonardo nell'Annunciazione. Non credo che prima del liceo io avessi consapevolezza delle figure religiose così come l'hanno dipinta i grandi maestri, sarà accaduto che invece le immagini delle cupole affrescate, i dipinti delle chiese, avevano già creato dentro la mia mente quegli scenari, e poi io li riconobbi meglio vedendoli nei libri.
La Madonna era enorme, serena, maestosa, seduta con gli ampi panneggi dai quali spuntava il piede. Il manto celeste, e lo sguardo chino sulla terra, oppure rivolto agli angeli con i quali parlava. Come se abitassero semplicemente al piano di sopra. Io immaginavo che fossero sempre li, maxi figure celestiali che ci proteggevano, che svolgevano la loro paradisiaca vita senza sforzi, ne dolori, sempre sereni. Immaginavo che ridessero, anzi che sorridessero. Non mi chiedevo cosa ci fosse nelle nuvole degli altri cieli, in quello di Parigi o altri, il mio era un piccolo mondo. Abitavano proprio sopra di me. A volte parlavo con loro, mi sdraiavo sull 'erba della casa nuova, negli intervalli tra una battaglia a l'altra dei mie cari mamy e papy, quando c'era un pò di serenità, e mi godevo questi spettacoli sognando ad occhi aperti,e come sempre non ero mai sola, ma era come se lo fossi in quei momenti. Sembra quasi stupido, ma era un rifugio miracoloso, nessuno poteva sentirsi più forte di me, sapevo esattamente dove era il Paradiso, quello vero, che non veniva mai turbato dal male, e se morivo, sapevo dove sarei andata. La mia fiducia nell'aldilà era forte, la mia forza, pur messa in ginocchio dalle offese che una ragazza come me poteva già aver subito, era veramente grande. Il paradiso è per me il premio anticipato di ha la fede, non quello finale, ed io ne avevo molta di fede, posso dirlo con certezza. La certezza che lo avrai è di per se qualcosa che ti fa vivere tutte le cose e le difficoltà con un altro significato. Lo capisci quando lo perdi, e nel titolo già l'ho detto che io l'ho perso. Ho già scritto da qualche parte: una perdita senza rimpiazzo. E' stupido, è banale, ma non lo ritengo irrispettoso, è solo un esempio, è come quando si smette di fumare, potrai ricorrere ai sostitutivi, alle caramelle, alle passeggiate, ma nessuna cosa potrà mai dare lo stesso piacere.
Non dico che il paradiso era una droga per me, a differenza del fumo che ti mantiene sedato, la fiducia nell'aldilà mi manteneva sveglia e carica.

.........

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Vecchio 18-01-2011, 10.56.55   #37
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Non è che io l'abbia perso in un colpo il Paradiso Celeste, e questa calamità non accadde per traumi o incidenti che ad ogni persona possono capitare, quello a volte può magari rafforzare la fede. Fu una perdita lenta e inesorabile che cercai di combattere con tutte le forze alle quali mi era possibile attingere. Un crisi religiosa che durò dieci anni, in cui ebbe un ruolo decisivo prima la morte della guida assegnatami, l'arciprete che conobbi poco ma che sicuramente avrebbe forgiato meglio la mia fede, secondo il succedere a lui per farne le veci sulla mia persona, la sigorina R. Ho solo descritto il primo incontro, quando mentii, ma non è detto che egli non avrebbe col tempo scoperto il mio lato fifone, la bugia, il volere estraniarmi col sogno. Molte ragazze che lui seguì oggi solo delle donne serene e realizzate. Purtroppo la sua pupilla, la ragazza più grande che lo seguiva e lo amava di più ,aveva in se il mostro della passione per la redenzione altrui, e quando fu senza guida la perpetrò senza la bellezza del vero amore, che accetta le differenze, rispetta quanto meno le idee degli altri, e non sottopone l'accettazione prettamente umana a quella spirituale dell'altro. Un mussulmano se stava morendo, andava salvato ma senza tregua poi inseguito perchè si convertisse. Era un esempio, io fui inseguita per tanti anni da lei, mi aveva preso di mira, mia madre gliene aveva dato a sua tempo il compito. La sua guardia si alzò nei miei confronti quando mi fidanzai, il sesso era peccato, e la nostra frequentazione finì quando ruppi il mio matrimonio, non riusciva ad amarmi, anche solo a chiedermi come stavo, se non a patto che ritornassi sui miei passi. Per me questo fu follia e tradimento.
Infondo ero riuscita in quegli anni della adolescenza a trarre beneficio dalla religione, dall'ambiente cattolico attivista. Mi ero sentita appartenere ad una famiglia forte, mai litigiosa, c'erano i momenti magici della messa sentita col cuore, delle escursioni nella campagna della signorina R che amava moltissimo divertirsi, l'arciprete aveva detto che era lecito farlo, ma non so in che modo le avesse trasmesso che l'importante era tenere a mente lo scopo dello stare insieme, il servizio nella fede. Non era una specie di suora, poi di sposò. Si diceva che nella quaresima gli sposi non si toccavano, si parlava della bellezza della rinuncia, della unione ai fini della procreazione, e tutto questo mi andò bene finchè ero lontana dal vivere tutto ciò, non erano problemi miei dopo tutto, però la sera , a volte ci pensavo a come facevano a stare separati marito e moglie per cosi tanto tempo prima della Pascqua. Questa cosa mi turbava solo quando fui più grande però, una volta conosciuta la natura delle pulsioni. Un pò mi angosciava e forse il gigante della repressione mi appariva in tutta la sua gravità. Ma sicuramente era il modo in cui venivano dette le cose che mi rendeva nemico magari ciò che molti cristiani osservanti avranno felicemente accettato, vedendoci la bontà del sapere rinunciare. Con l'immane perdita c'entra la repressione, centra la rigidità ideologica quando sconfinò nella lotta all'umano, centra lo studio delle scienze...


Adesso non ho più tempo, ne troverò ancora.
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Vecchio 19-01-2011, 10.17.19   #38
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Credo di essere andata troppo avanti, ciò rende discontinuo questo scritto, e per una volta non voglio fare le cose con fretta come ormai sono abituata a fare, ciò non è caratteristica dei paradisi riflettevo. C'è un disegno dentro questo lavoro, che è quello di ritrovare i tempi e i luoghi che mi videro un essere più naturale di oggi, e man mano che lo faccio devo dire che il risultato non è quello che mi aspettavo, capire come sono cambiata, sembra ne stia ricevendo a sorpresa che in effetti potrei accontentarmi di quel pozzo di monete d'oro su cui ho affondato le mani così a lungo. E prendendone piena consapevolezza potrei anche abbandonare questa nostalgia così pervasiva che vi scorgo da un certo punto in poi del racconto.
Sento la necessità un attimo di precisare che se da ragazzina pensavo davvero che l'aldilà fosse sopra le nuvole, poi crescendo sapevo comunque che lassù non c' èra nessuno. Solo che a volte contattare quelle immagini mi era necessario, mi faceva stare bene. Non vorrei si pensasse che la mia mente abbia solo del grottesco. E precisata la cosa confesso che quando la prima volta su un aereo mi trovai ad alta quota, ci feci caso sorridendo tra me e me che era disabitato, e malgrado lo sapessi ormai da tanto, mi sembrò vuoto lo stesso, era la conferma che tutta la materia è come le cipolle, lamina su lamina se le separiamo non resta niente.
Sintonizzarmi su immagini o scene evidentemente avrà avuto uno scopo importante, e se si volesse dire che ciò fosse un non stare coi piedi per terra, paradossalmente per me vivere senza immagini da sogno ha significato stare nel vuoto invece; la materia così com'è mi appare abbastanza priva di significato! E quì credo stia l'inghippo del mio perenne turbamento. Ma ritorno a dire che vorrei potermi rilassare accettando che non posso più tornare indietro, e convincermi sinceramente che le cose che ho anche adesso sono bastevoli se solo li vedessi da altre angolazioni.


La famosa casa in cui vissi dai dodici ai quindici anni fu un isola felice che mi vide anche diventare donnina di casa anche se con inevitabili incidenti di percorso...

Per rendere una idea meno frammentata dopo essere saltata di palo in frasca, potrei un attimo riassumere.

In piena adolescenza, in pieno boom economico, in una cittadina che si stava svegliando culturalmente col fiorire di scuole e istituti superiori, appena uscita dagli anni dell'infanzia intensamente vissuta tra due case, e con due nonne che nella stessa giornata mi davano stimoli ed educazione diversa, quella casa rappresentò la "mia" prima vera casa . A due passi da tutto, dal Duomo, potei continuare a godere del gioco con le mie sorelle, ma anche dei tanti contatti con i compagni di scuola e coi ragazzi che aderivano al lavoro e alla formazione parrocchiale. Avevo un fratello più grande che portava novità dal mondo maschile che diventava meno balordo di quanto non lo fosse stato quello della generazione di mio padre, quando se passava una donna gli dovevano dire necessariamente qualcosa dietro, cosa che odiavo tanto negli adulti, o, dovevano considerare, sempre la donna, tre gradini più in basso, e questa a sua volta li cresceva con l'idea della superiorità rispetto alle figlie. Una parità dei sessi io già la sentivo, anche se bla bla nel lavoro ancora oggi...
C'era tutto nella mia giovane esistenza, riprendevo i giochi da bambini, le comari, guardavamo la tv, scendevamo in cortile, andavamo giù in strada coi compagni e le vicine, lasciavo a casa custodite dalla nonna le mie sorelle quando andavo in parrocchia, c'erano piccole commissioni per la nonna, studiavo, sperimentavo nuovo modi per possedere quella casa, cucinavo cose per noi tre, cucivo già molte cose per diletto. Avevo molti doveri ma mi facevo anche molto i fatti miei, e su questo ero assai brava.

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Vecchio 21-01-2011, 16.02.50   #39
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Sicuramente il tempo amavo di più passarlo creando situazioni emozionanti, entrando e uscendo dai ruoli, recitando nelle vesti dei grandi, dove vi era movimento del corpo, ed emozioni date dalle vicende simulate con i ruoli stessi. Ebbi però anche modo di sviluppare l'attitudine alla manualità, dove più che altro è la mente creativa che lavora, aiutata dallo strumento. Fin da piccola, come accennavo, era stato doveroso imparare a ricamare, anche se bene non lo
feci mai, era un lavoro seccante per me, ci voleva troppo tempo per ottenere qualcosa di finito, io avevo fretta di vedere i risultati. Mi venne invece più simpatico da subito il cucito. Lo facevo per le bambole e ciò dava uno scopo ed una soddisfazione più immediati. Amavo tagliare e cucire i modelli sul letto della nonna, mentre lei ricamava nella stessa stanza. Le prime camicie furono un pezzetto di stoffa con due buchi per le braccia, e la gonnellina era anch'essa un pezzo di stoffa rotondo col buco in mezzo. Avrò avuto quattro anni, e non tenevo l'ago in mano. La nonna non voleva lasciassi le forbici sul letto, portava male, ma non mi riusciva di ricordarmelo sempre, e lei mi sgridava severamente, era una ossessione quel suo divieto perchè poggiare tutto sul letto significava per me che ero poco alta avere tutto sottomano, una buona visione d'insieme, e mi veniva meglio a prendere le cose.
La passione per il vestire le bambole fu coltivata fino
all'inverosimile. Il primo ricordo che ho di mia madre fu di lei che cambiava proprio in quel letto dove dormivo con la nonna, la piccola neonata. Ve la adagiò, le cambiò il pannolino e la sistemò con cura tirando per bene sulle gambine il vestito al fine di coprirla, una scena che ancora ho negli occhi, in tutta la sua dolcezza, e chissà cosa provai in quel momento...E poi era un continuum quella fila di panni vari, bianchi e colorati, che stavano appesi in ogni cortile, nei balconi e, dentro casa d'inverno, nel cerchio di legno sopra il braciere.
I panni erano una cosa onnipresente, in tutte le case, e forse ciò mi spingeva a crearne di continuo, come se fossero nel piano della sopravvivenza stessa. Ma quella scena di mia madre china sul quel fagottino delicato con la sciarpa rosa e le scarpette di lana in tinta coi fiocchetti, fu una visione che probabilmente accese molte cose in me.
Continuo... Fu una conquista bellissima, quando mi venne insegnato come dare la forma delle spalle al vestitino della mia bambola. Per fortuna che la nonna era anche sarta, perchè furono davvero una grande risorsa tutti vari ritagli colorati. Se per caso le si liberava un rocchetto di legno, lasciavo tutto e in un attimo lo mettevo a mò di tacco sotto la
mia ciabattina, col chiodo; avrò avuto otto anni per questo, e giravo per un giorno intero in quell'esercizio di equilibrio, e poi avanti con altra materia! Tenevo tutto sott'occhio per creare, per inscenare, in modo incessante, senza mai stancarmi, e mi scocciava che si dovesse mangiare, tanto che un giorno mia madre scoprì che mentivo dicendo che avevo preso qualcosa dalla nonna, mentre alla nonna dicevo che avevo mangiato con le mie sorelle. Mi pescò sola dentro il cortile, aspettavo che le compagnette scendessero a giocare subito dopo il loro pranzo, mi prese come una pupattola e mi sbattè con rabbia contro il cancello facendomi uscire anche sangue da dietro i capelli, un piccolo rivolo, mi urlò " se lo fai ancora ti ammazzo". Un unico episodio, ma convincente devo dire, avevo torto marcio e lo sapevo. Se devo dire cosa provo mentre lo scrivo posso affermare di avere contattato un grande sentimento di passione, le mie idee e la mia spinta a realizzarle erano una fonte inesauribile di piacere, il paradiso stava dentro di me.
Ho appena descritto le ore che passavo quando non andavo dall'altra nonna dalle mie sorelle, ore passate con me stessa, in silenzio a giocare da sola, e visto che sono tornata indietro in quella infanzia, vorrei descrivere qualcosa di magico che ancora oggi a pensarla non so perchè mi fa venire le lacrime.
Ho già detto che dalla nonna P c'erano dei doveri fastidiosi, le piccole faccende di casa, ma ce n'era uno di compito che mi impegnava particolarmente in estate quasi ogni giorno, quello di annaffiare i fiori. Centinaia di vasi, alla quale era attaccatissima, anche a quelli insignificanti, e l'unica bastonata che assaggiai fu perchè nel correre ne feci rovesciare una giù dal muretto all'ennesima volta che la nonna mia avvertiva di stare attenta.
Quindi erano due le cose o mi tagliavo le vene, oppure facevo di necessità virtù, mi riuscii la seconda. Prima di essere libera di andare in strada, col tubo dell'acqua dovevo bagnare, ma fino all'orlo, ogni vaso, a girare per tutta la terrazza, e la pressione era modesta. Al fine mi ritrovavo a terra all'altezza delle piante come i gerani, la gardenia, la campanella, la pittura, le tuberose, le begonie, una infiorescenza detta "ceci con la pasta", ect ect...e a volte proprio distesa vicino a un gruppi di fiori, persa a guardare ciò che accadeva man mano che l'acqua inondava la superficie di terra dentro il vaso,ed era interessante la vita che prendeva movimento davanti ai miei occhi. Tanti fili d'era che ondeggiavano, foglioline secche che galleggiavano,
il tronco della pianta che vedevo come un albero, pietruzze che rendevano mossa la terra.
Il tremolio più interessante era quello delle piantine erbacee con il piccolo fiore, che vedevo sparire sotto l'acqua e poi riemergevano, ecco lì io mi incantavo... entravo in quel pezzo di vita e cominciavo a dialogare con tutte queste figurine che per me erano persone. Signore e signorine per lo più, con i quali allungavo lunghi monologhi, io facevo le domande ed essi mi rispondevano, sempre io, e cambiavo tono, e
ammiravo la loro linea sinuosa, i loro indimenticabili delicati colori, i singoli petali in miniatura. Un miracolo che io potessi godermi così quella ora, e a volte anche se mi seccavo ad ogni inizio, poi mi rassegnavo e mi perdevo in quei sentimenti così pregnanti verso quella materia naturale che mi offriva quello che infondo doveva essere un obbligo. Io amavo tutte quelle esili piantine di ogni tonalità del verde, erano tutte amiche mie!
Per molti anni anche dopo le piante hanno avuto il potere di stregarmi, e ancora oggi un albero è molto di più di quello che sembra, per me. Chiudo quì per ora, mi sono persa abbastanza, tutti i sensi venivano invasi, era buono l'odore di erba, di terra bagnata, anche quello del tubo di plastica riscaldato dal sole mentre vi arriva l'acqua, un autentico paradiso che scusate non potevo tralasciare..

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Vecchio 25-01-2011, 20.56.18   #40
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Ricordare mi fa vedere meglio come e perchè ero capace di vivere intensamente: perchè mi era stato concesso il tempo di farlo, perchè ero bimba, perchè le nonne sono più adatte ad allevare rispetto alle mamme, alle quali i figli dovrebbero essere riconsegnate non prima della maggiore età o mai. Mio figlio fu felice quando viveva suo nonno, dopo non gli fu concesso nessuno che avesse più la stessa dedizione e complicità. Una madre come potrebbe essere se stessa in questo mondo occidentale in cui deve fare anche molto altro?
La mia voleva fare altro, io stessa ho voluto fare altro e tanto altro avrei voluto realizzare. Potrei comprendere mio padre infondo se diceva che la donna doveva stare a casa, e il marito a lavorare. Ma a casa proprio sempre, aggiungo io, perchè se facciamo loro aprire la mente è chiaro che si sentiranno punite solo nel ruolo di moglie o di madre. E' la mia esperienza questa.
Sarei passata gradualmente dal gioco ad un comportamento e ai pensieri di un' adulta, ne sono convinta. Avevo bisogno del mio tempo, avevo molto da trasformare, certi passaggi poi furono forzati, ormai è passato e ringrazio comunque la vita che oggi mi sta restituendo un pò il sonno e la sensazione che almeno di notte ci sia tregua. Ho penato molti anni con la mente rimasta chissà dove, un pezzo là, un pezzo quì, ma il ricordare adesso tutte le occasioni intense nelle quali ero me stessa ho idea che mi aiuterà a distaccarmi dalle molte pretese rimaste senza risposta dentro di me. Vorrei potermi finalmente accontentare di ciò che mi rimane, chiedo solo di dormire la notte, per non impazzire, sto cercando la strada per dare riposo al mio essere, e stasera mi dico che l'essere potrebbe riposare se molla la lotta, se si decide a lasciare andare tutto ciò che si vuol trattenere.
Eppure qualcosa accade, così potrò pensare che un giorno sarà gusto che io muoia, come tutti.

Il mio primo giorno di scuola media coincise con l'inaugurazione dell'stituto stesso, finalmente un immobile nato per lo scopo, a forma di U con le aiuole al centro , una bella ampia hall e la palestra con tutte le attrezzature. Non fu un vero e proprio paradiso, ma cose belle ne passai molte.
La pecca del mio imprinting a scuola si vide subito, non ero abituata a studiare il tempo che ci voleva, a casa. Alle Elementari la maestra mi aveva molto viziata, forse le facevo simpatia, è vero spiccavo come intelligenza e vivacità, apprendevo velocemente e la seguivo nelle ore che stavamo in classe, ma poi difficilmente prendevo i libri a casa, i compiti li facevo nei ritagli in classe. Anzi in effetti la storia la studiavo di pomeriggio, ma avevo tutte le fortune, infatti due sorelle già signorine facevano il lavoro per me, leggevano, mi raccontavano, mi facevano ripetere; il tutto mentre giocavo coi loro capelli lunghi, o mentre mi dondolavano e mi spupazzavano. Ho già detto che non mi erano concessi i capelli lunghi, loro li avevano lisci e fin sotto la schiena, ed io li raccoglievo, mi mettevo allo specchio, li sistemavo attorno al mio viso e guardavo come sarei stata.
Era comunque una piccola cosa in quel momento, avevo molti altri motivi per essere felice.
Con loro passai tanti pomeriggi a chiacchierare, mi insegnavano molte cose, le guardavo strapparsi i peli dalle gambe con la pinzetta dopo essersi tirate quelle delle sopracciglia, cosa questa che mi sconvolgeva; stavamo ore sui gradini della scala ed io accovacciata guardavo i loro visi per alleggerire quasi quell'autotortura... Era un piccolo chiodo però, l'idea che un giorno avrei dovuto farlo anche io che non amavo per nulla il dolore! Contavo gli anni che mi separavano dal dovere a mia volta imitarle e mi preoccupavo al pensiero che passassero in fretta; per questo e per tante altre cose.
Dicevo la scuola media, tutto un altro mondo, le compagne più mature, più alte, era l'età dello sviluppo, io mi formai molto presto, non divenni alta. All'esterno era formata, ma dentro ero molto bambina. L'impatto non fu dei più rosei, una classe mista e i maschi ripetenti aumentavano le difficoltà. Irriverenti e maliziosi, mi prendevano in giro per le mie battute ingenue, per la mia reattività nei loro confronti. Nella classe c'erano ragazze già con esperienze da adulte, io non lo capivo., e non è che non avessi certi pensieri verso il genere maschile, ma era al di là da venire un istinto che si potesse concretizzare in flirt, a parte che c'era anche un divieto molto forte dentro di me, che provenia dalla Chiesa, dalla signina R, da mio padre, da mia madre, eccetto che dalla nonna delle favole.
Mi divertivo lo stesso con le compagne, ci si riuniva a casa di qualcuno a turno, dovetti imparare a studiare sui libri. Da che ero asso della classe per la maestra da che mi ritrovai non dico in difficoltà , ma la frustrazione dei voti appena sufficienti me la presi al primo compito in classe. Rimasi sorpresa, contrariata, cosa era successo? perchè adesso non ero più nessuno? perchè molti altri mi superavano? Non mi sentivo felice di questo, mi crollava un pò il mondo addosso. Non mi sentii mai bene adattata in quella scuola, ci stavo male, il paradiso cominciava a restringere i suoi confini. Mi entusiasmavano solo le ore di musica e quelle in palestra dove davo il meglio di me stessa.
Un grande ricordo, uno solo che vale tutti quei tre anni: il saggio di danza in seconda media. Mia madre ebbe un gesto di generosità per me. Ero stata selezionata proprio dalle mie insegnanti preferite, ma allora che non era come oggi, il problema era se le mamme erano disposte a comprarci un tutù e completo di scarpette! Tornai a casa col cuore in gola, la mia disse di sì , e mi fece felice come non posso descrivere. Nero con un giro di rafia gialla in vita e qualcosa in testa mi sembrò stupendo. Tra la danza e la ginnastica ci muovevamo sulle note di qualcosa che seguì l'inno Alla Gioia, di cui purtroppo non ricordo più il nome. Per tanto tempo, fino a che non fu logoro usai quel tutù insieme alle mie sorelle, nella casa del paradiso, ogni volta che mi veniva l'esigenza di rivivere quei dieci minuti tra i più belli in assoluto della mia vita, e ricordo che negli istanti prima di uscire in pubblico io fui consapevole di quella felicità e del fatto che me lo sarei ricordato per sempre.
Mi è adesso venuta in mente una scena del film "Lezioni di piano" , la bambina che saltella incurante degli altri , sotto la pioggia, con grandi ali piumate. Ero veramente persa in un mondo irreale che ritrovavo intatto tornando dalla scuola a casa con nonna e le mie sorelle...

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Vecchio 26-01-2011, 15.22.44   #41
Edera
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Citazione:
Ho già detto che non mi erano concessi i capelli lunghi
Mi hai fatto venire in mente che la mia infanzia e credo anche il mio presente invece si potrebbero intitolare proprio 'capelli' , lunghissimi quelli di tutte noi donne della famiglia. Assieme alla parola 'conigli' vengono riassunti più o meno tutti i miei 29 anni di vita. Anche se non intervengo ti leggo.
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Vecchio 26-01-2011, 16.31.14   #42
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Vedi...subito ho pensato che sei fortunata! Ammiro ancora una ragazza con i capelli lunghi, se poi sono lunghissimi mi giro pure a guardarla senza problemi...
Grazie Edera
Scusa aggiungo ora, inserisci pure se ti va un tuo ricordo.

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Vecchio 26-01-2011, 17.07.34   #43
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L'inizio della scuola media aveva coinciso con un gran brutto periodo, che in effetti segnò la fine del vero paradiso, quello incontaminato che durò fino ai dieci anni, tempo in cui facevo la spola tra una nonna e l'altra, tra le amiche e le sorelle. Tempo in cui mia madre non lavorava, in cui parlavo con i fiori, e poi c'erano le signorine, e la ricostruzione del pavimento stradale, e non avevo fin lì conosciuto ne perso la tremenda guida spirituale.
Non abitavamo ancora la casa col giardino che mi vide a dodici anni riunita definitivamente alla mia famiglia e sotto la guida della nonna paterna il breve tempo che mia madre mancò da casa. Ma in effetti vi era una differenza nel modo in cui mi estraniavo seguendo il gioco , perchè diverso dev'essere stato per forza il mio atteggiamento verso la vita. Prima avevo solo voluto accennare al fatto che la madre di mia madre si ammalò, che coincise proprio con l'anno in cui entrai alle Medie.
Avevamo lasciato la casa col terrazzo dove annaffiavo i fiori, e con le signorine, e già mi dispiaceva, ma avevo trovato nuovi amici. Il fatto è che subito dopo come un fulmine a ciel sereno la nonna fu operata al seno. Non sapevo esistessero le malattie, ne che una donna potesse essere mutilata a quel modo. Vidi ogni cosa, la nonna cercava conforto in me, non voleva rattristarmi, semplicemente condivideva accettante. Le avevano salvato la vita diceva, ma non poteva nascondermi i dolori di un intervento che allora era molto invasivo. Del resto dormivo nel suo stesso letto, non c'erano due stanze, condividevamo tutto da sempre; era più facile che mi facesse partecipe. La notte non dormivo, sia perchè lei non sopportava nessun movimento del letto, sia perchè la mia mente e il mio cuore erano trafitti e letteralmente in allarme rosso. Ero spaventata a morte, fu un day after, un pensiero ossessivo senza tregua per molto tempo e che in seguito affiorava all'improvviso.
Ogni mattina l'aiutavo a lavarsi, a infilarsi i vestiti, guardavo lei che aveva risolto con un piccolo cuscino dentro il reggiseno, lei che forse dava un significato meno grave a tutto ciò mentre invece per me era una cosa orribile la ferita.
Era una donna ordinata, maniaca della pulizia purtroppo, e avendo ora poca forza nel braccio destro, dovevo farle delle cose, nel modo maniacale con cui le faceva lei: quindi mi controllava passo passo.
Fu davvero dura per entrambe e sebbene mio padre volle che andassi definitivamente con loro solo per un pregiudizio nei confronti della malattia, in effetti mi sollevò da un clima che sicuramente mi avrebbe fatto molto più male. Non la abbandonai, posso immaginare che per lei fu un dolore aggiunto non avermi più, meglio che non ci penso, ma le cose andarono così. Da diverse angolazioni ognuno risulta avere le proprie ragioni.
Fui felice di andare nella famosa casa con le mie sorelle e mio fratello, e mio padre, e mia madre che veniva ancora solo a fine settimana. Ebbi anche molto lavoro in più insieme alle tante opportunità interessanti che presi pienamente come ho già descritto, ma lo struggimento verso la nonna e verso me stessa che di sicuro avrei patito come lei prima o poi,non credo siano mai passati, e sono ancora quì. Non mi impedirono di continuare la mia ricerca del piacere, ma è probabile che mi sia attaccata ancor di più alla strada della alienazione dalla realtà. Non mi sento nemmeno di dire che fu negativo, che fu deleterio, perchè si potrebbe dire, visto che ancora oggi mi considero una grande disadattata.
In effetti il gioco che mi fu concesso pur in mezzo a tante responsabilità prematuramente, fu, ne sono certa, la mia salvezza, e non avevo nessuna intenzione di mollare se mia madre non mi avesse fatto la guerra, se la signorina R non mi avesse indotto al dovere moralisticamente man mano che crescetti. Insomma era per dire peccato che non potei trasformare le mie virtù di bambina avvezza alla gioia e al gioco, in qualità di un'adulta allo stesso modo felice di esserlo.

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Vecchio 26-01-2011, 18.02.46   #44
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Ammiro ancora una ragazza con i capelli lunghi, se poi sono lunghissimi mi giro pure a guardarla senza problemi...
.
Il cugino It, lo ricordi? A volte faccio gli stessi rumori
Preferisco leggere i tuoi, hanno un che di sogno in cui ritrovo qualcosa di me.
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Vecchio 27-01-2011, 02.26.52   #45
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Il cugino It, lo ricordi? A volte faccio gli stessi rumori
Non me lo ricordavo sai, e me lo sono andato a cercare. Che forte la famiglia Adams...
Dev'essere una bella sensazione portare sulle spalle una bella chioma fluente.
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Vecchio 29-01-2011, 15.44.57   #46
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Predefinito Il tesoro

Uno sguardo veloce all’obiettivo di questo scritto. Prendere contatto con la parte di me che sapeva godere, e reagire alle contrarietà della mia piccola esistenza, quando i processi sono molto più spontanei, naturali, e quando vi è linearità tra pensiero e azione.
C’è anche un altro motivo, oltre al terzo cioè il piacere di raccontare, di cui non ho ancora parlato specificatamente e che mi sta molto a cuore: scoprire chi abitava dentro di me fin da subito. In passato c’erano due tipi di sogno che mi davano turbamento e stupore. Beh gli incubi miei sono ormai noti. Invece i sogni straordinari , che non mi accadono da un po’ erano quelli in cui mi apparivano delle intere collezioni artistiche di abiti, scarpe e indumenti da sera. Intere collezioni di modelli inediti straordinariamente belli e originali, sia per i tagli che per i materiali e i colori con cui erano di un colpo realizzati. Vedevo solo la fase finale, della sfilata, oppure erano in stand, allineati e appesi ed io li scoprivo con meraviglia e avrei voluto possederli tutti. Capi esclusivi solo per donna.
Ho letto in un libro moderno di sogni la pagina presa da di Freud, dove si racconta di come un paziente avesse sognato qualcosa che era lontano dalla sua portata e conoscenza, ma si scopre poi che lo stesso paziente molto tempo prima era passato in quel luogo, letto una scritta , e l’inconscio ora lo tirava fuori. Una sorta di dimostrazione scientifica. Naturalmente non lo citava come unico modo per spiegare i sogni strani.
Era una parentesi perché avrei voluto affermare con assoluta certezza che quegli abiti non li ho mai visti nella realtà, nemmeno le scarpe, ma non so se posso; io credo ancora che sia così. E’ chiaro che si attinge dalle cose preesistenti, tutta la creatività e l’arte sono così, però mi colpiva la varietà e la ricchezza dei manufatti. Ora poiché non ho mai studiato come stilista di moda, ne coltivato particolarmente l’acquisto di riviste specializzate, mi sono sempre chiesta se queste immagini mi potessero arrivare dall’esterno, domanda alla quale non mi ha potuto rispondere nessuno di quelli ai quali ho chiesto. Questo stilista dentro di me c’è stata per molto tempo, e se avessi potuto registrare le immagini dei mie sogni sarei diventata sicuramente famosa. Ricordavo i modelli solo per pochi secondi o qualche minuto dopo il risveglio , ma poi si dileguavano con mio grande rammarico. Un mistero per me , che non ho mai potuto capire.

Allora vado ai ricordi, ripasso le strade percorse e torno ancora nella casa col giardino e al lato est, l’ultimo dei quattro di cui non ho ancora parlato. Magari lì trovo qualche altra indicazione.
Questo lato dava sui tetti delle case dei vicini, più basse, quasi tutti un pò a spiovere, poco perché non nevica , e con le tegole segnate dal tempo e a volte da macchie verdi di muschi in inverno; anche nelle tegole vedevo vita come nelle pianterelle erbose dei vasi della nonna P e mi ci incantavo...
Questo lato della casa dava con finestre e le due porte agli estremi, per tutta la sua lunghezza in un balcone terrazzo, in parte infilato nella parte finale del tetto della casa vicina, in parte con ringhiera di ferro. Situazione di per se intrigante per me. La varietà di ogni cosa mi ispirava meglio per gli impianti di paradisi sempre nuovi. Non sto a descrivere tutte le capanne che vi istallai appendendo coperte e tovaglie nei fili della biancheria che erano anche alti sulla ringhiera. Comari e comarelle ci era naturale simulare scene di vita quotidiana, con i vari personaggi di adulti interpretati da noi sorelle nelle ore meravigliose nelle quali restavamo incustodite. Ormai lascio immaginare questo tenere indaffarata me e le altre.
Questo per tutti i tre anni che vi abitammo, sempre dai miei dodici ai quindici anni.
Ma ricordo non troppo dopo il nostro arrivo, i miei occhi andavano in un lucchetto che chiudeva una porticina in quel pezzo di terrazzo che si infilava dove anche il nostro tetto andava a scemare sul terrazzino, che mi faceva pensare a qualcosa da esplorare. Un giorno ebbi tempo per toglierlo il lucchetto, avrò staccato le viti, non so…ed entrammo, prima io e poi le più piccole. Era una vera e proprio soffitta, e di sicuro apparteneva alla questa casa che il giudice ci aveva affittato; non c’erano dubbi per via di quello che vi trovammo oltre ai tanti nidi di uccelli vecchi e meno vecchi e mobili lasciati là già mezzi distrutti. I miei occhi vennero colpiti dai fasci di carte dentro carpette di cartone nero coi legacci di cotone ingiallito, dalle molte scatole e scatoline che man mano che le aprivo regalavano la sorpresadi cose mai viste di presenza e che mi potevano servire tanto...Erano: penne a calamaio, anche nelle loro confezioni originale, forse mai usate, regali sicuramente, boccettine di inchiostro ancora intatto, intenso. Blocchi di carta, non ricordo i particolari, ma tanta carta di vari formati, anche molta carta pesante per avvolgere cose, quella giallo ocra scura ma che non so cosa ci potesse fare lì, solo mi ricordo che la usai subito per confezionare sigarette. Rullavo molto bene la carta vuota, la accendevamo e facevamo fumo tenendola sulle labbra. Che ne sapevo che poteva risultare anche tossica! Tutto fatto quando nessuno ci controllava. Ritornando a tutto il ben di Dio, la cosa più fantastica fu la visione dei timbri, autentici gioiellini fatti a mano, con i rulli di lettere che giravano. Ma se non ricordo male c’erano anche scatoline con le piccole lettere. Ma non solo uno di timbro, tanti , di diversa grandezza. Tutto nelle scatole, ben conservato. Posso dire che era un vero tesoro, ed io, e di conseguenza le mie sorelle, lo valutammo appieno, enormemente e altro “lavoro” fu assicurato fino a saziarcene e finchè durarono…non avevo così tanta cura nel conservare le cose.
Nascosi la scoperta per un po’, di sicuro a mia madre, posso immaginare ora cosa avrò immaginato allora, cioè le sue parole: “Disgraziata amara, butta tutto questo inchiostro, sporcherai il mondo!” Lei era apocalittica.
Di mio padre invece temevo il giudizio, in certe cose era severo, non erano cosa nostre mi poteva dire, mettile al suo posto, e questo non lo volevo certamente nemmeno. Credo che alla fine man mano li usciì alla luce, perché tanto tempo li usammo per giocarci nel tavolo della stanza da pranzo. In pratica fu il gioco alternativo quando quello movimentato di cortile, di teatro stancavano.
Misi su una segreteria, si scriveva e si timbrava. I timbri, ripeto, erano magici marchingegni, ma anche le penne che intingevamo con l’inchiostro, avevo visto un calamaio solo nel libro di lettura alle Elementari e lo avevo desiderato, queste penne erano meglio!
Rimproveri me ne sarò presa lo stesso, avevo l’abitudine di smontare all’ultimo momento utile. Da lì il passo fu breve alla stamperia. Passavamo pomeriggi interi sui fogli. Ci aggiunsi altri strumenti, i colori, i pastelli a cera, la cera pongo, ma anche le semplici penne.
Mi fermo, sono stata bene, non finì lì. Scriverò gli sviluppi e le novità che la stamperia portò.
Buona buona domenica

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Vecchio 29-01-2011, 22.51.00   #47
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Prima di continuare, voglio dire che ci godemmo la soffitta così com'era. Tea nel leggere si è ricordata benissimo di questo spazio sotto le tegole per niente sicuro alla base dice lei, che percepiva e viveva le cose sicuramente in altro modo, proprio perché più piccola e meno accecata dalla passione rispetto a me. Quel soffitto doveva appartenere alla casa contigua ,non abitata da tempo, dello stesso proprietario della nostra e che spiega la presenza di quelle cose antiche e chiuse col lucchetto che dava nel nostro spazio.

Un paio di particolari mi hanno immediatamente aperto la scena di cosa facevamo infilate li dentro. La prima cosa che mi viene in mente è questo senso del luogo appartato e segreto che forse ha affascinato l'immaginario di molti ragazzi più movimentati, o forse di tutti; ma nostra cugina per esempio aveva molta paura(dei fantasmi). La luce filtrava da sopra, ma non mancava a me di accendere qualcosa in ogni caso. Ci sedevamo in quelle sedie sgangherate, e fu proprio lì invece che facemmo le prime sigarette, ci atteggiavamo a grandi e ci sentivamo così bene...Da adulta imparai a fumare proprio perché mi faceva una certa invidia vederlo fare ad una mia amica quando studiava. Era la gestualità soprattutto che mi colpiva e mi attraeva tantissimo, così non appena stetti fuori di casa un periodo, la prima cosa che feci fu quella di prendermi quel dannato vizio. Poi trovai la forza di staccarmene perché ne vidi anche tutta la bruttezza del fumare.
Quindi fumavamo, sedute come in salotto e nidificavamo, Chissà il perché infatti di quella fissazione ad ogni occasione di infilarci nelle tane come i topi, a camminare abbassati, a mangiar polvere e a imbrattarci i capelli di vecchie e abbondanti ragnatele. Era una bella atmosfera malgrado di bello sotto quel tetto, tolto i timbri e le penne a calamaio, non ci fosse proprio nulla si potrebbe dire.
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Vecchio 29-01-2011, 23.12.51   #48
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Fummo assalite pure dalle pulci nella soffitta!
Si vede che ci andavano gatti, fatto sta che appena tolto il lucchetto ed entrammo in quello che sembrava un antro oscuro ci ritrovammo piene di pulci. Subito a toglierle di dosso e richiudere, poi buttammo credo ddt allora si usava quello o qualcosa di simile.
Forse quello che li uccise meglio fu il fumo delle sigarette e il fuoco appiccato ma subito sedato , al solito Tina accendeva fuochi dappertutto ed anche allora come in giardino rischiammo tanto, ma qualche Angelo da lassù ci guardava.
Io piccola e più attenta ai pericoli, guardavo a distanza anche se poi mi tuffavo nel gioco eppure percepivo il pericolo in maniera più realistica anche se non dicevo nulla tanto nessuno mi ascoltava, ero la piccola, e allora i piccoli non capivano nulla e non andavano ascoltati questo dicevano i miei genitori, così imparai ad osservare e tenermi le cose per me. La soffitta certo non era a norma di sicurezza! Ma non dicevo nulla.
Le sigarette me le ricordo bene, Tina ne aveva una passione, rullava così bene e faceva cannoni e poi tanto fumo tossico negli occhi. La carta gialla era quella spessa con cui si involtava o la carne o il pesce non ricordo bene ma era d'effetto.
Io non mi ricordo di averne fumate tante ero piccola e non sopportavo quel fumo, ma forse fu così che da grandi, nel periodo della separazione quando io ripresi a fumare, io e Tina ci fumavamo vere sigarette con grande piacere e gestualità, a tutte le ore e in ogni occasione e luogo, quasi a ripercorrere la stessa trasgressione finalmente libere dal veto. A casa nostra non ha mai fumato nessuno. Poi per fortuna abbiamo smesso ormai da tanti anni.
__________________
"Mi manca già la tua presenza, ma fai parte di me e per questo non sei mai andata via"

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Vecchio 06-02-2011, 10.59.18   #49
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Provo a riprendere. Avevo perso la voglia dopo che quell'adorabile cagnolina di mia sorella è stata così male beccando il veleno per topi, e lasciamo stare che questi mi fanno pena anche. Ma la vita va così, anche le persone muoiono in tanti modi che non meritavano.
Non mi viene facile riprendere il filo del discorso, ma se lascio passare più tempo potrei anche non finire più questo scritto.

Riprendo, pur di continuare, col mettere a fuoco meglio una cosa che è emersa subito nella mia mente fin dall'inizio della storia, cioè il tempo che dedicavo alle cose, anzi al gioco o a ciò che prendeva il mio interesse. Si è capito che mi-prendevo-tutto-il tempo-che-avevo, tenendo conto dei doveri ai quali ritagliavo tempi minimi e senza tutta la mia attenzione. Certo se cerare il pavimento della mia stanza mi appassionava non era considerato dovere, come anche fare le ciambelle o pulire in una volta la casa, cosa che avrebbe dato un effetto più soddisfacente rispetto alle pulizie quotidiane che consideravo un rallentamento ai miei trafici ludici. Una cosa questa che mi portai anche in altri occasioni. Al secondo liceo proposi l'interrogazione volontaria su diverse lezioni arretrate da preparare in una volta. Anzichè dedicare un'ora al singolo paragrafo di letteratura o di storia, dedicavo due interi pomeriggi a fare più capitoli. Una cosa che piacque agli insegnanti e che a me e ad altri portò molti ottimi voti. Di contro capitava pure di essere impreparati nelle materie dei professori ai quali questa cosa non interessava.
Fu un insegnante di grande temperamento, laureato in fisica, appassionato alle sue materie che in due anni mi diede una impronta un tantino diversa, ma solo nelle sue materie, matematica e fisica, anche se la seconda mi appassionava meno però. L'esercizio di matematica era come un gioco, breve, con la regola da applicare e un risultato immediato. Idem il problema, così nei pomerigi precedenti la lezione facevo direttamente in bella tutti gli esercizi sulla regola, e non solo quelli assegnati ma tutta la fila. Fu una cosa bellissima.
Ma su questo insegnante ci vorrò tornare, perchè con lui compresi la differenza tra gioco e passione applicata alla vita reale, e allo studio, passaggio questo importante alla vita da adulto. Non fu sufficiente ovviamente, poi lui preferì inseguire una carriera più brillante e ci lasciò "orfani". La guida era già nelle mie esigenze, e lui lo era davvero un buon modello a parte il peccato della ambizione. Ho chiaro in mente che già allora qualcuno che mi educasse ulteriormente io lo desideravo. Da preside credo egli abbia più rotto le scatole agli insegnanti, che portato un maggiore insegnamento agli allievi. Lo pregammo di non abandonarci al penultimo anno, ma lui disse che comunque prima o poi una classe l'avrebbe dovuta lasciare interrompendo il triennio, e aveva scelto di lasciare proprio noi. Un vero peccato, una perdita grandissima per me. Sono poche le persone che mi diedero qualcosa per cui pensare che valesse la pena seguirli come modelli; comunque ci sono stati. Già di mio avevo due genitori votati principalmente al profitto economico, con l'aggravante che mia madre badava molto alle apparenze man mano che si affermava in quella società pettegola di piccole vedute che di lì a pochi anni di intensa crescita economica sarebbe cambiatata anche verso una maggiore cultura, ma a beneficio solo di future generazioni riguardo a maggiore libertà, perchè i genitori di allora ignoranti erano e ignoranti restarono, e i loro figli, cioè quelli come me, hanno pagato un tributo in termini di conflitti come tutte le generazioni di passaggio. A volte nella ignoranza e nella semplicità si è più felici. Una figlia come me doveva essere considerata al pari di un ragazzo ormai, i benefici economici andavano accompagnati da tutto ciò che di solito ne segue. Invece fui impedita nel seguire gli studi che mi piacevano, perchè lontani da casa, e solo per pregiudizio e attaccamento. Tanto valeva allora che mi mandassero a lavorare. Avrei incontarto un bravo ragazzo semplice, senza grillli per la testa, e sarei stata meglio e oggi non scriverei niente. Mah, prometto di non scrivere ancora cose tanto inutili... Se mi leggesse mo figlio rimarebbe molto deluso e avrebbe ragione, perchè sono felice che lui ci sia ed esattamente così com'è. Sono quì per parlare dei modi in cui ero capace di rende felice me stessa e non dei rimpianti e delle recriminazioni, e il discorso non è ancora esaurito, lo continuerò. Buonissima domenica
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Vecchio 08-02-2011, 20.57.08   #50
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Quando scoprimmo la soffitta però non ero ancora al liceo, finivo le medie e la mia testa era ancora più di bambina che di ragazza. La passione era incontaminata, e inchiostro, penne e timbri mi videro all'opera prima che mi portassero a nuove idee.
Ci mettevamo nella stanza da pranzo dove c'era anche la libreria a muro con l'occorrente per lo studio; mio padre veniva la sera, mia madre tornava a chiusura dei negozi. La nonna spesso ci faceva compagnia, mentre leggeva i suoi romanzi.
Il tavolo era tutto pieno, le due finestre a nord e sud davano luce se non era inverno, ma non le oscuravamo mai, e quella sulla stradina ci dava un contatto col fuori. Quella casa la ricordo così bella, mi sentivo in una postazione speciale, sollevata ma vicino ai passanti. Ma era la situazione speciale, ero la maggiore, e con tutto quel tempo a disposizione senza troppi controllori, e pensare che avevo anche oneri un pò troppo pesanti per l'età che avevo.
Quindi avere tutte le cose sott'occhio dispiegate sul tavolo mi ispirava meglio, mentre le mie sorelle sedute aspettavano direttive.
Dapprima usammo il materiale trovato nella soffitta per scrivere un pò o simulare il lavoro di segreteria, ma presto mi vennero le idee. Consumavamo molti quaderni, chiedevo alla nonna di comprarcene altri, perché in effetti la carta era alla fine la cosa più importante.
Le mie sorelle a differenza di me, che alla loro età avevo letto favole in normali libri illustrati, ebbero quelle con i personaggi ritagliati e piegati si che si alzavano non appena si apriva la pagina. Presi così spunto per creare personaggi per tutti e tre.
La cosa meravigliosa del tempo era che se hai un' idea, può venir sviluppata fin dove essa vuole; la mente la modella mentre le mani creano, o forse al contrario, Non importa, io lievitavo. E poi tutta quella carta, tanta, sciupata e non, era indispensabile averla. Più era diversa e più era bello. Disegnavo, ritagliavo, e incollavo tutto ciò che era disponibile. Matite colorate, ceretti, gessetti, acquerelli, colle varie per unire i pezzi e piegare i bordi. Ma la carta proprio, mi dava una certa voluttà, e me ne dà ancora oggi.
Presi a creare personaggi, disegnati e ritagliati, poi colorati. Una per ciascuna sorella, e quelle per me. Poi gli abitini, di tutto. Ero abile, una esperienza lunga di confezioni con i ritagli di stoffa mi rendeva preparata. Facevo sognare le ragazzine, ne facevo a iosa. Non bastavano mai. Poi ogni bambola era racchiusa in un foglio o quaderno. Se si strappava un braccio io ero felice di incollarlo, anzi quel pezzo da collezione acquistava maggiore affettività, era vissuto, era stato salvato. Ero malata, di bambole, chissà forse erano tante me stesse, o tante figlie , e mi realizzava da matti anche accontentare le mie interessate sorelle. Di sicuro mi piaceva accontentarle, forse imitavo la nonna, il modo fantastico con cui ci aveva intrattenute quando eravamo nipotini nella sua vecchia casa, davanti al braciere e ascoltavamo rapiti.
Non so cosa fosse, ma non mi stancavo mai. Il problema della carta non era da poco, finiva sempre o finivano i fogli dei quaderni scolastici. Un bel giorno mi venne una idea geniale, gli occhi mi caddero su un rotolo della carta ingenica, non so come ne in quale momento, ma che idea! Disegnai qualcosa, una prova, non ricordo esattamente come passai alla produzione successiva, nuova, col nuovo supporto, perchè in effetti non si prestava bene per ritagliarvi bambole ne vestiti. I meravigliosi non troppo soffici rotoli erano di colore rosa o azzurro, ma anche neutri. Di lì mi venne l'idea del corredo da sposa, che poi riguardava il lavoro della mamma, ma di questo ne parlerò un'altra volta. Alle mie sorelle immagino piacque molto, perché mi ricordo che facevamo viaggi verso il giardino per arredare con i nuovi tovaglioli disegnati, le nostre case sugli alberi. Un gioco interessantissimo perchè non si esaurì, e le collezioni furono copiose. Creato il motivo floreale, o geometrico, staccavo altri foglietti per il servizio completo, o per due, il tet a tet, che completavano i vassoi di cartone sempre decorato, tanto le tazzine non mancavano mai con nonna che non ci faceva mancare nulla riguardo a giocattoli da "signore" e signorine. Univamo i pezzi,ed erano tovaglie, tendine, trecce, torce e non ricordo più cosa altro.
Urla, improperi quando sta' carta non era mai al suo posto, mia madre se la prendeva con me, anche se in effetti facevo sparire tutto al loro ritorno, ma lei sapeva che in qualche modo c'entravo lo stesso, minacciava di tranciarci le vene del collo se non la smettevamo...Non esagero, era terribile sopportare quell'attimo , non arrivavano schiaffi, e poi, si dimenticava di noi perchè per fortuna aveva fame quando rincasava, o sempre qualcosa del suo lavoro che la impegnava, fosse anche solo contare le cambiali che metteva allo sconto e che pagava per riscattare qualche prestito che ai bei tempi permise a molti di fare buone .
Auguro buona serata.
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