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L'antica città della conoscenza
  
    
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Vecchio 18-11-2010, 19.44.06   #1
Edera
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Non so da dove partire, ci provo. Oggi ragionavo sui limiti o meglio sul fatto che spesso mi accorgo dei miei limiti solo una volta che li ho superati... Credo sia un argomento trito o ritrito però riflettevo su come non avere coscienza dei propri limiti sia deleterio nel rapporto con gli altri. Per fare un esempio banale posso prendere lo studio. Prima di iniziare l'università avevo in mano un liceo scientifico e un piccolo corso di 6 mesi di marketing, quindi un'istruzione medio-basso visto che oggi tutti sono laureati o quasi (poi dipende dalle zone diciamo che nella mia oggi è media-bassa). Fino al momento in cui non ho iniziato a studiare ancora non mi sentivo limitata da questo anzi ero convinta di poter mettere parola (non intendo solo espressa verbalmente cui in realtà mi sono sempre limitata ma anche pensata, insomma mi facevo dei miei giudizi mentali su tutto) Solo ora riguardandomi indietro vedo in che pozza di ignoranza nuotavo, lo vedo ora però non nel mentre e immagino di sapere ancora nulla. Se porto questo concetto nella Ricerca la sensazione che mi viene è quella di essere infinitamente piccola, ma davvero piccola. Guardandomi intorno mi accorgo che molte persone sono convinte di sapere tutto, di essere onniscenti, anzi meno sanno e più si arroccano sulle loro posizioni mentali che altro non sono che i loro limiti oltre al quale non riescono ad andare. Non credo si tratti solo di nozionistica, il sapere vero, la saggezza mi pare vada oltre la nozione, oltre il ragionamento dialettico, è altro... Ci sono gran dottori che a me sembrano ignorantissimi.
E nonostante pensi questo, io stessa non riesco in una discussione ad argomentare veramente, sporco tutto coi sentimenti col quale mi identifico, nè più nè meno degli anziani in bar che non riescono nemmeno a parlare di campi senza scendere nel personale e negli assolutismi.
Va beh non so se si capisce quello che voglio dire, è molto intorcolato però spero di migliorare e di iniziare a conoscere e a ricevere la conoscenza in modo più adeguato, non mi arrendo
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Vecchio 19-11-2010, 14.32.59   #2
Grey Owl
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E nonostante pensi questo, io stessa non riesco in una discussione ad argomentare veramente,
Spesso capita anche a me di avere questa sensazione di inadeguatezza. Passa quasi subito ma sento che ogni tanto arriva questa sensazione. Ma cosa vuol dire argomentare se non portare il proprio pensiero, bene o male che sia l'importante è l'intenzione che ci si mette. Argomentare "veramente" è quando si ha l'intento di trasmettere qualcosa del proprio pensiero.
Quote:
... sporco tutto coi sentimenti col quale mi identifico, nè più nè meno degli anziani in bar che non riescono nemmeno a parlare di campi senza scendere nel personale e negli assolutismi.
Perchè sporcare? Non penso che i sentimenti possano lordare una discussione. Ma immagino tu ti riferisca al portare la discussione sotto un'aspetto meramente soggettivo. Come se quello che viene detto sia riferito alla propria persona. Si, in questo caso non si sviluppa il discorso a favore di tutti e si rischia di deviare dal reale contenuto della discussione.
Quote:
Va beh non so se si capisce quello che voglio dire, è molto intorcolato però spero di migliorare e di iniziare a conoscere e a ricevere la conoscenza in modo più adeguato, non mi arrendo
Mi ha coltipo questo ultimo passaggio, dici che vuoi migliorare per ricevere (e conoscere) la conoscenza in modo adeguato. In effetti non mi ero mai posto la querstione in questi termini. E' migliorandosi che si permette alla conoscenza di entrare, per migliorarsi serve lavorare su noi stessi ed un modo di lavoro passa per la condivisione di se stessi nel gruppo di lavoro che a sua volta fruisce di quello che diamo.
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Vecchio 19-11-2010, 15.34.38   #3
Edera
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Perchè sporcare? Non penso che i sentimenti possano lordare una discussione. Ma immagino tu ti riferisca al portare la discussione sotto un'aspetto meramente soggettivo. Come se quello che viene detto sia riferito alla propria persona. Si, in questo caso non si sviluppa il discorso a favore di tutti e si rischia di deviare dal reale contenuto della discussione.
Sì esatto sporcare non era usato in modo dispregiativo. Intendevo come dici portare la discussione sotto un aspetto meramente soggettivo.


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Mi ha coltipo questo ultimo passaggio, dici che vuoi migliorare per ricevere (e conoscere) la conoscenza in modo adeguato. In effetti non mi ero mai posto la querstione in questi termini. E' migliorandosi che si permette alla conoscenza di entrare, per migliorarsi serve lavorare su noi stessi ed un modo di lavoro passa per la condivisione di se stessi nel gruppo di lavoro che a sua volta fruisce di quello che diamo.
Ho idea che per ricevere veramente la conoscenza bisogna prima riuscire a non portare tutto sempre su un piano soggettivo. Io ad esempio mi identifico molto con le emozioni quindi va a finire che in ogni post traspare una sorta di pathos che porta via la discussione dal piano razionale. Non sto dicendo che non passa niente di ciò che vorrei trasmettere ma che sarebbe meglio per me cercare di rinforzare il logos per farmi trascinare meno dalla parte emotiva. Però non so se è un processo che si può forzare in qualche modo o se vada di pari passo col lavoro su di sè, propenderei più per la seconda.
Oltretutto credo che questo pathos, visto che c'è non sia proprio da eliminare ma solo da governare e incanalare dove serve.

Off topic:[(Sempre in tema di conoscenza riporto una cosa leggera scendendo un attimo dal tono serio della discussione. In pausa stavo guardando un documentario di fisica sulle teorie dell'universo (big bang, stringhe ecc)assieme a mio fratello più piccolo (undici anni). Gli ho chiesto: secondo te l'universo come si è formato?
E lui : dal big bang e dai buchi neri
Io: e Dio?
Lui: è stato sputato fuori da un buco nero, solo che aveva gli atomi troppo grossi. AHahahahah ]
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Vecchio 19-11-2010, 18.43.41   #4
RedWitch
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Ho idea che per ricevere veramente la conoscenza bisogna prima riuscire a non portare tutto sempre su un piano soggettivo.
Si lo credo anch'io, allo stesso tempo pero' se viviamo nella soggettività in qualche modo dobbiamo rapportarci all'esterno.. più si screma e più si riesce a rimanere sull'impersonale, ma per farlo bisogna secondo me (a proposito di soggettività ) aver compreso quello di cui si sta parlando. Finchè non si è fatto proprio l'argomento, qualunque esso sia è quasi automatico riportarlo a sè stessi.
Forse man mano che si tolgono orpelli, l'approssimazione diventa più piccola e il punto di vista si allarga..

Il lato emotivo a me porta via , nel senso che se enfatizzo emotivamente è perchè mi sto identificando in una qualsiasi cosa di cui parlo o sento parlare.. dunque credo che lo sforzo che si puo' fare sia quello di cercare di osservare il più possibile , vedere se effettivamente si parla di noi o meno...


Citazione:
Off topic:[(Sempre in tema di conoscenza riporto una cosa leggera scendendo un attimo dal tono serio della discussione. In pausa stavo guardando un documentario di fisica sulle teorie dell'universo (big bang, stringhe ecc)assieme a mio fratello più piccolo (undici anni). Gli ho chiesto: secondo te l'universo come si è formato?
E lui : dal big bang e dai buchi neri
Io: e Dio?
Lui: è stato sputato fuori da un buco nero, solo che aveva gli atomi troppo grossi. AHahahahah ]
Bellissima
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Vecchio 20-11-2010, 10.02.29   #5
dafne
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Forse vado OT nel qual caso mi perdonerete spero ma stamattina stavo pensando a certe cose che voglio scrivere e come spesso mi accade mi sono ritrovata a corto di "parole giuste".
Questa cosa l'avevo già notata in altri ambiti, soprattutto nelle discussioni che parlavano di Jung la mia piccola mente rimaneva impreparata di fronte a quelli che catalogava come "paroloni".

Di fatto nello specifico avevo già visto come il disagio dipendesse dalla mia pigrizia di andar a cercare certe parole con relativi significati e anche che certe parole assumono uno specifico significato proprio perchè al lato pratico impediscono di dover circumnavigare un concetto con un periodo scritto troppo lungo e che, comunque, di fatto alla fine non lo rende quasi per niente.

Una parola assume quindi un ruolo di simbolo, simbolo di un determinato significato.

Stamattina preparandomi a scrivere sul sogno di ieri stavo per usare certe parole specifiche, certi concetti e mi sono sentita a disagio. Ho indagato in merito e ho scoperto, alla fine, che ero reticente ad usare parole specifiche sostituendole con panegirici di parole non perchè non volessi sentirmi tanto superba da aver capito tutto (pensa te come sono perversa) ma di fatto perchè non volevo assumermi la responsabilità di aver scelto certe parole così precise!!

All'inizio mi pareva una strr...ofinata di fuffa ( ) ma poi mi è venuto in mente un post di Uno nella discussione "Paura" dove diceva che essere coscienti di una cosa non significa esserne consapevoli. Mentre il mio neurone s'intorcolava su coscienza e consapevolezza m'è tornata di nuovo la sensazione di disagio.

Di fatto i concetti espressi in una parola tendo a respingerli, a pretendere che le definizioni vengano dagli altri, cosa che puntualmente non accade e...lampadina ...definizioni.

Una parola come coscienza delimita di fatto un concetto che ad essere spiegato può occupare pagine di scritti.
Una definizione delimita e "costringe" una cosa o un'idea all'interno di limiti specifici, limiti che a me stanno sempre troppo stretti perchè delimitano anche me, delimitano lo spazio che il mio pensiero si può prendere (una parola, praticamente nulla, la fuffa compressa..che claustrofobia..) e delimitano soprattutto il mio margine d'errore

Se mi dilungo in un concetto sono centinaia le scuse che posso usare per giustificarmi se ricevo in risposta un "no, non è così", tra l'altro costringendo l'altro, se si prestasse, a dover riprendere per mano infinite sfumature e accompagnarmi per mano..

Ma non è così che deve essere, la costrizione deve partire prima dall'interno, delimitare il margine d'errore è fondamentale per riuscire a sintetizzare.

Io invece da eterna bambina che sono vorrei che fossero sempre gli altri a delimitarmi e poi quando non lo fanno, per impossibiltà pratica, mi irrito dando però di nascosto soddisfazione a quella parte che nel largo, nel vago, nella confusione ci sguazza e vive.

Non sò se questo ha un senso per quel che scrivi ma mi serviva di metterlo nero su bianco, definire questo sentire su un foglio con parole precise per poterlo poi ritrovare obbligando la costrizione a permanere.

Una bella responsabilità da prendersi
dafne non è connesso  
Vecchio 20-11-2010, 10.31.00   #6
nikelise
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Forse vado OT nel qual caso mi perdonerete spero ma stamattina stavo pensando a certe cose che voglio scrivere e come spesso mi accade mi sono ritrovata a corto di "parole giuste".
Questa cosa l'avevo già notata in altri ambiti, soprattutto nelle discussioni che parlavano di Jung la mia piccola mente rimaneva impreparata di fronte a quelli che catalogava come "paroloni".

Di fatto nello specifico avevo già visto come il disagio dipendesse dalla mia pigrizia di andar a cercare certe parole con relativi significati e anche che certe parole assumono uno specifico significato proprio perchè al lato pratico impediscono di dover circumnavigare un concetto con un periodo scritto troppo lungo e che, comunque, di fatto alla fine non lo rende quasi per niente.

Una parola assume quindi un ruolo di simbolo, simbolo di un determinato significato.

Stamattina preparandomi a scrivere sul sogno di ieri stavo per usare certe parole specifiche, certi concetti e mi sono sentita a disagio. Ho indagato in merito e ho scoperto, alla fine, che ero reticente ad usare parole specifiche sostituendole con panegirici di parole non perchè non volessi sentirmi tanto superba da aver capito tutto (pensa te come sono perversa) ma di fatto perchè non volevo assumermi la responsabilità di aver scelto certe parole così precise!!

All'inizio mi pareva una strr...ofinata di fuffa ( ) ma poi mi è venuto in mente un post di Uno nella discussione "Paura" dove diceva che essere coscienti di una cosa non significa esserne consapevoli. Mentre il mio neurone s'intorcolava su coscienza e consapevolezza m'è tornata di nuovo la sensazione di disagio.

Di fatto i concetti espressi in una parola tendo a respingerli, a pretendere che le definizioni vengano dagli altri, cosa che puntualmente non accade e...lampadina ...definizioni.

Una parola come coscienza delimita di fatto un concetto che ad essere spiegato può occupare pagine di scritti.
Una definizione delimita e "costringe" una cosa o un'idea all'interno di limiti specifici, limiti che a me stanno sempre troppo stretti perchè delimitano anche me, delimitano lo spazio che il mio pensiero si può prendere (una parola, praticamente nulla, la fuffa compressa..che claustrofobia..) e delimitano soprattutto il mio margine d'errore

Se mi dilungo in un concetto sono centinaia le scuse che posso usare per giustificarmi se ricevo in risposta un "no, non è così", tra l'altro costringendo l'altro, se si prestasse, a dover riprendere per mano infinite sfumature e accompagnarmi per mano..

Ma non è così che deve essere, la costrizione deve partire prima dall'interno, delimitare il margine d'errore è fondamentale per riuscire a sintetizzare.

Io invece da eterna bambina che sono vorrei che fossero sempre gli altri a delimitarmi e poi quando non lo fanno, per impossibiltà pratica, mi irrito dando però di nascosto soddisfazione a quella parte che nel largo, nel vago, nella confusione ci sguazza e vive.

Non sò se questo ha un senso per quel che scrivi ma mi serviva di metterlo nero su bianco, definire questo sentire su un foglio con parole precise per poterlo poi ritrovare obbligando la costrizione a permanere.

Una bella responsabilità da prendersi
E' giusto quello che scrivi .
In questo sta la fatica che bisogna fare per capire e per delimitare in parole quello che si vuol dire .
Lo sforzo che poi e' anche un piacere man mano che si avanza .
C'e' quella massima latina :
res tene verba sequentur :SE UNA COSA LA CONOSCI LE PAROLE SEGUONO , SCORRONO .
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